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XXV XXVII

C'era, nei pressi del pozzo, il rudere di un vecchio muro di pietra. La sera del giorno seguente, non appena fui di ritorno dal lavoro che mi aveva tenuto occupato, scorsi da lontano il mio piccolo principe, seduto lassù con le gambe a spenzoloni. Lo sentii che parlava:

— Non te ricordi più? — diceva. — Non è assolutamente qui!

Una seconda voce senza dubbio, gli stava rispondendo, giacché gli replicò:

— Sì! Sì! L'ora è giusta, ma il posto non è questo…

Proseguii in direzione del muro. Non vedevo ne udivo alcuna persona. Tuttavia il piccolo principe replicò di nuovo:

— … Certamente. Raggiungimi dove iniziano le mie orme sulla sabbia. Non dovrai che aspettarmi. Sarò lì questa notte…

Ero a venti metri dal muro e non vedevo assolutamente nessuno.

Il piccolo principe aggiunse, dopo un attimo di silenzio:

— Hai un veleno che funziona bene? Sei sicuro che non mi farai soffrire a lungo?

— Mi bloccai con una stretta al cuore, ma continuavo a non capire.

— Ora va via — disse… — voglio scender giù!

In quel momento pure io abbassai gli occhi verso la base del muro, e feci un salto! Là c'era, ritto verso il piccolo principe, uno di quei serpenti gialli che ti fanno secco in trenta secondi. Cercando di estrarre di tasca il revolver presi a correre, ma avendo fatto rumore la serpe scivolò dolcemente tra la sabbia, come un getto d'acqua che muore, e, senza troppa fretta, s'intrufolò tra le pietre con un leggero suono metallico.


Arrivai al muro appena in tempo per raccogliere tra le mie braccia il mio ometto, pallido come la neve.

— Che storia è questa! Ora ti metti a parlare anche con i serpenti!

L'avevo liberato dalla sciarpa d'oro che indossava sempre. Gli avevo bagnato le tempie e l'avevo fatto bere. Ora non osavo domandargli più nulla. Mi guardava con gravità e mi cinse il collo in un abbraccio. Percepii il battito del suo cuore, era come quello di un uccello morente abbattuto da una fucilata. Mi disse:

— Sono contento che hai trovato quello che mancava al tuo motore. Puoi tornare a casa…

—Come lo sai?

Venivo appunto ad annunciargli che, contrariamente ad ogni previsione, ero riuscito nella mia impresa!

Non rispose alla mia domanda, ma aggiunse:

— Anche io, oggi, torno a casa…

Poi, malinconicamente:

— È molto più lontana… è molto più complicato…

Sentivo bene che stava accadendo qualcosa di straordinario. Lo stringevo tra le braccia come un bambino piccolo e tuttavia avevo l'impressione che mi scivolasse giù verticalmente in un abisso senza che io potessi fare nulla per trattenerlo…

Avevo uno sguardo serio, perduto molto lontano:

— Ho la pecora. Ho la cassetta per la pecora. E ho la museruola…

Sorrise con malinconia.

Aspettai a lungo, sentivo che a poco a poco si riscaldava:

—Ometto, tu hai avuto paura…

Aveva sicuramente avuto paura! Ma rise dolcemente:

— Avrò certamente più paura questa sera…

Di nuovo mi sentii gelare dal sentore di qualcosa di irreparabile. E capii che non sopportavo l'idea che non lo avrei mai più sentito ridere. Per me era come una fonte nel deserto.

— Ometto, voglio sentirti ridere ancora…

Ma mi disse:

— Questa notte, farà un anno. La mia stella si troverà proprio sopra il luogo dove sono caduto l'anno scorso…

— Ometto, dimmi che questa storia del serpente e dell'appuntamento e della stella non è che un brutto sogno…

Ma non rispose alla mia domanda. Mi disse:

— Quello che è importante non si vede…

— Sì…

— È come per il fiore. Se tu ami un fiore che si trova su una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite.

