I Nibelunghi (1889)/Avventura Venticinquesima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Venticinquesima
Avventura Ventiquattresima Avventura Ventiseesima

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Avventura Venticinquesima

In qual modo i principi tutti andarono presso gli Unni


     Or si lasci per noi di qual mai guisa
Elli apprestârsi. Non asceser mai
Cavalieri più illustri, e con sì grande
Pompa, d’un sire alle contrade. Aveano
5Ciò ch’ei volean, guerreschi arnesi e vesti.
     Gli uomini suoi, mille e sessanta, il prence
Del Reno allor vestì, com’io già intesi,
Per quella festa, e novemila ancora
Giovani prodi. Ma li pianser poi
10Quelli che a casa egli lasciâr. E intanto
A Worms in corte gli apparecchi tutti
Recârsi, e ad Ute bella così disse
Di Spira un vecchio vescovo: Alla festa

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Vogliono andar gli amici nostri. Iddio
15Voglia guardarli nell’onor! — Dicea
La nobile Ute ai figli suoi frattanto:
     Qui v’è d’uopo restar, buoni campioni.
Sventura, in questa notte, dolorosa
Io sognai, come fosser tutti morti
20Gli augêi di questa terra. — Oh! chi la mente
Rivolge a’ sogni, Hàgen dicea, del vero
Nulla sa favellar, se ciò gli torni
Pienamente ad onor. Vogl’io che a corte,
Avutone l’assenso, il mio signore
25Vadasi, e volentier noi cavalcando
D’Ètzel andremo alle contrade. Allora
La man de’ buoni cavalieri il sire
Potrà servir, là ’ve potrem la festa
Di Kriemhilde ammirar. — Così al vïaggio
30Hàgene assenso dava; e n’ebbe poi
Il pentimento. Anche consiglio avverso
Dato egli avrìa, se con parole acerbe
Tocco Gernòt pria non l’avesse. Ei fece
Di Sifrido, dell’uom fece ricordo
35Di Kriemhilde regina, e così disse:

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     Il gran vïaggio Hàgen vuol che si lasci
A quella corte, per ciò appunto. — Allora
Hàgene disse di Tronèga: Nulla,
Nulla fo per timor. Ciò che v’è d’uopo,
40O prodi, comandar, tosto per voi
S’incominci, chè vosco io volentieri
D’Ètzel verrò a la terra. — E da quel giorno
Molti furon da lui squarciati e rotti
Elmi e pavesi. — Eran pronte le navi,
45E molti erano là. Quante con seco
Aveano vesti, dentro fûr portate
Ai navicelli, ed ebbero faccenda
Quelli d’assai fino alla sera. Andavano
Lungi da casa con gran festa; e intanto,
50Di là dal Reno, sovra l’erba, tende
Fûr drizzate e capanne. Ora, cotesto
Avvenne, e intanto la leggiadra donna1
Anche pregò che il suo signor restasse.
La sua bella persona ella amorosa-
55mente abbracciava quella notte ancora.

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     Di gran mattino, all’alba, ecco levarsi,
Clangor di corni e trombe. Elli doveano
Partirsi, ed a partir già s’apprestavano,
E strinse dell’amico entro a le braccia
60Quei la persona che qualcuno amava.
Deh! che in grave dolor poi li disgiunse
Di re Ètzel la donna! Ora, i figliuoli
D’Ute leggiadra aveansi un uom con seco
Avveduto e fedel. Poi che voleano
65Di là partirsi, al re secretamente
Disse l’animo suo. Deh! che dolermi
Io deggio sì, dicea, ch’esto vïaggio
Facciate a corte voi! — Rumoldo a nome
Era detto costui; forte di mano,
70Un valoroso egli era, ed or dicea:
     Perchè dunque la terra e il popol vostro
Lasciar volete voi? Cosa nessuna
Svolger potrà di voi, prodi e gagliardi,
L’anima da cotesto? E di Kriemhilde
75Buono e leal non mi sembrò l’invito.
     A te affidata questa terra sia
Col mio picciolo infante, e tu alle dame

