Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO II

SCENA I

Artemona viene, in sul far del giorno, a parlare a Crisaulo e li trae di mano un’altra soma di farina e prometteli, sotto scusa di andare a stender camicie, di parlare a Lucia.

Artemona roffiana, Timaro, Crisaulo.

          Artemona Ta, ta. Saran tutti a letto.
          Piace anche a me ’l dormir.
          Timaro Chi batte giú?
          Artemona Amici. Apri: son io.
          Timaro Pare una donna.
          E chi sei tu che vai cosí a quest’ora?
          Oh brutta vecchia! Se non par la strega
          che vadi in corso!
          Artemona Dimmi: ove è Crisaulo?
          Timaro E che buona faccenda? qualche polli,
          cosi a buon’ora?
          Artemona Quel che vuoi, speranza.
          Non mi fare indugiar, che non è ora
          da star per via.
          Timaro Non dubitar, figliuola,
          che non sarai rubbata.
          Artemona Oh! Basterebbe
          perder l’onor.
          Timaro Che? la verginitá?

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          Se tu non perdi quelle che hai venduto...
          che son piú d’un million.
          Artemona Dissi l’onore.
          Timaro Oh! l’onor e’ hai struziato a mille amanti
          e mille donne. Credo ch’ornai d’altro
          puoi perder poco.
          Artemona Tu non l’hai chiamato.
          Di’ che son io, che mi spedirá, forse.
          Timaro Eccol che viene. Arruffati, barbuta.
          Artemona Dio ti facci contento.
          Crisaulo E te meschina,
          donna maestra di non dir mai vero
          e vender ciancie.
          Artemona E perché dici questo?
          Ancor io non ti intendo.
          Crisaulo Son ben tante
          quelle che tu ci fai che con fatica
          te ne puoi ricordar; senza mille altre.
          Ove m’hai fatto ultimamente andare,
          che aspettai tanto e non vi fu persona?
          Che vuoi ch’io pensi?
          Artemona Oh! Di cotesto sai
          che non tei dissi certo; ma pensava,
          secondo che m’avea detto la fante,
          che la vi andasse. Non ci ho colpa alcuna.
          Dio sa ’l cuor mio. Oh se tu fossi, figlio,
          quel ch’io ti prego ognor!
          Crisaulo Non è in proposito.
          E poi fai ’l grande meco.
          Artemona Odi. Ti giuro
          sopra l’anima mia che appunto or ora
          son giunta a casa: che da lune in qua
          non mi son mai partita (io tei vo’ dire)
          d’un monastero; ch’una mia compagna
          mi ci ha tenuto a lavar certi panni
          del padre confessoro. Oh paradiso!

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          Biat’a lor che v’andranno!
          Crisaulo Io non ricerco
          i tuoi travagli. Dimmi se facesti
          di quella mia.
          Artemona Si, si. Lasciami dire.
          Da poi ch’io ti trovai v’ho messo mano;
          e ’l di dopo, in bel modo, feci a Lucia,
          ridendo, cenno di voler parlarli.
          Ella non s’è mostrata in alcun modo
          né di qua né di lá, che sta in sul savio
          per amor de la madre; ma dimane
          la coglierò in soquadro, se crepasse.
          Voglio tre o quattro de le tuoi camicie
          piú belle per lavarle; e con degli altri
          panni le stenderò ne la sua ^altana.
          E lascia che a la prima non li parlo,
          che farò qualche ben.
          Crisaulo Non ti dico altro
          se non che quanto mai ce n’è bisogno:
          che so ben come sto. Fa’ di servirmi
          e serviti di me.
          Artemona Ti vo’ contare.
          Quella farina, ch’è forse otto giorni
          che mi mandasti a casa, il mio figliuolo,
          quel maritato, venne, non ier l’altro,
          quand’io non era in casa, e se la prese
          dicendo che n’ha piú di me bisogno.
          Ond’io son senza; e, per trattare or questa
          tua impresa, non lavoro o faccio niente;
          e cosí non guadagno: onde conviene
          alfin ch’io stenti. Di darti fastidio
          a me ne incresce. Abbimi per iscusa
          che ’l bisogno mi fa forse far quello
          che non feci mai piú.
          Crisaulo Basta. T’ho inteso.
          Timaro, fa’ portare a questa donna,

