I pirati della Malesia/Capitolo IX - La battaglia

Capitolo IX - La battaglia

../Capitolo VIII - La baia di Sarawack I pirati della Malesia/Capitolo X - La taverna cinese IncludiIntestazione 13 marzo 2010 75% Letteratura

Capitolo VIII - La baia di Sarawack Capitolo X - La taverna cinese

Capitolo IX
La battaglia


La foce del fiume, che forma una specie di porto riparato da banchi sabbiosi e da scogliere contro le quali rompesi la furia del mare, presentava un magnifico spettacolo. A destra, a sinistra e sulle due rive si stendevano magnifiche boscaglie di pisang dalle gigantesche foglie e dalle frutta di un giallo dorato, di stupendi mangostani, di preziosi sagù dai cui tronchi si estrae una fecola assai nutritiva, di gambir, di betel e di colossali alberi della canfora, sui cui rami urlavano bande di scimmie di un bel color verde e cicalavano bande di tucani coi becchi enormi.

Sul fiume andavano e venivano, o danzavano all’àncora, barche, barchette, prahos malesi, bughisi, bornesi, macassaresi, grandi giong giavanesi colle vele dipinte, giunche cinesi di forme barocche e pesanti e piccole navi olandesi e inglesi; alcuni in attesa di un carico e altri del vento propizio che permettesse loro di prendere il largo.

Sulle scogliere e sui banchi, si vedevano dei Dayachi seminudi, occupati a pescare, e stormi di albatros, giganteschi volatili, forniti di un becco robustissimo, e di rapidissimi uccelli marini chiamati comunemente fregate.

Sandokan, appena l'Helgoland ebbe gettato l’ancora in un buon posto, proprio in mezzo alla fiumana che scendeva lentamente colla marea, si affrettò a gettare uno sguardo sulle navi che lo circondavano.

I suoi occhi caddero subito su di un piccolo schooner, armato con numerose artiglierie, che sbarrava il passo, un trecento metri più in là. A quella vista, una sorda imprecazione gli uscì dalle labbra e la sua fronte si aggrottò.

— Yanez, — diss’egli all’amico che gli stava vicino. — Leggi il nome di quel legno.

— Temi qualche cosa? — chiese il portoghese, puntando il cannocchiale.

— Chissà! Leggi, Yanez.

Il Realista, sta scritto a poppa.

— Non mi ero ingannato. Il cuore mi diceva che quello era proprio il legno che servì a James Brooke per sterminare i pirati malesi.

— Per Bacco! — esclamò il portoghese. — Abbiamo un vicino formidabile.

— Che manderei a picco volentieri, per vendicare i miei confratelli.

— Non lo manderai, se non ci seccherà. Bisogna essere prudenti, fratello, e molto prudenti se si vuole liberare il povero Tremal-Naik.

— Lo so e sarò prudente.

— To’, guarda, una barca che si dirige verso di noi. Chi è quel brutto uomo?

Sandokan si curvò sulla murata e guardò. Una barchetta scavata nel tronco di un albero, montato da un uomo color giallognolo, con un perizoma rosso ai fianchi, anelli di rame ai piedi e alle mani, un berretto di piume e un gigantesco becco di tucano sulla fronte, si avvicina al vascello.

— È un bazir, — disse Sandokan.

— Che cosa vuoi dire?

— Un ministro di Dinata o di Giuwata, le due divinità dei Dayachi.

— Che cosa viene a fare a bordo?

— A regalarci qualche stupido presagio.

— Non sappiamo che cosa farne dei presagi.

— Anzi lo riceveremo, Yanez. Ci darà delle buone informazioni su James Brooke e sulla sua flotta.

La barchetta era giunta presso il vascello; Sandokan fece gettare la scala e il bazir salì sul ponte con un’agilità sorprendente.

— Che cosa vieni a fare? — chiese Sandokan, parlando la lingua dayaca.

— A venderti i miei presagi, — rispose il bazir, scrollando i suoi numerosi anelli che tintinnavano graziosamente.

