Novella XLIX

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XLVIII L

Ribi buffone, tornando da uno paio di nozze con certi gioveni fiorentini, è preso di notte dalla famiglia: giunto dinanzi al podestà, con un piacevole motto dilibera lui e tutta la brigata.

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Molto fu piú ardito e piú coraggioso Ribi buffone incontro a uno cavaliere d’uno podestà che ’l prese, e ancora col podestà, che non fu Lapaccio vile e timido, per essere stato in un letto con un uomo morto. Questo Ribi fu piacevolissimo, e fu fiorentino, e molto si ridusse, come fanno li suoi pari, nelle Corte de’ signori lombardi e romagnuoli, perché con loro facea bene i fatti suoi, ché dava parole, e ricevea robe e vestimenti; e quando venía in Firenze, non guadagnando, ricorrea alcuna volta alle nozze, dove pur alcuna cosa leccava.
Essendo costui in Firenze una volta, e facendosi là verso Santa Croce un bello paio di nozze, egli vi stette quasi tutto il dí, e vegnente la notte, avendo ciascun uomo e donna e cenato e ballato, e coricatosi lo sposo e la sposa, il detto Ribi con una brigata di gioveni di buone famiglie si partí per andare albergo con loro.
Avvenne che, passando questa brigata da San Romeo, s’abbatterono nel cavaliero del podestà che andava alla cerca; il quale comincia a dire:
- Che gente siete voi?
Risposono:
- Amici, messere.
- Passate innanzi; quanti siete voi?
Dissono:
- Vedetelo.
E fra ’l noverare, e dire: «Tanti uomeni, tanti torchi», al cavaliere venne veduto un torchio, la cui cera non era sei once.
Disse il cavaliere:
- Quello torchio non è di peso.
Ribi fassi innanzi:
- Messer sí, è.
Disse il cavaliero:
- E’ dee pesare tre libbre, e non è quattro once.
Ribi rispose e subito:
- L’avanzo aveste voi in culo.
Come il cavaliero ode questo:
- Za, famiglia, pigliate costui; piglia za, e piglia là, menategli tutti al palazzo.
Ribi dicea:
- Perché, messere, omè! perché?
- Come perché? - dice il cavaliere - dunque credi che io sia un bambarottolo: io ci ho impeso gli uomeni per minor parola che quella che in vituperio della Corte ci hai detta tu.
Dicea Ribi:
- Doh, messer lo cavaliere, noi venghiamo dalle nozze e siamo caldi; quello che noi diciamo, diciamo per sollazzare.
- Per sollazzare nella malora; - dice il cavaliere - e dite che sete caldi; altrimenti vi ci farò riscaldare, per le chiabellate di Dio; se giunghiamo a palazzo, ci parlerete d’altro verso su la colla; menateli oltre.
E con questo busso furioso la famiglia condusse la brigata in palagio: e giugnendo dentro nella corte, il podestà, che credo era da Santo Gemino, andando per lo verone in capo della scala, però che era di state, e ’l caldo grande, veggendo costoro, disse che gente era quella. Il cavaliere, che ratto andava verso lui, disse se volea gli menassi dinanzi da lui. Rispose di sí; e cosí tutti vennono dinanzi al podestà. Il quale addomandò il cavaliere perché coloro fossono presi. A cui il cavaliere rispose, volgendosi verso Ribi, e dice:
- Signor mio, questo rubaldo ha fatto gran vergogna a voi e a tutta la vostra Corte.
- E che ci ha fatto? - dice il podestà.
Dice il cavaliere:
- Hacci fatto cosa che mai non ce la direi.
E ’l podestà dice:
- Che ha detto nella malora?
Disse il cavaliero:
- La piú laida cosa, e la piú vituperosa che tu udissi mai; piacciati, signor mio, non la volere udire, ché c’è troppo abbominevole.
Il podestà al tutto dice:
