I Suppositi (prosa)/Atto quarto

Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto
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ATTO QUARTO.




SCENA I.

EROSTATO solo.


Che debb’io far, misero me? che partito, che remedio, che scusa ci posso pigliare io, per nascondere la fallacia così prospera, e senza un minimo impedimento già doi anni sino a quest’ora continuata? Or si conoscerà se Erostrato o pur Dulipo sono io, poichè ’l vecchio padrone mio, il vero Filogono, inopinatamente c’è sopravvenuto. Cercando io Pasifilo, ed avendomi detto uno che veduto l’avea fuori della porta di Santo Paulo uscire, me n’ero andato per ritrovarlo al porto; ed ecco vedo una barca a la ripa giungere: levo gli occhi, ed ho su la proa veduto prima Lico mio conservo, e poi fuor del coperto porre a un tempo il mio vecchio padron il capo. Ho voltato súbito le piante, e son più che di fretta, per avvisarne il vero Erostrato, venuto, acciò che egli con meco, ed io con lui, al repentino infortunio, repentino consiglio ritroviamo. Ma che potressimo investigare finalmente, quando lunghissime deliberazioni ancora ne concedesse il tempo? Egli per Dulipo e famiglio di Damone per tutta la terra è conosciuto; ed io similmente sono Erostrato e di Filogono figliuolo riputato. Vien qui, Crapino; corri là, prima che quella vecchia entri in casa, e pregala che veda se Dulipo c’è, e che gli dica che venga su la strada, chè tu li vuoi parlare. Odi; non li dire ch’io sia che lo dimandi.


SCENA II.

CRAPINO, PSITERIA, EROSTRATO.


Crapino.     O vecchia... o vecchiaccia sorda... non odi tu, fantasma?

Psiteria.     Dio faccia che tu non sia mai vecchio, perchè a te non sia detto similmente.

Crapino.     Vedi un poco se è Dulipo in casa.

Psiteria.     C’è pur troppo; così non ci fusse egli mai stato!

Crapino.     Digli in servizio mio, che venghi sin qui, ch’io vô parlargli. [p. 90 modifica]

Psiteria.     Non può, perch’egli è impacciato.

Crapino.     Fagli l’imbasciata, volto mio bello.

Psiteria.     Deh, capestro, io ti dico ch’egli è impacciato.

Crapino.     E tu sei impazzata: è un gran fatto dirgli una parola?

Psiteria.     Ben sai che gli è gran fatto, ghiotto fastidioso.

Crapino.     O asina indiscreta!

Psiteria.     Oh! ti nasca la fistula, ribaldello, chè tu sarai impiccato ancora.

Crapino.     E tu sarai bruciata, brutta strega, se il cancaro non ti mangia prima.

Psiteria.     Se mi t’accosti, ti darò una bastonata.

Crapino.     S’io piglio un sasso, ti spezzerò quella testaccia balorda.

Psiteria.     Or sia in malora. Credo che sia il diavolo che mi viene a tentare.

Erostrato.     Crapino, ritorna a me; che stai tu a contendere? Aimè! ecco Filogono, il vero padron mio, che viene in qua. Non so che mi debbia fare: non voglio che mi veda in questo abito, nè prima ch’io abbia il vero Erostrato ritrovato.


SCENA III.

FILOGONO vecchio, un FERRARESE e LICO servo.


Filogono.     Sii certo, valent’uomo, che come tu dici, è così veramente; che nessuno amor a quel del padre si può agguagliare. A chi m’avesse, già tre anni, detto, non averei creduto che di questa età io mi partissi di Sicilia, ancora che faccenda di grandissima importanza di fuori accaduta mi fusse; ed ora, solo per vedere il mio figliuolo e rimenarlo meco, mi son posto in così lungo e travaglioso viaggio.

Ferrarese.     Tu vi debbi avere patito assai fatica, e mal conveniente alla tua grave età.

Filogono.     Son venuto con certi gentiluomini miei compatriotti, che avevano vóto a Loreto, sin ad Ancona; ed indi a Ravenna in una barca, che pur conducea peregrini, ma con non poco disconcio: da Ravenna poi sin qui venire a contrario di acqua, più m’ha rincresciuto che tutto il resto del cammino.