— Non so che cosa farne. Ti domando altre cose.

— Quali?

— Odimi bene, amico mio. Io voglio sapere molte cose da te e se mi risponderai bene, avrai un bel kriss e tanto tuwak (liquore inebriante) da bere per un mese.

Gli occhi del dayaco brillarono di cupidigia.

— Parla! — disse.

— Da dove vieni?

— Dalla città.

— Che cosa fa il rajah Brooke?

— Si fortifica.

— Ha paura di qualche sollevazione?

— Sì, dei cinesi e del nipote di Muda-Hassim, l’antico nostro Sultano.

— Hai mai lasciato Sarawack, tu?

— Mai.

— Hai visto condurre a Sarawack un prigioniero color del bronzo?

Il bazir pensò alcuni istanti.

— Un uomo grande e bello? — chiese.

— Sì, grande e bello, — disse Sandokan.

- Che aveva il colore degli indiani?

— Sì, era un indiano.

— L’ho visto sbarcare alcuni mesi or sono.

— Dove fu rinchiuso?

— Non lo so, ma può dirtelo un pescatore che abita laggiù, — disse il Dayaco, additando una capannuccia di foglie che sorgeva sulla sponda sinistra. — Quell’uomo accompagnò il prigioniero.

— Quando potrò vedere quel pescatore?

— Ora si trova a pescare, ma questa sera tornerà alla capanna.

— Basta così. Olà, Hirundo, regala il tuo kriss a quest’uomo e deponi nella sua canoa un bariletto di gin.

Il pirata non se lo fece dire due volte. Fece portare nella canoa un barilotto di liquore e diede il suo kriss al Bazir, il quale se ne andò contento, come se gli si fosse regalata una intera provincia.

— Che cosa pensi di fare, fratello? — chiese Yanez appena il Dayaco ebbe sgombrato il ponte.

— Di agire immediatamente, — rispose Sandokan. — Fra un’ora sarà notte fatta e manderemo a prendere il pescatore.

— E poi?

— Quando sapremo dove trovasi Tremal-Naik, saliremo a Sarawack e andremo a trovare James Brooke.

— James Brooke?

— Non andremo già come pirati, ma come grandi personaggi. Tu sarai un ambasciatore olandese.

— Si corre un brutto pericolo, Sandokan. Se Brooke si accorge della gherminella, ci farà appiccare.

— Non aver timore, Yanez. La corda che impiccherà la Tigre non è stata ancora intrecciata.

— Capitano, — disse in quell’istante Hirundo, avvicinandosi a Sandokan, — Arrivano delle navi.

La Tigre della Malesia e Yanez si volsero verso la foce del fiume e videro due brigantini da guerra, con bandiera inglese e con numerose artiglierie, bordeggiare al largo, cercando di girare la punta Montalbar.

— Oh! — fece Yanez. — Vi sono nuovi vascelli da guerra!

— Ti sorprende, forse? — chiese la Tigre della Malesia.

— Un poco, fratello. Qui, in questo fiume, sotto gli occhi di Brooke, non mi sento sicuro. Dubito di tutti.

— Hai torto, Yanez. Vascelli inglesi ve ne sono sempre qui.

I due brigantini, dopo aver bordeggiato per una mezz’ora, entrarono nella fiumana, rimorchiati da una mezza dozzina di imbarcazioni. Salutarono la bandiera del rajah con due colpi di cannone, passarono a tribordo dell'Helgoland e andarono a gettar l’ancora l’uno a dritta e l’altro a sinistra del Realista, ad una distanza di soli venti metri. Quando la manovra fu terminata, le tenebre calavano rapidamente, coprendo le boscaglie, gli scogli, le barche, le giunche, i prahos e le acque del fiume.

Era il momento scelto da Sandokan per inviare i suoi uomini a terra a prendere il pescatore. Un’imbarcazione fu calata in mare e Hirundo assieme ad altri tre pirati vi discese, arrancando verso la riva. Non aveva fatto ancora due giri, quando il portoghese gli corse incontro col viso stravolto e gli occhi pieni di spavento.