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          a casa, un’altra soma di farina;
          e, se vuole ancor altro qui di casa,
          dalli quello che vuole.
          Artemona Oimè meschina!
          Vivrò mai tanto che mi sia concesso
          rendere in cambio di si larghi doni,
          non parole, ma fatti? E forse tali
          che tu sempre cognosca tanto bene
          non aver fatto, se ben poverina,
          a donna ingrata. Certo, ch’io non posso,
          almeno in render le debite grazie,
          scioglier parola.
          Crisaulo Non grazie o parole.
          Fa’ ch’io sol veda, lá dove bisogna,
          parole e fatti; che so ben e’ hai l’arte
          e la lingua da far muovere un sasso,
          non ch’una donna.
          Artemona Vo’ che sian gli effetti
          che provin l’arte, l’amore e la fede.
          Resta con Dio.
          Crisaulo Fa’ di tenermi a mente.
          Va’. La accompagna tu per fine a casa,
          Timaro
          Timaro Ben, signor. Son de le nostre,
          se séguiti cosi. Vecchia scanfarda,
          sará ben forza ch’io ti cavi gli occhi,
          se non sei onesta piú nel dimandare
          per l’avenir. Ti farò lavorare,
          se vói viver crestosa. Oh! Parti bella?
          Sgomborarmi la casa con le some!
          Fa’ conto di venir piú regolata;
          che, per Dio vero...

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SCENA II

Lucia si lamenta di Filocrate e manda la fante a cercarlo.

Lucia, Fronesia.

          Lucia Aimè, caro Filocrate!
          Son pur passati giá tre giorni interi
          | e non ti veggio. Ove son le promesse
          che cosí caldamente, tante volte,
          a mia madre ed a me festi di tórmi
          e sempre amarmi? Di quante lusinghe,
          quante false parole e quanti inganni
          son sempre pieni, omini senza fede!
          Quante son quelle che nel fin rimangono
          da voi ingannate! Ahi quante crude morti!
          quante passion portiam per creder troppo!
          Non posso desiar di te vendetta;
          né, potendo, vorria: perché piú quella
          sopra di me verria che a te medesmo,
          quando la ti venisse. Sol ti prego
          che vogli aver di si dogliosa vita
          qualche pietade.
          Fronesia Io te l’ho detto sempre
          che non bisogna fare in lor disegno
          mai di fermezza; che son fatti appunto
          come le foglie e, con modi e parole
          e, come dicon, con lor servitú,
          trattengon tutte. E, s’avesser con mille
          commoditá, tutte gli son padrone;
          tutte li fan morir. Poi, vedi, al fine,
          i portamenti lor mostran l’amore
          e il lor poco cervello.
          Lucia Orsú, Fronesia!
          Voglio che vadi a dimandar di lui

[p. 215 modifica]in qualche luogo e che non torni a casa se non me ne dai nuova interamente. E pregai quanto puoi da parte mia ch’io li vorrei parlar.

Fronesia Mi metto in via. E lascia fare a me, che non è un’ora ch’io l’ho parlato. Ma tu, se madonna gridasse, sappi trovar qualche iscusa. Ed io son qui in un punto. Lucia Va’, sorella: e sappi far.

SCENA III

Pilastrino e Listagiro vengono, avanti ora di cena, da Girifalco, temendo che, per la troppa roba comprata, il vecchio fosse sdegnato; e, trovandolo meglio disposto, Listagiro li guarda la mano; e partensi con ordine di tornare a ora di cena.

Pilastrino, Girifalco, Listagiro parasite


          Pilastrino Buona sera, messere.
          Girifalco Oh! Siate i ben venuti, i miei figliuoli!
          Ben mi pareva d’avervi sentito;
          e però son venuto in su la porta
          ad incontrarvi.
          Pilastrino Come sta la cena?
          Girifalco Sará in ordine a l’ora; ma, se pensi
          di trattarmi cosi...
          Pilastrino Perché?
          Girifalco Spendesti
          piú di mezzo il ducato.
          Pilastrino Non è vero.
          Eccoci a brontolare. Ah discrissione!
          Orsú ! Fa’ che beviamo almeno, un tratto,