Ferrarese.     E che mali alloggiamenti vi si truovano!

Filogono.     Pessimi: ma stimo questo una ciancia verso il [p. 91 modifica]fastidio de gli importuni gabellieri che ci usano. Quante volte aperto m’hanno il forziero che ho meco in barca, e quella valigia, e rovesciato e vóltomi sottosopra ciò che v’ho dentro! Nella tasca mi hanno voluto vedere, e cercare nel seno. Io dubitai qualche volta non mi scorticassero, per vedere se tra carne e pelle avevo robba da dazio.

Ferrarese.     Ho udito che vi si fanno grandi assassinamenti.

Filogono.     Tu ne puoi essere certissimo, nè maraviglia n’ho, perchè chi cerca tali officî, è necessario che ribaldo e di pessima natura sia.

Ferrarese.     Questa passata molestia ti sarà oggi accrescimento di letizia, quando in riposo ti vederai il carissimo tuo figliuolo appresso. Ma non so perchè più presto non hai fatto a te lui giovene ritornare, che tu pigliarti di venire qui fatica, non avendoci, come tu dici, altra faccenda. Hai forse più rispetto avuto di non sviarlo dal studio, che tu medesimo porre al pericolo la vita?

Filogono.     Non è stata questa la cagione; anzi avrei piacere che non procedesse il suo studio più innanzi, pur che ritornasse a casa.

Ferrarese.     Se tu non avevi voglia che ci facesse profitto, perchè ce l’hai tu mandato?

Filogono.     Quando egli era a casa gli bolliva il sangue, come alli giovenetti è usanza, e tenea pratiche che non mi pareano buone, e facea ogni dì qualche cosa onde io non poco dispiacere ne avea; e non mi credendo io che increscere tanto me ne dovesse poi, lo confortai a venire in studio in quella terra che a lui più satisfacesse: e così se ne venne egli qui. Non credo che ci fusse ancora giunto, che me ne incominciò a dolere tanto, che da quell’ora sino a questa non son mai stato di buona voglia, e da indi in qua con cento lettere l’ho pregato che se ne ritorni; nè ho potuto impetrarlo mai. Egli sempre nelle sue risposte mi ha supplicato, che dal studio, dove egli mi promette eccellentissimo riuscire, non lo voglia rimovere.

Ferrarese.     In verità, che da uomini degni di fede udito ho commendarlo, ed è fra li scolari di ottimo credito.

Filogono.     Mi piace non abbia in vano consumato il suo tempo: tuttavia non mi curo che sia di tanta dottrina, dovendo stare per questo molti anni da lui disgiunto; chè s’io venissi a morte ed egli non ci si trovasse, me ne morrei [p. 92 modifica]disperato. Non mi partirò di questa terra, ch’io lo ritornarò meco.

Ferrarese.     Amor de’ figliuoli è cosa umana, ma averne tanta tenerezza è femminile.

Filogono.     Io son così fatto. Diréiti1 ancora, che alla venuta mia hanno dato maggior causa dui o tre nostri Siciliani, che diversamente2 sono a caso passati per questa terra, e gli ho dimandato del mio figliuolo: m’hanno risposto essere stati a Ferrara, ed aver inteso di lui tutti li beni del mondo, ma che non l’hanno mai potuto vedere; e sono stati chi dua e chi tre volte per visitarlo a casa. Dubito che sia tanto in queste sue littere occupato, che non voglia mai far altro, e schivi di parlare con gli amici e compatriotti suoi, per non defraudare il suo studio di quel pochissimo tempo; e per questo non de’ soffrire pur di mangiare, e dubito che tutta la notte vegli. Egli è giovene, e con delicatezze allevato: se ne potrebbe morire, o impazzare facilmente, o di qualche altra simile disgrazia darsi cagione.

Ferrarese.     Tutte le cose troppe, sino alle virtù, sono da condannare. Ma questa è la casa dove abita Erostrato tuo: io batterò.

Filogono.     Batti.

Ferrarese.     Nessun risponde.

Filogono.     Batti un’altra volta.

Ferrarese.     Credo che costoro dormano.

