Il Baretti - Anno II, n. 14/Rougena Zatkova

Alberto Cappa

Rougena Zátková ../Il teatro del colore IncludiIntestazione 19 marzo 2020 100% Da definire

Il teatro del colore
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Rougena Zátková

Una pittrice boema.

Uno spirito forte ed audace, sensibile volitivo, imprigionato in un fisico femminile incantatore.

Bellezza e femminilità sono un carico gravoso ed arduo a portare degnamente nella vita per un essere superiore ed attivo. Lo avvincono e lo dominano tutto delle loro esigenze imperiose, ne deprimono pensiero e coscienza, isolandolo dal mondo di fuori con grave barriera entro cui ogni aspirazione esinanisce ed ogni sensibilità si tortura acuita e dolorosamente inespressa.

Attorno, attorno, la barriera è rinserrata, ingigantita dal tumulto dei desideri, delle passioni, dei mali degli uomini i cui flutti incalzanti, tolgono ogni respiro, vietano ogni ampio e libero sguardo sulla vita all’essere femminile, respingendolo alla sua funzione decorativa, quando accenni ad uscirne inchiodandolo colle loro potenti ondate alla sua grazia ed alla sua solitudine.

E sola è sempre: sola tra il mareggiare delle passioni, suscitato dal suo fascino: sola col suo alone di bellezza da cui troppo tardi e troppo presto giungerà il tempo a liberarla, sola colla sua femminilità desiderosa di espansione e di sentimento, di elevarsi sulla terra e non di esservi respinta dalla furia e dall'impeto virile.

Rougena Zàtkovà ebbe prima il tormento della sua bellezza e quando lo superò, il suo grande sentimento di donna. Le fece pagare duramente ogni conquista strappata al tempo ed alla vita. La sua esistenza non l'ha consumata, l'ha lasciata brano a brano ad ogni gradino della sua ascesa, torturata dalle contraddizioni del secolo che volle conoscere e risolvere con ogni forza e tenacia.

I più bei miraggi che hanno abbagliato i suoi compagni nel tempo ed ancora ne guidano la corsa per le vie del mondo, si rifletterono con eco ampia e profonda nella sua vita, torturarono la sua ambizione, oppressero il suo cervello, agitarono il suo cuore. Nel suo destino di donna, senza requie divisa tra il suo sentimento, la sua aspirazione a fare, e le crudeltà del secolo s’è specchiato nei motivi dominanti il contrasto del tempo tra il ritmo implacabile della società meccanica e le aspirazioni più nobili dell'umanità condannata a correre, a correre senza meta e senza tregua.

I mali in cui il secolo annega, acceca le cupe angoscie e le sconfinate disperazioni che ne assalgono i riposi, vennero presto a devastarle la vita attorno e se ne salvò per l’altissimo senso della dignità umana e la profonda, incrollabile moralità che mai l’abbandonarono.

Quando il suo alone fisico era più sfolgorante, Rougena Zùtkovà ne ebbe l'ebbrezza ed il sogno ed al pari di altre creature del secolo volle liberarsi del sentimento nell'ambizione di poter afferrare il senso della vita fuori della vita, non più simile tra simili, libera d'ogni dovere d’umanità.

Le pareva di poter superare cosi gli ostacoli alle sue aspirazioni: li moltiplicava invece.

L’ebrietà della giovinezza La dominava ancor più dispoticamente. Accresciuta era la sua solitudine, raddoppiata la sterilità, ed incapace il cervello, privo dei limiti, della misura e dell'impulso sovrano del sentimento, d’intendere, d’afferrare ed esprimere pur uno tra i tanti veri che apparivano e sparivano al suo passaggio, ammalianti ed infiniti come la gamma delle possibilità umane.

Solo più tardi, passata la febbre della giovinezza e della bellezza e vinta la disperazione del sogno dileguato, un equilibrio superiore lo raggiungeva nell’umanità, gioiosamente ritrovata dopo il lungo errare per i sentieri aridi e tortuosi. La rivisse allora, completamente nelle più alte espressioni: lavorare con umiltà e devozione, lottare, amaro, soffrire.