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          acciò che meglio possiam ragionare
          senza seccarci.
          Girifalco Pilastrin, piú regola.
          Non è poi meraviglia se stai sempre
          malsano perché nuoce fuor di modo
          il ber cosí ad ogni ora; che, nel corpo,
          fa come, in un laveggio, mentre bolle,
          puor l’acqua fredda che toglie il bollire:
          onde nascon di poi l’infermitá,
          come tu vedi.
          Pilastrino Oh! co! co! Chi sentisse
          parlar costui del modo e de la via
          del non mangiar né ber non penserebbe
          che fosse un Ippocrasso o un Gallinello?
          Cosí c’è dotto!
          Girifalco Per grazia di Dio,
          sempre ho trovato che mi giova assai
          non m’acciarpare. E vedi che ho passato
          di molto il tempo che la maggior parte
          non suol passare. Ma che c’è di nuovo?
          In piazza che si fa?
          Pilastrino Si vende e compra
          de’ frutti e de l’erbette; e qui di nuovo
          avrem da cena.
          Girifalco Tu sei sempre in berta.
          Pilastrino Vuoi ch’io ne dica un’altra?
          Girifalco Si, di grazia.
          Pilastrino Questo ci abbiam di nuovo: che Crisaulo
          fa del suo resto; ed or, per questa giostra,
          apparecchia livree d’argento e d’oro,
          infin per gli staffieri; ed ha comprato
          ora un corsier cinquecento ducati.
          Pensa se è bello!
          Girifalco Tu non di’ da vero.
          E come ’l sai?
          Pilastrino Ti voglio dir la cosa.

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          Passava ier da casa di Calonide.
          Ed erano ivi aspettarlo a la porta
          duo servi o tre. E mi fermai con loro,
          alquanto, a ragionare; e intesi questo
          con mille altre grandezze che di nuovo
          fa per colei.
          Girifalco Oimè! che mala nuova
          è quella che mi porti, sciagurato!
          Poi non debbe esser vero; e tu lo dici
          per vedermi morire.
          Pilastrino Oh! tu ti cangi
          cosi di cera! E’ par che abbi paura
          di quel marcetto. N’è ben gran pericolo
          che ti scavalchi!
          Girifalco Or to’ questi ristori,
          Girifalco meschino. E si, fu vero?
          Era pur dentro in casa quel tignoso?
          Vedesti ’l tu?
          Pilastrino Si, vidi poi a l’uscire,
          che fu in sul buio; ma non so giá dirti
          quel che v’avesse fatto.
          Girifalco Aimè tapino!
          Perché voglio piú viver? Prego il cielo
          che faccia in modo ch’io mi rompa il collo
          prima ch’abbi a morir di questa morte.
          Cara la vita mia, non ti ricordi
          giá piú di me. Tu mi fai pur gran torto,
          che sai che ’l primo di non ti cercava.
          E tu ti innamorasti cosí forte
          di me che non vivevi ben quel giorno
          che non facevi dirmi qualche cosa.
          Listagiro Lascia pur: ti trarem questi pensieri.
          Girifalco Ed ora, che t’ho posto un poco amore,
          sei si ritrosa! E forse ancor mi cambi
          per una nebbiarella. Che se, un tratto,
          mi dá fra l’unghie, ne vo’ fare appunto

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          quel che fo d’un pidocchio. Oh! ah! ca! ca!
          Che sará poi?
          Pilastrino Del tuo resto, s’io posso.
          Girifalco Ghiottoncella, che m’hai cavato il fiato!
          Ma ti voglio cavare a te de gli occhi
          quel riso e quelle frasche.
          Pilastrino E però è buono
          che sia venuto qui questo mio amico;
          perch’è persona che ti saprá dire
          la cosa come sta e forse trarti
          d’ogni tuo affanno.
          Girifalco E che induggiamo, adunque?
          Pilastrino Non si può far, di giorno. Poi, istasera,
          dipoi cena, potrem mettervi mano
          e far qualcosa buona. E, perché veda
          ora qualcosa, mostrali la mano.
          Guarda, maestro Abraham.
          Listagiro Per contentarvi.
          Girifalco Ecco. Guarda, maestro, se a’ tuoi giorni
          vedesti man si bella e dilicata,
          colorita e ben fatta.
          Listagiro Bella, bella,
          se Dio mi guardi. Tu non debbi molto
          curarla con saponi ed acqua fresca,
          per ordinario.
          Girifalco Si, quando è l’estate.
          Listagiro E ’l verno?
          Girifalco Manenò, che allor mi lavo
          sol con la calda.
          Listagiro Ho veduto a la prima.
          Oh bella vita! oh bei monti! oh begli anguli!
          oh che bei segni! oh! gran particolari
          v’è da vedere! Io, per me, mai non vidi
          la piú felice man. Guarda, messere.
          Non voglio far come che soglion certi
          che dicon mille cose, poi fra tutte

