Il buon cuore - Anno XI, n. 23 - 8 giugno 1912/Religione

Religione

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Beneficenza Educazione ed Istruzione

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Vangelo della domenica seconda dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

Essendo Gesù a mensa nella casa di Levi, ecco che, venutivi molti pubblicani e peccatori, si misero a tavola con Lui e co’ suoi discepoli. E i Farisei, vedendo ciò, dicevano ai discepoli di Lui: perché mai il vostro Maestro mangia coi pubblicani e coi peccatori? Ma Gesù ciò udendo, disse loro: Non è ai sani che il medico faccia di bisogno, ma agli ammalati! Ma andate imparate ciò che vuol dire: Io amo meglio la misericordia che il sacrificio: imperocchè io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Allora si accostarono a Lui i discepoli di Giovanni, dicendo: Per qual motivo noi e i Farisei digiuniamo frequentemente, i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse i compagni dello sposo essere in lutto, fintantoché lo sposo è con essi? Ma verranno i giorni che sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno.

S. GIOVANNI, Cap. 9.


Pensieri.

Abbiamo in questo passo evangelico manifesta la missione di Gesù ed insieme la risposta alle possibili obiezioni del mondo alla nostra azione religiosa.

[p. 182 modifica]Gesù dice apertamente d’essere venuto come Medico pietoso per gli ammalati. Non crede indegno di sè occuparsi dei miseri, dei poveri, degli ignoranti, dei peccatori. Anzi è per questi principalmente che — venendo in mezzo agli uomini — ha preso in una umiliazione e sacrificio infinito carne umana, si è fatto uomo. Non crede di proiettare ombra alcuna sulla divina sua dignità occuparsi degli uomini, della loro ristorazione e della loro elevazione morale e materiale.

Ad un patto. Viene per coloro che sono — si sentono — ammalati. Se in mezzo agli uomini v’ha qualcuno che si crede, si sente sano, egli può far a meno dove c’è superbia, di Cristo: Cristo non è per orgoglio, egoismo, prepotenza — ciò che impedisce la visione vera del nostro essere — non può riuscire utile, proficua l’opera di Gesù: Cristo — protesta lui medesimo — riuscirebbe vano nell’opera sua: Dio resiste ai suberbi....! Dio resiste a coloro, che non amano e non compatiscono ai fratelli che cadono, che soffrono, che languono in un mare di miserie e dolori immensi.... Dio resiste, si fa lontano da coloro che nella propria sufficenza — sufficenza d’intelletto, d’animo, di ricchezza, di scienza, ecc. — non guardano ai mille e mille che restano addietro e rimangono vittime nel cammino della vita: che sazi e soddisfatti d’un più largo dono di Dio a se stessi in una giustizia umana — che suona turpitudine ed egoismo a noi, e maledizione innanzi a Dio — si stanno noncuranti e sprezzano i vinti dal dolore, dalla povertà, dal peccato: che solleciti e premurosi verso chi di nulla abbisogna e sono confortati dal soccorso umano, sono così schivi e guardinghi e pungenti verso i diseredati, i vecchi, i sofferenti, verso coloro che nulla ponno offrire d’umano e solo chiedono e vantano la fratellanza in Cristo!... Dio resiste ai sua perbi e maledice tale carità.

V’ha alcuno che possa dire di sentirsi sano? verso del quale può rimanere inutile l’opera di Cristo? Vero il fatto d’un enorme progresso: l’umanità, spinta innanzi da una ignota potentissima forza, s’avvicina a gran passi alla meta che innanzi a lei pose Iddio, ma se l’umanità progredisce come il mondo, gli uomini restano per sempre quelli che erano. Plaudiamo al progresso universale: il fatto umano ci costringe al lamento più duro circa — non il progresso — ma il regresso nel campo morale. Più ancora: riguardo al grande problema morale, all’unico problema degno dell’umanità migliore, noi allarghiamo la fase del Brunetière: la scienza ha fatto bancarotta!

Quelle conclusioni, quelle soluzioni che chiedevamo ieri al progresso, alla scienza, quella vita piena cercata ogni dove — tranne nel cielo — ci è sfuggita: noi rimaniamo — nell’agitarsi del gran cosmos universale — degli atomi sperduti preda delle circostanze, dell’ambiente: Siamo i vinti, non i vincitori, la subiamo la vita, non la possediamo. Siamo gli ammalati a cui occorre il Medico consolatore e pietoso: Siamo i bisognosi di Cristo.

Ci si può opporre — come dai discepoli di Giovanni Battista — perchè l’anime religiose — in tanto bisogno ed urgenza di soccorso ai fratelli — pure si mantengono tranquille al grande concetto della vita.

Rispondiamo: Cristo — lo sposo — è con noi: digiuneremo quando si sarà allontanato da noi: poichè è con noi di nulla ci preoccupiamo, nè più altro ci resta a desiderare.

Tale è il contrassegno dell’anime religiose e sinceramente pie. Una calma sovrana, una gioia che trascende le febbri umane, una tranquillità indisturbata regna in loro. Essi possiedono tutto, possedendo Gesù.

Mai si nota in loro l’agitarsi ed il fremere violento delle passioni: innanzi al dolore soffrono d’una sofferenza che molce e risana: innanzi alla miseria la loro dovizia perde quella provocazione che irrita nella stessa beneficenza: innanzi al peccatore s’ergono in loro virtù senza sprezzo, senza urto, senza quella superiorità che agghiaccia e stritola.

Innanzi a chi dolora, erra, pecca sono la pietà, sono la verità dolce che alletta, sono la virtù buona, umile che avvince ed innalza. Tale il Cristo, Medico pietoso.

B. R.