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Bene farai servigi, ed è cotesto
Il voler mio. Di chi vedrai tu piangere,
80Darai conforto alla persona. Oh! mai
Non ci fe’ male d’Ètzel re la donna!
     Eran pel sire e per gli uomini suoi
Apprestati i cavalli; e molti allora,
Che si vivean con sensi alti e superbi,
85Si separâr con amorosi baci.
Deh! che piangerli poi molte leggiadre
Donne dovean! — Come balzar fûr visti
Gli agili cavalieri a’ lor cavalli,
Anche fûr scorte molte donne starsi
90Là dolorose. Perchè lor dicea
Chiaro l’anima lor che per gran danno
Venìa cotesto separarsi a lungo,
Ciò gradito lor mai non venne al core.
     Così levârsi gli agili Burgundi,
95E gran tumulto per la terra andava
Subitamente. A questa e a quella parte
Del monte, là piangean uomini e donne,
E quelli si partìan, qualunque cosa
Il popolo facesse, allegri e gai.

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     100Gli eroi di Nibelungo andâr con essi;
Avean mille corazze, e abbandonate
Molte donne leggiadre ai loro ostelli
Aveano intanto, quali mai non videro
Ne’ giorni che seguîr. Facean le piaghe
105Di Sifrido a Kriemhilde alta rancura.
     Lor vïaggio drizzâr là verso al Meno,
Per Osterfrànken, di Gunthero gli uomini;
Hàgene li guidava, a cui cotesto
Era ben noto, e Dancwarto, l’eroe
110Di quella terra di Borgogna, n’era
Connestabile addetto. A Swanefelde
Da Osterfrànken venièno ei cavalcando;
E al regal portamento altri potea
I prenci ravvisar co’ lor congiunti
115E con gli eroi degni di laude. Il sire
Scese al Danubio al dodicesmo giorno.
     A tutti innanzi cavalcava allora
Hàgene di Tronèga, ai Nibelunghi
Valevole sostegno egli era assai;
120E là discese su l’arena il prode
E ardito cavalier, rapido e forte

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Legò a una pianta il palafreno. L’acque
Erano alto discese e i navicelli
Eran celati, e fu cotesto a grave
125Cura de’ Nibelunghi, in qual mai guisa
Passassero di là; vasta soverchio
La distesa dell’acque. A terra scesero
Molti valenti cavalieri allora.
     Male qui ci accadrà, prence del Reno,
130Hàgene così disse, e tu medesmo
Puoi cotesto vedere. Ecco, son l’acque
Straripate, e n’è l’onda forte assai.
Io già mi credo che dovrem qui perdere,
Oggi, parecchi valorosi eroi.
     135Deh! che mi dite adunque, Hàgene? disse
Il nobile sovrano. Or, per la vostra
Stessa virtù, di scemar nostro ardire
Non piacciavi così! V’è d’uopo a noi
Cercar passaggio là sull’altra terra,
140Perchè di qui li nostri palafreni,
Le vesti ancor, recar possiamo. — E invero,
Hàgene disse, tanto non m’è grave
Ancor la vita, ch’io mi voglia in queste

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Onde vaste affogar. Per le mie mani
145Molti dènno morir gagliardi in pria
D’Ètzel ne le contrade. Io buona voglia
Ho di tanto davver! Ma voi frattanto,
O buoni e illustri cavalieri, all’acque
Restatevi da presso. I navalestri
150Io stesso vo’ cercar presso a quest’onde,
Quali di là, di Gelpfràt ne la terra,
Ci porteranno. — Hàgene il forte, allora,
Prese con sè quella sua targa buona.
     Armato egli era bene assai. Portava
155La targa sua, legato era sull’alto
Il suo cimiero e rilucea d’assai,
Ed ei recava su l’usbergo un’arma
Ampia cotanto, che ferita orrenda
Fea da’ due tagli. I navalestri andava
160Su e giù correndo a ricercar; d’un tratto
Acque intese cader; fe’ allor principio
Ad ascoltar. Cotesto fean veggenti2

