I bambini delle diverse nazioni/I bambini italiani

I bambini italiani

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Ai piccoli lettori I bimbi francesi

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BAMBINI ITALIANI



II
bimbi quando aprono gli occhi sotto il bel cielo d’Italia, se potessero capire quanto furono preferiti dalla Provvidenza, dovrebbero giungere le manine, e rendere atto di grazia a Dio.

Il magnifico paese che fu ognora guardato dagli stranieri con occhi avidi, che li attira irresistibilmente al di qua delle Alpi e che affascinò fino nei secoli più remoti la fantasia dei nordici invasori; il paese dalle alte montagne nevose, dai grandi e limpidi laghi, dalle pianure ridenti, dalle colline coperte di ulivi e di vigne, il paese che si tuffa nei suoi mari azzurri, il paese in cui l’arte, emula della natura, ha seminato ovunque i suoi tesori, è la vostra patria, o bambini, la patria che imparate ad amare, senza che nessuno vi dica che questo sentimento è per voi un dovere.

Si vuole che una grande malinconia invada i piccoli italiani destinati a trascorrere la vita lungi dalla patria, nelle grandi città dove il sole riesce raramente a rompere le nebbie, dove i fiori sono un lusso dei ricchi, dove l’arte [p. 2 modifica] è custodita nei musei come le piante rare in un tepidario. Quei bambini, benchè circondati di agi maggiori, benchè meglio albergati e meglio nutriti che in patria, anelano inconsciamente il loro paese, dove il sole scalda il cuore come le membra, dove i fiori crescono tutto l'anno per tutti, dove la miseria è meno dura a sopportarsi quando il povero si può rifugiare nelle magnifiche chiese, che sono i suoi palazzi, e aggirarsi fra i monumenti, che sono il patrimonio glorioso di tutta la nazione.

Il bambino, appena viene al mondo, è adorato dalla madre sua. Ne ho vedute tante delle donne in adorazione davanti ai loro piccini, e nel loro sguardo ho ritrovato sempre quella ineffabile contentezza che Raffaello ha posto negli occhi delle sue Madonne, quel sorriso di compiacenza che schiude le labbra di ogni madre quando contempla il suo ultimo nato.

In molte provincie d’Italia il bambino si battezza il giorno stesso della nascita o quello successivo, come in Toscana; in altre si attende che la madre possa alzarsi a prender parte al rinfresco e al pranzo che si dà in onore del nuovo cristiano; in altre infine, come a Napoli, il bambino si battezza in seguito e qualche volta il piccino si accosta con le sue gambette al fonte battesimale, condotto dal compare e dalla comare, che sono garanti dinanzi a Dio e alla Chiesa delle promesse che fanno a nome del piccolo battezzato.

È sempre un giorno lieto nelle famiglie dei signori e dei popolani quello del battesimo, e anche fra i poveri il compare, i parenti più stretti, la comare cercano di fare sparire la miseria e di preparare una festicciuola, affinchè il bambino, entri lietamente nella vita.

Quasi tutte le madri adesso allevano i loro bambini. Questa consuetudine che era rimasta limitata al popolo e alla [p. 3 modifica]gente di campagna, va doventando di nuovo generale. Poche sono le madri che si ricusano di allattare, e molte invece sono quelle le quali non potendo sottoporsi a quella fatica per malferma salute, si affliggono di non poter nutrire i loro piccini e dar loro tutte quelle prime cure, che formano un legame di più fra madre e figlio.

Ormai la donna fatta più colta, istruita dei doveri che le incombono, si occupa molto dei suoi bambini, anche se nata in quelle sfere sociali in cui più facile le sarebbe di affidarli ad altri. Fra le signore vi è una gara di amor figliale; ogni dama vuol soverchiare tutte le sue simili a forza di amore materno, e ormai ella non trascura più il bambino; lo vuole bello, sano, intelligente e si orna di lui come del suo più bel gioiello.

Questo fa sì che voi, bambini, non siate più da compiangere come furono quelli che nacquero nel nostro paese, nelle sfere alte e nelle basse quando la miseria, prodotta dalla servitù, dalle divisioni lo aveva spartito in tante piccole provincie governate separatamente dagli stranieri, o da principi che ubbidivano al cenno di potenti sovrani.

