Emilio Salgari

1906 Racconti/Avventura Letteratura Il pazzo del faro Intestazione 11 novembre 2017 75% Da definire


IL PAZZO DEL FARO


Al sud della Nuova Scozia, una grossa penisola degli Stati Uniti dell’America settentrionale bagnata dalle acque del golfo di San Lorenzo e da quelle dell’Atlantico, si trova un isolotto che è particolarmente temuto dalle navi che si recano a Boston o ad Halifax. Si tratta d’un piccolo lembo di terra situato a 43° 24’ di latitudine ed a 60° di longitudine ovest di Greenvich, press’a poco sotto la medesima latitudine del grande Banco di Terranuova e che i marinai chiamano ordinariamente Capo delle Sabbie.

Non è invece affatto un capo sabbioso, bensì uno scoglio formidabile che il previdente Oceano Atlantico da secoli assale senza posa, con tutto il suo impeto terribile, per spazzarlo via; e pare che finirà per riuscire nel suo intento.

Infatti cinquant’anni or sono quell’isolotto, che ha sulla sua coscienza un gran numero di naufragi e centinaia di poveri marinai scomparsi nei suoi dintorni durante le sinistre e nebbiose notti invernali, aveva una lunghezza di settantaquattro chilometri, mentre oggi è molto se ne conta quaranta.

Essendo, come ho detto, quei paraggi molto frequentati dalle navi che toccano la Nuova Scozia, il Governo americano, una quindicina d’anni or sono, vi ergeva un faro affidandone la responsabilità ad un certo Jetron Roch, che un tempo aveva servito nella marina da guerra in qualità di quartiermastro.

Quel Roch non era mai stato veramente un uomo proprio equilibrato. I suoi amici già avevano più volte affermato che doveva avere qualche guasto nel cervello: però, non avendo mai dato segni di pazzia, era stato senz’altro mandato in quel luogo solitario e niente affatto privo di pericoli, affinché accudisse al servizio della lanterna.

Roch, che era sempre stato di umore piuttosto triste e che amava perciò l’isolamento, aveva accettato volentieri quell’incarico ed aveva subito preso possesso del faro, conducendo con sé la sua unica figlia, una bella e coraggiosa ragazza di diciotto anni che sapeva, al pari di tutte le giovani americane nate sulla costa, guidare abilmente un battello e maneggiare benissimo un fucile.

Il faro era stato innalzato sulla punta meridionale dell’isolotto, nel luogo maggiormente battuto dai cavalloni dell’Atlantico e quindi più pericoloso. Era una specie di torre, alta una quindicina di metri, con quattro sole piccole stanze, un magazzino per viveri e la lanterna in alto, la quale proiettava una luce visibile a dodici miglia al largo.

Sul principio tutto era andato benissimo. Roch di giorno pescava o cacciava, essendovi intorno all’isolotto abbondanza di pesci e di uccelli marini, e la ragazza passava il suo tempo a coltivare un pezzetto di terra e ad aiutare il padre durante le notti di guardia. Nessuno approdava mai su quella costa, troppo battuta da’ venti e dalle onde; soltanto ogni mese una scialuppa a vapore recava una considerevole scorta di viveri ai solitari Robinson.

Erano così trascorse sei settimane, quando in una notte di tempesta la giovane vide irrompere nella sua camera suo padre col viso sconvolto e gli occhi dilatati dal terrore.

— Hai sentito nulla, tu? — le chiese con voce alterata.

— No, babbo — rispose la ragazza allarmata.

— Ascolta bene, Jole.

— Non odo che i muggiti delle onde ed i fischi del vento.

— Vestiti e sali con me sulla lanterna — disse Roch. — È impossibile che io mi sia ingannato.

— Spiegati meglio, babbo.

— No, ora no. Fa’ presto, poiché il pericolo potrebbe essere gravissimo e travolgerci senza scampo alcuno.

La giovane, impressionata dalle parole del padre e soprattutto dal suo spavento, si vestì in fretta e si cacciò su per la strettissima scala che conduceva all’ultimo terrazzino, ove brillava la lanterna.