Lico.     Se questa porta fusse tua madre, maggior rispetto non avresti di batterla. Lascia fare a me. Oh, olà, non è in questa casa alcuno?


SCENA IV.

DALIO, FILOGONO, LIGO, FERRARESE.


Dalio.     Che furia è questa? ci volete voi spezzare l’uscio?

Lico.     Io credo che voi dormivate.

Filogono.     Erostrato che fa?

Dalio.     Non è in casa.

Filogono.     Apri, chè noi entriamo.

Dalio.     Se avete fatto pensiero di alloggiare qui, [p. 93 modifica]mutatelo, chè altri forestieri ci sono prima di voi, e non ci caperesti tutti.

Filogono.     Sufficiente famiglio, da fare onore ad ogni padrone! E chi c’è?

Dalio.     Filogono da Catania, il padre di Erostrato, arrivato questa mattina di Sicilia.

Filogono.     Vi sarà, poichè tu ne averai aperto: apri, se ti piace.

Dalio.     L’aprirvi mi sarà poca fatica; ma siate certi che non ci potrete alloggiare, chè le stanze son piene.

Filogono.     E chi c’è?

Dalio.     Non avete inteso? Io vi dico che c’è il padre di Erostrato, Filogono da Catania.

Filogono.     Quando venne egli prima che adesso?

Dalio.     Son più di quattro ore ch’egli smontò all’ostaría de la Corona, dove ancora sono li cavalli suoi, ed Erostrato vi andò poi, e l’ha menato qui.

Filogono.     Io credo che tu mi dileggi.

Dalio.     E voi v’avete piacere di farmi stare qui, perchè non faccia quello ch’io ho a fare.

Filogono.     Costui deve essere imbriaco.

Lico.     Ne ha l’aria: non vedi come è rosso in viso?

Filogono.     Che Filogono è questo che tu parli?

Dalio.     È un gentiluomo da bene, padre del mio padrone.

Filogono.     E dove è egli?

Dalio.     È qui in casa.

Filogono.     Potrei vederlo io?

Dalio.     Credo che sì, se non sei cieco.

Filogono.     Dimandalo3 in servizio, che venghi di fuori, tanto ch’io gli parli.

Dalio.     Io vo.

Filogono.     Non so che mi debba immaginare di questo.

Lico.     Padrone, il mondo è grande: non credi tu che ci sia più d’una Catania e più d’una Sicilia, e più d’un Filogono e d’uno Erostrato, e più d’una Ferrara ancora? Questa non è forse la Ferrara dove sta il tuo figliuolo, e che noi cercavamo.

Filogono.     Io non so che mi credere, se non che tu sii [p. 94 modifica]pazzo e colui imbriaco, nè sappia che si dica. Guarda tu, valent’uomo, che non abbi errata la stanza.

Ferrarese.     Non credi tu ch’io conosca Erostrato da Catania, e non sappia che stia qui? Pur jeri ce lo vidi. Ma ecco chi ti potrà chiarire; e non ha viso d’imbriaco come quel famiglio.


SCENA V.

SANESE, FILOGONO, LICO, FERRARESE.


Sanese.     Mi dimandi tu, gentiluomo?

Filogono.     Vorrei intendere donde tu sia.

Sanese.     Siciliano sono, al piacer tuo.

Filogono.     Di che terra?

Sanese.     Da Catania.

Filogono.     Come è il tuo nome?

Sanese.     Filogono.

Filogono.     Che esercizio è il tuo?

Sanese.     Mercatante.

Filogono.     Che mercanzia hai tu menata qui?

Sanese.     Nessuna: ci sono venuto per vedere un mio figliuolo che studia in questa terra, e sono più di dui anni ch’io nol vidi.

Filogono.     Chi è tuo figliuolo?

Sanese.     Erostrato.

Filogono.     Erostrato è tuo figliuolo?

Sanese.     Sì, è.

Filogono.     E tu Filogono?

Sanese.     Sì, sono.

Filogono.     E mercatante in Catania?

Sanese.     Non ti bisogna dimandarne; non ti direi la bugia.

Filogono.     Anzi tu dici la bugia, e sei un barro e uno cattivissimo uomo.

Sanese.     Hai torto a dirmi villania, ch’io non ti offesi, ch’io sappia, mai.

