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VII IX

[p. 79 modifica]ELEUTERILYDA CONDUCTO, VIDE PER LA VIA, ET AL PALLATIO COSE EGREGIE ET UNA EXIMIA OPERA DI FONTANA.

RR
ECEPTO AFFABILMENTE ET DALLE pietose Nymphe summamente assicurato, et tutto dalle blandivole puelle confortato, et gli infugati spiriti non mediocre recentati, al tutto che esse coniecturare valeva grato et piacersi, volentera prompto exhibendome, licentemente familiare et deditissimo me exposi. Et perché haveano alabastri diapasmatici, et vasculi smigmatici d’oro et di petre fine, et lucenti speculi, et aurei discerniculi nelle sue delicate mano, et candidi velamini di seta plicati, et balneare interule offerentime portitore, recusabonde mi disseron. Che il suo accesso ad questo loco era perché venivano al bagno. Et immediate subiunxeron. Volemo che cum nui tu vengni. Il quale costì dinanti è, ove funde una fontana, non tu quella vedesti? Io riverentemente risposi, venustissime Nymphe. Si in me mille et varie lingue si ritrovasseron, io acconciamente non saperei rendere le demerite gratie, et rengratiare tanta domestica benignitate, imperoché opportunissimamente vivificato me havete. Dunque non acceptare tale gratioso et Nymphale invitatorio, rustica viltate si reputarebe. Et per tanto cum vui più praesto me foelice aexistimeria essendo servo, che altronde dominare. Il perché quanto coniecturare posso inquiline et contubernale siate di omni dilecto et vero bene. Dovete sapere ch’io vidi la miravegliosa fontana et cum solerte senso speculata, più praeclara opera che ad gli ochii mei unque se repraesentasse confesso et affermo. Et tanto l’animo mio solerte occupai illecto circa di quella intentamente riguardantila, et ingluviamente bevendo, la grave et diurna mia sete salubremente extinguendo, che più oltra expiare non andai.

Respose una lepidula placidamente dicendo. Dami la mano. Hora si tu sospite et il bene venuto. Nui al praesente siamo cinque sociale comite come il vedi, et io me chiamo Aphea. Et questa che porta li buxuli et gli bianchissimi linteamini, è nominata Osfressia. Et quest’altra che dil splendente speculo (delitie nostre) è gerula, Orassia è il suo nome. Costei che tene la sonora lyra, è dicta Achoé. Questa ultima, che questo vaso di pretiosissimo liquore baiula, ha nome Geussia. Et andiamo compare ad queste temperate Therme, ad oblectamento et dilecto. Diqué brevemente ancora tu (poi che la propitia fortuna tua quivi è caduta) venirai cum nui laetamente.

e iiii

[p. 80 modifica] Daposcia ritornaremo tutti inseme laetificati al pallatio magno dilla insigne Regina nostra.

La quale tutta clementissima, et di larga liberalitate summamente munifica, ad gli tui intensi amori, et ardenti desiderii, et alti concepti habilissimamente suggerendo disponerai, prehendi animo et conforto. Andiamo.

Cum voluptici acti, cum virginali gesti, cum suasivi sembianti, cum caricie puellare, cum lascive riguardature, cum suave paroline illo solaciabonde blandicule me condusseron. Di omni cosa praesente contento. Si non che la Chrysocoma Polia mia, non era ad supplemento dilla suprema foelicitate, et sexta essere cum queste ad constituire il numero perfecto. Da l’altra parte discontento me trovai, che l’habito mio conforme non era infra questo delicioso consortio, ma alquanto domesticatome incominciai cum esse affabilmente tripudiare. Et elle dolcemente rideano, et io parimente cum esse, agiungessimo finalmente al loco.

