Il vicario di Wakefield/Capitolo quarto

Capitolo quarto

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo quarto
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CAPITOLO QUARTO.


Si prova che la più umile condizione può darci felicità e delizie, le quali non dipendono dal nostro stato, ma dalla nostra propria indole.

Il nuovo nostro ritiro era posto frammezzo a pochi castaldi che lavoravano le loro terre, non opulenti no, ma nè poveri; ed essendo essi forniti di tutte le cose bisognevoli alla vita, di rado andavano a cercare superflue bazzicature in città. Lontani dalla raffinata educazione, [p. 30 modifica]tenevano molto della semplicità de’ tempi andati, e si adornavano d’assai maniere all’antica; frugali per lungo abito, appena sapevano essere virtù la temperanza. I dì di lavoro attendevano con alacrità al travaglio, e si davan buon tempo le feste godendo nell’ozio di quel riposo. Mantenevano in uso i cantici del Natale, inviavano nastri in dono alle loro belle la mattina di santa Valentina, mangiavano frittelle il carnovale, le calende di aprile andavano trastullando mascherati, e religiosamente smallavano le noci la sera di San Michele. Informato della nostra venuta tutto il vicinato uscì fuori in gran gala ad incontrare il suo prete con cornamuse e tamburi; e pel nostro ricevimento si fece banchetto, a cui lieti intervenimmo, ed ove le sghignazzate tennero luogo di spiritosi parlari.

La nostra piccola casetta era posta a’ piedi di un colle che le si ergeva da lato, protetta per di dietro da un ameno boschetto e da un tiumicello mormoreggiante per davanti che scorreva per mezzo a’ bei prati. Venti iugeri d’ottima terra formavano il mio podere che era in assai buono stato, avendo sborsate io cento lire per compenso di quanto ne lo aveva ammigliorato il mio predecessore. Le siepi erano in sì bell’ordine, che nulla più; e i filari degli olmi e d’ogni sorta alberi ti apparivano con tal precisione che la era una maraviglia. La casa non era che d’un sol piano, coperta di stoppia; al di fuori aveva un’aria di semplicità che innamorava, al di dentro i muri erano pulitamente imbiancati; e le ragazze si affaccendarono in ricoprirli di dipinture disegnate di lor mano. Essendoci la stessa camera a un tempo e sala e cucina, noi n’avevamo più caldo; e come le scodelle, i piattelli ed in fine ogni suppellettile vi si forbiva di tutto punto e si ordinava vagamente in scaffali, l’occhio veniva rallegrato da quella somma nettezza, nè vi desiderava più ricchi arredi. V’erano tre altri appartamenti, l’uno per me e mia moglie, l’altro contiguo al nostro per le fanciulle, ed un terzo pe’ maschi, ove vi avevano due letti. [p. 31 modifica]

La piccola repubblica, della quale era io il legislatore, si governava di tal maniera. Allo spuntar del sole convenivamo tutti nella camera comune, ove la servente ci aveva già preparato il fuoco acceso. Quivi ci salutavamo a vicenda con adatte accoglienze, avendo io sempre stimato di dover mantenere in uso certe pratiche di bella creanza, senza delle quali la troppa libertà rovina l’amicizia; poi ciascuno si prostrava innanzi a quell’Ente da cui ci era accordato un altro giorno di vita. Compiuto quest’atto di dovere, io me ne usciva per le mie faccende insieme col mio figliuolo, intanto che mia moglie e le fanciulle apprestavano la colazione, la quale era sempre in pronto a certo momento determinato. Una mezz’ora per quella, siccome un’ora pel pranzo si consumava ogni dì; ed erano conditi quegli istanti d’una innocente allegria tra le donne, e di dialoghi filosofici tra me e ’l mio figliuolo.

