Il buon cuore - Anno X, n. 13 - 25 marzo 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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FIUMANA D’ORO IN TERRA ARGENTINA


Come si spende e si spande oltre Oceano



La prima constatazione che voi fate, scendendo a Buenos Ayres, non è allegra.... per le vostre borse.

Avevate portato con voi, supponiamo, dieci mila lire, andate a un banco per convertirle in moneta del luogo e che cosa ricevete in cambio? Quattromila novecento cinquanta pesos. Il vostro capitale è bello e dimezzato.

Se però vi fosse rimasta l’illusione che con un pesos voi potevate procurarvi il doppio di ciò che vi potevate procurare colla liretta italiana, questa onesta illusione è votata a immatura e illacrimata fine. La carrozza che vi porta al prossimo restaurant, voi la pagherete un pesos per una corsa; al restaurant voi pagherete in pesos le consumazioni che in Italia pagavate colle suddette modeste e benemerite lirette, e via di questo passo.

Come in Italia si spendono lire, in Argentina si spendono pesos, ossia le vostre 10.000 lire non vi permetteranno in Argentina di procurarvi che la metà precisamente di ciò che vi sareste procurati in Italia.

Però passato il primo momento di sorpresa, queste miserie contabili voi le, dimenticate con molta spontaneità, e ben presto voi vi sarete argentizzati al punto da ficcare in tutte le vostre tasche quei biglietti rossi, verdi, gialli, che sono da un pesos, da cinque, da dieci, da cinquanta e da cento, colla stessa disinvoltura colla quale trattereste i biglietti del tram.

Il fare uso del portafoglio, è proprio dei forestieri: l’argentino vero terrà, sparso nelle diverse tasche, un piccolo patrimonio: le persone per bene quei biglietti li terranno per lo meno ripiegati per bene: il popolo invece, li accartoccia, li sgualcisce, proprio senza nessun riguardo per questo dio moderno, che in Argentina ha perduto da un pezzo ogni prestigio ed ogni dignità.

È vero che dinnanzi alla Caja Nacional de Conversion, dove sta in ben custodite arche, la riserva aurea che l’Argentina va ogni giorno accumulando (oggi ascende a 230.000.000), due sentinelle montano costantemente la guardia, come se quella fosse la casa di un sovrano, sovrano che non ama gli importuni perchè, se appena vi fermate davanti al cancello che la chiude, subito le suddette sentinelle vi invitano più o meno cortesemente, ad andare pei fatti vostri. Questo è vero; ma però questo è proprio il solo ed unico atto di omaggio che in Argentina si tributi a Sa Majesté l’Argent.

In tutte le altre circostanze della vita di quel paese, povero argent, come ti strapazzano!

Ci saranno in Europa certamente città dove l’oro correrà più abbondantemente che in Buenos Ayres; ma credo che in nessuna città del mondo si apprezzi meno il valore de.... l’argent come nella capitale dell’Argentina. Ironia dei nomi e delle cose!

Se l’Argentina avesse la virtù del risparmio, sarebbe indubbiamente uno dei paesi dove la media delle fortune private raggiungerebbe le quote più elevate.

Ma, sì, andate a parlare di risparmio in una città dove le occasioni, anzi le provocazioni a spendere sono continue, vi incalzano da ogni parte, e non vi danno tregua mai.

Voi andate nel tram, ed ecco uno degli infiniti piccoli rivenditori di giornali, che fanno la funzione dei nostri chioschi, lesti come scoiattoli, che si insinuano tra voi e il vostro vicino e vi mettono nelle mani l’ultima puntata del Caras y Caretes, o del P. B. I.