— Sì…

È come per l'acqua. Quella che tu mi hai dato da bere era come una musica, per via della carrucola e della corda… tu te lo ricordi… com'era buona.

— Sì…

— Tu guarderai le stelle, di notte. La mia stella è troppo piccolina perché ti possa mostrare dove si trova. Meglio così. La mia stella, sarà per te una delle stelle. Allora ti piacerà guardarle tutte… Saranno tutte tue amiche. E poi ti voglio fare un regalo…

Rise ancora.

— Ah! ometto, ometto amo sentirti ridere!

— Questo appunto sarà il mio regalo… sarà come per l'acqua…

— Che cosa vuoi dire?

— Le stelle non sono la medesima cosa per tutti. Per alcuni, i viaggiatori, le stelle sono delle guide. Per altri non sono che delle piccole lucette. Per altri ancora, che sono studiosi, sono dei problemi. Per il mio uomo d'affari erano dell'oro. Ma per tutti costoro le stelle tacciono. Tu, tu avrai delle stelle come non ne ha nessun altro…

— Che vuoi dire?

— Quando tu guarderai il cielo di notte, poiché io vivrò in una di quelle, poiché io riderò in una di quelle, allora, per te, sarà come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!

E rise ancora.

— E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre) sarai contento di avermi conosciuto. Sarai per sempre mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai qualche volta la finestra, così, per piacere… e i tuoi amici saranno sbalorditi di vederti ridere mentre guardi il cielo. Allora dirai loro "Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!" e ti crederanno pazzo. Ti avrò giocato un brutto tiro…

E rise ancora.

—Sarà come se ti avessi dato, al posto delle stelle, un'infinità di sonaglini che sanno ridere…

E rise ancora. Poi tornò serio:

—Questa notte… lo sai… non venire.

— Io non ti lascerò.

— Avrò l'aspetto di uno che sta male… sembrerà come se stessi per morire. È così. Non venire a vedermi, non vale la pena…

— Io non ti lascerò.

Ma era in apprensione.

— Ti dico così… anche per via del serpente. Non deve morderti… I serpenti sono cattivi. Può morderti anche solo per il piacere…

— Io non ti lascerò.

Ma qualche cosa lo rassicurò:

— Vero è però che non c'è veleno nel secondo morso…

Quella notte non lo vidi incamminarsi. Senza far rumore si era dileguato. Quando riuscii a raggiungerlo procedeva deciso, di buon passo. Mi disse solamente:

-Ah! sei tu…

E mi prese per mano. Ma si angustiava ancora:

— Hai sbagliato. Ti dispiacerà. Sembrerò morto e non sarà vero…

Io restavo zitto.


— Cerca di capire. È troppo lontano. Non posso portare come me anche il mio corpo. Pesa troppo.

Io restavo zitto.

— Somiglierà a un vecchio guscio abbandonato. Non sono tristi i vecchi gusci…

Io restavo zitto.

Perse un po' di coraggio. Ma fece ancora uno sforzo:

— Sarà bello, vedrai. Anch'io guarderò le stelle. Tutte le stelle saranno pozzi con una carrucola arrugginita. Tutte le stelle mi verseranno da bere…

Io restavo zitto.

— Sarà così divertente! Tu avrai cinquecento milioni di sonagli, io avrò cinquecento milioni di fontane…

E anche lui non disse più nulla, perché piangeva…

— È là. Lasciami fare un passo senza seguirmi.

E si sedette perché aveva paura.


Aggiunse:

— Lo sai… il mio fiore… ne sono responsabile! Ed è così delicato! È così ingenuo. Ha solo quattro spine per proteggersi dal mondo…

Mi sedetti, non riuscivo più a restare in piedi. Disse:

— Ecco… tutto qui…

Esitò ancora un po', poi si alzò. Fece un passo. Io ero bloccato.

Ci fu solo un lampo giallo stretto intorno alla sua caviglia. Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde con dolcezza, come cade un albero. Per via della sabbia, non fece nemmeno rumore.