I Mille/Capitolo XXXIII

Capitolo XXXIII. Roma

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Capitolo XXXII Capitolo XXXIV

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CAPITOLO XXXIII.

ROMA.

De’ vivi inferno!
     Un gran miracol fia
     Se Cristo teco alfine non s'adira.
     (Petrarca).


Era il primo di settembre del 60, e verso le dieci antimeridiane una immensa folla brulicava dalla superba Basilica di S. Pietro, il maggiore dei templi del mondo.

Sino al ponte Elio, oggi di S. Angelo, e dallo stesso in tutta l’estensione della Lungara — quella moltitudine per la maggior parte devota, non lo era al punto di sfidare i raggi solari, cocenti in quella stagione, ed in quell’ora, in cui la brezza marina non ha rinfrescato ancora l’atmosfera corrotta della capitale dell’Orbe Cattolico; tutti tendevano verso l’ombra delle case, ciò che a tutti non riesciva, per la qual cosa verso la parte del Tevere v’era proprio da soffocare, tanta era la calca. [p. 154 modifica]

Ma che importa di soffocazioni, di calori, di febbri? Oggi i chercuti danno una solennissima festa ed il popolo degenerato che cresce sulle ruine del più grande dei popoli, non abbisogna di dignità, di decoro, di libertà, ma di feste, e colle feste ed una scodella di brodo si contentano i discendenti dei Manli e dei Scipioni.

Un giorno questo popolo si affollò dietro al carro trionfatore trascinato dai re della terra quindi negli anfiteatri a contemplar le sanguinose giostre dei gladiatori, e gli urli de’ suoi schiavi morenti, lacerate le loro carni dal leone o dalla pantera. Poi discese ancora più nell’imo delle sue cloache, barattò per pane e giuochi la sua libertà e dignità. Infine non contento ancora della sua abbiezione, e delle brutture imperiali, egli curvossi, si genuflesse, s’accovacciò ai piedi della più lurida, più umiliante e più sfrenata delle tirannidi — quella del prete — dell’impostore — del corruttore per eccellenza della razza umana. — E lì sen giace ancora, pronto al primo squillo di campana, a correre, prostrarsi e baciar la pantofola d’un idolo di fango.

I preti scorgevansi nel vasto peristilio del tempio; ne uscivan di tanto in tanto per respirare più liberamente, per mostrare al volgo ed alle bigotte i loro abiti sacerdotali di gala; e tergevansi con bianchi lini la fronte, sudante per le fatiche — poveri preti! — e sorridevano alle innamorate ammiratrici — e scotevano graziosamente i candidi piviali, e le inanellate chiome. [p. 155 modifica]

Crittogama dell’uman genere! — Barattieri dei popoli! — A voi, che importano le sventure delle genti! — Predicatori d’immoralità, vantatori di un paradiso celeste con cui beffate il popolo, mentre ne avete costituito uno terrestre a spese ed a scorno suo, e mentre quell’inferno, di cui voi ridete, lo avete accatastato coi vostri roghi e le scelleraggini vostre, a pro degli infelici che hanno il torto di non bastonarvi.

Sì, preti! — era quella una solennissima festa, con cui le bugiarde vostre campane, le bugiarde vostre sinfonie, ed i bugiardi vostri apparati di stupendissimo lusso, cercavano di chiamare a voi le moltitudini ingannate e colpevoli di non volersi servire di quella religione colla quale natura adornò anche i più cretini. — Vi vuol poi, per Dio, molta scienza per capire che un prete è un impostore?

Quella festa, con cui si assordava il mondo, era la conversione del vecchio Elia e della sua Marzia, che dalla giudaica religione, generatrice del cristianesimo, dicevansi dover passare alla religione del Papa.

Due anime salvate! — Eh preti! — Gran festa! — Lo Spirito Santo richiesto dall’infallibile, ha toccato il cuore delle due smarrite pecore! — Ed esse, al cospetto del mondo devono abiurare la fede dei loro padri, ed aggregarsi alla vostra. — Eh preti! voi sapete che io so, non aver voi altra fede che nel ventre, e nella libidine! — Aggregarsi alla vostra fede, eh! — Credere alla vergi[p. 156 modifica]nità della madre di Cristo, come voi credete a quella delle vostre Perpetue! E mangiar l’Ostia con dentro l’Infinito! Ah birbanti! voi non le credete queste fandonie colle quali infinocchiate le vecchie peccatrici, e gettate le nazioni nell’abbrutimento, nel servaggio, e nella sventura.

Voi non le credete, io lo so; ma nello stesso tempo voi potete scusarvi: chè in questo secolo di ladri, anche voi, avete trovato il modo di viver grassamente alle spalle delle carogne!

«Non fate ciò che io fo, ma fate quel che io dico». Ma bravi li miei preti! ecco una vera scuola di logica, di morale. A che diavolo serve l’esempio!