Era una notte di grande tempesta. L’Atlantico, montato in furore, avventava contro l’isolotto delle ondate spaventevoli le quali si frangevano contro le spiagge con un fragore assordante. Raffiche furiose si succedevano senza posa fischiando e mugolando e fra le nere nubi tuonava orrendamente.

— Senti nulla ora che sei quassù? — chiese Roch con voce sempre alterata. – Non ascoltare i fragori dell’Oceano; non sono quelli che mi spaventano.

— Che cosa vuoi dire?

— Che il faro oscilla — rispose Roch.

— Che stia per sfasciarsi? — chiese Jole smarrita.

— Io non lo so, temo però che sia stato innalzato sopra un terreno troppo sabbioso e che le fondamenta cedano.

— Fuggiamo finché abbiamo tempo. È piena d’olio la lampada? Pensiamo anche a quei poveri naviganti che si trovano in mare.

— L’ho riempita io poco fa.

— Fuggiamo, padre — gridò la ragazza.

Il vecchio quartiermastro e la ragazza ridiscesero la scaletta per mettersi in salvo nell’interno dell’isolotto.

Stavano per giungere al magazzino dei viveri il quale si trovava al pianterreno, quando uno strano muggito giunse ai loro orecchi.

Roch si era fermato, mandando un grido di disperazione. Le onde avevano sfondata la porta e l’acqua aveva invaso il magazzino, tagliando ai due disgraziati ogni speranza di salvezza.

— Siamo perduti, è vero, babbo? — chiese Jole, con angoscia.

Roch la guardò senza rispondere, incrociando le braccia sul suo largo petto.

— Dimmelo, te ne prego — ripeté Jole.

— Forse — rispose Roch con voce cupa. — Lo avevo detto io, poco fa, che le fondamenta cedevano.

— Che cosa è successo dunque?

— La lanterna affonda nella sabbia.

— E verremo inghiottiti dalle acque?

— Chi lo sa? Risaliamo sul terrazzino della lanterna. Possiamo morire qui come lassù!

Rifecero lentamente la scala, fermandosi di quando in quando sui pianerottoli per ascoltare.

Il faro tremava incessantemente, facendo tintinnare i vetri delle finestre e pareva che a poco a poco si piegasse in avanti. Giunti sul terrazzino della lanterna, Roch si curvò sulla balaustrata e attese che un lampo illuminasse l’oceano per rendersi conto esatto della situazione.

Non dovette aspettare molto. Una luce livida ruppe la profonda oscurità che regnava sull’Atlantico e sull’isolotto, seguìta da un colpo di tuono spaventevole.

— Ebbene, che cos’hai veduto, padre? — chiese Jole, quando quel fragore si perdette in lontananza.

— La costa è scomparsa per un lunghissimo tratto e le onde percuotono ora la base del faro — rispose il vecchio quartiermastro.

— Verremo travolti?

— Chi lo sa?

— Cerca una via di salvezza, padre.

— In quale modo? L’acqua ormai ci circonda da tutte le parti e la nostra scialuppa è scomparsa.

— Cerca! Cerca! — supplicò Jole, terrorizzata.

Roch alzò le spalle e si mise a passeggiare intorno alla lanterna col viso sempre sconvolto e gli occhi animati da una sinistra fiamma.

Di tratto in tratto si fermava, come per meglio ascoltare i fragori della tempesta, poi riprendeva il suo giro, rimanendo sordo a tutte le domande della figlia. L’uragano intanto aumentava di violenza, con un crescendo spaventoso.

Attraverso le finestre della cupola passavano raffiche furiose, le quali facevano perfino vibrare i grossi vetri della lanterna, mentre sotto i cavalloni muggivano sempre sinistramente e si slanciavano, con impeto irrefrenabile, all’assalto dell’edificio.

Tremavano le pareti, oscillavano le scale, si spezzavano i vetri delle finestre, lasciando libero il varco agli ululati del vento.

Pareva che da un momento all’altro tutto dovesse sfasciarsi sotto gl’incessanti assalti degli elementi scatenati.

