Il Circolo Pickwick/Capitolo 47

Che tratta specialmente di affari e del vantaggio temporale di Dodson e Fogg. Il signor Winkle riappare in circostanze straordinarie; e si vede come nel signor Pickwick potesse più la benevolenza che la cocciutaggine

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Che tratta specialmente di affari e del vantaggio temporale di Dodson e Fogg. Il signor Winkle riappare in circostanze straordinarie; e si vede come nel signor Pickwick potesse più la benevolenza che la cocciutaggine
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Job Trotter, senza punto rimettere della sua fretta, andò su per Holborn un po’ nel mezzo della via, un po’ sul marciapiedi, un po’ nel rigagnolo, sgusciando fra la folla degli uomini, delle donne, dei bambini, delle carrozze, e senza guardare ad ostacoli di sorta, non si fermò che quando fu giunto alla porta di Gray’s Inn. Con tutta la corsa però, trovò che la porta era già chiusa da mezz’ora; e fino a che non ebbe scovata la donna di casa del signor Perker, la quale viveva con una figlia maritata ad un cameriere e occupava due camere a terreno ad un certo numero, in una certa strada poco discosto da una certa birraria, più o meno dalla parte di dietro di Gray’s Inn Lane, erano già passati quindici minuti dall’ora fissata per la chiusura serale della prigione. Nè ci volle poco per estrarre il signor Lowten dalla sala interna della Pica e il Ceppo; e nel punto stesso che Job riusciva finalmente a comunicare il messaggio di Sam Weller, battevano le dieci.

— Ecco, — disse Lowten, — oramai è troppo tardi. Per questa sera non si rientra più, caro mio; vi hanno chiuso di fuori.

— Non vi date pensiero per me; io posso dormir dovunque. Ma non sarà meglio di vedere stasera stessa il signor Perker per esser là domani di buon’ora?

— Dirò, — rispose Lowten dopo averci un po’ pensato su, — per qualunque altra persona Perker non gradirebbe troppo di essere disturbato fino a casa, ma siccome si tratta del signor Pickwick, credo di potermi arbitrare a prendere una vettura e metterla a carico delle spese di ufficio.

Appigliandosi a questo partito, il signor Lowten prese il cappello, e pregando la compagnia raccolta alla Pica di nominare un vicepresidente durante la sua assenza temporanea, s’avviò per la piazza più vicina e, chiamando la vettura di migliore apparenza, disse al cocchiere che tirasse diritto a Montague Place, Russell Square.

Il signor Perker aveva avuto della gente a pranzo quella mattina, come si vedeva chiaro dalle finestre illuminate del salotto, dal suono di un pianoforte perfezionato, da quello di una voce perfezionabile, e da un forte sentore di carne che si diffondeva per tutte le scale. Fatto sta che due eccellenti agenti di provincia erano insieme capitati a Londra; e il signor Perker avea raccolta una graziosa brigata per far loro festa, composta del signor Snicks segretario di una Società di assicurazioni, del signor Prosee, famosa autorità legale, di tre avvocati, un commissario di fallimenti, un altro avvocato speciale del Temple, un giovinotto suo allievo dagli occhi piccini, che avea scritto un libro brioso sulla legge dei decessi ricco di note marginali e di rinvii a piè di pagina, e di parecchi altri eminenti personaggi. Da questa società il signor Perker chiese licenza, non appena gli fu annunziata all’orecchio la visita del suo giovane; e passato che fu nella camera da pranzo, vi trovò il signor Lowten e Job Trotter, appena rischiarati da una candela di cucina, portata dal gentiluomo che consentiva per uno stipendio trimestrale a mostrarsi alla gente in calzoni corti e calze di cotone, e dal medesimo posata sulla tavola con tutto il dovuto disprezzo per lo scrivano e per tutto ciò che si riferiva allo "studio".

— Che c’è, Lowten? — domandò il piccolo Perker chiudendo la porta. — Qualche lettera d’importanza?

— Signor no. Questo signore qui viene dalla parte del signor Pickwick.