Quivi mirai uno mirifico aedificio di therme octogono. Et in omni singulo angulo exteriore, erano geminate dui pili, ad libramento di l’area initiavano gli subiecti areobati circuncincti. Poscia seguivano uno tertio dilla sua crassitudine exacto dal solido le pilli. Cum capitelli subditi alla trabe recta. Cum uno phrygio di sopra, sotto una coronice integramente ambienti. El quale phrygio era deornato di eximia scalptura. Cum aliquanti puppi nudi, egregio expresso, aequalmente distanti. Cum le mano intricate di laquei retinenti fasciculi turgidi, di frondenti ramusculi inseme strophiati, concincti di lori. Sopra la quale dicta coronice, poscia saliva (cum elegante fornicato) una octogona Cumula, ad imitatione dil subiecto. La quale tra angulo ad angulo, era transpertusata di myrifica operatione per via, di mille nobili excogitati, et riturati di lamicule di puro crystallo, che da lontano plumbo iudicai.

El Pterygio adnixo era sopra uno acuminato, la forma octogonale dilla Cupula Sectario, alquanto eminente, et quivi immediate super apposito era uno Trigone, nel supremo centro del quale infixo, ascendeva uno firmatissimo stylo nel quale instobato era immisso uno altro instabile et gyrabile stylo libero ludibondo al quale appacta era una ala, che da qualunque flabile vento impulsa, seco vertiva il fistulato stylo, et una pila nella cima per il tertio dilla infernate. Sopra questa uno puello nudo cum il perna dextro calcante assideva, l’altra gamba pensile tenendo. Lo occipitio del quale fina alla bucca era tutto lacunato, in forma de infundibulo, cum lo orificio terebrato fina alla bucca, alla quale ferruminata, adiuncta era una tuba, tenuta cum una mano dal puello proxima alla ferruminatione, et l’altra porrecta verso lo extremo dilla tuba, a linea libellata dilla ala. Ogni [p. 81 modifica]
cosa enea tenuissima conflata perfectamente, et fulgentissimamente deaurata. La quale Ala, et la Pila, et el Puello, cum il figmento o vulto in acto di sonare, cum il vacuato occipitio, verso el flato ventale, facilmente violentava, ove intro spirabile la tuba, tubava. Et perciò quassantise per il vento le silique aegyptie, similmente, et quivi il vento fece sonare la tuba. Per la quale cosa cogitai ridendo, che a homo in loco incognito solo ritrovantise et expaventato, che facilmente per omni strepitulo se terricula.

Modo nella facia di ricontro alla bellissima Nympha in fonte, vidi l’introito. Cum una porta expolitissima. Tutto artificio dil praestante Lithoglypho, che la Nympha dormiente havea caelato pensai, nel phrisio dila quale vidi tale titulo in caractere graeco, ASAMINTHOS Dunque tale therme non suppedita l’amplitudine di Tacio.

Dentro circundavano sedili in quatro gradi lapidei cum perpetuo coniugio concincti, tutti minutamente di diaspro segmentati et Calcedonii di omni coloratione. Dui degli gradi la tepida aqua copriva, fina allo margine, overo superficie dil tertio. Negli angoli per ciascuno extava una expedita et ritondata columnella Corinthia, di vario coloramento. Cum varicose undule di diaspro tanto più grato, quanto più fare suole la artificiosa natura. Cum decente base. Et gli capitelli optimamente compositi sotto d’uno trabe, oltra il quale iaceva il Zophoro di nudi pueruli nelle aque ludenti, cum aquatici monstruli, cum palaestra et contrasti infantili, cum apti conati di promptitudine alla aetate conveniente, et vivace moventie et ioci, circuncingeva bellissime cum una corona superapposita. Di sopra l’ordine et proiectura dille columnelle ad perpendiculo tendeva da ciascuna in la summitate dilla cupula, uno [p. 82 modifica]toro cum moderata tuberatione di fronde quercinee, una sopra l’altra paginatamente compresse fimbriate et sinuate di verdissimo diaspro, et di deaurate faseole circumramentate, le quale ascendendo derivavano nel convexo coelo dilla cupula ad una rotundatione copulantise, intro la quale una testa occupava de leone cum arriciate iube. Teniva mordico nelle fauce uno annulo. Al quale erano commendati gli laquei di auricalcho pendenti et egregiamente innexi. Li quali retinivano uno politissimo vaso, cum lata apertura et poco lacunato dilla dicta materia lucentissima. Alto da l’aqua dui cubiti suspenso. El residuo del convexo internate, dalle obturatione del crystallo exempto, era tutto di coloratione Cyanea de Litharmeno contecto, disseminatamente glandulato di bulle inaurate eximie prenitente.

