Il buon cuore - Anno V, n. 19 - 5 maggio 1906/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene

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L'ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE

e il Card. FERRARI.


Impossibile al nostro giornale torna l’esporre e il seguire tutti gli avvenimenti che accompagnano il grande avvenimento dell’Esposizione. Non vogliamo però tralasciare di ricordare un fatto, che destò in noi in tutta la cittadinanza un senso di gradita soddisfazione; intendiamo l’invito rivolto a Sua Eminenza l’Arcivescovo e il suo intervento all’inaugurazione dell’Esposizione ed alla posa della prima pietra della nuova Stazione Centrale, accompagnata quest’ultima colla solenne liturgica benedizione. Prima della benedizione, in seguito ai discorsi del Ministro Carmine e del sindaco Ponti, fece un discorso anche l’Arcivescovo. Come significato e come contenuto, il pubblicarlo è per noi a un tempo gioia ed onore.

          Maestà!

È sommamente degno di encomio che ad inaugurare gli inizii di questo edificio siasi chiamata la religione: quella religione, quella fede che il grande milanese del secolo XIX, specchiando veramente i sentimenti non pure de’ suoi concittadini, ma di tutta la cara patria italiana, chiamò bella, immortale, benefica sempre, come ai trionfi avvezza; quella religione che parla e prega e parlando insegna e pregando implora grazie e benedizioni dall’Alto.

La religione, per bocca del sacerdote e cogli accenti della sacra liturgia della Chiesa, parlerà in questo momento alla Augusta Vostra presenza, ricordando come da Dio ha principio, sia pure per mezzo degli uomini, ogni opera buona, e da Dio ha il suo progresso del pari che il suo compimento. La religione prega ed in quella pietra benedetta e cosparsa dall’acqua lustrale, che per le Auguste Vostre mani, o Sire, sarà collocata a fondamento di un grandioso edificio, deporrà il pegno dei celesti favori. E qui faccio plauso, reverente e sincero, all’una e all’altra festa di ieri di oggi; feste del lavoro, dell’industria e del commercio, e, dirò di più, della fratellanza universale; rendo omaggio alle Maestà Vostre e porgo il mio ossequio agli illustri signori, che Vi fanno corona, pieno di ammirazione e di gratitudine, particolarmente per la illuminata e generosa costanza di quelli che seppero preparare si lieti avvenimenti. Ma sopratutto un voto mi esce spontaneo e sincero dal cuore e dal labbro ed è che anche nel tempo avvenire, quanti per questo luogo giungeranno alla metropoli lombarda, nulla abbiano a portarvi, che non sia giusto e buono; quanti da qui ritorneranno alle loro regioni possano narrare non solo del benessere materiale e della tradizionale ospitalità di Milano, ma anche di quelle virtù cristiane e civili, indispensabili a conservare veramente grandi e degne di onore una città ed una nazione. Milano più volte oramai ha accolto rispettosa e plaudente le Vostre Maestà, ed in un breve giro di mesi intenerita Vi accolse reduci da viaggi pietosi: da questo luogo ancora e per lunga età Vi rivegga entrare nelle sue vie Milano, riverente e festosa.

Il principe degli Apostoli tracciò brevemente la vita onesta e virtuosa dicendo: Omnes honorate, fraternitatem diligite, Deum timete, Regem honorificate! Avvenga ognora che chiunque avrà conosciuta Milano abbia a dire: Lode a Milano per i suoi incessanti progressi nell’industria, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti; ma più ancora lode a Milano che sovratutto sa mantenere fedelmente il programma del vivere virtuoso ed onesto, che dà i frutti giocondi della tranquillità e della pace. “ Rispettate tutti, amate la fratellanza, temete il Signore, rendete onore al Re, „ riguardandolo come investito di quella potestà che viene dall’Alto.

Questo discorso, che ebbe la generale approvazione, ha dato occasione ad alcuni giornali di risollevare assai inopportunamente la questione della laicità dello Stato.

Il Secolo, e non è neanche il più spinto fra i giornali che trattarono la questione in tal senso, in un articolo di fondo del 2 corrente, col titolo Cardinale e ministro, scrive che l’Arcivescovo dicendo al Re che la sua podestà viene dall’alto, in altra forma ha ripetuto quanto diceva Gregorio VII: «Dio (e il suo vicario il Papa) è il sole, il re è la luna la cui luce deriva da quella dell’astro maggiore».