— Sandokan! — esclamò.

— Cos’hai? — chiese il pirata. — Perché quella faccia atterrita?

— Sandokan, si prepara qualche cosa contro di noi.

— È impossibile! — esclamò la Tigre, girando all’intorno uno sguardo pieno di minaccia.

— Sì, Sandokan, si prepara un attacco. Guarda verso il mare.

Sandokan, inquieto suo malgrado, diresse gli sguardi verso la foce del fiume. Le sue mani si aprirono e si chiusero attorno al kriss e alla scimitarra. Un sordo ruggito gli uscì dalle labbra frementi.

Là, presso alle scogliere, scorgevasi una massa nera, enorme, minacciosa, ancorata in maniera da sbarrare l’uscita. Non ci volle molto a riconoscerla per un vascello di grandi dimensioni, che presentava il fianco allHelgoland.

— Folgori del cielo! — mormorò con estrema rabbia. — Sarebbe vero?... Eppure non lo credo.

— Ma non vedi che ci presenta la bocca dei suoi cannoni? — disse Yanez.

— Ma chi ci deve aver traditi?

— Forse la cannoniera.

— Non è possibile. La cannoniera andava al nord.

— Ma alle due del mattino gli uomini di guardia hanno veduto una massa nera, rapidissima, filare verso Sarawack.

— E tu vuoi che...

— La cannoniera ci avrà traditi, — terminò Yanez. — Forse ha raccolto gl’inglesi delle imbarcazioni e, chissà, forse l’uomo che gridò : «Olà, della cannoniera!» era un marinaio inglese gettatosi in mare durante il combattimento.

Sandokan si volse e diresse gli sguardi verso il Realista. La nave di James Brooke era ancora al suo posto, ma le due navi inglesi si erano considerevolmente avvicinate all'Helgoland che trovavasi così preso fra due fuochi.

— Ah! — esclamò il terribile uomo, — volete battaglia? Ebbene sia! Vi farò vedere chi sono io al baleno dei miei cannoni!

Non aveva ancora terminato, che un urlo acutissimo partì dalla riva sinistra, nella direzione presa da Hirundo.

— Aiuto! aiuto! — si udì gridare.

Sandokan, Yanez ed i pirati balzarono come un solo uomo, a tribordo, cercando di distinguere ciò che accadeva sotto la tenebrosa foresta.

— Quale voce! — esclamò un pirata.

— Che Dinata mi faccia tagliare la testa se non era la voce di Hirundo, — disse un dayaco d’atletica statura.

— Ehi! Hirundo? — gridò Yanez.

Due colpi di fucile scoppiarono tra le boscaglie, seguiti da quattro tonfi.

Quantunque l’oscurità fosse profonda, i pirati scorsero quattro uomini che nuotavano disperatamente, dirigendosi verso la nave.

— E’ Hirundo! — esclamò un pirata.

— Ohe! la cosa diventa seria! — esclamò un altro.

— Che ci si giuochi un brutto tiro? — chiese il terzo.

— Silenzio, ragazzi, — disse la Tigre. — Gettate delle funi.

I quattro uomini, che nuotavano come pesci, in pochi istanti giunsero sotto il vascello. Aggrapparsi alle funi e arrampicarsi fino alla murata, fu per essi l’affare di un solo istante.


— Hirundo! — esclamò Sandokan, riconoscendo in quei quattro uomini i pirati inviati poco prima in cerca del pescatore.

— Capitano, — gridò il Dayaco, scuotendosi di dosso l’acqua. — Siamo circondati.

— Folgori del cielo! — tuonò la Tigre. — Presto, narra ciò che hai veduto.

— Ho visto là sotto, in quei boschi, soldati del rajah, armati di fucili, appiattati dietro i tronchi degli alberi e in mezzo ai cespugli. Pare che non attendano che un segnale per incominciare il fuoco.

