I capitoli/Capitolo pastorale

Capitolo pastorale

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Dell'Ambizione

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CAPITOLO.


POscia che all’ombra sotto questo alloro
     Veggo pascere intorno il mio armento
     3Vuo’ dar principio a più alto lavoro.
Se mai, fistula dolce, il tuo concento
     Fe’ gir li sassi, fe’ muover le pianti,
     6Fermare i fiumi, e racchetare il vento;
Mostra ora e’ tuoi valori uniti e tanti
     Che la terra ammirata e lieta resti,
     9E rallegrisi il Ciel de’ nostri canti.
Benchè altra voce ed altro stil vorresti;
     Perchè a laldar tanta beltade appieno
     12Più alto ingegno convien che si desti.
Che d’un giovan celeste e non terreno,
     Di modi eccelsi, di divin costumi,
     15Convien per uom divin le laudi sieno.
Porgimi dunque, Febo, de’ tua lumi,
     Se mai priego mortal per te s’intende,
     18Fa che la mente mia oscura allumi.
Io veggo la tua faccia che raccende
     Più che l’usato un vivace splendore,
     21Nè vento o nube questo giorno offende.
Talchè ajutato dal tuo gran valore,
     O sacro Apollo, e da tue forze io voglio
     24Spenderlo in fare al tuo Iacinto onore.
Iacinto il nome tuo celebrar soglio,
     E per farne memoria a chiunque vive,
     27Lo scrivo in ogni tronco, in ogni scoglio.

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Dipoi le tue bellezze egregie e dive,
     E le tue opre atte ad onorare
     30Qualunque di te parla o di te scrive.
Il Ciel la sua virtù volle mostrare,
     Quando ci dette cosa sì suprema,
     33Per parte a noi di sue bellezze fare,
Onde ogni lume innanzi a questo scema,
     Prima guardando quella chioma degna
     36D’ogni corona e d’ogni diadema.
Poi lo splendor che in quella fronte regna,
     Con ogni parte in se considerata,
     39Quanto Natura ha di valor c’insegna.
Vedi poi il resto a quella accomodata,
     Odi il suon poi de’ suoi grati sermoni,
     42Da far un marmo, una pietra animata.
Sicchè ride la terra ove il piè poni,
     E rallegrasi l’aria dove arriva
     45Della tua voce li graziosi suoni.
Poi si secca l’erbetta che fioriva,
     Quando ti parti, sicchè afflitta resta
     48E l’aria duolsi de’ tuo’ accenti priva.
Nè cosa manco degna par di questa,
     D’acquistar fama un natural desio,
     51Che farà la tua gloria manifesta.
Talchè i’ prego ch’i’ possa, o Giove dio,
     Fra tante tube che lo esalteranno,
     54Far risonare un rozzo corno anch’io.
Tutti i pastor che in queste selve stanno,
     Senza riguardo a l’età juvenile,
     57Ogni lor differenzia in te posto hanno.
Tu col tuo destro ingegno e signorile
     Per vari modi e per diversi inventi,
     60Gli fai ritornar lieti al loro ovile.

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Pietoso se’ se qualche miser senti
     Per contraria fortuna o per amore,
     63Col tuo dolce parlar tu lo contenti.
Non che gloria tu sia d’ogni pastore,
     Come ognun veder può le selve adorni
     66Quale ogni Dio di quelle abitatore.
Nè vi duol più che Diana soggiorni
     In cielo o selve, nè Febo curate
     69D’Ameto a riguardar li armenti torni.
Nè di Ecuba il figliuol più non chiamate
     Non Cefal, non Atlanta, perchè più
     72Felice con costui, più liete state.
In te veggo adunata ogni virtù,
     Nè maraviglia par, perchè a plasmarti
     75Non uno Dio a tanta opera fu.
Quando al principio Dio volse crearti
     Il primo magisterio a Vulcan diede,
     78Per più bel, più giocondo o lieto farti.
Or poichè Giove creato ti vede,
     Sì allegro si mostra e lieto in vista,
     81Che dubbia del suo stato Ganimede.
Però che in quella terra d’acqua mista
     Uno spirito tal Minerva immisse,
     84Qual mai tempo o fatica non acquista.
Intorno al capo tuo Vener poi fisse
     Le sua grazie immortali, ed ai pastori
     87Benigno viverai e grato, disse.
L’ore bianche viole e freschi fiori
     Colson liete dipoi, e con quei suci
     90Ti sparson tutto, e con variati odori.
Marte feroce, onde tu più riluci,
     Nel generoso petto un core incluse
     93Simile a Cesar Duca, agli altri Duci.

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Un astuto veder Mercurio infuse,
     Onde la lieta fortuna e li affanni,
     96E le fatiche tieni aperte o chiuse,
Iunone un alma ne’ privati panni
     Pose, da dominare imperio e regni;
     99E Saturno ti diè di Nestor li anni.
O don di tanti Dei, fa che tu degni
     Ricever me fra tuoi fedel soggetti,
     102Se aver tal servidor tu non isdegni.
E s’i’ vedrò il mio canto ti diletti,
     Versi ’n tua laude gloriosi e immensi
     105Suoneran questa valle e quei poggetti.
Che sono i pensier mia in modo intensi
     A compiacerti, ch’i’ desider solo
     108Io d’ubbidir, tu di comandar pensi.
E bench’i’ sia nutrito da lo stuolo
     D’esti rozzi pastor, di te parlando
     111Assai più all’alto che l’usato volo.
Ancor più su andar mi vedrai quando
     Conoscerò che ti sia accetto il dono,
     114Ch’i’ venga le tue laude recitando.
Oltra di questo ciò ch’i’ ho ti dono,
     Tuo è l’armento che tu vedi, ancora
     117Queste povere pecore tua sono.
Ma perchè li è quasi venuta l’ora,
     Che prendon li animal qualche riposo,
     120E ’l Vespertilio sol si vede fuora;
Celerò quello amor ch’i’ porto ascoso,
     Ed a casa n’andrò col mio armento,
     123Sperando un dì tornar più glorioso
A cantar le tue laude, e più contento.