Non c’è verso: bisogna prenderla. Sono quaranta centavos, ossia circa una lira che si è sfumata. La corsa in tram è lunga, avete quindi tempo di sfogliare le due riviste, e quando avete finito ecco un altro monello che vi offre l’Hogar o il Monos y Monodas. La copertina è attraente e poi, chissà, pensate, che in una delle tante incisioni di fotografie di attualità ci sia il vostro ritratto — tutti in Argentina possono avere il loro attimo di celebrità, costituito dalla riproduzione delle proprie fattezze sorprese in una istantanea qualsiasi — e voi comperate anche Hogar e Monos y Monodas. Sono altri quaranta centavos che se ne sono andati in compagnia ai primi e in compagnia ai dieci centavos della Nacion, ai cinque della Prensa, che voi comperate ogni mattina come nel pomeriggio comperate l’Argentina, la Razon, El Diario, la Gaceta, e alla sera l’Ultima Hora e qualche quinta o sesta o settima edizione di uno qualsiasi dei suddetti giornali.

Ma io mi fermo a parlare della spesa dei giornali, quando a questa nessuno ci bada! Tanto poco ci si bada che voi non vedrete nessuno nel tram, per povero che sia, che non abbia il suo giornale spiegato davanti al naso.

Questa è una delle caratteristiche di Buenos Ayres: l’enorme quantità di gente, anche nelle classi più modeste, che legge il giornale. Questo spiega la quantità grande di giornali grandi e piccoli che vivono nella capitale dell’Argentina, tutti, anche i meno diffusi, vivendo o vivacchiando perchè dove non basta l’abbonato o il lettore, giunge a turare le falle del bilancio la réclame.

La réclame in Argentina è qualche cosa di iperbolico. E questa è un’altra delle tante vie per cui il denaro qui si volatilizza.

È vero che la réclame è l’anima del commercio e quindi il denaro che in essa si spende è il meglio speso. [p. 99 modifica]La réclame non solo invade tutti i giornali e li fa vivere, ma permette l’esistenza di giornali come la Prensa e la Nacion che hanno 36 0 48 facciate delle quali 24 almeno sono riservate alla réclame. Da qualche tempo quei due magni giornali si pubblicano in due sezioni distinte: quella riservata esclusivamente alla réclame e quella molto più piccola riservata alle notizie politiche ed alla cronaca.

E sapete quanto ricavano questi giornali dalla loro réclame che essi eserciscono per proprio conto, senza passare sotto le forche caudine di nessuna agenzia di pubblicità? Qualche cosa come quattro o cinque milioni di pesos all’anno — ossia una diecina di milioni all’anno. Il che spiega molto bene le spese colossali che questi giornali incontrano non solo nella loro compilazione, ma nella loro sede, nei premi che danno, nei numeri straordinari, ecc.

La Prensa ha la sua sede in un palazzo di sei piani, senza contare una torre altissima sormontata da un faro elettrico che si vede da tutti i punti della città: un palazzo sontuosissimo, sull’Avenida de Mayo, dove hanno sede tutti gli uffici con una larghezza di locali da far pensare più che a sale di redazione a uffici di ministeri, e dove oltre a saloni per conferenze, audizioni musicali, ecc. ci sono pure degli splendidi appartamenti che il giornale riserva ai suoi più cospicui visitatori.

Puccini fu ospite della Prensa quando fu a Buenos Ayres, e come lui altre celebrità, e credo che nessun albergo gli abbia offerto il comfort che trovò in quell’appartamento principesco.

La Nacion pel centenario fece una pubblicazione d’occasione, distribuita gratuitamente a tutti i suoi abbonati, che costituì in fatto di giornalismo un vero tour de force. Pubblicò cioè un volume di oltre mille pagine, di grande formato, dove la vita dell’Argentina era illustrata sotto tutti i suoi aspetti dalle penne di tutto il mondo, con profusione di incisioni, di carte, di piani, da degradarne qualunque pubblicazione ufficiale.

Per poco che quella pubblicazione sia costata alla Nacion non deve esserle costata meno di 250 mila pesos.

Miracoli della réclame che è una delle pompe che aspirano dalle tasche del pubblico maggior quantità di denaro.

Eppure come rende!

