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III V
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IV.

Ecco un altro cambiamento di scena e questa volta mi par proprio d’essere nel palazzo incantato dei miei sogni.

Che stupore al vedermi in casa della zia, in mezzo a una fila di sale grandi, immense, adorne di specchi e oggetti d’arte! Che felicità al sentirmi sotto i piedi dei morbidi tappeti e d’esser circondata da tante belle cose!

C’è troppa roba e forse troppo accatastata in questa casa della zia, ma intanto mi diverto a girare di qua e di là per ammirare i ninnoli che sono sparsi sui tavolini e sulle [p. 39 modifica] mensole, tocco le belle stoffe morbide di seta e mi fermo in ammirazione in una sala medioevale.

— Questa voglio cambiarla, — dice la zia, — è troppo triste, voglio qualche cosa di più gaio.

Eppure erano tanto belli quei mobili dai contorni severi, quei seggioloni di cuoio e coll’ampio camino che pareva invitare tutta la famiglia a raccogliervisi intorno!

Ma è nel carattere della zia Paolina di cambiar tutto e continuamente, me n’accorsi poi. In casa c’era sempre una rivoluzione, sparivano dei mobili, ne comparivano dei nuovi, e quasi tutti i giorni la zia alla direzione d’una schiera di operai facea cambiar disposizione ai mobili delle stanze.

In questa cosa m’accorgo che non andiamo punto d’accordo, io e la zia, lei vuol cambiar sempre ed io invece m’affeziono [p. 40 modifica] ai luoghi e alle cose che mi circondano, tanto che la mia camera azzurra, la bella cameretta che mi destinò la zia, rimase sempre la stessa per tutto il tempo che vi dimorai.

Il mio letto col baldacchino bianco lungo la parete, il tavolino da lavoro con una poltroncina accanto alla finestra, uno stipetto in faccia al letto e poi delle mensoline con dei ninnoli lungo le pareti, un mucchio di fotografie delle mie compagne di collegio e quella della mamma e del babbo in una medesima cornice nera, sul comodino presso al letto; ecco l’ordine e l’arredo della mia cameretta.

È bello la mattina quando s’apre gli occhi rivedere tutte al loro posto le proprie cose che sono come dei vecchi amici. Io l’amavo, la mia stanzetta azzurra, e avrei desiderato rimanervi gran parte della giornata, ma la zia mi chiamava sempre vicino a lei [p. 41 modifica] e diceva ch’ero un piccolo orso che bisognava addomesticare.

I primi giorni fui mostrata a tutti come una bestia rara; Dio mio! quanta gente veniva in quella casa! Una vera lanterna magica, ed io dovevo presentarmi a tutte quelle signore che mi guardavano da capo a piedi, mi analizzavano; discutevano sul colore dei miei capelli e della mia carnagione, e poi non mancavano mai di dire alla zia:

— Avete proprio fatto una bella azione, è una fanciulla fortunata.

E la zia gongolava di questa nuova aureola di bontà di cui si andava adornando. Essa era sempre stata d’un carattere piuttosto originale, il babbo la chiamava la pazzerella di casa; da bimba era stata guastata dai genitori, più tardi dal marito che non le sapeva negar nulla.

Infatti essa avea un fare grazioso di [p. 42 modifica] chiedere e certe moine, che sarebbe stato difficile negarle qualche cosa.

Però il suo carattere era molto volubile, andava a scatti, aveva dei subiti entusiasmi per delle cose e delle persone che sparivano colla stessa facilità con cui erano sorte, era buona, ma non sapea esserlo interamente e costantemente, e ciò le guastava la reputazione, il suo pensiero costante era di fuggire la noia per cui era sempre in moto come un uccello irrequieto.

Dev’essere stato un momento di noia quello che la fece pensare a me, in ogni modo io non poteva lagnarmi della vita che facevo, soltanto mi annoiava la continua esposizione che facea della mia persona.

Quando penso a quel tempo mi pare d’aver vissuto come in uno stato febbrile, era la febbre dei divertimenti, dei viaggi, della società. [p. 43 modifica]

Prima di tutto fu una grande occupazione per vestirmi con eleganza, e ad ogni vesta nuova che indossavo o ad ogni nuovo cappellino la zia batteva le mani dalla contentezza come una bimba che vede la sua bambola ben vestita, ed esclamava:

— Come sei bella! sembri proprio un’altra persona, peccato che tu abbia quegli occhi serii, cupi come se avessi sessant’anni.