— Ah, dal signor Pickwick? Bravo, bravo; e di che si tratta?

— Dodson e Fogg, — rispose Job — hanno fanno arrestare la signora Bardell per la rivaluta delle spese.

— Possibile! — esclamò Perker cacciandosi le mani in tasca ed appoggiandosi alla credenza.

— Proprio. Pare che, subito dopo la causa, si facessero rilasciar da lei un cognovit per l’ammontare delle spese.

— Per Giove! — esclamò Perker cavando tutte e due le mani di tasca e battendo le nocche della dritta contro la palma della sinistra, — non ho mai avuto da fare con gente più astuta di questa!

— I più furbi azzeccagarbugli ch’io abbia mai conosciuti, — osservò Lowten.

— Altro che furbi! — incalzò Perker. — Non si sa mai da che parte pigliarli.

— Verissimo, signore, proprio così! — approvò Lowten.

E giovane e principale stettero per qualche secondo sopra pensiero, come se riflettessero ad una delle più belle e ingegnose scoperte che mente umana avesse mai fatta. Quando si furono un po’ riavuti dal loro accesso di ammirazione, Job Trotter completò la sua commissione. Perker crollò il capo tutto pensoso e cavò l’orologio.

— Sarò lì alle dieci in punto; — disse poi, — Sam ha ragione. Diteglielo da parte mia. Gradireste un bicchier di vino, Lowten?

— No, grazie.

— Voi intendete sì, — disse l’ometto, voltandosi a prendere sulla credenza una bottiglia e dei bicchieri.

Siccome Lowten intendeva proprio di sì, non fiatò altrimenti in merito della cosa, ma domandò a Job con una mezza voce piuttosto intera se il ritratto di Perker sospeso di faccia al caminetto non gli pareva di una somiglianza maravigliosa; al che, naturalmente, Job rispose che gli pareva. Essendo intanto già mesciuto il vino, Lowten bevve alla salute della signora Perker e dei bambini, e Job alla salute di Perker. Il gentiluomo in calzoni corti e calze bianche, non considerando come parte del suo dovere l’accompagnare fino alla porta le persone dello studio, si ostinò deliberatamente a non sentire il campanello; sicchè Job e Lowten dovettero uscire accompagnandosi l’un l’altro. L’avvocato tornò in salotto, il giovane alla sua osteria, e Job al Mercato di Covent Garden per passar la notte in una cesta di vegetali.

Puntuale il giorno appresso all’ora fissata, il piccolo e brioso avvocato bussò alla porta del signor Pickwick, che Sam Weller venne subito ad aprire.

— Il signor Perker, signore, — annunziò Sam al padrone che se ne stava a sedere tutto pensoso presso la finestra. — Ci ho proprio gusto che siate capitato qui, signor avvocato. Credo che il padrone v’abbia da dire una parolina e mezza.

Perker diè a Sam un’occhiata d’intelligenza, avendo capito di non dover dire d’essere stato mandato a chiamare e facendogli segno di accostarsi, gli bisbigliò qualche cosa all’orecchio.

— Non dite mica sul serio! — esclamò Sam, indietreggiando stupefatto.

Perker fece di sì col capo e sorrise.

Sam guardò al piccolo avvocato, poi al padrone, poi al soffitto, poi di nuovo a Perker; fece una smorfia di contentezza, diè in una risata, e finalmente raccattando il cappello da terra, senz’altra spiegazione sparì.

— Che vuol dir ciò? — domandò non poco sorpreso il signor Pickwick. — Che cosa ha messo Sam in quello stato?

— Oh, nulla, nulla. Via, mio caro signore, accostatevi qui alla tavola con la vostra seggiola. Ho da dirvi un mondo di cose.

— Che carte son coteste? — domandò il signor Pickwick, mentre l’ometto deponeva sulla tavola un fascio di documenti legati con lo spago rosso.

— Le carte Bardell e Pickwick, — rispose Perker, sciogliendo il nodo coi denti.