Un giorno è saltato in capo a un tizio che si chiamò per l’occasione Père Sauveur (l’etichetta francese giova sempre in Argentina!) di mettere in vendita un suo specifico destinato a guarir tutti i mali. Fece fare un cliché dove era rappresentato in abito talare nell’atto di cogliere nel suo giardino delle erbe: diede al suo specifico il nome cabalistico per chi non sa di latino, di Sufficit, e tutto quello che aveva, spese in réclame.

Oggi, dopo due anni, si è accumulato una fortuna. Il Sufficit di Père Sauveur è diventato indispensabile a tutti. Come è diventato indispensabile a tutti il nostro vermouth, sia di Cinzano, sia di Rossi, sia di Carpanetto, sia di chiunque si voglia e purchè venga da Torino, ormai è diventato un ingrediente indispensabile nella vita di ogni argentino. Non lo si chiama vermouth, lo si chiama puramente e semplicemente Torino, per distinguerlo da certi vermouth francesi che invano tentano di rubarci un monopolio conquistato a forza di réclame e anche di bontà.

Non c’è giornale che non rechi la réclame di questo nostro prodotto, come non c’è facciata di drogheria, di fonda, di almacen, tanto in città che nel campo che non sia coperta da un gran cartellone vistoso celebrante le qualità superlative del Cinzano o del Rossi.

Dicono che il cav. Ferro, rappresentante in Buenos Ayres del Cinzano, spenda ogni anno oltre mezzo milione di pesos in réclame.

Ma il denaro speso così rende. Ma quanto altro denaro si spende in Argentina che non rende, e costituisce una continua sottrazione di sangue al corpo non ancora robustissimo di questo paese!

Le corse dei cavalli — carreras — e le lotterie, sono pozzi senza fondo dove il denaro argentino sparisce a torrenti senza che il paese ne risenta la menoma utilità.

La malattia del giuoco delle corse ha assunto in questi ultimi tempi proporzioni così allarmanti, che la municipalità prima, il Congresso poi votarono ordinanze e leggi intese a limitare ai soli giorni festivi le corse di cavalli all’Ippodromo.

E parecchie banche e case di commercio giunsero a disporre che poteva essere senz’altro licenziato quel loro impiegato che fosse sorpreso alle corse.

Ma sì, va a frenare una passione che è ormai radicata tanto nel sangue argentino, da diventare una vera e propria istituzione nazionale!

Non solo ci vanno tutti, dico tutti i privati, ma all’Ippodromo ci vanno tutte le persone aventi un qualsiasi carattere pubblico, a cominciare dal Presidente della Repubblica all’ultimo impiegato di ministero, non solo per proprio conto, ma altresì per accompagnarvi qualunque ospite più o meno illustre che capiti in Argentina.

Il Jokey Club che ha l’appalto delle corse, e che sulle somme giuocate percepisce un tanto per cento, incassa ogni anno cifre favolose che gli permettono non solo di avere una sede principesca, ma di distribuire ai propri soci, in ragione delle azioni da loro possedute qualche cosa come il 2000 0 3000 per cento.

Le corse sono anche per un altro verso uno dei capitoli più onerosi nel bilancio di ogni argentino: ciò che non spendono gli uomini in scommesse, lo spendono le relative metà in toilettes.

Una signora argentina che si rispetti, non porta due volte lo stesso abito nel pésage dell’Ippodromo. E siccome le corse durano tutto l’anno, e per quattro, cinque giorni la settimana, il conto è presto fatto di ciò che spendono le belle — e anche le brutte e forse più queste che quelle — signore argentine per figurare degnamente in quel quadro incantatore.

C’è poi un altro motivo per spendere in toilettes. La cronaca dei giornali argentini scende a minutaglie che noi ignoriamo. Un giornale ben fatto non deve solo dare il nome di tutte le signore intervenute a una corsa, a una serata al teatro, a un concerto, a un matrimonio, alla partenza di un piroscafo — le partenze della [p. 100 modifica]Principessa Mafalda costituiscono sempre un avvenimento nel mondo elegante — ma debbono anche dire quale abito, quale cappello, quale pelliccia, quali fiori, veri o finti, portavano le singole signore e signorine.