Pare, dacchè la libertà è ritornata a insediarsi da noi, dacchè la nostra bandiera sventola gloriosa in terra e in mare, che tutti gli affetti gentili si sieno ridestati, e più potente fra questi l’amore materno.

Mentre prima il bambino era un ospite incomodo, che si relegava lontano dai genitori affinchè non amareggiasse loro la vita, ora è il piccolo sovrano della casa: il padre lotta per assicurargli l’agiatezza, la madre combatte per preservarlo dalle malattie, per fornirlo di forti muscoli e di sangue affinchè entri robusto nella vita, e tutti e due sono concordi nel risparmiargli ogni pena, nel farlo persuaso che da lui dipende la loro felicità, il loro riposo. [p. 4 modifica]

Questo misto di cure e di amore, rende, voi bambini, un po’ egoisti, ma la colpa non è vostra, poichè sono i genitori stessi, che si studiano di celarvi quante pene costate loro, quanti sacrifizi fanno per darvi la salute e l’istruzione.

I bambini del popolo nelle città grandi sono mandati all’asilo dalle monache o dalle maestre secolari, dalla mattina alla sera. In quegli asili, molti dei quali sono fondati sul sistema froebeliano, che consiste nell’insegnare al bambino ad occuparsi e nel combattere l’istinto della distruzione che è innato in lui riducendolo a bisogno di edificare, in quegli asili dico, s’insegna poco, ma il bambino messo a contatto con i suoi coetanei, costretto a una certa disciplina, si prepara alla scuola, dove entrerebbe con tutte le ribellioni di un piccolo selvaggio, se non fosse sottoposto prima a quel tirocinio.

I bambini dei signori sono generalmente affidati a una bambinaia straniera, che sotto la sorveglianza della madre insegna loro il tedesco, il francese, o l’inglese e la calligrafia; che racconta loro delle novelle, delle piccole storie senza affaticarli, e li fa molto passeggiare e li sorveglia di continuo.

A sette anni circa, popolani, cittadini e patrizi vanno tutti alla scuola; i due primi in quelle pubbliche; gli altri a preferenza in quelle private, poichè le madri temono sempre per i loro bambini i cattivi compagni, e se potessero li terrebbero di continuo presso di sè.

Come insegnamento, fra le scuole pubbliche e le private vi è poca differenza: nelle seconde si insegnano anche le lingue straniere, il pianoforte, il disegno, cose tutte che non entrano nel programma delle prime. Ogni anno nel mese di luglio vi sono gli esami in ogni scuola, e chi raggiunge un certo numero di punti passa alla classe superiore, poi si [p. 5 modifica]distribuiscono le ricompense, e i piccoli premiati ricevono dalle mani del Sindaco le medaglie e i libri con grande pompa.

Quella cerimonia fatta a Roma sul colle Capitolino, dinanzi alla statua di Marc’Aurelio, ha un carattere molto solenne, e tale da lasciare un’impronta profonda nei piccoli premiati.

Finchè i bambini rimangono nelle classi elementari c’è poco divario fra i figli dei patrizi, dei cittadini e quelli dei poveri, ma quando l’insegnamento elementare è terminato, allora i primi vanno al ginnasio o in un collegio, i secondi seguono a preferenza le scuole tecniche, e i terzi, sapendo ormai leggere, scrivere, fare le quattro regole dell’aritmetica e poco più, debbono mettersi a un mestiere per contribuire con i loro piccoli guadagni settimanali al proprio sostentamento. Così, mentre essi nell’infanzia si trovavano a contatto con bambini agiati e come loro studiavano senza lavorare, ora lavorano e gli altri continuano a istruirsi e sempre maggiore diviene la distanza che li separa dai loro antichi compagni.

Qualche scampagnata nei giorni festivi, qualche domenica passata al mare in estate sono i soli passatempi dei piccoli operai, i quali, mentre i cittadini e i signori studiano, per farsi una posizione sociale, s’impratichiscono nel mestiere da essi scelto e lavorano per potere un giorno provvedere a se stessi e alla famiglia che si creeranno.