Il signor Pickwick fece stridere i piedi della seggiola sull’impiantito, e sdraiandosi, intrecciò le mani, e guardò severamente — se mai il signor Pickwick poteva guardar severamente — al suo amico ed avvocato.

— Non vi piace sentir parlare della cosa, eh? — disse l’ometto, sempre intento a sciogliere il nodo.

— No davvero, — rispose il signor Pickwick.

— Me ne dispiace assai, perchè appunto di questo vi debbo intrattenere.

— Preferirei, Perker, che tra noi non si parlasse mai più di questo argomento.

— Via, via, mio caro signore! Ma parliamone anzi. Già, son venuto qui a posta. Siete disposto ad ascoltarmi, mio caro signore? Non c’è fretta; aspetterò, se volete. Ho qui il giornale del mattino. Fate a tutto vostro comodo. Ecco.

E l’ometto accavalcò una gamba sull’altra, e fece le viste di cominciare a leggere con molta calma ed attenzione.

— Bene, bene, — disse il signor Pickwick con un sospiro che si mutò subito in un mezzo sorriso. — Dite su quel che avete da dire. La vecchia storia, non è così?

— Con una differenza, mio caro signore, con una differenza, — rispose Perker, ripiegando subito il giornale e intascandolo. — La signora Bardell, la nostra querelante, si trova qui.

— Lo so.

— Benissimo. E sapete anche, mi figuro, come ci sia venuta; voglio dire, a qual titolo e ad istanza di chi.

— Sì, almeno a quanto me n’ha detto Sam, — rispose con affettata indifferenza il signor Pickwick.

— Quel che v’ha detto Sam è nè più nè meno che la verità. Sicchè, mio caro signore, la prima domanda che ho da farvi è questa, se questa donna deve rimaner qui?

— Rimaner qui!

— Rimaner qui, mio caro signore, — rispose Perker, sdraiandosi sulla seggiola e guardando fiso al suo cliente.

— E che volete che ne sappia io? — disse questi. — È una cosa che dipende da Dodson e Fogg, voi lo sapete benissimo.

— Niente affatto, non ne so nulla di nulla, — ribattè Perker con fermezza. — Non dipende da Dodson e Fogg; voi conoscete quella gente lì, come la conosco io. Dipende unicamente, completamente, esclusivamente da voi.

— Da me! — esclamò il signor Pickwick, alzandosi in furia e tornando subito a sedere.

L’avvocato diè due colpi sul coperchio della sua tabacchiera, l’aprì, v’immerse le dita, la richiuse e ripetette: — Da voi.

— Dico, mio caro signore, — proseguì l’ometto, che pareva pigliar forza e fiducia dal tabacco, — dico che la sua pronta liberazione o la sua perpetua prigionia dipende da voi, e non da altri. Ascoltatemi, mio caro signore, vi prego, e non vi scaldate così presto, altrimenti non riuscirete che a sudare senza alcuna utilità. Dico dunque (e stabiliva ciascuna posizione sopra un dito differente), dico che nessun altri che voi può trarla fuori da questa caverna di miseria; e che non potete farlo altrimenti che pagando le spese di questo processo, le spese di tutte e due le parti, nelle mani di coteste arpie di Freeman’s Court. Prego, mio caro signore, prego.

Il signor Pickwick, mutando di colore a tutti i momenti e stando lì lì per scoppiare dallo sdegno, cercò di contenersi il meglio che poteva; e Perker, rinforzando con un’altra presa di tabacco le sue facoltà argomentative, proseguì:

— Ho veduto stamani quella donna. Pagando le spese, voi siete dispensato ed assolto dai danni; e otterrete inoltre — cosa che a voi importa assai più, mio caro signore — otterrete una spontanea dichiarazione scritta di suo pugno, in forma di lettera a me, che tutto questo affare fin dal primo momento è stato fomentato, incoraggiato e proseguito da questi Dodson e Fogg; ch’ella profondamente deplora di esservi stata cagione di disturbo o di offesa; e che mi prega d’intercedere presso di voi e d’impetrare il vostro perdono.