— Sei certo di non esserti ingannato?

— Ci sono più di duecento uomini e li ho veduti con questi occhi. Non avete udito i due colpi di fucile che ci hanno sparato contro?

— Sì, ho udito.

— Che cosa facciamo, fratello? — chiese Yanez.

— Ritirarsi non è possibile. Ci prepareremo, e alla prima cannonata daremo battaglia. Tigrotti, a me!

I pirati, che si tenevano a rispettosa distanza, alla chiamata della Tigre si fecero innanzi. I loro occhi brillavano e le loro mani accarezzavano le impugnature dei kriss. Sapevano già di che cosa si trattava e fremevano d’impazienza.

— Tigrotti di Mompracem, — disse Sandokan, — James Brooke, lo sterminatore dei pirati malesi, si prepara a darci battaglia. Ci sono migliaia di uomini, migliaia di Malesi e di Dayachi assassinati da quell’uomo, che da tanti anni chiedono ai loro confratelli vendetta. Giurate dinanzi a me di vendicare quegli uomini.

— Lo giuriamo, — risposero in coro i pirati, in preda ad un terribile entusiasmo.

— Tigrotti di Mompracem, — riprese Sandokan, — siamo uno contro quattro, ma la Tigre della Malesia è con voi. Ferro e fuoco finché ci saranno polvere e palle a bordo, poi fiamme da prua a poppa. Questa notte bisognerà mostrare a quei cani come sanno combattere i tigrotti della selvaggia Mompracem, guidati dalla Tigre della Malesia. Ai vostri posti, tigrotti, ai vostri posti! Al mio comando, fuoco!

Un sordo urlo rispose alle magiche parole della Tigre della Malesia. I pirati con Yanez alla testa, si precipitarono nella batteria, drizzando le nere gole dei bronzi verso le navi nemiche.

Sul ponte rimasero due pirati, ritti accanto alla ruota del timone, e Sandokan che dal castello di prua spiava attentamente le mosse del nemico.

Le quattro navi che si preparavano a sfasciare l'Helgoland coi loro quaranta cannoni sembrava che dormissero profondamente. Nessun rumore si udiva sui loro ponti; però si vedevano delle ombre agitarsi a prua ed a poppa.

— Si preparano, — mormorò Sandokan coi denti stretti. — Fra dieci minuti questa baia s’illuminerà sotto il fuoco di cinquanta o più cannoni; fra dieci minuti questa quiete solenne sarà rotta dal ruggito dei bronzi, dallo scoppio delle bombe, dal sibilo delle palle, dalle urla dei feriti, dagli urrà dei vincitori. Quanto sarà bello lo spettacolo!

D’improvviso la sua fronte si corrugò.

— E Ada? — mormorò; — se una palla la cogliesse? Sambigliong!... Sambigliong!

Il Dayaco che portava quel nome accorse prontamente alla chiamata del suo capo.

— Eccomi, capitano, — rispose.

— Dov’è Kammamuri? — chiese Sandokan.

— Nella cabina della Vergine della pagoda.

— Andrai a raggiungerlo e accumulerai intorno alle pareti della cabina quante botti, quanto ferraccio e quanti pagliericci troverai nella stiva e nel quadro di poppa.

— Si tratta di difendere dalle palle la cabina della Vergine?

— Sì, Sambigliong.

- Lasciate fare a me, capitano. Il ferro non giungerà là dentro.

— Va’, amico mio!

— Una parola, capitano. Dovrò rimanere nella cabina?

— Sì, e t’incaricherai di salvare la Vergine se saremo costretti a lasciare la nave. So che tu sei il miglior nuotatore della Malesia. Affrettati, Sambigliong: il nemico si prepara ad assalirci.

Il Dayaco si precipitò verso poppa. Sandokan tornò in mezzo alla nave guardando attentamente il fiume.