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Donne in un fonte bello; e si voleano
Rinfrescare, e bagnavan lor persona.
     165Hàgene dietro andava ed in secreto
Strisciavasi da presso. Ecco, le prese
Fretta a fuggir di là, come di tanto
Elle s’avvidero, e fûr liete assai
Quando lontane gli sfuggîr. Lor vesti
170Egli intanto prendea; ma non le offese
L’eroe per nulla. Una donna dell’acque,
Hadeburg si chiamava, allora disse:
     Nobile cavaliere, Hàgene, aperto
Noi vi farem, quando le nostre vesti,
175Animoso guerrier, darci vogliate,
Di qual foggia accadrà vostro vïaggio
Fino a corte tra gli Unni. — E come augelli,
A lui dinanzi e sovra l’onde, intanto
Libravansi le donne, e sì gli parve
180Forte d’assai lor mente. Or, qual mai cosa
Dirgli volean, buona egli a sè pensava,
E quelle bene assai ciò ch’egli volle,
Esplicavangli allor. Disse Hadeburga:
     D’Ètzel cavalcherete alle contrade

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185Con lieta sorte; la mia fede intanto
In testimonio pongo a voi che in nullo
Reame di quaggiù non cavalcaro
Eroi giammai in così grande onore.
Vero cotesto credere vi piaccia.
     190Hàgene in core andavane assai lieto
Per cotesto sermone. Ei le rendea
Di lei le vesti, nè più s’indugiava.
Ma poichè la lor veste prodigiosa3
Elle si rivestìan, veracemente
195Tutto il vïaggio d’Ètzel in la terra
Gli profetâr, che l’altra donna allora,
Donna dell’acque (Sigelind chiamavasi),
Così disse: Ammonirti ora vogl’io,
Hàgen, figliuolo d’Aldrïano. Or ora,
200Per amor di sue vesti, te ingannava
Questa mia zia. Se tu fra gli Unni scendi,
Se’ malaccorto assai! Tórnati a dietro,

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Chè il tempo è questo. Invito a voi si fea,
Ardimentosi eroi, perchè alla terra
205D’Ètzel morir doveste; ed ha sua morte
A sè daccanto quei che là cavalca.
     Hàgene disse allor: Senza bisogno
Voi c’ingannate. Come mai cotesto
Avverarsi potrìa che tutti morti
210Là restarci dovrem d’alcun per odio? —
E quelle incominciâr con maggior cura
Lor sermone a esplicar. Dicea cotale:
     Questo così avverrà che niun di voi
Salvo possa restar, se pur ne togli
215Il sacerdote del tuo re. Ci è noto
Ch’ei tornerà di Gunthero alla terra
Incolume. — E l’ardito Hàgene intanto
Così dicea con alma corrucciosa:
     Doloroso sarìa narrar cotesto
220A’ miei prenci, noi tutti appo quegli Unni
Dover perder la vita! Or tu ci mostra,
O la più saggia de le donne, il passo
Di là da l’onde. — E quella rispondea:
     Poi che accoglier non vuoi pel tuo vïaggio

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225Alcun consiglio, sappi che un ostello
Là, su l’acque, si sta. V’è un navalestro;
In altro luogo alcun non è. — Si stette
Confidando in quel cenno, ond’ei fe’ inchiesta.
Ma l’altra donna al corruccioso eroe
230Questo soggiunse ancor: Qui vi restate,
Hàgene sire, chè soverchio assai
Voi v’affrettate. Anche meglio vi piaccia
Intender modo, perchè andar possiate
Su l’altra sponda. Su questo confine
235Tale ha dominio ch’Èlse è detto, e chiamasi
Il fratel suo Gelpfràt eroe, signore
In bavarica terra. E male invero
Sarà per voi quando passar vi piaccia
Per sue contrade. Assai guardarvi è d’uopo
240Ed affabile assai col navalestro
Comportarvi pur anco. Egli è di tale
Alma feroce, che lasciarvi mai
Intatti ei non vorrà, quando col prode
Amici sensi non abbiate. E allora
245Che disïate ch’ei di là vi passi,

