Filosofia

Canto III
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XX.

                    Ei non s’arrètra;....
Ei non parla,.... ei non cade! Ei l’occhio ha fisso,...
Preme l’ambascia che l’uccide, .... mira!....
D’ogni duolo maggior l’uom così pende
Su mesto oggetto, l’error suo conosce,
Eppur più guata, e confessar non osa
Che guata invan. Qual era in vita bella,
Bella ancora è costei; gentilemente
Par che morte la strugga, e quei che vedi
Ne la gelida man gelidi fiori,
In quell’ultimo tremito costrinse
Teneramente sì, come se estinta
Non cadesse, ma in dolce amico sonno,
Con amorosa lagrima su l’occhio,
Abbandonata. Intorno al niveo ciglio
Lunga, e bruna si stende la palpèbra,
E vela,.... ahimè! da quel che vela, fugge
Per lo orrore il pensier; morte sua possa
Feroce più su la pupilla adopra,
E la bell’alma giù ne tragge, quasi

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Da sua fulgida sede. Le cilestri
Orbite ha immerse in sempiterna ecclissi,
Ma su le labbra ogn’altro vezzo serba,
Sì che par che raffrenino un sorriso,
E chiuse bramin di restarse in pace,
Brev’ora almeno. Ma quel bianco drappo,
Ma quelle treccie folte, e vaghe, e sparse
Senza vita sul petto;.... ahi quelle treccie,
In che l’estivo Zeffiro godea
Scherzar leggiadro, e sprigionarle un tempo
Dal roseo serto che stringeale indarno,
E la pallida guancia.... or son Medora! ....
Medora?.... È nulla.... Ed ei, perchè quì stà?...