Gli ultimi anni della sua vita sono i più belli ed i più forti, i più completi i più degni che vita di donna possa desiderare.

Amava ed era amata, aveva trovata la sua arte, la sua fede, il suo amore e per la sua arte, per la sua fede, per il suo amore lavorava, lavorava, lottava, gioiva, soffriva. Ed a lottare, a lavorare, ad dolore continuò forte e sicura sino a morte, tutta avvolta dal turbine del tempo.

Ritrovando tra la disperazione del suo sogno infranto, nella crisi l'umanità perduta, aveva scritto: «Vie, je crois que toujours je sarai plus fort que toi ».

Lo fu.

Anche quando, attorno di lei l'ambiente costruito con tanto amore e che faceva la sua vita, fu disperso dalla bufera, sola, continuò a ripetere «Le martyre est un devoir pour ceux qui ont la foi » e stette salda in mezzo alla bufera, sicura della sua forza morale, forte della sua fede, tetragono ai dubbi il senso religioso, che La guidò serena ai più diffìcili passi.

Inquadrata nella sua vita, di cui fu la più alta espressione, la Sua arte supera le contradizioni del primo esame.

Queste non sorgevano in Lei da dubbi sulla vigoria e sulla saldezza dei nuovi mezzi di espressione, ma erano radicate nel tormento, che l'accompagnò sino alla morte, di voler armonizzare la sua passione di artista ed i tesori dell’ umanità, compressa schiacciata, deformata da un mondo che pur si alimenta delle sue fatiche quotidiane e che non le concede un posto degno.

Dominata da profondo senso religioso e da un ideale altissimo della dignità umana, in fondo la Zàtkovà, cercò sempre, cosciente ed incosciente sino all'ultimo giorno, il senso della corsa in cui si divora la società: soffriva, sposa e madre, anello di vita, di non trovare altra ragione al moto che nel moto stesso, altro senso alla corsa che nella corsa stessa, altra ebbrezza alla lotta che nella lotta stessa.

Sentiva il fremito della volontà di potenza, la frenesia di azione che pulsa nelle vene della civiltà meccanica e ne dirige il ritmo vertiginoso, lo sentiva sino all’esaltazione lirica, la sua passione di artista ne era tutta rapita, ma il suo sentimento di donna non riusciva a soddisfarsi di un posto secondario nella vita per i suoi simili, per i suoi figli. Il senso religioso che aveva formato con amore in se stessa, strappandolo alle tempeste dissolutrici che l'avevano assalita, e che era il suo centro e la sua prima creatura, la facevano ritrarre, angosciata, dai cinismi di cui apertamente si alimenta il moto del nuovo mondo.

Le meraviglie dell’elettricità, combinate dall'uomo, pur ignorando le origini del mistero di cui si serve e che ha l'illusione di dominare, l’animavano tutta di ammirazione, di entusiasmo, di piacere, ma l'elettrificazione della vita umana, la schiavitù dell’uomo all'elettricità, l'abbandono delle più nobili sue aspirazioni e tradizioni le davano orrore. Le macchine potenti, elevate come sfide al cielo, destavano tutto il suo lirismo di artista, eccitavano la sua passione, colpivano la sua fantasia, ma più in alto dei mostri che moltiplicano le velocità nella febrile sinfonia dei motori il suo cuore di donna madre e sposa poneva l'umanità per cui l'imprigionava un posto degno e libero.

Pur soffrendo della progressiva rinuncia che l'esser umano vien facendo ad ogni sviluppo del macchinismo senti che il suo posto era nel suo tempo, e volle esserne e ne fu una figlia devota, cercando di intenderne le voci più ampie e più libere.

Istintivo al suo cuore di donna, prima che al suo pensiero ed al suo senso di artista, il tormento della Zàtkovà, è il tormento d’ogni spirito sensibile nella Società moderna di chi indietreggiare innanzi alla vita nuova non voglia, e pur ripiega indeciso, inerte, desiderando salvi ed in prima linea quei valori imani che furono sino a ieri l’unica difesa e la misura sovrana della nostra vita di uomini.