— Se pago le spese per lei, — esclamò indignato il signor Pickwick; — bel documento davvero!

— Nessun se, mio caro signore, nessun se, — rispose Perker in aria trionfale. — Ecco qua la lettera precisa di cui vi parlo, portata al mio studio da un’altra donna alle nove di stamane, prima che avessi messo piede qui dentro e avuto comunicazione con la signora Bardell, ve lo giuro sull’onor mio.

E scegliendo la lettera nel fascio delle sue carte, il piccolo avvocato la pose sotto gli occhi del signor Pickwick, e prese tabacco per due minuti di fila senza batter palpebra.

— Questo è tutto? non avete da dirmi altro? — domandò con dolcezza il signor Pickwick.

— Tutto no, tutto no, — rispose Perker. — Io non potrei dire proprio ora se il contesto del cognovit, e la notoria stimabilità, e le prove che possiamo mettere insieme sulla condotta complessiva della causa, siano elementi bastevoli ad iniziare un processo per scrocco. Non lo spero gran fatto, mio caro signore, non lo spero, perchè li conosco troppo furbi. Voglio dire però che i singoli fatti presi insieme varranno a giustificarvi presso tutte le persone ragionevoli. Ed ora, mio caro signore, permettete. Queste centocinquanta sterline, più o meno che siano, tanto per dire una cifra tonda, sono per voi men che nulla. Un giurì ha deciso contro di voi; sta benissimo che il verdetto sia ingiusto, ma chi l’ha emesso lo ha creduto giusto, ed è in effetto contrario. Ora vi si offre una opportunità semplice ed agevole di mettervi in una posizione molto più elevata che non potreste mai afferrare rimanendo qui; il che, dalla gente che non vi conosce, sarebbe soltanto attribuito ad una bizza crudele, ad una brutale ostinazione; a nient’altro, mio caro signore, credetemi. E potete voi stare in forse quando dipende da voi solo il tornare ai vostri amici, alle vostre occupazioni, alla vostra salute, ai vostri divertimenti? quando è in mano vostra la libertà di un fedele e devoto servitore, che altrimenti voi condannate ad una perpetua prigionia? e sopratutto quando vi si porge il destro di prendere la magnanima vendetta, — una vendetta, mio caro signore, che il vostro cuore deve poter apprezzare — di trar fuori questa donna da una scena di miseria e di corruzione, alla quale nessun uomo, se fosse in me, dovrebbe mai essere condannato, ma che per una donna è assolutamente orribile e barbara? Ora, domando io, mio caro signore, non solo come vostro consulente legale, ma come vostro amico, volete lasciarvi sfuggire l’occasione di conseguir tante cose insieme e di far tanto bene per la gretta considerazione che qualche sterlina di più entri nelle tasche di due furfanti pei quali non può avere altro effetto fuor di questo che più guadagneranno e più vorranno guadagnare e più presto dunque s’impiglieranno in qualche loro bricconata che andrà a finire in un capitombolo? Vi ho sottoposto queste considerazioni, mio caro signore, molto debolmente ed imperfettamente, ma vi prego di rifletterci, di volgerle in mente quanto vi pare e piace: io sto qui senza muovermi ad aspettare la vostra risposta.

Prima che il signor Pickwick potesse rispondere, prima che Perker avesse preso una ventesima parte del tabacco che un discorso così lungo imperiosamente richiedeva, si udì di fuori un sommesso mormorio di voci seguìto da un colpettino incerto alla porta.

— Che noia cotesta porta, Dio buono! — esclamò il signor Pickwick, che le esortazioni dell’amico aveano scosso non poco. — Chi è?

— Son io, signore, — rispose Sam, cacciando dentro il capo.

— Non posso parlarvi ora. Sono impedito, Sam, ho da fare.

— Con vostra licenza, signor padrone, ma c’è una signora qui che dice di dovervi dire qualche cosa di molto particolare.

— Non posso veder signore, — rispose il signor Pickwick, che avea davanti agli occhi la signora Bardell.