E siccome questa rubrica è indubbiamente la più letta, voi capite che una signora che ha delle signorine da marito, non può senza rovinare la reputazione finanziaria delle sue tenere palombelle, esporsi al rischio che il giornale due volte di seguito dica che esse avevano lo stesso abito. Le care amiche non mancherebbero di farlo notare ai possibili pretendenti....

E siccome, per quanto siamo in Argentina, non si è ancora giunti a ottenere la concessione di tenere in casa una zecca, e i proventi ordinari non sempre bastano a far fronte a tutte queste spese, bisogna bene.... tentare la fortuna.

Ed ecco una lotteria, o per meglio dire, le lotterie, che vi spillano il resto dei vostri denari, col pretesto plausibile di farvi guadagnare il famoso milione del Natale, ossia 2,222,000 lire di moneta nostra, nonchè altri premi minori.

(Continua).


Giuseppe Serralunga-Langhi.


LA BALIA DELL’IMPERATORE

Sissignori. Anche la balia dell’«uom fatale» ha oggi la sua storia. Tutte o quasi tutte le figure che popolarono la solitaria casa d’Aiaccio han ricevuto l’una dopo l’altra gli onori della biografia, sin anco le domestiche della signora Letizia, sin anca la Caterina, testarda e brontolona, che insegnò al vincitore di Arcole a porre per la prima volta un piede innanzi all’altro, sin anco la dolce e pia Maria Saveria che gli insegnò a cavalcare sull’asino e che seguì poi la corsa Niobe sino all’estrema vecchiaia.

Ora ecco uno storico insigne, membro dell’Istituto di Francia, Arturo Chuquet, ha frugato gli archivi per illuminare quest’altra figura, la balia, che nutrì, dalla culla, Napoleone.

Si chiamava Camilla Ilari. Fuggito d’Egitto e desideroso d’aver notizie del continente, Napoleone entrava il 1.º ottobre 1799 nel porto d’Aiaccio. Le navicelle degli isolani, avvertite del suo arrivo, circondavano con manifestazione di gioia la sua fregata ed egli potè scorgere in mezzo alla folla una vecchia, vestita di nero che levava gli occhi verso di lui e gli gridava: «Caro figlio». Egli rispose: «Mamma». E la folla applaudì. Napoleone sbarcò: Camilla gli porse una bottiglia di latte, dicendo: «Figlio mio, vi ho dato il latte del mio cuore: ora non potrei offrirvi che quello della mia capra». E Napoleone le promise una pensione.

Il pennello di David ha immortalato in un quadro famoso i tratti di Camilla: ella si trovava a Parigi il giorno dell’incoronazione solenne dell’Imperatore. Vi era giunta attratta non soltanto dalla solennità, ma anche per esporre al sovrano i suoi lamenti pel ritardo del pagamento promessogli della sua pensione. Nella diligenza che la trasportò da Lione a Parigi, ella ebbe per compagno di viaggio un magistrato, Magloire Olivier, il quale più tardi enumerando in una supplica i suoi diritti per una decorazione, si vantava di aver parlato italiano con la balia del «grande imperatore» d’aver avuto per lei «tutte le cure, le gentilezze e le attenzioni particolari che si possono avere per la dama più interessante». A Parigi ella abitò in casa di un nipote di suo marito, al quale l’ospitalità concessa doveva fruttare, giorni dopo, il posto di esattore delle imposte a Beaucaire. Alle Tuileries Napoleone ricevette la balia con la più grande cordialità, l’abbracciò ed ella pianse di gioia. Il ciambellano che fu incaricato di provvedere ai suoi bisogni assicura che Camilla Ilari passò tre mesi di vita parigina, in uno stato di estasi. Napoleone la riceveva frequentemente, egli ascoltava giulivo certe storielle ch’ella gli raccontava nel suo dialetto còrso con una mimica vivace ed animata. La presentò egli stesso al Papa, a Giuseppina, a tutta la famiglia imperiale. Giuseppina le diede dei diamanti e Pio VII le concesse un’udienza, che durò un’ora e mezzo.