Le bambine, se figlie d’operai, seguono, dopo la scuola elementare, i corsi della scuola professionale, oppure vanno ad imparare a ricamare, a fare la sarta o la modista presso chi esercita quei mestieri. Se i genitori invece vogliono farle maestre, esse debbono seguire i corsi superiori, la scuola normale e finalmente la scuola di magistero; se invece le dedicano al commercio, le scuole tecniche e commerciali. [p. 6 modifica]

Molte bambine di famiglie agiate e appartenenti al patriziato, sono messe nei grandi educandati come la SS. Annunziata a Firenze, la Trinità dei Monti a Roma, ec., dove vengono istruite nelle scienze, nelle lingue e si danno loro quei rudimenti delle arti belle, necessari a far di quelle ragazze delle signorine destinate a figurare nel mondo.

Anche per le figlie di popolani, per le orfane, ci sono conventi e istituti fondati e sostenuti dalla carità pubblica e privata, dove si educano le ragazze al lavoro, e dove si cerca di dar loro un mestiere, che le ponga al coperto dalla miseria.

Non sono molti i giorni di grandi feste per i piccoli italiani. Nell’Italia settentrionale e centrale si festeggia nelle famiglie l’anniversario della nascita dei bambini e si danno loro dolci e regali; a Roma come nell’Italia meridionale si festeggia invece l’onomastico, e si augurano al festeggiato: «cento di questi giorni» quasi fosse un lieto augurio quello, quasi i cento e più anni di vita che gli si desiderano potessero trascorrere per lui egualmente sereni.

Una festa comune a tutti i bambini d’Italia è il Natale, il buon Ceppo che porta regali ai buoni e anche ai cattivi, ai quali sa perdonare i trascorsi con grande indulgenza.

In quel giorno si mangia il cappone, si mangiano i tortelli e lo zampone in quasi tutta l’Italia.

Nelle famiglie italiane si fa una gran festa bambinesca per l’Epifania, che vien chiamata, per corruzione Befana. È lei, nella maggior parte d’Italia, che empie la calza di doni, quando i bimbi l’appendono al camino e che qualche volta si diverte a metterci cenere e carbone se i bimbi furono cattivi. A Bologna e in Lombardia la dispensatrice di doni è Santa Lucia, che ricorre il 13 dicembre; in Sicilia sono i morti, i buoni defunti che anche nell’eternità dove [p. 7 modifica]sono, pensano ai bimbi della loro famiglia e portano doni il 2 novembre, che è il giorno sacro alle anime.

Il carnevale con le mascherate e i divertimenti popolari dà ore d’allegria ai bimbi italiani e ai non ricchi pure, i quali con poca spesa sono associati alle feste. Nelle case dei ricchi si danno balli e rappresentazioni per divertire i piccini, e ognuno cerca di far passar loro lietamente quei giorni di generale sollazzo.

L’estate, una trentina di anni fa, non si passava come si passa adesso, al mare, in montagna o in viaggio. I signori Una spiaggia italiana nell’estate andavano nelle loro ville e vi restavano fino all’autunno inoltrato, i cittadini e gli operai non si movevano dai paesi e dalle città. Ora invece appena i bimbi hanno dato gli esami si chiudono i bauli già preparati, si fanno le valigie, e i bimbi sono condotti sulle spiagge bellissime dove passano [p. 8 modifica]il tempo con i piedi nell’acqua, curvi per terra a far le buche nella sabbia o a lanciare bastimentini nel mare. L’aria marina dà loro forza e vigore, a vederli così sulla spiaggia, sotto la sferza del sole di luglio, paiono figure di bronzo.

In montagna invece fanno lunghe passeggiate in luoghi alpestri, cavalcate sui somari, e ovunque essi imparano ad ammirare questo meraviglioso paese così bello e vario in ogni regione.

La carità ha pensato anche ai poveri bambini delle città, che hanno bisogno di aria marina. Sopra ogni spiaggia si vedono giungere lunghe processioni di bambini guidati dalle suore; sono macilenti, con un’espressione triste e stanca, propria di chi soffre; e quando partono hanno anch’essi preso vigore, sono bruni e vispi.

Ora si vanno istituendo anche delle stazioni sui monti per i bambini delle città, e non conosco davvero carità più santa di quella che si prefigge di render forti quei corpicini, che dal vigore appunto delle membra sperano il sostentamento di tutta la vita.