Filogono.     Tu fai da tristo e barattiere a dire quel che non sei, che tu sia.

Sanese.     Io sono quel che ti dico; e se non fussi, perchè il direi?

Filogono.     Dio, che audacia, che viso invitriato! Filogono da Catania sei tu? [p. 95 modifica]

Sanese.     Quanto più vuoi tu che te lo ridica? io sono quel Filogono ch’io t’ho detto: e di che ti maravigli?4

Filogono.     Che un uom di tanta prosonzione si ritrovi. Nè tu, nè maggior di te potrebbe fare che tu fussi quel che son io; ribaldo, aggiuntatore che tu sei!

Dalio.     Patirò io che tu dica villania al padre del padron mio? Se non ti levi da questo uscio, ti caccerò questo schidone nella panza.5 — Guai a te, se Erostrato qui si trovava! Torna in casa, signore, e lascia gracchiare questo uccellaccio nella strada, tanto che si crepi.


SCENA VI.

FILOGONO, LICO, FERRARESE.


Filogono.     Che ti pare. Lico mio, di queste cose?

Lico.     Non mi piacque mai questo nome Ferrara; chè sono assai peggiori gli effetti, che non è la nominanza.

Ferrarese.     Hai torto a dire male de la terra nostra. Questi che vi fanno ingiuria, non sono Ferraresi, per quanto veda6 al loro idioma.

Lico.     Tutti n’avete colpa, e più gli officiali vostri, che comportano questa barreria nella sua terra.

Ferrarese.     Che sanno gli officiali di queste trame? credi tu che intendano ogni cosa?

Lico.     Anzi credo che intendano pochissime, e mal volentieri, dove guadagno non vedano molto. Doverebbono aprir gli occhi, ed avere le orecchie più patenti che non hanno le porte l’osterie.

Filogono.     Taci, bestia; parla de’ fatti tuoi.

Lico.     Ho paura, se Iddio non ci ajuta, che amendua pareremo come tu hai detto.7

Filogono.     Che faremo?

Lico.     Loderei che cercassimo tanto, che ritrovassimo Erostrato.

Ferrarese.     Io vi farò compagnia per tutto. Andaremo a le Scole prima; se non è quivi, lo ritrovaremo alla piazza. [p. 96 modifica]

Filogono.     Io son stanco, ed ho più bisogno di riposo che di gire attorno. Lo aspettaremo qui. È gran fatto che non ritorni a casa.

Lico.     Io dubito che ritrovarà un nuovo Erostrato egli ancora.

Ferrarese.     Ecco, ecco ch’io lo vedo là... Ma dove è ritornato?8 Aspettami qui, ch’io lo chiamerò. Erostrato, o Erostrato; tu non odi? o Erostrato, torna in qua.


SCENA VII.

EROSTATO, FERRARESE, FILOGONO, DALIO e LICO.


Erostrato.     (Io non mi posso in somma nascondere: bisogna fare un buon animo; altrimenti...)

Ferrarese.     O Erostrato, Filogono il padre tuo è venuto fin da Sicilia per vederti.

Erostrato.     Tu non mi narri cosa di nuovo; io l’ho veduto, e sono stato gran pezzo con lui. Venne fin9 questa mattina per tempo.

Ferrarese.     A quello ch’egli m’ha detto, non mi par già che più veduto t’abbia.

Erostrato.     E dove gli hai tu parlato?

Ferrarese.     Pare che tu nol conosca: vedilo che vien qui. Filogono, eccoti il tuo figliuolo Erostrato.

Filogono.     Erostrato questo? mio figliuolo non è così fatto.

Erostrato.     Chi è questo uomo da bene?

Filogono.     Oh! questo mi pare Dulipo mio servo.

Lico.     Chi nol conoscerebbe?

Filogono.     Tu sei così vestito di lungo! hai tu, Dulipo, ancora forsi studiato?

Erostrato.     A chi parla costui?

Filogono.     Par che tu non mi conosca! parlo io teco, o no?

Erostrato.     Di’ tu a me, gentiluomo?

Filogono.     Oh Dio, dove sono io arrivato! Questo ribaldo finge di non conoscermi. Sei tu Dulipo, o ti ho io preso in cambio?