Tornata in Corsica, Camilla Ilari potè menar vanto dei regali ricevuti. Napoleone l’aveva colmata di quattrini: diecimila franchi in tre mesi, e le aveva assegnato una pensione annua di 4.600 franchi. E le aveva poi donato degl’immobili. Ella era divenuta, così, proprietaria di una casa situata ad Aiaccio, nel centro della città, di due vigne nel territorio di Vitulo, di due poderi infine nel territorio detto di Baciocchi, il più piccolo dei quali fruttava una rendita, la quale, secondo i calcoli dell’Imperatore, doveva bastare alle spese d’un viaggio a Parigi.

Ma Camilla non fu sola a goder dei favori dell’imperatore. Ella aveva un figlio, Ignazio, ed una figlia, Giovanna. L’uno e l’altra avevano giuocato con Napoleone. Ignazio Ilari non era più in Corsica quando Napoleone iniziò la sua ascenzione. Aveva preso parte per gl’inglesi che gli avevano affidato il comando d’una nave. E mai volle abbassarsi a sollecitar la minima grazia del suo antico compagno. Giovanna, la sorella di latte dello Imperatore dei francesi, si mostrò meno selvaggia. Già quando il vincitore futuro di Austerlitz, era venuto in autunno a passare in Corsica le sue vacanze di tenente d’artiglieria, aveva tenuto alla fonte battesimale la bambina di Giovanna. Questa figlioccia di Napoleone si chiamava Faustina. Ella aveva sposato nel 1808, il capitano dei cacciatori còrsi don Bernardo Poli di Solaro. Ed un giorno che Camilla Ilari ebbe delle noie, pei suoi due poderi, col fisco, Faustina si recò a Parigi per perorare la causa della nonna. A stento ebbe un’udienza dal padrino imperiale: ma una volta ammessa in sua presenza, seppe cavar da lui tutto quello che volle. Era vaga, piena di brio; ed alle Tuilieres, in piena Corte, davanti all’Imperatrice, Napoleone, prendendo Faustina per la mano, esclamava: «Ecco la mia figlioccia, signore: dite ora che le donne di Corsica non sono gentili!»

Faustina non andò via da Parigi senza portar con lei un gruzzolo di diecimila lire in oro, uscite dalla [p. 101 modifica]cassetta privata dell’Imperatore. Nemmeno suo marito fu dimenticato. Poli era capo provvisorio d’un battaglione di cacciatori còrsi a Lamone ed il ministro della Guerra, Clarke, l’aveva nominato capitano. Napoleone ordinò che gli si desse il comando di una piazza secondaria, quello di Bonifacio. Ma Camilla Ilari, divenuta ambiziosa pei propri nipoti e persuasa oramai che la balia dell’Imperatore potesse esigere qualunque cosa, espresse il desiderio che Poli avesse il comando d’Aiaccio. Il ministro le rispose, amabilmente, che il posto non era vacante, e che, secondo i regolamenti, non poteva essere assegnato ad altri che ad un colonnello. La balia tornò alla carica e Napoleone le spedì un decreto, col quale Bernardo Poli, confermato col grado di capo di battaglione, veniva destinato al comando della piazza di Gavi.