I bimbi dei possidenti, dei ricchi passano l’autunno in campagna nei loro possessi e quella è la stagione più lieta dell’anno. Molti di quei bimbi montano a cavallo insieme col babbo per visitare i poderi, vanno al paretaio o al róccolo a chiappar gli uccelli, vanno con la civetta, e qualche volta si vedono col fucile in ispalla addestrarsi alla caccia.

Se per essi quella stagione è lieta, è anche molto istruttiva. Senza fatica essi imparano allora a conoscere i loro contadini, si baloccano con quelli che un giorno dovranno coltivare le loro terre, e ne nasce fra padrone e affittuario o padrone e mezzadro, secondo con qual sistema sono tenuti i possessi, una dimestichezza che è utile ad entrambi. Inoltre i bambini imparano fino dall’infanzia i diversi generi di [p. 9 modifica]cultura praticati, e vedono con i loro occhi quelle miserie ereditarie che essi sono chiamati a sanare quando saranno in età di farlo.

Fin qui mi sono occupata soltanto dei bimbi delle città e dei paesi, quelli che vivono a un dipresso nello stesso modo e sono istruiti quasi egualmente, ma noi abbiamo in Italia una quantità di bambini, che vivono fuori della regola generale e che formano delle eccezioni grandissime.

Il bambino del marinaro, per esempio, è una di quelle eccezioni. Fino da piccolo s’imbarca col padre o con un parente sopra una paranza da pesca, sopra una manaide oppure sopra uno dei tanti piccoli bastimenti che esercitano il cabotaggio sulle nostre coste, e per lui non vi sono scuole, non vi sono feste. La scuola egli la fa imparando a salire sulle sartie come un gatto, a reggersi agli alberi per chiudere le vele quando il mare imprime un movimento violento al bastimento e le raffiche minacciano di portarlo via, la fa imparando a conoscere i venti, a leggere nelle nubi le profezie delle calme o degli uragani, la fa imparando a conoscere le coste sulle quali naviga più di frequente, come gli altri bambini conoscono la loro camera da letto. Quando il bastimento non si governa più, quando gli uomini soli possono lottare, i bambini vengono chiusi nella stiva e qualche volta periscono miseramente senza rivedere il sole, rimangono sotterrati nel fondo del mare. Ma i più invece fatti grandi, fatti esperti e vigorosi visitano l’Oriente, la Francia, la Spagna; vanno alla pesca del corallo sulle coste di Algeria e un giorno, quando toccano i venti anni, passano al servizio dello Stato già addestrati nelle manovre, già assuefatti alle fatiche, alle privazioni ed alla disciplina; allora imparano a leggere e a scrivere e formano quella marina da guerra che è l’orgoglio di ogni italiano. [p. 10 modifica]

Trovandosi a contatto continuo col pericolo, i piccoli marinari crescono pii, e se sono in terra la domenica si vedono assistere devotamente alla messa e pregare.

Nelle alpestri montagne che stanno al confine fra l’antico Stato Pontificio e il regno di Napoli, vi è una regione chiamata la Ciociaria, in cui la terra poco fertile nega il nutrimento ai numerosi abitanti che debbono emigrare per procurarsi il vitto. Vestiti del loro pittoresco costume, essi scendono l’inverno a Roma insieme con le mogli e i figli, e questi vendendo fiori per le strade elemosinando, servendo Suonatori ambulanti di modelli ai pittori, guadagnano qualche soldo che portano alla famiglia, la quale appena le mèssi incominciano a maturare ritorna alla casetta nel paese nativo e riprende a far la vita dei campi. Anche quei bambini belli e bruni con [p. 11 modifica]le ciocie ai piedi e il cappello guarnito di nastri e di fiori, sono fuori della regola comune; non studiano, non vanno a scuola e i romani li vedono aggruppati sulla scalinata della Trinità de’ Monti, in Via Sistina o al Pincio e assistono ai balli che improvvisano all’aria aperta al suono del tamburello.

Di questi piccoli ciociari se ne vedono pure molti a Parigi, a Londra, a Nuova-York e in tutte le grandi città. Essi, al pari dei calabresi e degli abruzzesi, esercitano il mestiere di modelli, di suonatori d’organetto, di addomesticatori di scimmie e s’incontrano spesso in mezzo a un gruppo di gente che li ascolta, mentre cantano a squarciagola le canzoni dei loro paesi. Non è raro che quei poveri bambini sieno stati venduti a incettatori che li bastonano e li maltrattano se non riportano la sera quei tanti soldi che debbono guadagnare con i loro canti e con le loro moine.