Noi uscivamo di letto al sorgere del sole, però i nostri lavori non erano mai protratti oltre il di lui tramontare; e la sera in su l’abbuiarsi ritornavamo alla famiglia che ci aspettava, e la quale aveva per accoglierci preparato sempre buon cuore e allegro fuoco. Alcuna volta non ci mancava altra compagnia, essendo tratto tratto visitati dal castaldo Flamborugh, nostro vicino e ciarliero oltre modo, e dal cieco zampognatore, venuti a farci brindisi col nostro vino d’uva spina, del quale non avevamo perduta la ricetta nè ’l grido. Per mille versi quella buona gente ci divertiva ottimamente, perchè spesso suonando l’uno la cornamusa, l’altro cantava alcuna lusinghiera ballata, come L’ultimo addio di Giannotto Armstrong o La crudeltà di Barbara Allen. Si chiudeva la serata col leggere che facevano i miei ragazzi le lezioni del giorno, come aveano già fatto la mattina; e chi meglio e più chiaramente leggeva, veniva premiato con un mezzo soldo da porre nel borsellino de’ poveri la domenica; la quale venuta, tutte le mie leggi suntuarie non valevano ad impedire che non fosse giornata di gran gala. [p. 32 modifica]

Comecchè mi andasse per lo pensiero che le mie prediche contro la vanità avessero convertite le mie figliuole, le vedeva pur sempre di soppiatto agognare tutti i loro antichi ornamenti, innamorate di merletti, di nastri, d’un paio di smaniglie o d’un bel zendado; e fin anche mia moglie s’era appassionata del di lei andrienne cremesino, perchè una volta m’era sfuggito a caso di bocca che le si confaceva alla persona. La prima domenica specialmente elleno si governarono in maniera da mortificarmi. Io avea raccomandato alle mie figliuole la sera antecedente di vestirsi per tempo la mattina, amando sempre di giungere io alla chiesa buona pezza prima del popolo. Le tristarelle m’obbedirono; ma ragunatici per la colazione, eccole scendere colla madre in vesti sfarzose, tutte lisciate come se fosse il buon tempo di prima, colle capellature impastate d’unguenti, nèi appiccati sul viso per dar nell’occhio, e collo strascico delle gonne affardellato per di dietro in modo che ad ogni moto leggiero scrosciava. Sorrisi della loro vanità, ma più di quella di mia moglie da cui io sperava maggior senno; ed in quel momento mi avvisai per lo migliore di dar ordine al mio figliuolo, con tutta gravità, ch’egli chiamasse la carrozza. A questo comando le donne sbalordirono tutte, ed io lo replicai più solennemente, sicchè mia moglie esclamò: “Tu scherzi, marito mio, non ci è bisogno di carrozza; abbiamo gambe d’andar a piedi.” — “Tu t’inganni,” le risposi, “la è pur necessaria la carrozza, perchè andando a piedi alla chiesa in questa attillatura, la ciurmaglia ci farà dietro le fischiate.” “Ma per verità,” replicò mia moglie, “io ho sempre creduto che tu, Carlo mio, amassi di veder puliti e belli i tuoi ragazzi.” — “Puliti quanto ti aggrada,” l’interruppi io, “e di ciò ti sarò sempre grato; ma questa non è pulitezza, è ostentazione; e da codesti manichini, da que’ nèi, da quelle frangie non ne verrà che l’odio di ogni donna del vicinato. Figliuoli miei, fa d’uopo cambiare quelle gonnelle in qualche cosa di più casalingo, [p. 33 modifica]perchè non istà bene il lusso a noi, cui mancano quasi i mezzi per sostenerci in decenza. Non so se neppure ai ricchi convengano tanti cincischi e frascherie, se si fa pensiero che la nudità del povero può essere vestita col risparmio di quelle bazzecole.”

Con questo dire ottenni quant’io bramava; ed elleno andarono di buona voglia a mutarsi tosto di panni; e il dì vegnente le vidi con piacere tagliare lo strascico alle loro vesti e farne de’ farsetti pe’ dì festivi a Ricciardetto e Guglielmino, i due piccini; e quell’accorciamento parve dar più grazia alle gonne.