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          non si ricoglie un vero. Io sempre dico
          qualche particolar che sia notabile
          e lascio le lunghezze. La man, prima,
          è bella com’un cesso.
          Girifalco Come «un cesso»?
          Listagiro Attendimi, se vuoi. Dissi: non cesso
          di veder tuttavia cose piú belle
          quanto piú guardo. Quando non mi intendi,
          talor, non ti curar; che ora non puoi
          esser tanto capace.
          Pilastrino Orsú! Incomincia.
          Listagiro Prima, per quello che si può vedere,
          hai una vita lunga piú che n’abbi
          altra visto giá mai. Viverai tanto
          che, per vecchiezza, debbi andar carpone
          per terra con le mani e verrai sordo,
          orbo ed attratto: ma v’è tempo ancora
          piú d’ottant’anni.
          Girifalco Oh! Quello andar carpone
          che non sia qualche mal! che non ne ho visto
          alcun cosi.
          Listagiro Perché intraviene a pochi
          tanto invecchiare. E non è poi gran cosa,
          quand ’altri si ci avvezza.
          Girifalco E come è questo?
          haine mai tu veduti?
          Pilastrino Van per terra
          co’ piedi e con le man, per la vecchiezza,
          come i cavalli e, quasi ogni stimana,
          bisogna ancor ferrargli; che, altrimenti,
          per i gran calli che han sotto a le piante,
          non potrian bussicarsi.
          Girifalco Uimei! Che sento?
          E mi bisognerá mettere ai piedi
          i ferri con i chiodi?
          Listagiro Si; ma in modo

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          che non posson far mal, perché quei calli
          vengono appunto duri coni ’un ’unghia
          d’un cavallo e, se ben v’entrano i chiodi,
          non si posson sentir.
          Girifalco Dio me ne guardi!
          Che vo’ inanzi morir dieci anni prima
          che venire a cotesto; che, in un giorno,
          mi romperian le calze e gli scappini:
          e forse mi domano.
          Listagiro A questo, allora,
          in qualche modo provederem noi.
          La tua vita sará lieta e felice,
          benché, per il passato, l’abbi avuta
          alquanto travagliata; che sei stato
          uomo di grande ingegno e penso ch’abbi
          fatto gran robba.
          Girifalco Eh! cotesto, non molto:
          che sempre mai si spende e poi ’l guadagno
          non risponde a un gran pezzo.
          Listagiro E poi tu spendi
          liberalmente, che sei uomo largo.
          Pilastrino Si, tanto! nel forame.
          Listagiro Ancor non penso
          ch’abbi figliuoli; ma, in fra poco tempo,
          ti se n’aspetta (per quello che mostrano
          quelle linee che vedi in fra quei monti
          che fan duo stelle) duo maschi a la fila,
          perché si fa la congiunzion di Giove
          ne la casa di Venus. E di questo
          allegrati perché, per via di madre,
          nasceran di bellissima progenie.
          Al nascimento lor, che non c’è forse
          mille anni, ti dirò de la lor vita
          cose grandi. E, se questo non ti fosse
          destinato dal ciel, giudicherei
          che tu venissi, un tratto, ne la Chiesa