Erostrato.     In cambio mi avete voi tolto veramente, ch’io non ho questo nome. [p. 97 modifica]

Lico.     Padron, non ti dissi io che eravamo in Ferrara? Ecco la fede del tuo servo Dulipo, che niega di conoscerti! ha preso de li costumi di qua.

Filogono.     Taci tu, in malora.

Erostrato.     Dimanda a chi ti pare in questa terra, che non ci è uomo da bene che mio nome non sappia. Tu che qui hai condotto questo forestiero, di’: chi son io?

Ferrarese.     Per Erostrato di Catania t’ho io sempre conosciuto, e così ho udito nominarti, dopo che di Sicilia venisti in questa terra.

Filogono.     Oh Dio, che oggi diventerò pazzo!

Erostrato.     Dubito che tu sia già.

Lico.     Non ti avvedi, padron, che siam fra barri? Costui, che credevamo che nostra guida fussi, è d’accordo con questo altro, e dice che Erostrato è questo, che è Dulipo mio conservo.

Ferrarese.     A torto ti lamenti di me, perchè costui non udi’ mai nominare altramente che Erostrato da Catania.

Erostrato.     Che vuoi tu aver udito altramente nominarmi, che per il mio proprio nome? Ma son ben io pazzo a dare udienza a parole di questo vecchio, che mi pare uscito di senno.

Filogono.     Ah fuggitivo! ah ribaldo! ah traditore! A questo modo si accetta10 il padron suo? C’hai tu fatto del mio figliuolo?

Dalio.     Ancora qui abbaja questo cane? e tu comporti, Erostrato, che ti dica villania?

Erostrato.     Torna indietro, bestia: che vuoi tu fare di questo pestello?

Dalio.     Voglio spezzare la testa a questo vecchio rabbioso.

Erostrato.     E tu pon giù quel sasso: tornatevi tutti in casa: non guardiamo al suo mal dire; abbiasi rispetto a la età.


SCENA VIII.

FILOGONO, FERRARESE e LICO.


Filogono.     A chi mi debbo ricorrere e domandare ajuto, poichè costui, ch’io m’ho allevato ed in luogo di figliuolo avuto sempre, mi tradisce, e mostra di non conoscermi? e tu, che per guida avevo tolto, ed amico mi tenea, ti sei con questo mio sceleratissimo servo già messo in lega? e senza [p. 98 modifica]avere rispetto ch’io son qui forestiero, nella miseria in che al presente mi ritrovo, o riguardare a Dio, che giustissimo giudice ogni cosa intende, al primo tratto tu hai falsamente testificato ch’egli è Erostrato costui, il quale tutto il mondo e la natura insieme non lo potríeno fare che Dulipo non fussi.

Lico.     Se tutti gli altri testimoni in questa terra son così fatti, si deve provare ciò che si vuole.

Ferrarese.     Gentiluomo, dopo che in questa terra venne, non so donde, costui, l’ho sempre udito nominare Erostrato, e per figliuolo d’un Filogono catanese riputato. Che egli sia quello o no, lascerò a voi giudicare, ed a chi, prima che venisse in questa città, ha di lui cognizione avuta. Chi depone quello che crede che così sia, nè appresso Dio nè appresso gli uomini si può per falsario condennare. Io non ho detto se non quello che avevo da gli altri udito, e che per me stimavo che così fusse.

Filogono.     Ah lasso! costui che al mio carissimo Erostrato diedi per famiglio e scôrta, averà o venduto o assassinato il mio figliuolo, o di lui fatto qualche pessimo contratto, ed averàssi, non solo e panni e libri e ciò che per il vivere suo da Sicilia conducea, ma il nome ancora di Erostrato usurpato, per potere le lettere di banco ed il credito ch’io davo al mio figliuolo, senza altro impedimento usare a beneficio suo. Ah misero ed infelice Filogono! ah infortunatissimo vecchio! Non è giudice o capitano o podestà o altro rettore in questa terra, a cui mi possa ricorrere?11

Ferrarese.     Ci abbiamo e giudice e podestà, e sopra tutto un principe giustissimo. Non dubitare che ti sia mancato di ragione, quando tu l’abbia.

