Filosofia

Canto II
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XI.

Del più eccelso torrion ne l’erma stanza,
Sta il Corsaro fra ceppi; arsa è la reggia
De l’altero Pascià; la rocca istessa
Le sue genti ora accoglie e il prigioniero.
Nè Corrado si duol di sì rio fato;
Lui vincitor, men barbaro, Seidde
Aspettar noi potrìa. Solingo siede,
Ed in tanto silenzio entro il suo core
Scende, e qual è colpevole sel’ mira;
Pur ne afforza il vigor. Ahi! ch’un pensiero
Gli è tormento insoffribile » Medora!
» Di te che mai sarà, quando l’orrenda
» Novella udrai!....» e allora, allor le mani
Risonanti ei solleva, e furibondo
Scuote i suoi ferri, e gli contempla immoto.
Ma poi com’uom che si conforta, e spera,
Innalza il ciglio, e al proprio duol sorrìde,
» E vegna, esclama, quando vuol pur vegna,
» La tortura crudel!.... cerchisi intanto

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» Pace che n’avvalori al fatal giorno!»
In così dir sovra la dura stuoja
Languido si trascina, e sia qual vuolsi
Negra la sua vision, corcasi, e dorme.
Risolvere, ed oprar, sempre un momento
Fu per Corrado; e strage tanto avara
È degli istanti, onde incompiuto alcuno
Suo delitto non resti, ch’era notte
A mezzo appena, quando l’aspra zuffa
Incominciava, e scarsa un’ora ha visto
Sovra l’onde proscritto, e su la terra
Duce Corrado; ora Dervis mentito,
Or svelato Guerrier, conquistatore
Distruggere, salvar, oppresso, vinto,
In catene, dannato,.... al sonno in braccio.