Dal vascello che sbarrava la foce del fiume erasi improvvisamente alzato un razzo. Quasi nel medesimo istante un lampo balenava sul ponte del Realista, seguito da una formidabile detonazione.

La Tigre della Malesia spiccò un salto, mentre l’estremità dell’albero di maistra, smussata da una palla da otto, cadeva in coperta con gran fracasso.

— Tigrotti! — urlò egli. — Fuoco! Fuoco!

Un urlo tremendo gli rispose:

— Viva la Tigre della Malesia! Viva Mompracem!

Successe un breve silenzio, un silenzio minaccioso, poi la piccola rada s’incendiò da un capo all’altro.

Dalle quattro navi nemiche uscivano vampe, fumo e palle, rompendo ovunque le tenebre e il silenzio della notte; dalle foreste usciva un fuoco nutrito di moschetteria, che si estendeva con incredibile celerità a destra ed a sinistra.

La battaglia era cominciata. I cinque vascelli combattevano con rabbia indicibile, lampeggiando, tuonando, vomitando uragani di ferro, che fendevano l’aria con fischi stridenti.

L'Helgoland, in mezzo alla baia, solidamente ancorato, si difendeva con furia indicibile contro i giganti che lo coprivano di ferro.

Tuonava a babordo, tuonava a tribordo senza perdere un colpo, rispondendo colla mitraglia alla mitraglia, colle bombe alle bombe, atterrando gli alberi, massacrando le manovre, smontando i cannoni, sfondando le batterie, forando le carene, tempestando le foreste sotto le quali infuriavano i soldati di James Brooke.

Sembrava un vascello di ferro difeso da un esercito di titani.

Cadevano i suoi pennoni, tentennavano i suoi alberi, si sventravano le sue imbarcazioni, si demolivano le murate, si sfasciavano i suoi fianchi, si ammazzavano i suoi uomini, ma che importava? Polvere e palle ce n’erano per tutti, e l'Helgoland rispondeva a tutti con crescente furia, con crescente rabbia, risoluto a perire anziché arrendersi.

— Vendetta! Viva Mompracem!

La Tigre della Malesia, in mezzo al ponte, guardava l’orribile spettacolo.

Come era bello quel formidabile uomo, là sul ponte del suo vascello, che gli tremava sotto i piedi, al chiarore di cinquanta cannoni, cogli occhi in fiamme, i capelli sciolti al vento, le labbra aperte ad un terribile sorriso e la scimitarra in pugno! Come era bello quel pirata che sorrideva, mentre la morte gli fischiava attorno, mentre gli alberi cadevano dinanzi e dietro a lui, mentre la mitraglia ruggiva ai suoi orecchi schiantando le tavole del ponte, mentre le bombe scoppiavano, lanciando a trecento metri le loro schegge infuocate!

Gli stessi suoi nemici, nel vederlo là sull’eroico vascello, impassibile fra l’uragano di ferro, si sentivano presi da una voglia matta di urlare:

— Viva la Tigre della Malesia! Viva l’eroe della pirateria malese!

La battaglia durava da mezz’ora, sempre più tremenda, sempre più accanita. L’Helgoland, schiacciato dal fuoco non interrotto di quelle cinquanta bocche, sbranato dalla mitraglia, dilaniato dalla tempesta di bombe che cadeva sempre più fitta, non era più che una fumante carcassa.

Non alberi, non manovre, non murate, non un madiero intero. Era una spugna, attraverso i cui fori si precipitava fischiando l’acqua del fiume. Tirava ancora, rispondeva sempre, a quei quattro nemici che avevano giurato di colarlo a picco, ma non si sentiva più capace di continuare. Già dieci pirati giacevano nella batteria, senza vita; già due cannoni non tuonavano più, distrutti dal fuoco infernale del nemico; già le bombe venivano meno, già la poppa piena d’acqua calava a poco a poco. Dieci, forse quindici minuti ancora, e l'Helgoland sarebbe andato a picco.