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          un gran privato.
          Girifalco Cardinale? o che?
          List agirò. Forse che si; perché, giri a suo modo
          il ciel, che ti s’aspetta poi in vecchiezza
          felicitá.
          Girifalco Se vien fatta quell’altra,
          non vorrei esser papa.
          Pilastrino Oh scempionaccio!
          Ti trarrem ben l’amor.
          Listagiro E de la vita
          sei talora infermiccio; ma ’l tuo ingegno
          vede di lá dai monti.
          Girifalco Questo è vero:
          che, quando voglio fare una cosa io...
          Orsú! Non vo’ lodarmi. Di persona
          non son giá infermo: che, da questa poca
          di gotta in fuori e certo mal di rene
          e la pietra, che è giá forse vent’anni
          che la sento, con questo catarretto. . . ,
          oh! co! co!...
          Pilastrino Ti dia Iddio.
          Girifalco ...aiuti anche a te...
          ... mi sto assai bene.
          Listagiro Orsú! Tien questo a mente.
          Tu dèi venire, anzi che passi troppo,
          al desiato fin d’una tua impresa: ^
          e fia per la virtú di duo pianeti
          le cui opposizion debbon pure ora
          mancare al fin di questa nuova luna.
          E le cose che son giá lungamente
          desiate verranno a buoni effetti.
          Però sia allegro. Or non vo’ qui discorrere
          il ciel di cerchio in cerchio e i loro aspetti.
          Ma ho detto appunto.
          Pilastrino Basta. È da vantaggio.
          Diamo una volta in piazza.

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          Girifalco Io non potrei,
          maestro, ringraziarti a la metá
          di quel che...
          Listagiro Lascia andare or le parole.
          Ringrazia il cielo che ci ha fatti degni
          di tanta sua virtú.
          Pilastrino Studia la cena.
          Girifalco Non furia, Pilastrino, perché Orgilla
          mal può sola conciar tante vivande
          quanto comprasti.
          Pilastrino Avresti da allegrarti
          e tenerti felice, che ho prò visto
          robba a bastanza: ch’io ti so dir certo
          che t’avremmo mangiato almanco mezza
          cotesta tua giubbessa in su le spalle
          e da mano e nel petto; che sarebbe
          com’un presciutto appunto.
          Listagiro Oh! co! co! co!
          Tu mi farai crepare. E la berretta?
          Non n’hai fatto menzion. Che par caduta
          nel catin de la morca di dogana
          e sarebbe bastante a cento frati
          de l’Osservanza a condire un minuto
          di duo caldaie.
          Pilastrino Quel si ci intendeva.

SCENA IV

Artemona, parlando da sé, mostra di aver parlato a Lucia ed aver ricevuto da lei villania; e, in questo, truova Fronesia che cercava di Filocrate. E, partitesi l’una da l’altra, Fronesia si pensa di non cercar piú Filocrate ma fare, in favor di Crisaulo, uno inganno a Lucia.

Artemona, Fronesia.

          Artemona Che farai, vecchia? Vuoi dare a Crisaulo
          questa cattiva nuova? Io veggio certo
          che non si fa per te. Gliel dirò pure;

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          ma in destro modo. E vo’ veder s’io posso
          farlo suonar di qualche bolognino
          per riavermi di quella paura
          che m’ha fatto colei. E, se non sono
          al cane adesso, non ne vo’ quattrino;
          che mi farebbe far senza disagio
          mille miei faccenduzze. Ecco Fronesia.
          Non par quasi turbata punto in vista.
          Debbe averla istimata forse aneti ’ella,
          com’ho fatto io. E dove, cosí in furia?
          Come andò poi la cosa?
          Fronesia Eh! manco male.
          Ha fatto pace meco.
          Artemona Lo sapeva;
          che non fu mai tempesta che durasse.
          Io t’arei da insegnar come hai da fare
          che questo toro ti divenga agnello,
          se potessi fermarti.
          Fronesia Non è tempo,
          ch ’è troppo tardi. Ci vedrem dimane.
          Non voglio piú cercarlo, poi che ho inteso
          ch ’è fuori in villa e non si sa pur dove.
          Onde avrò luogo di fare un bel tratto
          in favor di Crisaulo e far mio sforzo
          di cavameli al tutto de la mente:
          che, infin che sta cosi, non è possibile
          che pensi ad altro; che noi donne sempre
          pigliamo il peggio. E, se fia suo marito,
          sendo pover di robba e di parenti,
          faranno amendui insieme i stentolini
          ed a me sará forza procacciare
          altronde il pan. Ma se, per opra mia,
          venisse in mano di Crisaulo ricco,
          so che gran doni non mi mancherebbono.
          E, se piacesse a Dio che la sposasse,
          sarebbe ella felice ed io, contenta,

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          me n’andrei seco. E di tutta la casa
          sarei donna e madonna; e con alcuno
          di quei bei giovanotti servitori
          mi starei qualche volta a sollazzare;
          e cosí lieta sguazzerei il mondo.
          A la croce di Dio, che è ben pensata!
          Diman voglio trovar la vecchia e seco
          consigliarmi di questo; e che pensiamo
          qualche malizia nuova.

