Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO

Cortile boschereccio che guida a vari tuguri pastorali, tra’ quali, nel mezzo più degli altri, s’innalza quello di Tirreno.

SCENA I

Tirreno e Cidippe.

Cidippe. Cosí ho risolto. Invan mi tenti, e invano...

Tirreno. Qual ardir! Ti scordasti
il tuo dovere, il grado mio? Tuo sposo
io scelsi Uranio e tu il contendi? Ah, figlia!...
Cidippe. Padre, de’ cenni tuoi mi faccio legge.
Solo in questo mi serbo
la natia libertá. Quand’io non voglia,
chi può sforzarmi?
Tirreno.   Vedi,
vedi audacia di figlia appena uscita
dalla tenera infanzia! E questo il frutto
delle fatiche mie? Cosí alla mia
venerabil canizie e cosí insulti
al grado mio sacerdotal? Ti scelsi
in isposo, o Cidippe,
pastor canuto ed impotente? o pure
ignobil di natali e di fortune?
Ha lui pur biondo pelo che a gran pena
sparge le fresche gote, a lui pur pasce
piú di un armento, e piú d’un campo imbionda.
A che ardita il rifiuti? a che contrasti?
Egli ti adora pur, tu pur l’amasti!

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Cidippe. Tutto, o padre, egli è ver; ma piú non l’amo,

né il posso amar. Giammai...
Tirreno. Olá, tutto poss’io. Chi contumace
sprezzasti genitor, giudice avrai.

SCENA II

Cidippe.

Ingiusti padri, e quale

autoritá vi diede
sul nostro arbitrio il cielo? Il genio deve
dar legge, e non la forza, a’ nostri affetti.
Questo, a cui tu mi astringi,
carnefice e non padre,
imeneo violento,
non fia che colpa tua, che mio tormento.
          Te, in onta del fato
               Narciso adorato,
               te solo amerò.
          Se diedero i numi
               la gloria a’ tuoi lumi
               di farmi languir,
               di farmi morir,
               per te languirò,
               per te morirò.

SCENA III

Uranio e Cidippe.

Uranio. A che, ninfa, a che fuggi?

son io libico mostro,
son io serpe?...

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Cidippe. A’ miei lumi

piú di serpe e di mostro,
terribile, importun, tu ancora tenti
nel bollor del mio sdegno
la sofferenza mia? Partiti, fuggi!
Uranio. In che ti offesi?
Cidippe.   E che? vinta mi credi
da un paterno comando? È questo il modo
di farti amar? La forza
piú che una lunga servitú ti affida?
Cosí t’insegna amor? Partiti, fuggi!
Uranio. Il tuo rigor...
Cidippe.  Non cede
a sí deboli assalti; e non sí tosto,
ciò che ti nega il cor, t’impetra il padre.
Uranio. Deh, per l’antico ardor, ninfa, mi ascolta:
son io pur quegli stesso
che ognor ti amò, che tu altre volte amasti;
questo è pure quel sen, questo è quel volto...
Cidippe. Che follie mi rammenti? Eh, che sei stolto!
          Quando ti amai?
               Quando giurai
               a te la fede? Sei mentitor!
          Se mai diss’io
               che tu sol eri l’idol mio,
               parlai col labbro, ma non col cor.

SCENA IV

Uranio, poi Narciso, Lesbino ed Eco.

Uranio. Mira l’iniqua. Anche l’amor mi nega,

e i giuramenti obblia. Miseri amanti! .
E qual fé vi sognate in cor di donna?
Ah, Cidippe infedele! ah, sesso ingrato!

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Narciso. Cosí dolente, Uranio?

Uranio. Gentil Narciso, oh Dio!
Narciso. La tua pena è d’amor. Lesbin me’l disse,
e il pallor del tuo volto.
Uranio.   Ardo per ninfa
la piú ingrata e sleal che viva in queste
boscherecce capanne, albergo un tempo
d’innocenza e di fede, ed or d’inganno.
Narciso. Ella è Cidippe?
Uranio.   Il nome
ne ripetei piú volte agli antri, a’ boschi,
e piú volte ne’ tronchi,
men duri del suo cor, lo incise questo
meno degli occhi suoi dardo pungente,
dono della sua man, pegno di amore.
Lesbino. Non disperarti; hai chi pietá ne sente.
Narciso. Parti, sará mia cura,
benché di amor sia poco avvezzo all’arti,
il placar la tua ninfa, il consolarti.
Uranio. Il ciel, poich’io non posso,
il ciel per me grazie ti renda almeno.
Eco. (V’è pur qualche pietá dentro quel seno.)
Uranio.   Vien serpendo
               nel mio petto
               un diletto
               lusinghiero
               che consola il mio cordoglio.
          Col piacer della speranza
               la baldanza
               de’ tormenti
               va perdendo
               il fiero
               orgoglio.