Jole si era rannicchiata in un angolo, appoggiata alla balaustrata, aspettando con angoscia il colpo fatale che doveva tutto diroccare, ma quel colpo pareva che fosse ancora lontano.

Passarono due ore, lunghe come due settimane per la disgraziata ragazza, la quale si riteneva irreparabilmente perduta.

Roch pareva invece che avesse scordato il tremendo pericolo che li minacciava. Avevo interrotto i suoi giri e appoggiato ad una delle finestre canticchiava fra i denti una vecchia canzone marinaresca.

Era impazzito? Jole lo temeva. Già le avevano detto più volte che suo padre non aveva mai avuto il cervello a posto.

Ad un tratto una tremenda raffica si rovesciò sulla lanterna torcendo le sbarre di ferro e portando via la cupoletta di metallo che proteggeva il meccanismo girante.

Jole aveva mandato un urlo di terrore.

— Padre! Padre! Fuggiamo!

Roch si era voltato, chiedendo con una calma spaventosa:

— Che cosa è successo?

— Non vedi che la cupola non vi è più?

— Tanta zavorra di meno — rispose il vecchio.

— Che cosa dici, padre?

— Che ora la nave si alzerà di più perché pesa ormai meno.

— Tu vaneggi!

Roch invece di rispondere si mise a urlare:

— All’orza il timone! Su in coperta la guardia franca! Ammainate i velacci e le rande! Presto, imbecilli! Non voglio mica andare a fondo io!

— Padre, che cosa dici?

Il quartiermastro non udiva più la voce della figlia e continuava ad impartire ordini come se si trovasse a bordo d’un veliero.

La paura doveva avergli sconvolto interamente il cervello.

Jole si era alzata, poi l’aveva afferrato per le braccia, gridando:

— Non conosci più la tua Jole? Fuggiamo, padre, prima che le raffiche spazzino il terrazzino e sfondino le balaustrate.

Roch la respinse brutalmente, dicendo con voce minacciosa:

— Che cosa vuoi tu, Philip? Non è il tuo posto questo! Presto, va’ a ritirare il gran flocco o ti striglio per bene. Non amo simili familiarità!

E siccome Jole insisteva a non volerlo lasciare e cercava di trascinarlo verso la scala, il pazzo si svincolò dalla stretta, urlando come un indemoniato:

— Va’ via o ti uccido, Philip!

La ragazza, atterrita dalla collera terribile che si leggeva sul viso del padre, fuggì a precipizio giù per la scala, piangendo e raggiunse il salottino da pranzo.

L’uragano non accennava a cessare, anzi pareva che aumentasse sempre di violenza. Dei cupi fragori salivano dal basso e le pareti del faro continuavano a oscillare. Delle larghe fenditure si erano già manifestate nelle pareti, fenditure che ora si aprivano maggiormente e ora si chiudevano a seconda delle oscillazioni.

Roch era rimasto sul terrazzino, diventato per lui una specie di ponte di comando e faceva intrepidamente fronte alle raffiche.

Di quando in quando Jole lo udiva dare ordini sopra ordini e poi prorompere in imprecazioni e minacce.

D’improvviso udì un urlo:

— Un uomo in mare!

Quel grido l’aveva lanciato il pazzo.

Come mai poteva essere caduto in mare un uomo se non vi era nessun altro sul faro? Jole, udendolo, era uscita dal salottino, salendo rapidamente la scaletta.

Quando giunse sul terrazzino scoperchiato e dove, malgrado l’impeto furioso delle raffiche, la lanterna ardeva sempre segnalando alle navi che venivano dall’Atlantico la pericolosa isola, uno spettacolo orribile le si offerse alla vista.

Il vecchio Roch aveva scavalcata la balaustrata e, aggrappato ad un ferro, urlava a squarciagola, sospeso nel vuoto:

— Un uomo in mare! Un uomo in mare! Vili! Avete paura, ma Roch lo salverà!

Jole si era slanciata verso il disgraziato, chiamandolo:

— Padre! Padre! Che cosa fai?

Il pazzo non l’ascoltava più. Cogli occhi dilatati, i capelli irti, i lineamenti alterati, continuava a guardare l’abisso che gli stava aperto sotto i piedi.