Filogono.     Menami per tua fè, menami adesso o a principe a podestà o a chi pare a te, ch’io gli voglio fare vedere la maggiore barrería, la maggior iniquità e ’l più scelerato maleficio che si commettessi mai.

Lico.     Padrone, a chi litigare vuole, bisogna quattro cose, e tu lo sai: ragion prima, chi la sappia dire, favore e chi te la faccia.

Ferrarese.     Favore? di questa parte non odo che le leggi ne facciano menzione. [p. 99 modifica]

Filogono.     Non gli dare udienza, ch’egli è un pazzo.

Ferrarese.     Di’, per tua fè, Lico; che cosa è favore?

Lico.     Avere chi raccomandi la tua causa, perchè, dovendo tu vincere, presto abbia fine; e così se la conclusione non fa per te, che si differisca e meni in lungo, tanto che per molto distrazio l’avversario stanco ti ceda, o teco pigli accordo.

Ferrarese.     Di questa parte, Filogono, benchè qui non si usi, ti fornirò io ancor, non dubitare: ti menarò a un avvocato, che ti bastarà per tutte queste cose.

Filogono.     Convien che mi dia dunque a gli avvocati e procuratori in preda, alla cui insaziabile avarizia supplire non mi terrei sufficiente con ciò che far posso, ancora che nella patria mi trovassi? Conosco io pur troppo li costumi loro. La prima volta ch’io gli parlarò, la causa vinta senza alcun dubbio mi prometteranno: eccetto quella,12 ogni dì sempre ci ritroveranno, anzi ci faranno maggior dubbio. Mi vorranno dare colpa che da principio non gli abbia bene informati: e questo, per trarmi non solo de la borsa i danari, ma de l’ossa le medolle.

Ferrarese.     Quello che ti propongo è mezzo santo.

Lico.     E ch’è l’altro? Mezzo diavolo?

Filogono.     Ben dice Lico: anch’io mi fido poco di questi che portano il collo torto.

Ferrarese.     Voglio che sia come tu dici, e peggio ancora: l’odio e la malivolenza ch’egli porta a questo Erostrato, o Dulipo che ’l sia, farà sì, che senza aver rispetto a guadagnare teco, abbracciarà questa causa, e proseguiràlla gagliardamente.

Filogono.     Che inimicizia è tra loro?

Ferrarese.     Di amore: amendue sono competitori d’una moglie, figlia d’un cittadino nostro.

Filogono.     Dunque, questo truffatore è di tal credito a mie spese in questa terra, che ardisce di dimandare una figliuola d’un cittadino?

Ferrarese.     Così è.

Filogono.     Come si nomina questo suo avversario?

Ferrarese.     Cleandro: è de li primi dottori di questo Studio.

Filogono.     Andiamo a ritrovarlo.

Ferrarese.     Andiamo.



Note

  1. Le stampe antiche hanno diretti. Che la lezione vera sia dirotti (diròtti)? — (Tortoli.)
  2. In tempo diverso, e però divisamente.
  3. Le antiche stampe, ove è frequente lo scambio dell’o per l’a, hanno domandolo. Il Barotti credè emendare: Dimandali. La versione metrica ha domandane.
  4. Ant. stamp.: maravegli?
  5. Così le stampe sincere, ed è pronunzia, com’è da credersi, ferrarese, e di molte altre popolazioni italiane.
  6. Io veda. Il Barotti ed altri: vedo.
  7. Cioè, amendue parremo bestie. — (Tortoli.)
  8. Il finto Erostrato vedendo da lungi il suo padrone, moveva per tornarsi indietro. Nella commedia in versi: «Ma dove va?»
  9. Soppresso per eleganza (come alcuni direbbero) il da.
  10. Se non è sbaglio invece di tratta, avrà la significazione di Accoglie.
  11. Due volte costruito a maniera di riflessivo (cioè ancora al principio di questa scena), come Richiamarsi, Querelarsi ec. Sarà stato in uso nella provincia in cui l’autore scriveva, e non fu dai filologi avvertito. Vedi La Cassaria (in prosa), pag. 34, lin. 34 nota 1.
  12. Eccetto quella prima volta.