- Io ce la voglio sapere; e se mi ci metti a ira, quello doverrò fare a loro, farò a te ipso.
E ’l cavaliere, alla maggior pena del mondo, gli disse:
- Podestà mio questo cattivo uomo, essendo con questa brigata, che è qui, a luogana, avea questo torchio che qui vedete che non è sei once; io ci dicea che non era al peso secundum formam statuti : esso dicea pur di sí; e io dissi: «Come di’ tu di sí, ché non è quattr’once?» e quello disse: «L’avanzo avestú in culo».
Disse Ribi:
- Messer lo podestà, io non dissi con l’aste.
Disse il cavaliero:
- E che ci hanno a fare l’aste, che t’affranga Dio e la Matre?
Allora il podestà, che, come savio, avea già compreso il fatto e pigliavane diletto, si volse al cavaliero, e disse:
- Se costui non disse con l’aste, e la cera è poca, come tu di’ e vedi, essendo intervenuto ciò che ti disse, non te ne serebbe venuto né debilimento di membro, né altro male; avesse detto con l’aste, serebbe stato cassale e mortale.
Disse il cavaliero, quasi sdegnato:
- Facci che ti piace, per le budella di Dio, se ce l’avesse a punire, la lingua con che lo disse gli farei trarre dalla canna.
Disse il podestà:
- Io ti dico, cavaliero, che si vuole aver discrizione: se costui non disse con l’aste, non mi pare che meriti alcuna pena.
Disse uno judice del maleficio che era col podestà, ed era fratello di quello messer Niccola da San Lupidio, a cui Ribi altra volta trasse le brache, come si narra nel libro di messer Giovanni Boccacci:
- Questi Toschi ci sono tutti gavazzieri, deasi lo sacramento a isso, se disse con l’aste.
E ’l podestà disse:
- E cosí si faccia.
E datoli il juramento, Ribi, alzando la mano, dice:
- Io giuro per quello Dio, cui adoro, che io non dissi con l’aste. Doh, messer lo podestà, sere’ io sí fuori della memoria? ché so che se io l’avessi detto, n’andrebbe il fuoco, o la mitera.
Disse il podestà:
- Vacci con Dio; per questa fiata t’aio perdonato, e guàrdate bene per un’altra volta, quando la cera del torchio fosse di piú peso, ad un altro cavaliero non dicessi simili parole; però che, benché tu non dicessi con l’aste, e la cera fosse tanta quanto vuole lo statuto che sia, ed ella entrassi al cavaliere dove tu dicesti, e’ serebbe sí pericoloso che tu potresti aver la mala ventura.
Ribi ringraziò il podestà della licenzia e dell’ammaestramento, e partissi con tutta la brigata; e ’l podestà ne rimase in gran sollazzo con li judici suoi; e ’l cavaliero dicea che di ciò la Corte si era vituperata, e rimase tutto scornato, e non volea fare officio, e molti dí combatté il podestà, volendosi pur partire, dicendo che mai in quello officio non credea aver altro che vergogna, poiché non s’era fatta justizia di sí vituperato delitto.
Alla per fine pur si reconciliò, e la novella si comprese sí per la terra che quando quel cavaliero era veduto, andando alla cerca, era detto da’ garzoni:
- Quello è il cavaliero del torchio con l’aste.
Gran gentilezza usò questo rettore, che considerò alla qualità e al modo, e all’uomo chi era, e grande disperazione fu quella del cavaliere; ma pur procedea da justizia e da buon animo. Ma pur considerando quello che dovea considerare, e chi Ribi era, di quello che avea detto si dovea dar pace, però che a’ loro pari pare che debba essere lecito ciò che dicono e ciò che fanno. Bella e nuova allegazione fece Ribi, e ragionevolmente da non potervi apporre, però che quanto piú dicea il cavaliero, quella cera essere di piccolo peso, tanto era la colpa di Ribi minore, e piú allegava per lui.