Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo V

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CAPO V.

Firenze assediata dai Gotti, e rimasa libera alla nuova della venuta de’ Romani. Questi, appiccatasi battaglia, colti da spavento per un falso romore, diedero le spalle al nemico.

I. Totila non molto dappoi spedì l’esercito contro Giustino e la città di Firenze eleggendone a duci Bleda, Roderico ed Uliare, primi a tutti tra’ Gotti. Costoro giunti a Firenze e cintala di trincee danno principio all’assedio. Il perchè Giustino conturbatissimo, non avendo fatto provvigione di vittuaglia, manda a Ravenna chiedendo ai capi del romano esercito pronto soccorso, ed il messo col favor della notte per cammino ascoso ai nemici entrato in quella città esposevi come stessero le cose, a tal che senz’indugio un forte aiuto di Romani sotto gli ordini di Bessa, di Cipriano e di Giovanni, figlio d’una sorella di Vitaliano, mosse a proteggerne le mura. I Gotti non appena ebberne avviso dagli esploratori, sciolto l’assedio, retrocederono sino a Mucella, nome posto ad un luogo distante dalle porte il viaggio d’un giorno. Le romane truppe arrivate presso di Giustino, ed unitesi a quelle ivi esistenti, di piccola mano in fuora lasciata a custodire la città, si diressero tutte contro al nemico, e per via sembrò loro ottimo divisamento quello di scegliere dall’intiero novero dei duci uno chiarissimo, il quale scorto dalle sue genti precedendo l’esercito con subito impeto assalisse gli avversarj, intanto che il resto a [p. 293 modifica]più lento passo lo raggiugnerebbe. Gittate adunque le sorti, ed essendo tutti in aspettazione e già quasi renitenti ad attendere gli accordi fatti, il giudizio della fortuna cadde sopra Giovanni, che di questo modo in compagnia de’ suoi dovè procedere il primo alla volta del nemico. I barbari all’udirne la venuta, abbandonato con prestezza e spavento il campo, fannosi a corsa e romore su d’un vicino e molto elevato colle. Giovanni avanzatosi, con piè veloce e pure seguendo il nemico, dà principio alla fazione, e nel bollore della mischia, i Gotti difendendosi coraggiosamente, or gli uni or gli altri vengono a viva forza rispinti, e molti da quinci e quindi ricoprendosi di gloria incontranvi morte. In questo mezzo nel mentre che il duce romano iva ad investire disordinatamente e con grandissimo strepito la schiera di contro, volle il caso che altra delle sue lance rimanesse vittima d’un dardo avventatogli da nemica mano, dopo di che gli assalitori di là ributtati tornano in fuga. Tutte le altre imperiali truppe erano di già attelate e pronte al primo comando a dare nella battaglia, il perchè se queste avessero accolto i fuggenti e insiem con essi fatto petto ai barbari, fuor d’ogni dubbio sarebbero uscite della zuffa vittoriose, ed avrebbero condotto seco prigioniera la maggior parte della opposta fazione. Ma non saprei per quale malauguroso destino tra loro divulgossi il falso grido della morte di Giovanni, in quello scaramugio, per opera d’un suo astato. La qual nuova propalatasi tra’ duci indusseli tutti a rompere l’ordinanza abbandonandosi a turpissima fuga, e di questa [p. 294 modifica] guisa venuto affatto meno lo schieramento ognuno da solo, anzi che a turme, pigliò a trovar modo al suo scampo, molti nel trambusto giuntandovi la vita, e molti ancora, sebbene da nessuno perseguitati, più e più giorni continuarono a dilungarsi; alla per fine chi qua chi là ne’ luoghi forti, giusta la ventura di ciascheduno, si ritrassero, annunziando a quanti s’avvenivano l’uccisione di Giovanni, abbandonato al tutto il pensiero di raccozzarsi movere insieme contro il nemico. Stavansene per lo contrario tutti entro le mura apparecchiandosi ad un assedio e paventando un prossimo assalimento. Totila poi mercè la molta liberalità cattivossi per modo gli animi de’ prigionieri che molti di essi col tratto successivo passarono spontaneamente nelle sue file a guerreggiare i Romani. Terminato il verno ebbe fine l’anno settimo di questa guerra tramandata alla posterità da Procopio.