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Dategli il prezzo. Questa terra ei guarda,
E di Gelpfràt egli è l’amico. E allora
Che a l’istante ei non venga, alto su l’onde
Gridate voi, e dite ancor che vostro
250Nome è Almerico. Un buono cavaliero
Era costui, quale fuggì per odi
Da questa terra. E si verranne a voi
Il portolano, detto a lui quel nome.
     Alle donne inchinavasi l’altero
255Hàgene allora, nè più disse motto,
Poi che si fe’ silenzïoso. Andava
Lungo quell’acque, per l’arena in suso,
Fin che scoverse su l’opposta sponda
Una magione, ed alto sovra l’acque
260A gridar fe’ principio. Or qui mi prendi,
O portolano, disse il forte; e in premio
Monil sì ti darò che d’oro splende
Assai. Deh! sappi tu ch’io del passare
Gran bisogno ho davver! — Tanto era ricco
265Il navalestro, che addicersi a lui
Cotal servigio non potea; prendeane
Assai raro, per ciò, da gente alcuna

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Alcun prezzo,4 e d’altera alma pur anco
Erano tutti i servi suoi. Si stava
270Hàgene ancora ancor di qua da l’onde.
     Con forza egli gridò, sì che all’intorno
Risuonavane il guado, e grande assai
E possente era inver forza del prode:
     Me, me Almerico, prendimi, ch’io sono
275L’uom d’Èlse, qual fuggìa da questa terra
Per grande odio che v’ebbe! — Alto un monile
A sommo de la spada ei gli offerìa,
Fulgido e bello e d’oro splendïente,
Perchè quei di Gelpfràt alle contrade
280Così ’l passasse. In fra le mani il remo
Prendeasi l’oltraggioso navalestro,
Ei stesso, ei stesso. Ma riottosa ed aspra
La sua natura, e gli diè trista fine
Di gran mercè la cupidigia. Ei volle
285D’Hàgene il fulgid’or lucrarsi ratto,
E dall’eroe tristissima di spada

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Ebbesi morte. — Con gran fretta intanto
Venìa verso la sponda il navalestro,
Ma forte s’adirò come non vide
290Chi ricordar già intese. Allor che scorse
Hàgene, al valoroso, in questa guisa,
Con gran cruccio d’assai, fe’ tal sermone:
     Ben voi potete andar chiamato a nome
Almerico; ma, inver, da chi aspettavami,
295Dissomigliante siete voi. Fratello
E per padre e per madre erami quello.
Or, poichè m’ingannaste, a questa sponda
V’è d’uopo rimaner. — No, no, per Dio
Potente! gli gridava Hàgene allora.
300Armigero straniero io qui mi sono,
Altri guerrieri ho in cura. Or vi prendete
Amicamente esta mercede mia,
Perchè di là mi trapassate, ed io
Grato assai vi sarò. — Deh! che cotesto
305Mai non sarà! rispose il navalestro.
Han lor nemici i dolci miei signori,
E però non vogl’io straniera gente
In questa terra trapassar. Per quanto

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T’è caro il viver tuo, tosto ti rendi
310Sovra la sponda ancora. — Hàgen dicea:
     Oh! cotesto non far! L’anima mia
Tutta si turba. L’oro mio pigliate,
Oro è buono davver, per vostra grazia,
E noi di là con mille palafreni
315E con uomini assai, portar vi piaccia.
     E l’oltraggioso navalestro disse:
Ciò non mai si farà! — Forte, ampio e grande
Un remo ei sollevò, di cotal guisa
Hàgen colpì (davver! che di cotesto
320Ei fu cruccioso), ch’entro al navicello
Su le ginocchia cadde. Oh! più malvagio
Navalestro a quest’uom non incontrava
Che da Tronèga venne! Egli s’accese
Forte d’assai contro a l’ospite fiero
325E tracotante; e l’ospite sul capo
D’Hàgene colpo tal sferrò d’un palo,
Che il palo si spezzò. Davver! ch’egli era
Un vigoroso! Ma n’avea gran danno
Il navalestro d’Èlse. Alla guaina,
330Là ’ve un’arma trovò, rapidamente