Essa non poteva perdonarmi i miei occhi bigi, profondi, gli occhi del babbo di cui andavo tanto superba. Ma nel mio sguardo freddo, tagliente come una lama, per ripetere le parole della zia, si rifletteva la fierezza del mio carattere, la forza della mia volontà.

Pure, malgrado i miei occhi che non le andavano a genio, essa mi amava, a suo modo, non era l’affetto della mia mamma e nemmeno quello della mia amica [p. 44 modifica] Margherita, ma era abbastanza; su questo rapporto non ero stata molto guastata. Mi teneva come una compagna di quelle dei giorni lieti che si amano finché servono a far passare il tempo; e intanto si correva per la città, sempre in moto, sempre irrequiete, si andava nelle botteghe e si faceva mandare a casa una quantità di cose, e la zia comperava sempre con quella sua mania di cose nuove. Io non so davvero dove trovasse tanti quattrini per far tutte quelle spese; dovea averne un pozzo, non avrei mai creduto che fosse così ricca.

Poi c’erano le visite, le feste, i teatri. Dio mio! che fantasmagoria! non so come la zia potesse reggere a quella vita che mi stancava.

E in mezzo a tutto quel tramestio mi ricordo la faccia tranquilla e serena dello zio sempre calmo e sorridente, innamorato della [p. 45 modifica] moglie come nel primo giorno del matrimonio, sempre intento a farla divertire, occupato a guadagnar quattrini perchè essa potesse spenderli.

Ed egli era felice di tutto quel movimento, di tutta quella baraonda, di tutta quella gente che vedeva intorno a sè senza prendervi una parte attiva, facendo quasi da spettatore.

Quando penso a quel tempo mi rivedo al mio primo ballo tutta vestita di velo bianco con dei fiori azzurri nei capelli. Vi andai col cuor trepidante, ma non credo d’aver fatto molta impressione; ero semplice, timida, specialmente coi miei ballerini dai quali mi facevo condurre, appena finito un ballo, in un angolo nascosto da gruppi di piante verdi, e là mi mettevo a chiacchierare colla mia amica Margherita, che non mancava mai di precedermi o di raggiungermi. [p. 46 modifica]

Ah sì! appena uscita dal collegio andai a cercare i miei occhi neri lucenti ed eravamo divenute amiche inseparabili; essa che era uscita un anno prima di me mi serviva di guida, mi narrava tutte le chiacchiere della città o mi diceva il nome di tutte le signore che passavano innanzi a noi.

Il maggiore divertimento che provavo in società era di trovarmi colla mia amica. Appena entrate in sala, ci si cercava reciprocamente, e mi pareva un deserto se non vedevo i begli occhi lucenti risplendere in qualche angolo nascosto.

Margherita non aveva che il babbo, e la zia faceva da mamma a tutte e due. Quel primo anno zia Paolina ebbe l’ammirazione di tutta la società. Vestiva seriamente da mamma, non ballava che le contraddanze e s’occupava di noi con tutto l’affetto, facendo egregiamente la sua parte. [p. 47 modifica]

Bisognava sentire quello che di lei si diceva intorno a noi. Quante volte dal nostro angolo nascosto abbiamo udito ripetere queste parole:

— Che vi pare della signora Paolina?

— Mah, non si sarebbe creduto che fosse così seria!

— Temo che non durerà, ha cambiato tante volte!

— Forse non cambierà più.

— Perché?

— Perché gli anni sono passati anche per lei ed ora sentirà il bisogno di far da mamma e d’aver qualche cosa di giovane intorno a sé.

— Infine non è cattiva e questa volta ha fatto proprio una buona azione.

La zia pareva elle indovinasse i discorsi che si facevano sul suo conto, e tutta contenta e trionfante della nuova parte che [p. 48 modifica] sosteneva in società, mi colmava di ogni maniera di cortesie, ostentando un affetto che forse non sentiva.

Diceva a tutti che ero la sua cara nipotina, il suo pensiero, il suo affetto, la sola memoria che le rimaneva del suo povero fratello, un eroe d’altri tempi; — ed io intanto ne godevo i vantaggi, mi abituavo ad una vita di lusso e dispendiosa, e il mio gusto innato per le cose belle si raffinava sempre di più, andavo perdendo della mia selvatichezza e in mezzo a quella vita animata e libera la mia salute rifioriva, mi facevo più forte e più bella, le mie idee prendevano una forma più concreta; non vedevo soltanto cogli occhi, ma anche il cervello lavorava e la fanciulla timida e ingenua s’andava trasformando in un essere più completo, più gentile e più elegante.