E prosegue con quest’altro commento: «Secondo il diritto pubblico d’Italia il re è l’eletto dai plebisciti, vale a dire dalla nazione che è la suprema autorità che assegna i poteri. Anzi è canone di democrazia che la nazione che conferisce i poteri li può anche ritogliere, e la forma di governo proclamata dai plebisciti può essere da altri plebisciti cambiata quando la volontà della maggioranza si pronunciasse per un mutamento».

Questa esposizione di principî sociali viene fatta come se fosse in contraddizione colla frase detta dall’Arcivescovo che la podestà del re viene dall’alto.

Ora, secondo la dottrina cattolica tradizionale, il vero è precisamente il contrario. La dottrina cattolica ammette che l’autorità sociale sia rappresentata da un re o da un presidente di repubblica, viene mediatamente da Dio, immediatamente dalla società.

Viene mediatamente da Dio, perchè Dio ha creato l’uomo e la società, e creando la società ha creato l’autorità sociale, condizione necessaria perchè la società viva e si conservi.

Viene immediatamente dalla società perchè è la società che designa la forma di governo e le persone investite del potere. L’Arcivescovo dicendo che l’autorità del Re viene dall’alto, non esclude che l’autorità del Re venga dalla nazione; anzi, suppone e afferma che viene dall’alto, appunto perchè viene dalla nazione: è per mezzo della nazione che Dio stabilisce la forma di governo e designa le persone che devono esserne investite.

Ben inteso che la nazione deve agire in modo conforme alla ragione, non per capriccio o colla violenza. Quando vi siano giusti motivi, e la morale cattolica enumera questi motivi, la nazione che ha scelta una forma di governo, che ha designata la persona investita del potere, può mutare forma e persona. Lo può, e più d’una volta lo ha fatto.

Il Governo italiano e il Municipio di Milano, invitando l’Arcivescovo alla inaugurazione dell’Esposizione, fatto cittadino, ed alla posa della prima pietra della nuova stazione centrale, fatto governativo, pur seguito dalla benedizione, non hanno punto abdicato al proprio carattere di autorità suprema nel proprio genere; [p. 150 modifica]hanno accettato anzi la conferma della propria autorità da parte dell’autorità religiosa.

Strano modo di ragionare! L’autorità religiosa accettando l’invito dell’autorità cittadina e dell’autorità governativa, e quindi riconoscendole, col riconoscerle ne ha disconosciuta e diminuita l’autorità!

Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. L’autorità sociale e l’autorità religiosa sono supreme e indipendenti nel loro genere: il rispetto e l’accordo reciproco giova ad entrambe: giova al cittadino e al credente, che essendo riunito in un sol uomo, nell’unione di rispetto reciproco delle due autorità, trova l’unione dei sentimenti in se stesso, unione che è pace, che è forza, che è felicità.

È per questo che il pubblico, nella immensa maggioranza, in quella proporzione insomma che può dirsi la vera e reale rappresentanza della nazione, ha applaudito nel vedere insieme unite in un fatto di importanza eccezionale i rappresentanti delle due autorità civile e religiosa.

Nell’unione e nel trionfo delle due autorità, il pubblico cittadino e credente, ha trovato il trionfo di se stesso, ed ha applaudito.

Ha fatto bene ad applaudire.

L. V.

LETTERA APERTA


M. R. Can. Comm. Don Luigi Vitali

Direttore del «Buon Cuore».


Le scrivo da questa nostra Scuola d'Architettura del Politecnico tutta ancor piena di cosciente letizia e tutta ancor sonante degli applausi che, commossi e reverenti, tributammo alla Maestà di Vittorio Emanuele, il quale si è degnato di fermarci in mezzo a noi, in mezzo ai nostri disegni.

Sì, ben volentieri, anzi con l’entusiasmo che sempre ho avuto ed ho per la grande nostra Internazionale, diccorrerò di essa sul «Buon Cuore»; al quale potei già procurare il piacere d’essere stato uno dei primi e dei pochi a riportarne i disegni originali degli edifici1.

Ora, poichè è programma del «Buon Cuore» di parlare di tutto che riguarda il buono ed il bello — che sono, in fondo, una sol cosa, vale a dire il Bene nella sua pienezza — andrò a mano a mano facilmente — come saprò meglio e brevemente — se la voluttà del dire e l’amore alle cose studiate me lo consentiranno — illustrando, di tutta l’Esposizione, quelle sezioni e quei gruppi che più da vicino tocchino gli scopi nostri di Beneficenza, Educazione, Istruzione.