Ecco il futurismo di Rougena Zàtkovà. Essa comprese appieno e subito il nobile sforzo del movimento futurista per dare un senso lirico alla società moderna; nelle opere dei pionieri futuristi senti battere una devozione assoluta all'arte e lo sforzo generoso sino all'eroismo ed al sacrificio, di comprimere le loro passioni di uomini, per trovare ed esprimere il ritmo della vita meccanica.

Se il suo cuore di donna che si sentiva anello di vita tra vite cercava e cercò sempre sino alla morte una più ampia valutazione dei valori umani, se il suo senso religioso la spinse a chiedere senza tregua più ampi motivi di fede, rifiutandosi al paganesimo della macchina e del moto, la Sua intelligenza Le mostrò che il misticismo dell’azione, inspiratore della poesia e dell'arte pittorica e plastica futurista offriva il meno arbitrario ed il più adeguato senso della società moderna se arrivava alla scoperta di nuove fonti emotive, alla creazione di un nuovo lirismo, determinando nuovi mezzi espressivi nella pittura, nella scultura, nella letteratura.

E’ prematuro voler distinguere il definitivo dal transitorio l’essenziale dal contingente, in un movimento come il futurista, che ha accolto ed accoglie tante manifestazioni contradditorie, si e alimentato e si alimenta di tanti contrasti, e sembra ancora in pieno sviluppo?

Per ora, osservandolo nel tempo, comincia a risaltarne preciso ciò che ne determinò il primo impulso e ne assicura la profonda originalità al di sopra delle polemiche, delle reazioni e delle contraddizioni: l'audace sforzo di armonizzare l'arte colle nuove forme della vita. Cosciente sforzo della mente del creatore che prima di dargli vita nel manifesto del futurismo e di inspirarne la volontà di azione nel gruppo di pionieri suoi seguaci, come lui dominati dall'ansia di trovare nuove fonti liriche al loro tormento di invasione, lo aveva espresso nelle sue opere liriche ( Destruction, Conquete des Etoiles, Roi Bombance) ove, uscendo dallo stato d’animo della poesia simbolista e decadente francese, indicò al mondo i nuovi orizzonti lirici creando una nuova epica.

Niuno può negare che l’arte moderna oscilla tra la lirica marinettiana e la lirica baudelairiana, tra i due opposti poli lirici: l' Ode alla, velocità di Marinetti ed il « Je hais le mouvement qui déplace la ligne» di Baudelaire; tra l'espansione e la fusione lirica del primo col moto della macchina, soffocando il proprio sentimento e le proprie passioni di uomo per renderne il possente respiro, ed il concentramento statico dell’Io della poesia decadente e simbolista francese, la reazione più forte dell'uomo europeo contro il macchinismo, in cui espresse l’angoscia sconfinata, il terrore della solitudine che lo avvinghiano, se appena cessa dall'essere quel che fa, se il suo moto s’arresta per qualche ora d'essere schiavo di un mondo che vive del suo lavoro, ma che non lo salva dalle albe livide e fredde.

Già le generazioni che si affacciano alla vita e guardano dubbiose al vasto cimitero delle speranze e delle illusioni del passato e, pavide, si arrestano alla porta osservando il ritmo crudele del mondo moderno e non sanno decidersi e pur decidersi devono, comprendono che l'avere reagito contro lo stato d’animo della poesia simbolista francese, con cui si muore e si diserta la vita in una lenta agonia, ma non si vive mentre vivere si deve, fu la prima grande conquista della lirica marinettiana e dà al futurismo una forza che apparirà più grande col tempo.