— Vili! Vili! — ripeteva. — Ecco Roch che viene a salvarti!

Il corpo si abbandonò ed il povero quartiermastro scomparve, roteando su se stesso.

La ragazza, in preda ad un folle terrore, si era slanciata per trattenerlo. Era troppo tardi; d’altronde come avrebbe potuto salvarlo?

Udì o forse le parve di udire un tonfo e poi un grido, poi più nulla.

Sotto il faro l’oceano muggiva sempre sinistramente ed in alto rombavano i tuoni e ululavano le raffiche.

Jole era caduta al suolo svenuta.

Quando, dopo molte ore forse, tornò in sé, la situazione non era ancora cambiata.

L’uragano infuriava sempre ed il faro vibrava incessantemente, sgretolandosi a poco a poco. Le pareti cedevano, le scale si sfasciavano e l’intera massa, minata alla base, affondava fra le sabbie.

L’ultima ora era suonata anche per la sventurata figlia del quartiermastro?

Jole, mezza pazza, si era nuovamente precipitata attraverso le scale, risoluta di tentare la salvezza a qualunque costo.

Una suprema energia la sosteneva.

— Non voglio morire, — aveva detto, — almeno per dare sepoltura al corpo di mio padre.

Al di sopra del magazzino vi era un altro terrazzino che le onde dell’Atlantico lambivano. Jole prese la tavola del salotto, la fece passare attraverso la porta la quale era fortunatamente abbastanza larga, attese che un cavallone spazzasse il terrazzino e s’affidò coraggiosamente ai flutti irati dell’oceano, tenendosi ben stretta a quella specie di salvagente.

Sprofondò, poi tornò a galla, sempre aggrappata disperatamente alla tavola, mentre sopra alla sua testa brillavano i lampi, rombavano i tuoni e ululavano le raffiche.

Dove andava? Dove veniva trasportata? Non si occupava nemmeno di saperlo.

Già cominciava ad albeggiare verso oriente e le forze stavano per mancarle, quando una massa enorme le passò accanto, vomitando enormi getti di fumo.

Quasi nel medesimo tempo si udì una voce gridare:

— Macchina indietro! Una scialuppa in mare! Avanti gli audaci!

Quel grido era partito da un grosso transatlantico il quale cercava di rifugiarsi nelle profonde insenature della Nuova Scozia, girando al largo dell’isolotto delle Sabbie, alla cui estremità meridionale luccicava ancora il faro.

Venti coraggiosi si erano presentati per calare la grossa baleniera.

Allo sguardo vigile del comandante non era sfuggita quella tavola, abbandonata ai capricci delle onde e montata da un essere umano.

Difficilissima fu la manovra; tuttavia dopo venti minuti la povera Jole, più morta che viva, veniva tratta in salvo e portata a bordo.

Fortunatamente l’uragano aveva cominciato a calmarsi e le onde non infuriavano più coll’impeto primiero.

Appena Jole poté parlare, la sua prima domanda fu questa:

— Il faro esiste sempre?

— Quale, signorina? — aveva chiesto il capitano, che l’assisteva insieme al medico di bordo.

— Quello dell’isolotto delle Sabbie.

— Siamo passati or ora accanto al posto dove doveva sorgere e non abbiamo veduto più nulla. L’oceano deve averlo inghiottito insieme ad un gran tratto di costa.

Infatti la piccola torre era crollata un momento prima che il piroscafo le passasse dinanzi; poiché il fanale si era bruscamente spento.



Quindici giorni dopo, il Governo degli Stati Uniti, preoccupato dal pericolo che potevano correre le navi, ne innalzava un secondo in un altro luogo e più dentro la terra, ma, sei mesi più tardi, durante una notte di tempesta, anche quello scompariva insieme ai due fanalisti che l’occupavano.

Ora ne è stato costruito un terzo e anche questo oscilla così spaventosamente che nessuno vuole più occuparlo. Scomparirà anch’esso? È probabile, poiché l’isolotto delle Sabbie tende a scomparire rapidamente sotto gl’incessanti assalti dell’Atlantico.