Buonissimo auspicio io posso e voglio trarre da un fatto minimo per sè e, lo so bene, insignificante per i più; non per me. — Ecco:

La scorsa domenica per ì viali del Parco s’incontravano il Direttore del «Buon Cuore», l’architetto Bongi, direttore artistico dell’Ufficio Tecnico dell’Esposizione e chi le scrive. Il quale — non è cosa adesso rievocata, ma spontaneamente allora pensata — tutto ardente per i suoi due grandi ideali: l’Arte e la Carità, li vedeva negli illustri uomini, per così dire impersonati; lieto, da parte sua, di rappresentare la fidente gioventù che sente, apprende e s’entusiasma per volere.

Non molti anni sono passati dacchè l’Italia s’è redenta. Epperò altra e grande importanza acquista la mostra Internazionale, perchè l’Itala gente dalle molte vite nella città dalle nobili e feconde iniziative dà convegno alle proprie energie in conspetto delle nazioni civili. Come già nella riuscitissima Esposizione dell’81 l’Italia rinata a nazione rese noto a sè stessa quanto in pochi anni di libertà aveva saputo fare, così oggi — auspice Milano — mostra il lavoro assiduo, intelligente, geniale di questi ultimi quarant’anni.

Non sarà — ne ho fede ed auguro — una rassegna infeconda di istruttive constatazioni; nè infeconda di legittimi compiacimenti e di gloria. — E se pur di fratellanza e di pace è pegno la Esposizione di Milano del 1906, allora, l’Italia potrà ripetere rinnovellato per i nuovi destini l’antico motto fatidico:

          Tu regere amore populos Romane memento!

Sempre, rispettosamente, obbligatissimo e devotissimo suo

1 maggio 1906.

COMITATO PROMOTORE

dell’erigenda Chiesa dei Frati Cappuccini


Mercoledì, in una sala dell’Arcivescovado, si tenne la mensile adunanza del Comitato promotore per l’erezione della nuova Chiesa dei Padri Cappuccini.

Presiedeva Monsig. Carlo Locatelli, ed erano presenti alcuni signori ed un numeroso gruppo di signore.

Il segretario del Comitato, Padre Luigi da Guenzate, riferì che in questo mese le offerte erano salite a quasi due mila lire, colla fondata speranza di un altro migliaio, disposto per testamento da pia persona.

Si annunciò poi che, per riflessi di opportunità, la pesca già stabilita pel mese di maggio, venne differita ai primi giorni d’inverno, e precisamente i giorni 1, 2, 3 e 4 novembre.

Ecco l’ultima nota degli offerenti.

Gruppo I e II: Margherita e Giovanni Biffi, L. 10 — N.N. 5 — N.N., 5 — Ghislanzoni, 5 — N.N., 5 — Nava, 2 — Riva Angelina ved. Redaelli, 50 — N.N., 20 — Giuseppe Tosi, 5 — Rissi, 50 — Marianna Scotti, 10 — Manzi, 5 — Erba, 5 — Borghi, 2 — Stefli, 2 — N.N., 2,50 — Gallarati Scotti, 10 — Principe di Molfetta, 50 — Coppa, 5 — Gavazzi, 20 — N.N., 17 — Maria Bernasconi, 20 — Pusterla, 10 — Porati, 10 — Stabilini, 10 — N.N., 20 — Majer, 10 — Moroni, 10 — N.N., 16 — [p. 151 modifica]N.N., 2 — N.N., 3 — Amministrazione Sforni, 50 — Coppa, 20 — N.N. (per immagini), 10 — Ferrari Giuseppina, 50.

Raccolte dal III Gruppo: Soldini D. Francesco, L. 5 — Un Istituto Religioso, 20 — Caduff Rodolfo, 20 — D. Maria Corti della Silva, 5 — Conte Costanzo Cagnola, 10 -- N.N., 10.

Raccolte dal IV Gruppo: N.N., 40 — Conte Angelo e Luigi Caccia, 10 — D. Virginia Marietti, 10 — Contessa Stanga Busca, 5 — Contessa Elisa Trivulzio Scotti, 10 — N.N., 10 — N.N., 2 — Cecilia Tornaghi, 5 — Carlotta Pasta, 20 — Cecile Tornaghi Dalmutoch, 5 — Leopoldina Bianchi, 25 — D. Fanny e Lina Orombelli, 25 — Ponzio, 20.