Già essi intendono che l’avere compresso il suo cuore, l’aver schiacciato i suoi valori umani per scoprire i nuovi motivi lirici per intonare il canto alla voce delle nuove divinità che regolano dispoticamente la vita umana, creando la prima poesia epica di un mondo che dà ai suoi esseri la gioia di non appartenersi più nemmeno per l’attimo, e l'ebbrezza della corsa per la corsa, della velocità per la velocità, fu il sacrificio più grande che un' artista possa chiedere alla sua umanità il suo maggiore eroismo di fronte alla vita, la sua grandezza nell'arte.

Anche chi colpito dalle bellezze della società moderna, pur sentendo che tornare indietro non si deve, si indugia pensoso ed incerto innanzi al sacrificio di valori umani che gli sono cari, non sapendo rassegnarsi a considerarli tramontati, a veder esaurito lo scopo del moto nel moto stesso, anche questi come ogni spirito libero, come ogni giovane artista torturato dall'ambizione superiore di inquadrare nell’arte la vita del proprio tempo or comprendono il merito dello sforzo dei pionieri futuristi.

La Zàtkovà fu nel movimento futurista, lavorò sola e sicura, col suo contrasto interno che non doveva arrivare a risolvere, e la guidò in tutta la sua faticosa ascensione.

Come pittrice e scultrice non ebbe mai dubbio che, uscendo dal dinamismo pittorico, che ha moltiplicato le proprietà emotive dell’oggetto, si tornasse allora, come si torna ancora oggi, indietro.

I suoi dubbi non erano, non furono mai in lei sull’espressione, ma nel suo senso religioso, nel suo sentimento che non riusciva e non riusci mai ad armonizzare colla vita del suo tempo.

Ecco le contraddizioni apparenti, i ritorni, le folate varie della sua arte in cui batte però sempre profonda ed uguale, accanto al tormento di voler sovrani i valori umani cari soprattutto al suo cuore di donna, l'ammirazione e l'entusiasmo per la civiltà meccanica.

Alla ricerca di un'armonia superiore, la sua arte oscilla tra le Illustrazioni Bibliche compiute dal letto ove fu immobilizzata per un anno, con amore fine e paziente e con minuta e finissima arte, ricca di decorazioni fantastiche e di un acuto umorismo, ed il plastico Movimento e rumori della macchina piantapalafitte, in cui non v’è più una linea d'un piano di umanità nella tensione di esprimere in sintesi tutta la vita di movimento e rumori della potente macchina.

Una prima fusione la raggiunse nei quadri: Ritratto - vita di F. T. Marinetti, Vita di vetri, Lotta di supremazia tra oggetti e coll'ultimo Fame in Russia.

Per ricchezza di motivi, per potenza di espressione le opere della Zàtkovà stanno con quelle dei maggiori pittori futuristi italiani Boccioni, Balla che fu suo maestro e per cui ebbe sempre gratitudine e dammirazione, Russolo, Depero e con quelle dei maggiori avanguardisti contemporanei. Si pensi che il male e le sofferenze del tempo ne hanno spezzato l’esistenza a trentadue anni.

La Zàtkovà superava con originalità le difficoltà dei mezzi comuni di espressione sostituendo spesso al colore pittorico materiali differenti. I quadri luminosi « Acqua, Nebbia, Neve, Tempesta in alta montagna, Sensazioni di luna sulla neve » sono stati costruiti coll'aiuto di diverse materie (carta d'argento, madreperla, perline) ed efiiccacisimi nell'originale o sono irriproducibili in quello della Neve o riprodotti rendono troppo scarsamente la ricchezza e la verità degli accordi cromatici e lineari e la profondità dei piani.

Spiegando il progresso della sua arte nel catalogo della grande raccolta delle sue opere dell'esposizione di Roma del 1921 Rougena Zàtkovà scriveva: «I miei quadri Sensazioni delle piante sono i varii elementi dell'albero presi in un tutto e formanti un nuovo insieme rispondente più alla personalità artistica che alla forma oggettiva che li inspirava». Nei quadri-sensazioni «Neve, Nebbia Acqua, Luna» come anche del plastico «Sole» ho cercato di cogliere l'elemento nella sua essenza. Partendo da una grande ammirazione per la vita e dalla caratteristica d'ogni cosa e d'ogni elemento, ho lavorato in senso opposto all’ordinario, isolando gli elementi e cercando in ognuno il suo carattere e la sua propria funzione.