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SCENA V

Narciso, Eco e Lesbino.

Lesbino. Narciso, poiché tanta

degl’incendi di amor pietá tu mostri,
prendine ancor de’ miei, tanto piú fieri
quanto piú rara è la beltá che m’arde.
Narciso. Odi, o Lesbin.
Eco.   (Che sará mai?)
Narciso.   Pietade
le follie degli amanti a me non fanno.
Se per Cidippe Uranio avvampa, io prendo
a sovvenirne i mali,
non per pietá, ma per sottrarmi a lei
che ognor coi pianti a frastornar sen viene
l’alta tranquillitá de’ sensi miei.
Ma tu per Eco avvampi,
non men di me fiera, di amor rubella.
Vedila! (mostrandogli Eco)
Lesbino.   Oh Dio!
Narciso.   Non men crudel che bella.
Eco. (Parlan di me.)
Lesbino.   Narciso,
deh, se in te alberga umanitá, per quella
sacra amistá che a me giurasti, e ch’io
sin da’ primi anni a te serbai, per quelle
tenerezze innocenti
pietá n’impetra, o mi vedrai fra poco
cadavere di amor, vittima esangue,
versar dal sen trafitto
con l’ultimo sospir l’ultimo sangue.
Narciso. A duro uffizio oggi ’l tuo amor m’impegna.
Voglia il cielo che invano

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non perdiam tu la speme ed io le voci.

Ninfa!
Eco. (Giá tutto udii.) (a Narc.) Signor, che chiedi
Narciso. Alma v’è che ti adora, e tu la sprezzi.
Eco. V’è cor che per te pena, e tu nol curi.
Narciso. Perché sorda a’ suoi preghi?
Eco. Perché duro a’suoi pianti?
A due. Oh cor...
Narciso.   Troppo crudel!
Eco.   Troppo inumano!
Narciso. (a Lesbino) Io giá sapea che la pregava invano.
Eco. (a Narciso) Co’ miei sospiri ancor rinforza i detti..
Narciso. Deh risana...
Eco.   Deh appaga...
Narciso. ... l’altrui duol.
Eco.   ...l’altrui brama.
Narciso. Piú gentil...
Eco.   Piú cortese...
Narciso. ...rendi amor per amore.
Eco.   ... ama chi t’ama.
Narciso. Omai, Lesbin, piú t’avvicina.
Lesbino.   Ah, temo.
Narciso. Mira, spietata, in quel sembiante impressa
La tua fierezza e la sua pena. E tanta
fede ancor non ti vince? Ancor resisti?
Eco. Hai tu pietá di chi t’adora?
Narciso.   Udisti?

Narciso. Non può donarti amor (a Lesbino, mostrando Eco)
Eco. impetrarti (a Lesbino, mostrando Narc.)
A due. chi non sa amar.

Che si può far?
Lesbino.   Morir.

Narciso. Vorrei trovar pietá
Eco. destar
dentro a quel cor per te:
al mio
ma se nol posso?
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Lesbino.   Oimè!

Narciso ed Eco.   Che vorrai far?
Lesbino. Finir con la mia vita il mio martir.

SCENA VI

Narciso ed Eco.

Narciso. Dolce amica e compagna,

tanto piú cara a me quanto piú fiera.
Eco. La tigre ama la tigre, e a te che sei
sí rigido in amore
piace la crudeltá, piace il rigore.
Narciso. Segui pure il tuo stile.
Eco.   Ah, temo un giorno
le vendette di amor, nume possente.
Narciso. Amor, nume del senso
ha il suo poter da noi. Quasi favilla,
se alimento gli dai, cresce in incendio;
se glielo togli, appena nato è spento.
Eco. Or piú non l’irritiam.
Narciso.   Nulla il pavento.
          Alma forte che ben resista,
               non paventa del dio d’amor.
          Nasce amor da un fral diletto,
               e un vil ozio, un cieco affetto
               lo alimenta entro del cor.

SCENA VII

Eco.

Folle garzon, pietá di te mi prende.

Non tarderá le sue vendette amore.
Cosí amor, me felice,
con un mio sguardo a te piagasse il core!

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          Un dí ti sentirò

               pianger e sospirar
               l’antica crudeltá.
          Eguale al tuo rigor,
               il tuo dolor vedrò
               per piani e monti,
               per selve e fonti
               gridar pietá.