SCENA V

Artemona, trovato Crisaulo, li narra quello che è seguito de la sua imbasciata e lo lascia mentre egli si lamenta d’Amore: in che poij forte crescendo, preso da uno accidente di cuore, si vien meno; e, per una orazione di Fileno suo servo fedele, ritorna.

Artemona, Crisaulo, Fileno.

          Artemona Io non pensava
          piú di trovarti.
          Crisaulo Eccomi qui. Che nuove?
          Artemona Cattive e dolorose.
          Crisaulo Aimè! Son morto.
          Contami il tutto.
          Artemona Eh! Non cosí cattive
          che nochin con effetto, che vedrai
          che te la vo’ domar; ma, per adesso,
          si mostra aspretta.
          Crisaulo Sará tanto, al fine,
          ch’io ne morrò. Dimmi come è passata,
          di punto in punto.
          Artemona Oggi vi sono stata:
          e la fante mi la ha fatto parlare,
          sotto quelle camicie; ed io da lunge
          mi mossi per ordir la buona tela.
          Ma costei se n’accorse nel principio:

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          onde mi colse ben, che è gran ventura
          ch’io ne sia ritornata senza offesa.
          Ma ancor, per questo, non aver pensieri;
          che, anco che crepi, le vo’ trar del capo
          la bizzarria.
          Crisaulo Ben l’avev’io pensato:
          che la cognosco per la piú crudele,
          la piú ingrata e scortese che nascesse
          mai sotto il cielo. Ahi lasso sfortunato!
          Questo è ’l buon guidardon di tanta fede?
          Dch non foss’io mai nato!
          Artemona Taci, dico.
          Ascolta.
          Crisaulo Si, s’io posso: ch’io mi sento
          mancar l’anima dentro. Ma che ria?
          Dopo tanta miseria, al fine, un giorno
          verrá pur lieto e, dopo tante morti,
          una che mi trarrá di questi affanni.
          Questo s’acquista.
          Artemona E va’; riserba altrove
          tanta disperazion: che, se sapessi
          il lor cervello come è dentro fatto,
          com’io so giá per mille, non potresti
          se non sperar. Ti giuro, sopra questa
          anima peccatrice, ch’io la tengo
          piú sicura che s’io l’avessi in casa.
          v Che, a dire il vero, non è cosa al mondo
          si varia e ad ogni vento tanto mobile
          quanto è la mente lor.^ Nulla è si stabile
          in lor che non si muti poi col tempo
          e con ingegno ed arte./
          Crisaulo Io ben lo provo.
          Orsú! Vo’ che mi dica che ti pare
          che abbiamo a fare; e cosí governarmi,
          se per me si potrá.
          Artemona Non ho tempo ora,
          Commedie del Cinquecento - 1. 15

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          che ti direi una mia fantasia
          sopra di questo; ma ci voglio meglio
          pensar. Lascia, ch’io vengo infra duo giorni
          con qualche aiuto. Fa’ che, in questo mezzo,
          tu non ti pigli affanno.
          Crisaulo Iddio volesse
          che lo potessi far!
          Artemona Fa’ di sforzarti.
          Crisaulo Dch! Perché non poss’io tante parole
          formar col pianto o, co’ sospiri ardenti,
          dar tanto di valore a questi venti
          ’che al cielo ancor de l’acerbe mie pene
          giunga pietade? Che giá qui mi pare
          ch’ogni cosa mortai meco s’attristi,
          meco pianga e sospiri e mostri in vista
          di compassion sembiante; se non quella
          che sol desia vedere in mezzo agli anni
          quest’alma spenta. E giá condotta è a tale
          che poco manca che si dura vita
          non abbandoni e si ritorni ignuda
          al suo Fattor.
          Fileno Caro padrone, affrena
          questi tuoi pianti. Tu vuoi pur far lieti
          i tuoi nimici e noi sempre tenere,
          miseri, in duolo. Se non vuoi aver cura
          a te medesmo, abbi almanco rispetto
          a noi; che piú t’amiamo e piú nel cuore
          abbiam le tuoi passion, gli affanni e pene
          che piú ci affliggo n che le nostre istesse.
          Prendi questo leuto; e, per uscire
          di tanto duolo, fa’ che suoni e canti
          qualche canzone allegra.
          Crisaulo Altro non posso
          cantar se non di quel che dentro il cuore
          mi muoverá.
          Fileno Su! Non star piú; ch’io senta.