— Non ci giurerei mica, signore, — insistette Sam crollando il capo. — Se sapeste chi è, credo che mutereste registro, come disse il merlo ridendo dentro di sè, quando udì cantare il pettirosso nella frasca vicina.

— Ma chi è in somma?

— La volete vedere? — domandò Sam, tenendo la porta semiaperta come se vi nascondesse dietro qualche curioso animale vivente.

— Credo di non poter fare altrimenti, — disse il signor Pickwick volgendosi a Perker.

— Avanti dunque, s’incomincia, — gridò Sam. — Suona la grancassa, s’alza il sipario ed entrano i due cospiratori.

E così dicendo spalancò la porta, e tumultuosamente si precipitò nella camera il signor Nataniele Winkle, tirandosi dietro per una mano quella precisa signorina che a Dingley Dell portava gli stivaletti col pelo, e che presentava ora il più grazioso complesso di rossori, nastri, cappellino, velo di merletto e seta lillà.

— La signorina Arabella Allen! — esclamò il signor Pickwick alzandosi.

— No, — rispose il signor Winkle, cadendo in ginocchio.

— La signora Winkle. Perdono, mio caro amico, perdono!

Il signor Pickwick poteva appena credere agli occhi propri, e forse nemmeno ci avrebbe creduto senza la testimonianza del viso sorridente di Perker e della attuale presenza, in fondo al quadro, di Sam e della graziosa cameriera, i quali contemplavano quanto accadeva con la più schietta soddisfazione.

— Oh, signor Pickwick, — disse a mezza voce Arabella come se quel silenzio la impensierisse, — potrete voi perdonare la mia imprudenza?

Il signor Pickwick non rispose verbo, ma si tolse in fretta gli occhiali, ed afferrando la giovane per le mani, la baciò molte e molte volte — forse un po’ più del puro necessario — e quindi, sempre tenendola per una mano, diè del briccone al signor Winkle, e gli ordinò di alzarsi. Questi, che era stato per qualche secondo a grattarsi il naso con la tesa del cappello in umile atto di pentimento, obbedì; e il signor Pickwick amorevolmente gli battè sulla spalla, e poi strinse forte la mano a Perker, il quale per non esser da meno in materia di complimenti, salutò con tutto il calore possibile la sposa e la graziosa cameriera, e scambiata una poderosa stretta di mano con l’amico Winkle, coronò la sua dimostrazione di gioia ficcandosi nel naso tanto tabacco quanto sarebbe bastato a far starnutire una mezza dozzina di uomini vita natural durante.

— Ma com’è andata tutta cotesta faccenda, bambina mia? — domandò il signor Pickwick. — Via, sedete e contatemi tutto. Com’è carina, Perker, non è vero? — aggiunse poi, contemplando Arabella con l’orgoglio e l’esultanza di un padre.

— Splendida, mio caro signore, — rispose l’ometto. — Se non fossi ammogliato, sarei anche disposto ad invidiarvi, briccone che siete.

Così dicendo, il piccolo avvocato diè in petto al signor Winkle un pugno affettuoso, che fu reso alla pari; dopo di che risero entrambi fragorosamente, meno però del nostro Sam, il quale aveva appunto sfogato la piena dei suoi sentimenti baciando la graziosa cameriera nascosto dalla porta dello stipo.

— Non vi sarò mai grata abbastanza, Sam, — disse Arabella col più dolce dei suoi sorrisi. — Non mi scorderò mai dei vostri esercizi ginnastici a Clifton nel giardino.

— Non ne parlate, signora, — rispose Sam. — Io non feci che assistere la natura, come disse il dottore alla mamma del bambino, dopo averlo mandato all’altro mondo con un salasso.

— Maria, cara, sedete, disse il signor Pickwick tagliando a mezzo questi complimenti. — Orsù, sentiamo, quanto è che siete sposati?

Arabella arrossì tutta guardando al suo sposo, e questi rispose:

— Da tre giorni appena.

— Da tre giorni! E che avete fatto per tutti questi tre mesi?