Non molto distante era nella terra una fissura, la quale continuamente vomeva ignita materia, tolta di questa et farcita la concha dil vaso superposeno alcuni gummi et ligni odorati feceron uno inextimabile suffumigio di fragrantia quale di optimi passalli. Poscia conclause le gemine valve terebrate di metallo, et di crystallo lucidissimo impedite rendevano periocundo et multiphariam colorato lume. Per questa medesima terebratione di pervii nodamenti, chiaramente illuminavano le odorante therme, et interdicto rimania la fragrantia et il calore fora non exalava.

Il pariete aequato interposito poscia tra l’una et l’altra columna monstrava petra nigerrima di durecia respuente il metallo et illustre. Inclaustrata di una ambiente fascia di latitudine quadrante, di diaspro coraliceo, ornata de liniamento di duplici gurguli, o veramente verticuli. Nel mediano di questo tale pariete, tra una et l’altra columna, pausando assideva una elegante Nympha nuda cum distincto pausare et officio, di petra Gallatite di nitore eburneo. Sopra locate fermamente alle conveniente arule. Le quale di liniamento rotonde compositamente colligavano in circinao cum le base dille columne. O quanto exquisitamente sculpte mirava le dicte imagine, che più delle fiate, gli ochii mei dalle vere et reale deviare concedeva et riportarli ad le fincte.