Nel plastico «Movimento e rumori della macchina pianta palafitte» ho allargato la funzione propria della potente macchina nel suo ambiente, cercando di creare un insieme dinamico delle forme coloristiche e ritmiche corrispondènti alla forza + ambiente + movimento trasformati dalla sua violenta influenza meccanica ».

A punta estrema della sua arte la Zàtkovà poneva i disegni coloriti delle varie correnti psichiche (Amicizia, Astrazione, Estasi, Influenza, ossia vittoria dello spirito più forte, Angoscia, Catastrofe) « disegni » essa spiegava adatti ad esprimere situazioni psichiche difficilmente spiegabili in parole. Questi disegni furono da lei fatti nel 1913 e nel 1914 ed essa più tardi, pur avendoli molto cari, riconosceva che esulavano dal campo dell'arte.

I suoi più forti lavori pittorici « Vita di vetri, Lotta di supremazia tra oggetti, Dinamismo di scimmia, Ritratto - vita di F. T. Marinetti» fu dal 1920 al 1923. Fu il più completo periodo della sua vita di donna e di artista: viveva in Liguria in una casa isolata di campagna sul mare, col marito Arturo Cappa.

Amava ed era amata, lavorava nel campo che aveva scelto per le sue attività vedeva ogni giorno più vaste porzioni del vero. Ma atratti, anche allora l'angoscia del tempo la prendeva.

Infatti nel suo mondo quieto e forte di Pegli doveva tutto crollare sotto la bufera della guerra civile italiana.

Dopo fece ad Anzio il grande quadro «Fame in Russia».

Esule dall'Italia il marito, lontano la figlia, attorno a Lei nell'Italia che amava come più della sua patria, la guerra civile, ed essa con muto dolore e con infinito amore dava ad ogni pennellata al grande quadro le sue ultime forze, e sentiva la forza andarsene e sola, chiusa nella rocca della sua fede e della sua dignità umana, levava alta, col suo quadro, non per sè, ma per i suoi fratelli e per i suoi figli, dal suo cuore di donna, la sua protesta di figlia di un tempo, avido di quiete e sqassato senza requie dalla tempesta.

Finito il grande quadro ne pensava uno completo sul tempo, ispiratogli dal «Riso rosso» di Andreieff «... sai che la terra è impazzita. Non ci sono più fiori, più canzoni su di lei. E' divenuta rotonda e rossa come la testa di un uomo cui hanno strappato la pelle...».

Continuava pensierosa a ripetere le frasi del capolavoro del grande scrittore russo salendo, serena per se, angoscia per gli altri, suoi figli e suoi fratelli, l'ultima tappa del suo calvario. Leysin la grande montagna, di dove era partita guarita e tornava a morire.

« Perchè — aveva scritto un giorno — questo strano mio destino di donna d'essere sempre fuori d'ogni regola di Vita? Sposata era e non sposata, madre per miracolo e subito separata dalla bambina, ho arte che non è quasi più arte, ho un amore destinato a vivere in lontananza. Ora capisco: la mia stella mi butta fuori di ogni centro, e mi limita alla solitudine per troppa dolcezza e troppa debolezza mia e per mancanza di riparo dal di fuori debbo costruirmene uno dal dentro. Ma la mia casa ora è già a buon punto: l'ho costruita sul fondo solido della mia fede infantile, saldata col mio sangue stesso. Il piccolo giardino, fuori, deve crescere già qualche vero fiore, è inaffiato dalle mie lacrime.

Voglio costruire; costruire senza riposo per essere sempre più forte e degna della vita.»

E l'anima che si era foggiata per resistere alle tempeste, strappandola alla sua bellezza ed alla sua femminilità l'accompagnamento fedele come il suo amore e la sua arte alla morte dandole la sicurezza di andare e di passare con superiore dignità umana.

Grildrig.