— Ah, ah, sicuro, — venne su Perker; — dateci conto di cotesto spreco di tempo. Vedete bene che Pickwick si maraviglia soltanto che le cose non fossero bell’e sbrigate da un pezzo.

— Il fatto è, — rispose il signor Winkle guardando alla cara moglina tutta rossori, — che c’è voluto il bello e il buono per persuadere Bella a venir via; e quando alla fine l’ebbi persuasa, dovette passare un pezzo per trovare il momento favorevole. Maria doveva anche avvertire un mese avanti per lasciare il servizio, e senza l’aiuto suo non avremmo potuto far nulla.

— In parola mia, — esclamò il signor Pickwick che s’era intanto rimesso gli occhiali e guardava da Arabella a Winkle e da Winkle ad Arabella con tutta la soddisfazione che a faccia umana possono comunicare la pienezza del cuore e il calore del sentimento, — in parola mia che avete fatto le cose per benino. E sa nulla vostro fratello di tutto questo?

— Oh no, no, — rispose Arabella mutando di colore. — Caro signor Pickwick, ei non deve saperlo che da voi, da voi solo. È così violento, così prevenuto, ed è stato sempre così... così favorevole al suo amico signor Sawyer (e Arabella abbassò gli occhi) che ho gran paura delle conseguenze.

— Ah, sicuro, sicuro, — disse gravemente Perker. — Bisogna che la pigliate a petto vostro questa faccenda, mio caro signore. Cotesti giovinotti, che non darebbero retta a nessuno, avranno per voi tutto il rispetto possibile. Dovete prevenire un guaio, mio caro signore. Sangue caldo, capite, sangue caldo.

E l’ometto annasò un’altra presa e crollò il capo.

— Voi dimenticate, amor mio, — disse dolcemente il signor Pickwick, — voi dimenticate che son prigioniero.

— No davvero, non lo dimentico, mio caro signore, — rispose Arabella. — Non l’ho mai dimenticato; non ho mai cessato di pensare quanto avete dovuto soffrire in un luogo così orribile, ma speravo che quanto non poteva in voi alcuna considerazione personale, l’avrebbe fatto un amorevole riguardo alla nostra felicità. Se mio fratello sa la cosa dalla bocca vostra, son sicura che ci riconcilieremo. È il mio solo parente nel mondo, signor Pickwick, e se non pigliate voi le mie difese, temo di perderlo anche lui. Ho fatto male, lo so, molto male, molto male.

E la povera Arabella nascose la faccia nel fazzoletto e pianse amaramente.

L’animo dolce e buono del signor Pickwick fu scosso non poco da queste lagrime, ma quando la signora Winkle, asciugandosi gli occhi, prese a carezzarlo e a scongiurarlo coi suoni più dolci della sua dolcissima voce, ei divenne irrequieto, nervoso, indeciso, e si diè a strofinare a volta a volta gli occhiali, il naso, i calzoni, il capo e le uosa.

Profittando di questi sintomi d’indecisione, il signor Perker (alla casa del quale pareva che la giovane coppia avesse tirato diritto) insinuò con finezza curiale e fece spiccare che il signor Winkle padre ignorava affatto il gran passo dato dal figliuolo; che tutto l’avvenire di questo dipendeva esclusivamente dall’affetto di quell’altro signor Winkle, il quale forse e senza forse non avrebbe preso in buona parte che la cosa gli si tenesse troppo a lungo celata; che il signor Pickwick recandosi a Bristol per vedere il signor Allen, avrebbe anche potuto spingersi fino a Birmingham per fare una visita al signor Winkle seniore; e che finalmente il signor Winkle seniore aveva pieno diritto di considerare in certo modo il signor Pickwick come tutore e mentore del figliuolo, e che però era debito del detto signor Pickwick d’informare il sullodato signor Winkle, personalmente ed a viva voce, di quanto era accaduto e della parte ch’egli stesso vi aveva preso.