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          Crisaulo
          MADRIGALE
          Non vedrá mai queste mie luci asciutte,
          in alcun tempo, il cielo
          né l’alma de le dolci fiamme spenta
          per fin ch’ella si spogli,
          lieta, del mortai velo,
          lasciando il corpo e l’amorose lutte.
          Alta luce, che accogli
          l’anima ch’è contenta
          in cosí dolce foco arder mai sempre,
          con meno amare tempre
          scorgi l’alma che è giunta all’ultim’ora;
          poi che, morendo, ancor t’ama ed onora.
          
          Fileno Ah! Tu sei pur di bello in su la grossa!
          Oh! Che canzone è quella, da cantare
          il di de’ morti!
          Crisaulo Ahi! Luce di mia vita,
          che al cor lasso di si dolci pensieri
          fosti esca un tempo, altro or da me non vuoi
          che pianto e morte. È venuto ornai l’ora.
          La ti do volentieri.
          Fileno Aimè, padrone!
          Crisaulo Io passo. Potrai dirle tu con vero!
          ch’io son morto per lei.
          Fileno Timaro, corri;
          porta aceto rosato e malvagia
          e confessioni. Aimè! ch’io tremo tutto,
          • che ’l padron si vien meno. O sommo Iddio,
          chiunque puoi col sol benigno sguardo
          al mio caro signor porgere aita,
          dch! muovati pietá, se quella solo
          ne gli spirti celesti vive e alberga;
          né vogli di si cruda e acerba morte
          di chi piú che sé t’ama e sopra a tutti

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          li iddíi t’onora esser cosí cagione.
          Ma, se pur questo fosse in suo destino
          e ’l ciel cosí dispuon che Amor questi occhi
          lassi chiuda piangendo, a te mi volgo
          (se feci mai perché benignamente
          merti d’essere udito) che nel cielo
          ss sei piú potente, Amore; e sol ti priego
          che pria mi facci de la morte dono
          (ch’io te la chieggio in grazia) che ciò segua:
          che assai piú amara e piena di spavento
          questa mi fora e quella men dogliosa,
          lasciando in vita lui.
          Crisaulo Che fai, Fileno?
          Mi pare aver sentito apparir, dentro
          ne le tenebre mie dell’intelletto,
          luce d’immortai guardo che gli oscuri
          e dogliosi pensieri in parte m’abbia
          riconfortato. E m’è venuto in mente,
          quando si truova un poverino ignudo,
          nel tempo de le nevi, essere, in luogo
          diserto, si aggelato che giá l’alma
          si sia partita, pur restando alquanto
          nel cuore ancor del caldo naturale,
          che, venuto un allegro e ardente sole,
          li porta, insieme con un dolce caldo,
          la vita giá perduta.
          Fileno I caldi prieghi
          sono stati, signor, che ho qui, piangendo,
          porti a quel Sol che col suo divin raggio
          sempre ti può far vivo.
          Crisaulo Non fia mai
          in me dimenticato tanto amore.
          Anzi, per fin che sará questa vita
          meco, l’avrò con gli altri tuoi infiniti
          buoni uffici nel cuore.

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SCENA VI

Pilastrino, avendo’ cenato col vecchio, esce ebbro di casa: e, caduto di contra a la porta di Crisaulo, la famiglia sua esce fuori con arme dubbiando di romori.

Pilastrino ebbro, Fileno.