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Con anima crucciosa Hàgen la destra
Portò, con quella gli abbattea la testa
E la testa gittava in fondo all’acque. —
Subitamente la novella ai fieri
335Burgundi si fea nota. — In quell’istante
Che morto il navalestro Hàgen battea,
Giù per l’acque discese il navicello,
E ciò gli fu rancura grave; e ancora,
Pria che la nave ei raddrizzasse, forte
340A stanco farsi incominciò. Con molto
Vigore intanto al remo si tenea
L’uom di Gunthero. Con potenti assai
Colpi di remi al loco iva diritto
L’uom, colà estrano, fin che il forte remo
345Fra le sue man si ruppe. Ei si volea
A’ cavalier drizzarsi in su la sponda,
Nè altro remo era là. Deh! di qual foggia
Rapido egli avvincea l’infranto remo
Con una soga della targa. Ell’era
350Un guinzaglio sottile. Ei discendea
Giù per la valle a una foresta incontro,
Là ’ve starsi trovò sovra la sponda

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Que’ prenci suoi. Molti uomini gagliardi
Al suo incontro venièno. Ivi l’accolsero
355Con lor saluti i buoni cavalieri;
Ma perchè là vedean fumare il sangue
Nel navicello per la forte piaga
Che Hàgene inferse al portolano, assai
Hàgene da quei prodi aveasi inchieste,
360E re Gunthero, che scorrere il caldo
Sangue vedea pel tavolato, oh! in quale
Ansia diceva: E perchè mai non dite,
Hàgene, ove ne andava il portolano?
Io sì mi penso che gli tolse vita
365Vostra forza tremenda. — E quei rispose
Con menzogna così: Poi che rinvenni
Ad un salce selvaggio il navicello
Qui, la mia mano lo disciolse. In oggi
Niun navalestro qui vid’io, nè alcuno
370Dolor per colpa mia incolse ad altri.
     Disse prence Gernòt là fra i Burgundi:
Oggi, per morte di diletti amici
Darmi pensier dovrò, chè navalestri
Pronti qui non abbiam, per che dall’altra

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375Parte da noi si passi; e però deggio
Andar cruccioso. — Ad alta voce allora
Hàgen così gridò: Giù, sovra l’erba,
Deponete, o valletti, i vostri arnesi.
Io sì mi penso che de’ navalestri
380Lunge il migliore io fui, quanti sul Reno
Altri già rinvenìa. Però alla terra
Di Gelpfràt sì m’affido io di portarvi.
     Perchè più presto l’acque egli passassero,
Dentro i cavalli ei sospingean. Felice
385D’essi fu il nuoto inver, chè de le forti
Onde nessuna lor togliea quel nuoto,
Sol più lunge qualcun, chè ciò a stanchezza
S’addicea, fu sospinto. E quelli intanto
Portavan l’oro entro la nave, ancora
390Lor vestimenta, poi che tal vïaggio
Non potean evitar di alcuna guisa.
Hàgen di tutto curator; per questa
Foggia egli addusse ne la terra estrana
Molti possenti ardimentosi. E in pria
395Di là condusse mille cavalieri
Incliti, e poscia li gagliardi suoi.