Molto a proposito arrivarono a questo punto i signori Tupman e Snodgrass, e siccome si dovette spiegar loro quanto era accaduto con tutto il corredo delle ragioni pro e contra, si riandarono tutti gli argomenti, e dei nuovi se ne aggiunsero in tutte le forrne e da tutte le parti. E finalmente il signor Pickwick, stretto, incalzato, scosso, stordito, prese Arabella fra le braccia, e dichiarando che la era una carissima creatura, e ch’ei non sapeva come la cosa andasse, ma certo fin dalla prima volta le avea voluto un gran bene, disse che non gli reggeva proprio il cuore di frapporsi alla felicità dei giovani, e che facessero di lui quel che meglio loro piacesse.

Il primo atto del signor Weller, all’udire questa concessione, fu di spiccare Job Trotter dall’illustre signor Pell, con facoltà di rilasciare nelle mani del latore il discarico formale che il prudente genitore avea consegnato al dotto avvocato perchè ad un caso se ne valesse. In secondo luogo investì tutto il suo contante nell’acquisto di venticinque galloni di porter, ch’egli stesso distribuì nel cortile del volano a chiunque ne volle; e ciò fatto, se n’andò gridando per tutti gli angoli del fabbricato fino a che non ebbe perduto la voce, tornando poi al suo solito contegno calmo e filosofico.

Alle tre, il signor Pickwick diè un ultimo sguardo alla sua cameretta, e si aprì una via alla meglio fra la folla dei debitori che gli venivano addosso per stringergli la mano, fino a che non fu giunto al casotto del custode. Qui si voltò per guardarsi intorno, e gli occhi gli brillarono di viva luce. Fra tutti quei visi pallidi ed emaciati, non uno ne scorse che non fosse più felice per l’affetto e la carità sua.

— Perker, — disse poi, facendo cenno ad un giovane di accostarsi, — questi è il signor Jingle di cui v’ho parlato.

— Benissimo, mio caro signore, — rispose Perker guardando fiso a Jingle. — Ci rivedremo domani, giovinotto. Spero che vivrete a lungo per ricordarvi profondamente quel che avrò da comunicarvi.

Jingle s’inchinò con rispetto, tremò tutto nel prendere la mano che il signor Pickwick gli porgeva, e si allontanò.

— Conoscete Job, credo? — domandò il signor Pickwick presentandolo.

— Altro se lo conosco questo birbone, — rispose allegramente Perker. — Seguite il vostro amico, e trovatevi qui domani all’una. Avete inteso? C’è altro adesso?

— Null’altro, — rispose il signor Pickwick. — Avete consegnato l’involto che v’ho dato al vostro vecchio padrone di casa, Sam?

— Signor sì, — rispose Sam. — Ha dato in un gran pianto, e ha detto ch’eravate troppo buono e generoso, e che avrebbe desiderato che gli aveste inoculato una consunzione fulminante, perchè il suo vecchio amico col quale avea vissuto tanto tempo era morto, e non c’era verso di trovarne più un altro.

— Pover’uomo, pover’uomo! — esclamò il signor Pickwick, — Dio vi benedica, amici miei!

A questo grido la folla rispose levando un sol grido, e molti si spingevano avanti per stringergli di nuovo la mano, quando ei si appoggiò al braccio di Perker, ed uscì dalla prigione molto più triste e malinconico di quando vi era entrato. Ahimè! quanti infelici si lasciava egli dietro! e quanti ancora stanno rinchiusi fra quelle mura!

Una lieta serata fu quella, almeno per una piccola brigata, nel Giorgio ed Avvoltoio; e due cuori allegri ne uscirono il giorno appresso, i cui proprietari erano il signor Pickwick e Sam Weller. Il primo montò in una comoda carrozza di posta con un piccolo sedile dietro, dove con la solita agilità prese posto il secondo.

— Signore, — chiamò il signor Weller.

— Ebbene, Sam? — rispose il signor Pickwick, sporgendo il capo dallo sportello.

— Vorrei che questi cavalli fossero stati tre mesi buoni nella Fleet, signore.

— O perchè, Sam? — domandò il signor Pickwick.

— Perchè, — esclamò il signor Weller fregandosi le mani, — come scapperebbero se ci fossero stati!