          Pilastrino Oh! oh! co! co!
          Sta’, sta’, ch’io vengo. Ohu! Sii! su! Listagiro,
          corri, che la casa trema, ca...cade.
          Lascia, lascia ’l vecchio, che affumma tutta.
          Oh! co! co! Ve’ ch’io ’l dissi. Eccola in terra.
          L’addovinai pur. Leva! leva! Lasciami
          spegn...gne...gne...gner quel mocchilone. Addio!
          Sta’ su, Pilastrino, in su la persona.
          Te n’hai fatt’una ben... ben... buona, a raso
          canale. Oh! Stammi cosí bene allegro.
          Si, si, gli è buono: ch’è piú dolce ch’essere
          in su la pancia (oh che dolce morire!)
          d’una vitella cotta col formaggio;
          ch’è piú dolce che ’l mele. Oh! Cosí vogliono
          esser gli uomini li... liberali! Ohu!
          oh! co! Guarda come gira ben... bene
          il tetto in su la piazza! So, so che noi
          farebbe Iddio che non ci sia qui al mulin
          di Bertaccio. Sta’, sta’, che viene. Eccolo.
          Vello. Sta’ pur fermo. Non mi ti accostar,
          che son troppo stanco. Ecco li quan... quante
          belle donne! Se non mi pare ’l bor...boor...
          borgo nuovo! Leva! leva! fugge! oh!
          fugge sotto, che ’l ciel ca.. .casca! Ve’ che ’l
          camino arde in cu... cucina. Su! Leva
          la torta. Ve’ che mi struggo tutto, ahuè!
          d’ambascia. Oh! S’io non pagassi un pan unto,
          qui, il letto de la Gnesa, tan... tanto mi

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          vien sonno! Oimè ! come mi duol lo stomaco
          ne le budella! Ve’, lá giú, quan... quante
          pecorelle! Vo’ saltare anch’io e ballar
          d’allegrezza. Lasciami appoggiar prima
          con la persona. Chiocciola marinella,
          cava fuor le corna. Oh potta di santo...!
          Par ch’abbi la febbre, cosí mi bolle
          il fegato! Oh! Bogli bogli, calderon,
          per dispetto del tuo padron. Oh! co! S’io
          mi reggo d’allegrezza, ch’io diventi
          speziale o sbirro. Lascia ch’io fornisca
          questa, e vengo. Streppiti e calderoni,
          ch’io li ho impegnati. E viva la ca...
          Sta’, non mi dar la spinta. Eccomi giú.
          Oimei, e’ ho rotto dentro! auhè!
          Fileno Chi è quello!
          Timaro, chi è lá? Senti? Chi grida?
          Che romore è? Che vuol dir. Pilastrino?
          Tu non rispondi? È morto. Aiuto, aiuto!
          Arme, arme! Fuori! che gli è stato morto,
          qui, Pilastrino. Accennami col dito
          se ancor sei vivo.
          Pilastrino Oh! oh! oimè meschino!
          Fileno Non c’è mal, non c’è mal.
          Pilastrino Ben... ben sapeva
          ch’oggi m’avea a venir qualche disgrazia.
          S’io campo, faccio voto di vestirmi
          pinzocora del terzo ordine. Oimei! oh!
          che m’esce il fiato.
          Fileno Guarda lá gaglioffo!
          Forse ch’io noi pensai che gli è ubbriaco,
          questo impiccato? M’era giá venuto
          il cuor, di compassione e di paura,
          ad un granel di miglio. Che t’han fatto?
          Di’, Pilastrino.
          Pilastrino Son caduto giú

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          I da le mura de la ròcca. Oimei! Aiutami,
          qua giú nel fosso, fratello, ch’io moro.
          Vorrei la candela da benedire
          e ben da bere in questo affanno.
          Fileno Parti
          ch’abbia ben preso l’orso per gli orecchi,
          questo poltron? Sta’ su, che sei ubbriaco
          spolpato. Quel che avresti di bisogno
          in questo mal sarebbe un braccio e un terzo
          d’un buon querciuol. Questo porco da stalla,
          ch’ogni tre di si cuoce!
          Pilastrino Tu non dici
          il ver, se fossi mia madre. Ti vo’ far
          men...men... mentir per la gola. Aspettami,
          assassino! ch’io ti voglio accusare.
          Non camperai da le mie mani. È desso,
          quel traditor, quel biroldaio, boia.
          Ti vo’ cavare il cuor, coglion, co l’unghie.
          Lasciami pure arrizzare il ca...capo
          ben. ..bene. Sta’. Tien... tienti alto. Oh! Bene!
          Io me ne vado in chia... chiazzo Barletti
          a ber con l’oste. Addio.