La pavitata areola sotto l’aqua di varia emblematura di petre dure tessellate, in meravegliosi graphidi per diversi coloramenti vedevasi. Perché la limpidissima aqua non sulphurea, ma odorosa et temperatamente calida sencia Hypocausto et praefurnio, et purgatissima oltra omni credito, non era medio impediente tra lo obiecto et il senso visivo. Imperoché gli varii pisciculi negli fronti degli sedili et dil fondo, artificiosamente di museaco scobamente expressi ad aemulatione dilla natura, vivi natanti appariano. Trigle, overo mulli, mustelle, o vero lampetre et multiplici altri, non considerata la [p. 83 modifica]natura, ma la venustate dilla pictura. Le petre nigerrime dil pariete erano intercise, et diligentemente rimesse una spectatissima compositione di illaqueatione, overo ligature di antiquarie foglie, et di fiori, di lucente Conchule Cytheriace, tanto ad gli ochii acceptissimo, quanto mai explanare valesse. Sopra la porta interstitio di petra Gallactite, vidi uno delphino repando tra le placide unde, et uno adolescente sopra sedeva et cum una lyra sonante. All’incontro sopra il geloeasto fonte simelmente un altro delphino natante cum Posidonio sopra aequitante, et cum la sua fusina acuminata. Queste historiette exacte erano da li contermini del medesimo saxo, et riportate in nigerrimo plano. Quivi meritamente laudai il praeclaro architecto, et non meno il statuario. Da l’altra parte extolleva la venusta dignitate dille formose et piacevole fanciulle. Imperoché io non sapea comparare tra il spavento praeterito, et tra questo inexcogitato et casuale solacio il suo excesso, ma senza dubio me ritrovai in extremo dilecto et piacere. Et quivi iocundissimamente intrati in tanta redolentia quale mai in Arabia potrebbese germinare. Sopra li lapidei sedili in loco di Apodytorio expoliantise, li sericii vestimenti exponevano, invilupate bellissime le bionde trece sotto le reticulate Vette di fili d’oro tesute, et innextrulate dignissime. Et senza rispecto alcuno la formosa et delicata persona tutta nudata liberamente videre, et peculiarmente cernere concedevano, la honestate riservata, carne senza fallo delicate rosee et di matura neve perfuse. Heu me il core agitato io el sentiva resultante aprirsene et di voluptica laetitia tuto occuparsi. Di che foelice alhora me existimai, solamente tante delicie speculando. Perché pertinacissimamente non poteva obstare ad gli ardentissimi incendii noxiamente insultanti nel infornaceo core molestantime. Et per questo alcuna fiata per mio megliore suffugio mirare non audeva tanto le incentrice bellecie cumulatissime in quegli divi corpusculi. Et esse animadvertendo rideano degli mei simpliculi gesti prehendendo puellare spasso. Et io per questo stava cum l’animo sincero et contento, per essergli im piacere et gratia. Et residendo in medio di tanto ardore, non mediocre patientia sustineva. Ma però cum tolerantia pudibondo et sufferente me stava, conoscendomi impare de sì bello et tale consortio. Et io ancora invitato, quantunque reluctando excusatome havendo, niente di manco intrai nel bagnio. Quale cornice tra candide columbine, per tale cagione io stava da parte erubescente, cum gli ochii inconstanti de cusì praestanti obiecti illecti scrutaticii. Et quivi Osfressia molto faceta facondula mi disse. Dimi giovane che nome è il tuo? Et io riverentemente li risposi. Poliphilo Hera. Piacemi assai mi disse si l’effecto al nome corresponde. Et senza inducie subiunse. Et come chiamase la tua chara amorosa? Io morigeratamente resposi Polia. Et ella dixe. Ohe io arbitrava che il tuo nome indicasse molto amante, ma quello che al praesente io sento, vole dire, Amico di Polia. E subito dixe. Si quivi sa [p. 84 modifica]ritrovasse praesente, che ne faresti? Quello hera mia resposi che alla sua pudicitia si convene, et ad vostre dive praesentie digno fusse. Dimi Poliphilo gli porti tu grande amore? Sopra la vita mia Heumè suspirando dissi. Oltra tutte le delicie et sopra tutte le divitie di qualunque thesoro dil mondo pretiosissimo, io porto quello nello incandente et cremato core servabile transfixo. Et ella. Dove l’ai tu (tanto cosa dilecta) abandonata? Io non intendo, et dove io ancora me sia non so. Disse surridendo, et si alcuno ti la trovasse che indicina gli daresti? Ma sta cum laeto animo et dà opera a piacere, che la tua dilecta Polia la ritroverai. Et cum queste gratissime et simigliante parolette, le placidissime et lepidule puelle, cum molti solatii se lavorno et io. Ad opposito interstitio dilla conspicua fontana di fora dilla dormiente Nympha intro il bagno era un’altra di statue di optimo metallo artificiosamente facta, cum nitore aureo speculabile. Le quale erano infixe sopra uno marmoro in quadratura excavato, et in frontespicio reducto, cum due semicolumnule cioè emicycle. Una per lato, cum il trabetto, zophorulo, et coronicetta, nel solido della unica petra inscalpte. Questo composito praeclaro offerivase quale di tutta l’opera el risiduo tutto, cum eximia arte et invento myrificamente absoluta. Nel cavo intersectio, overo nel intervacuato della dicta petra due perfecte Nymphe astavano, poco che ’l naturale meno grande, fino sopra le crure devestite, ove cedeva la divisione de la superinduta interula, alquanto volante per el moto del suo officio. Et gli brachii similmente nudati, dal cubito ad le spalle excepto. Et sopra el bracio che el puerulo susteniva, era lo habito sublevato reiecto. Li pediculi del quale infantulo. Uno in la mano dela una, et l’altro de l’altra mano de la Nympha calcavano de tutti tre li vulti ridibondi et cum l’altra mano le Nymphe dimovando le lacinule del puellulo fina al suo cingiere overo umbilico discoprivano. Et el fanciullo cum tutte due le mano el membrulo suo teniva. Il quale dentro alle calde aque mingeva (tepidantile) aqua freschissima. In questo delitioso et excellentissimo loco io era per tale conditione tuto soluto in gaudio et contento, ma interrotto el praecipuo piacere degli sentimenti, solamente perché tra esse contentibile et tra tanta albescentia, et rore concreto in pruina, quasi aegyptino et melancochro me vedeva. Una de queste dunque nominata Achoé, affabilmente mi disse surridendo. Poliphile nostro, togli quello vaso de crystallo, et portami quivi poco di quella aqua recente. Sencia morula affectando, et senza altro pensiculare, si non che gratificandome, et non solum promptamente obsequioso exhibendome, ma etiam lixabondo per compiacerli, praesto io andai. Né più praesto uno pede posui sopra uno grado per farme all’aqua cadente, che il mengore levoe il priapulo, et nella calda facia trassemi l’aqua frigidissima, che quasi in quello instanti me congenulai indrieto. Per la quale cosa tanto riso acuto et foeminile sotto la obtusa cupula risonava, che ancora io incominciai (in me ritornato) fortemente di ridere che me sentiva morire.