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Altri di più n’avea; ma su la sponda
Mille soltanto de’ valletti ei trasse.
Dell’uomo ardito di Tronèga assai
400Stanca in quel giorno fu la mano! Allora
Che incolumi su l’acque egli li addusse,
Al nuovo annunzio suo pensier volgea
L’ardito cavalier, qual già le donne
Selvaggie a lui narrâr. N’ebbe per tanto
405La vita quasi a perdere del sire
Il sacerdote. Appo gli arnesi sacri
Hàgen rinvenne il sacerdote, quale
La man tenea su le reliquie sante.
Ma le reliquie non giovârgli; tosto
410Che Hàgene il vide, il povero di Dio
Sacerdote n’avea doglia a soffrire.
     Giù dalla nave egli il balzò. Davvero!
Che rapid’opra fu la sua! Gridavano
Molti frattanto: Tienti al legno, o sere,
415Tienti! — e Gislhero giovinetto a prendersi
Disdegno incominciò. Ma il suo disegno
Hàgen lasciar non volle, e ciò si fea
Di Giselhèr per cruccio. E de’ Burgundi

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Sire Gernòt: Or che vi giova, disse,
420Del sacerdote, Hàgen, la morte? S’altri
Ciò facesse, dovrìa farvi rancura
Cotesto assai. Per qual cagion vi feste
Nemico al sacerdote? — E il sacerdote
Forte nuotava intanto; e se qualcuno
425Data aita gli avesse, egli era salvo.
Nè però questo esser potea, chè assai
Era d’alma cruccioso il vïolento
Hàgene. Al fondo il misero egli spinse,
Nè cotesto ad alcun buono sembrava.
     430Poi che il misero prete alcuna aita
Non trovò, ritornossi all’altra sponda,
E gran disagio ne soffrì. Vigore
Come a nuotar non ebbe, aita a lui
Di Dio porse la mano, ed ei novella-
435mente si rese alla sua terra in salvo.
     Là si fermò il povero prete, e quelle
Sue vesti si scotea. Da ciò conobbe
Hàgene allora ch’evitar non gli era
Concesso mai ciò che annunziando a lui
440Le donne strane dissero dell’acque,

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Ed ei pensò: Così perder la vita
Dènno cotesti cavalieri! 5 — Allora
Che fean scarca la nave e ne traeano
Ciò che sopra v’avean, de’ tre monarchi
445Gli uomini addetti, Hàgen in pezzi tutta
Mandolla e ne gittò i frammenti a l’onde.
Gran meraviglia i buoni e ardimentosi
Cavalieri ne avean, sì che Dancwarto,
Deh! perchè fate ciò, disse, o fratello?
450Deh! per qual modo tragittar potremo,
Quando noi, nel ritorno, al Reno ancora
Ci renderemo cavalcando? — Allora
Hàgen disse (oh! vedete) che cotesto
Accader non potea. Ma di Tronèga
455Così aggiunse l’eroe: Questo fec’io
Sol per pensiero che codardo alcuno

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Avessimo con noi in tal vïaggio,
Qual ci volesse poi, per vil sgomento,
Fuggir lontano. Vergognosa morte
460A questo passo egli dovrìa soffrire.
     Con seco elli adduccan della burgundia
Terra cotale (e Volkèr si dicca),
Qual era in opre un valoroso. Il suo
Pensiero ornatamente egli diceva,
465E a lui, di giga suonator, leggiadra
Cosa sembrò ciò che Hàgene facea.
     E lor cavalli eran già presti e i carchi
Erano imposti, ed elli in quel vïaggio
Nessun danno toccâr di che dovessero
470Poscia dolersi, tolto il sacerdote
Di re Gunthero. E gli fu d’uopo intanto
Di ritornarsi fino al Reno a piedi.


Note

  1. Brünhilde.
  2. Profetesse.
  3. Una veste di penne di cigno. Secondo leggenda più antica, erano donne marine in forma di cigno.
  4. Nel senso che non voleva passar nessuno, e perciò nulla prendeva.
  5. Le donne avevano profetato che nessuno sarebbe tornato salvo, eccetto il sacerdote. Hagen, per smentir la profezia, vuol farlo morire nel fiume, ma egli si salva; donde egli intende che la profezia si avvererà e che tutti i cavalieri dovranno morire in terra degli Unni.