Ricevute dal portinaio del Convento L. 76. — Raccolte in una predica dal Quaresimalista di S. Maria del Suffragio, 33. — Raccolte in una predica dal Quaresimalista di S. Pietro Celestino, 135. — S.M.T., 40. — Per immagini, G.M.T., 30 — Idem. B.E.T., 12.60 — N.N., 50 — Guidotti e Croci, 10 — Una Terziaria, 8 — N.N., 8. — Raccolte nella Chiesa, 345 — D. Ferrario Scipione, 50 — D. Luigi Casanova, Rettore dei Sordomuti, 100. — Raccolte in una predica dal Quaresimalista di San Stefano, 50.

Piccola leggenda


Ne la notte procellosa, fra il turbinar della tempesta che infuria sovra i lidi terreni, un’anima, libera dalle umane spoglie, spiega il volo verso l’alto de’ cieli.

Alle gran porte de’ celesti regni, una voce chiede:

“Anima, donde vieni, e che mi porti? Accresci tu un fiore alla corona gloriosa dei martiri che qui risplendono in sempiterno?”

L’anima risponde intrepida: “Io vengo dalla terra, chiedo il premio promesso ai giusti. Ho compiuto il mio dovere, ho dispensato pane al povero, ho sfuggito il peccatore come la lebbra e l’ho infamato, ho esaltata la virtù e venerata la Divinità....”

La voce non risponde.

Un’altra anima è salita attraverso la tempesta e sotto le grandi porte sosta ed aspetta.

“E tu, anima, che cosa cerchi? che cosa apporti?”

Rabbrividisce questa della sua miseria, come se avesse un corpo ignudo; alfine risponde: “Vengo dalla terra, povera di virtù. Vissi a lungo travagliata, cerco pace. Dispensai qualche pane al misero: poca cosa.... io non ero ricca.

“Stesi la mano affettuosa al povero e allo sventurato: molto amai, molto soffersi, molto cercai di perdonare.

“Benedissi la virtù ed ogni sforzo intesi per raggiungerla, compiansi il peccato....” —

— “Entra, fratello, entra”. —

La porta si richiude.

Fievole, lontano, s’ode il rombo della tempesta che viene a morire e frangersi come un’onda a piè delle gran porte.

L’anima prima è sola ne l’immensità e ancora aspetta.

Ode alfine la stessa voce mutata e commossa che parla: “Ritorna, fratello, sulla terra, e impara che carità non sempre significa pane, ch’esser buoni significa amare, che amare vuoi dire compiangere, perdonare, riabilitare. Quindi ritorna. Le porte eterne ti saranno aperte”.

Egloge Cappello Passarelli.


SERATA FIORENTINA

A FULVIA.

La romba ancor risuona....
Risuona ancor la romba delle grandi
Campane loquaci,
Dal vacuo ventre oscuro;
Risuona da le torri
Pensose dell’Ente,
Ritte, come giganti scolte nere,
Ritte nell’ombra.
Una febbrile ansia di vita passa
Sui freddi marmi
Che figurano l’uom, parlan del genio;
Passa sui marmi sacri e sui profani,
Passa e si sperde, gemendo stridula
Come estiva cicala che scossa
Vola via.
.     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .
E nell’oscurità crescente, vagano
E te guardano, o santa patria mia,
E te guardano ardenti, trasvolando,
L’ombre dei grandi.
Parla e vive il Cellini
Da i bronzi avvivati,
E parla e vive ancora Michelangelo
Che, Dio novello, anima il freddo sasso....
E parla e vive Sanzio
Dalla testa
Leoninamente fulva,
E parla e vive Giotto,
Tiziano, Lippo Lippi e Botticelli:
Tutti che colorirono l’idea,
Che la trasfusero a le tele morte,
Vivificandole.
E parla e vive Dante,
Erto il capo
Sdegnosamente fiero,
Fissi gli occhi
Divinamente belli....
E te guardano, o santa patria mia,
E te guardano ardenti, trasvolando,
L’ombre dei grandi.
.     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .
S’ode la bella melodia d’un organo
Che piange in una chiesa:
Là presso, seduto,
Un monelluccio canta
E da la nicchia a lui, ride una santa.

Gianfranco Casati.



PENSIERI


Quel po’ che io son capace di fare mi viene tutto dall’inspirazione che mi dà la religione. La mia fede è la mia vita.


  1. V. il «Buon Cuore» del 29 luglio, n. 31, del 1905.