«Mortificatevi, digiunate, astenetevi» dite voi, per la maggior gloria di Dio! (bestemmie di cotesta impudente canaglia).

«Al prete, bocconi squisiti e vezzose donzelle». E non sono essi Ministri di Dio? — perchè dunque debbono essi privarsi delle dovizie del mondo, come voi altri cretini!

«Sì, la conversione di due Ebrei alla religione di Cristo» rispondeva un Romano ad un giovane d’aspetto marziale, e che dalla bionda capigliatura, sembrava appartenere alle provincie settentrionali della penisola.

«Sì, la conversione di due Ebrei» continuava il figlio di Roma — «e questi pretacci dondolano il nostro povero popolo con tali menzogne, e lo fan scordare del suo abbrutimento e del suo servaggio». [p. 157 modifica]

L’interlocutore guardando fisso il Romano, sembrò investigare nell’abbronzato suo volto, la veracità del suo sdegno, e mormorava tra sè: «sarà questo un insofferente del giogo pretino, od un delatore?».

Il suo dubbio durò però poco, e l’apparizione d’una bellissima coppia, divisa per un momento dalla folla, e che accostossi ai due suddetti, facendosi largo, valse a dileguarlo.

I nuovi arrivati erano P... e la sorella Lina, la di cui presenza in Roma sembrerà straordinaria, mentre i loro compagni militavano all’estremità dell’Italia Meridionale.

«Addio, Muzio» incominciò il Bergamasco dirigendosi al Romano, ed ambi si strinsero famigliarmente la destra.

«Addio, mio caro» rispose l’altro — «Io mi vergogno di trovarmi qui inoperoso, mentre i nostri prodi amici, dopo di aver fatto miracoli di valore in Sicilia, stanno oggi marciando vittoriosamente su Partenope. Con tutta la buona volontà del mondo noi fummo ingannati dai temporeggiatori, dai Generali di combinazioni che ci hanno canzonati, intimandoci di fermarci in Roma per colpire il nemico alle spalle, e così abbiam dovuto marcire nell’ozio, e sprecare qui tanta bella e briosa gioventù, anelante di volare a fianco dei militanti fratelli. — Già l’ho sempre detto; la democrazia italiana come tutte le altre dovrebbe persuadersi che vi vuole un capo solo, [p. 158 modifica] massime nei casi d’urgenza. — Molti capitani portano generalmente la nave negli scogli. Prima d’ogni schiarimento, permettimi di presentarti il nostro Nullo, e mia sorella Lina».

Uno scambio di affettuose scosse di mano legarono in un momento e per la vita il bravo figlio di Roma coll’eroe della Polonia, e la bellissima fanciulla delle Alpi.

A Lina, Muzio non baciò la mano per verecondia, non potè a meno però, di rimanere stupito a tanta bellezza, ed un po’ confuso.

«Fu veramente sventura, per chi dei nostri non partecipò alla gloriosa spedizione dei Mille» riprese P... «E tu, Muzio, col tuo drappello di coraggiosi romani, avresti aggiunto nuovi allori ai tanti raccolti sui campi Lombardi. Però, non disperarti, se hai mancato di pugnare contro i soldati del Borbone a Calatafimi e a Palermo, qui, tu sarai immensamente utile all’impresa disperata ma santa che ci siam prefissa».

«Oh! contate su di me e de’ miei compagni per qualunque arrischiata impresa» disse Muzio «Noi saremo superbi di combattere sotto ai vostri ordini».

«Duolmi tanto» egli continuò «dovervi lasciare in questo momento e confondermi nella folla; i segugi della polizia papale sono sulle mie tracce, ed io ne scorgo diversi che mi perseguitano. Ove occorra, a qualunque ora cercate di me ai mendichi del Foro Romano». [p. 159 modifica]

Terminate quelle parole, Muzio scivolò tra la moltitudine con una celerità sorprendente, a considerare con quanta calca egli doveva lottare.

I nostri tre amici, quanto l’amico interessati a non essere scoperti e sorpresi, imitarono la di lui prudente ritirata e si mossero in direzioni diverse com’erano previamente convenuti.

Frattanto continuavano i grandissimi preparativi per la solennissima conversione dei due Ebrei, Elia, e Marzia; padre e figlia. E la bottega di Roma, per non crollare sotto il putridume de’ suoi vizii e delle sue corruzioni, abbisogna di queste imposture: ora una Vergine di legno, che apre gli occhi; un’altra, che piange lagrime di sangue; una terza, che porta, tempestato di brillanti, sul petto il santo prepuzio di suo figlio; ed un’altra finalmente non meno indecente, con appesa al collo la propria matrice! E la canaglia crede, paga contenta d’esser bastonata.

I preti se ne ridono e scialacquano, ed i reggitori del mondo, fingendo di creder gli uni e di far gl’interessi degli altri, rubano a tutti e fan giustizia del tapino, che prende un pane sul banco del prestinaio, per sfamare la prole morente, e lo appiccano!