Vennero i «Cento giorni» ed egli tentò di sollevar la Corsica. Con un pugno di soldati comparve davanti a Corte ed ordinò al comandante militare ed al sindaco di Bastia di inalberare il vessillo tricolore. E fu obbedito. Venne Waterloo, ma Poli rifiutò di deporre le armi. Per alimentare la resistenza, egli presta novantamila lire a Murat che gli dà i suoi diamanti in pegno e con l’aiuto dei più fervidi devoti di Napoleone popola di bande armate i boschi montani. Invano il marchese di Rivière cerca di snidarlo dalle sue posizioni. Poli, che i realisti chiamano il «capo dei napoleonici», l’«agente incorreggibile di Bonaparte»; Poli che il generale realista proclama semplicemente «brigante» si decide, dopo due anni, a sottomettersi. Ma, prima di firmar la pace, egli aveva ottenuto un’amnistia per sè e per tutti i suoi compagni. Per altro la fierezza del nipote di Camilla Ilari aveva confortato nell’esilio il prigioniero di Sant’Elena. «Voi solo — gli scriveva in suo nome il generale Bertrand — voi solo avete dato qualche minuto di gioia all’Imperatore. Egli non si stanca di leggere nei giornali inglesi i bollettini della vostra guerra».

Poli visse poi a lungo a Sani, fabbricando potassa e lavorando il sughero della foresta vicina....

Domenico Russo.


ONORANZE A GIUSEPPE CANDIANI


Nel pomeriggio di domenica, con grande concorso di cospicue rappresentanze, nel ridente parco annesso alla Casa dei Veterani in Turate, ebbe luogo la cerimonia inaugurale del monumento in memoria ed omaggio del combattente delle 5 Giornate, il volontario delle guerre per l’Indipendenza, il fondatore di una grande e nuova industria nazionale, l’ideatore di una casa di riposo per coloro che alla Patria diedero il loro sangue.

Da Milano, con un treno speciale si recarono a Turate, centinaia di persone con numerosi vessilli.

Ed alle ore 15,30, resa solenne per l’augusta presenza di S. A. S. il conte di Torino, rappresentante S. M. il Re, e dal concorso di un pubblico vario ed elegante, la cerimonia ebbe principio.

Intorno al monumento erano schierati, agli ordini del veterano tenente cav. Galli, gli ospiti della Casa Umberto I. E insieme ai volontari dell’Indipendenza prestavano servizio d’onore — simpatico contrasto — i volontari studenti agli ordini del tenente Lanzi e dei sottotenenti Mazzucchelli e Fuoco. La banda dei «martinitt», gentilmente concessa e quella di Turate alterternavano la Marcia Reale e gli inni patriottici.

Al tavolo d’onore era S. A. R. il conte di Torino col comm. avv. Bassano Gabba, presidente del Comitato per le onoranze a Giuseppe Candiani ed il generale Alberto Gabba, presidente della Casa di Turate.

Scoperto il monumento — opera del Barcaglia — l’on. avv. Bassano Gabba, reso omaggio al Conte di Torino, lumeggiò con eloquente parola la figura di Giuseppe Candiani, enumerando le di lui principali benemerenze nei fasti dell’italico risorgimento, nel campo dell’industria italiana e in quello della beneficenza.

La famiglia del rimpianto defunto, interpretando il di lui sentimento, espresse la sua riconoscenza coll’elargizione di venticinquemila lire a favore della Casa di Turate.

ORGOGLIO NOBILIARE



Deh, deponete, o nobili, l’orgoglio:
Il nascer cavalier poco rileva,
Chè figli tutti siam d’Adamo ed Eva.


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Che importa che scendiam da questi, o quelli?
Quello che importa è l’esser galantuomo;
Io mi rido di certi scioccherelli
Che han sempre in bocca: io sono un gentiluomo:
Si credon tanti Cesari e Camilli,
Ed in zucca non hanno altro che grilli.

(Dal «Cicerone», c. IV).




VANITA’ DEI NOMI



I nomi non son quei che alle persone
Possano fare onore o disonore;
E sono degni di compassione
Quei che credono farsi un bell’onore
Cambiando il nome lor basso e plebeo
Con quel d’Epaminonda, o di Pompeo.


E ridicoli sono ancor que’ padri
Di bassa estrazione, allora quando
A’ figli loro credono che quadri
Il nome di Rinaldo oppur d’Orlando;
Per vanità di padri e delle madri
Chiamasi Augusto, Cesare o Fernando
Più d’uno, a cui si vede a prima vista
Che staria bene il nome di Batista.

(Dal «Cicerone», c. IV).