Yanez, che faceva bravamente il suo dovere, scaricando un cannone dei più grossi, si avvide della gravita della situazione.

A rischio di ricevere una scarica di mitraglia nella testa, si slanciò sul ponte, in mezzo al quale stava la Tigre della Malesia.

— Fratello! — gridò.

— Fuoco, Yanez!... fuoco!... — tuonò Sandokan. — Essi corrono all’abbordaggio.

— Non possiamo più sostenerci, fratello! Il vascello va a picco!...

Uno schianto formidabile seguì queste parole. Il castello di prua, sbranato da una bordata di granate, era caduto, sfondando parte della coperta e della camera dei marinai. La Tigre della Malesia emise un grido di rabbia.

— È finita! A me, tigrotti, a me!...

Si precipitò nella batteria dalla quale i tigrotti di Mompracem continuavano a bombardare i vascelli nemici. Un uomo, il maharatto Kammamuri, gli sbarrò la via.

— Capitano, — disse, — l’acqua invade la cabina della Vergine.

— Dov’è Sambigliong? — chiese la Tigre.

— Nella cabina.

— È viva la Vergine?

— Sì, capitano.

— Conducetela sul ponte e state pronti a gettarvi nel fiume. Tigrotti, tutti in coperta!

I pirati scaricarono un’ultima volta i cannoni e salirono sulla coperta ingombra di rottami.

Le navi nemiche, rimorchiate da alcune scialuppe, si avvicinavano per abbordare l'Helgoland.

— Sandokan! — gridò Yanez, non vedendo comparire il terribile uomo. — Sandokan!

Risposero le urla vittoriose degli equipaggi nemici e le carabine dei pirati.

— Sandokan! — ripetè, — Sandokan!

— Eccomi, fratello, — rispose una voce.

La Tigre della Malesia si slanciò sul ponte colla scimitarra nella destra e una torcia accesa nella sinistra. Dietro a lui venivano Sambigliong e Kammamuri, portando la Vergine della pagoda.

— Tigrotti di Mompracem! — tuonò Sandokan. — Fuoco ancora una volta!

— Viva la Tigre! Viva Mopracem! — urlarono i pirati, scaricando le carabine contro i quattro vascelli.

L'Helgoland traballava come un ubriaco e fendevasi rapidamente, sotto le continue scariche del nemico.

Pei fianchi squarciati entravano, muggendo, le acque, trascinandolo rapidamente a picco.

Da prua, da poppa, dai boccaporti, dai sabordi delle batterie uscivano dense colonne di fumo.

La voce della Tigre della Malesia, squillante come una tromba, si fece ancora udire fra il rombo dei cannoni.

— Si salvi chi può!... Sambigliong, gettati nel fiume colla Vergine!...

Il Dayaco e Kammamuri balzarono in acqua assieme alla giovanetta che aveva perduto i sensi, e dietro di loro si precipitarono tutti gli altri, nuotando fra le navi nemiche che si trovavano bordo contro bordo col vascello affondante.

Sul legno era rimasto un uomo. Era la Tigre della Malesia. Nella destra stringeva ancora la scimitarra e nella sinistra la torcia. Un terribile sogghigno errava sulle sue labbra: un lampo feroce balenava nei suoi occhi.

— Viva Mompracem! — lo si udì gridare.

Un urrà formidabile echeggiò nell’aria. Venti, quaranta, cento uomini si slanciarono colle armi in pugno sul ponte oscillante dell'Helgoland.

La Tigre della Malesia non li attese. Con un balzo prodigioso superò la murata e sparve nelle acque del fiume.

Quasi nel medesimo istante l’affondante vascello si apriva con un rimbombo orrendo e una fiamma gigantesca slanciavasi verso il cielo illuminando il fiume, le navi nemiche, i boschi, i monti, scagliando a destra ed a sinistra miriadi di rottami incandescenti.

Vascelli ed equipaggi sparvero fra il fumo e le fiamme dell'Helgoland, saltato in aria per lo scoppio della polveriera!...