Poveri bambini! Soli, abbandonatati dai genitori, essi debbono sorridere e far sorridere, mostrarsi allegri mentre sanno quel che gli aspetta, mentre non hanno pane a sufficienza per isfamarsi!

Nelle grandi città europee e specialmente in America, s’incontrano pure i piccoli lucchesi che vendono figurine di gesso. Cupi, tristi, essi girano le strade con l’andatura stanca di quel popolo che lavora incessantemente e incessantemente pensa a raggranellare un piccolo peculio per tornare al paese e comprarvi poca terra, che lavorata, ingrassata, irrigata di continuo, gli dia da vivere. Sobrio, giudizioso e calcolatore fino dall’infanzia, al piccolo lucchese manca la spensieratezza e l’allegria che rende tanto simpatici gli italiani del mezzogiorno, ma il suo carattere lo preserva anche dalle sventure cui essi vanno incontro. Il lucchese, anche girando il mondo cerca d’istruirsi, [p. 12 modifica]impara quanti mestieri può, non si ricusa a nessun lavoro ed è ben difficile che conosca la miseria.

Fra le gole delle Alpi, al confine fra la Francia e l’Italia, nelle valli dove il sole penetra meno, ci sono dei poveri bambini che nascono afflitti da una grande miseria ereditaria. Essi hanno le sembianze umane, ma manca loro l’intelligenza. Con le gambe incrociate, le braccia penzoloni, gli occhi senza sguardo essi fissano di continuo il sole, quando possono vederlo. Del resto balbettano poche parole, non sentono l’affetto, sono sordi a tutte le parole che fanno battere il cuore; in essi parla solo l’istinto, e per questo si vedono gettarsi avidamente sul cibo, strapparlo agli animali in mezzo ai quali vivono, finchè la morte non viene a toglierli a quella inutile esistenza.

Eppure le famiglie della valle d’Aosta non considerano la nascita di un cretino come una sventura. Essi dicono che un cretino è una specie di amuleto, di Dio Lare, e che la sua presenza è un lieto augurio per la famiglia. Questo delicato sentimento risparmia a quegli infelici tanti maltrattamenti, converte in conforto una grande afflizione.

Per tutti i bambini italiani che professano la religione cattolica, i giorni della cresima e della comunione sono due giorni lieti e memorabili. Al primo vengono preparati studiando il catechismo, al secondo con un insegnamento speciale che s’imparte in casa o in un monastero in cui i comunicandi sono rinchiusi per quindici giorni o un mese, affinchè godano là dentro del raccoglimento necessario a quella solenne cerimonia, che segna il passaggio fra l’adolescenza e la giovinezza.

Oltre i cattolici vi sono in Italia i seguaci di Pietro Valdo, il primo riformatore, i quali rifugiatisi nelle Valli cosiddette Valdesi, e specialmente a Torre Pellice, sostennero fiere [p. 13 modifica]lotte contro i duchi di Savoia, prima di conquistare il diritto di esercitare liberamente la loro religione.

I figli dei Valdesi, che parlano francese dopo più secoli di soggiorno in Italia, sono bambini seri, vestiti severamente. A Torre Pellico vi sono molte e buone scuole, e anche una università valdese. La maggior parte degli uomini abbracciano lo stato religioso e si fanno pastori; le ragazze vanno nei paesi protestanti dell’estero dove imparano le diverse lingue e forniscono un contingente di maestre e d’istitutrici. Da piccole si vedono linde e pulite badare alle vacche che pascolano nei prati e intente a leggere la bibbia o altri libri.

In Calabria abbiamo pure delle forti colonie albanesi, che serbano il costume, gli usi e la religione della madre patria, e in Sicilia vi sono diversi paesi greci, dove si pratica il rito ortodosso e dove si parla greco e si veste alla foggia greca. Peraltro non vi è bambino nato sul nostro suolo benedetto che non si senta italiano, che non sia altero del glorioso passato del nostro paese, e non sia pronto a difenderne l’indipendenza.