Daposcia io conobbi la deceptione dil artificio peritissimamente [p. 85 modifica]

excogitato, che ponendo sopra el grado imo instabile, pondo alcuno, in giù el se moveva, et in su traheva lo instrumento puerile. Onde cum subtile examine investigato la machina et curioso artificio, mi fue molto gratissimo. Et però nel Zophorulo era inscripto elegante di Atthice formule questo titulo. GELOIASTOS. Doppo molto iocoso riso balneati, et lavatone tutti, cum mille et dolce amorose et piacevole parolette, et virginali scherci et blandimenti. Fora delle thermate aque uscissimo, saliendo sopra li assucti gradi cum grande tripudio et festa ove se unxeno cum gli fragranti odoramenti diaspasmatici, et cum myristico liquore oblite, ad me ancora offeriteno una bussula et unxime. Di che assai [p. 86 modifica]opportuno mi fue questa tale lenitiva unctione et salubre lotura. Perché oltra la mirabile suavitate, praecipuamente proficuo alle prosternate membre se praestoe nella mia praeterita et tanto periculosa fuga. Daposcia tutti induti, et elle alquanto di longiuscula mora nella Nymphale politura, strisso, et ornamento detente, cum grande feste alacre, domesticamente aperseron gli vasi de gli delicatissimi confecti, consolabonde gustorono et io, sequendo poi il pretioso poto. Dunque sufficientemente refecte, et reiterabonde ad gli speculi cum scrupuloso examine del decoramento delle dive praesentie, et della luculente fronte ombrata di globuli, degli flavi crinuli antependuli. Et cum limpico tegmine gli madidi crini obvoluti, finalmente laetabonde mi disseron. Poliphile hora alla nostra inclyta et sublime Regina Eleuterilida cum laeto animo andiamo, ove maiore oblectamento sentirai, ridibonde suggiungendo. Heus l’aqua pure te percosse nel viso. Et rinovavano il dolce riso, sencia alcuna misura, alacremente di me solaciantise, l’una cum l’altra innuentise cum lascivo nictare di ochii, et cum Hirqueo intuito, overo transverso. Et d’indi facendo gratioso discesso in medio delle festevole fanciulle andando, dolcemente incominciorono di cantilare in phrygio tono rithmiticamente, una faceta metamorphosi. Conciosia cosa che volendose uno inamorato cum unctione in avicula tramutarse, il bussolo fallite, et transformosi in rude asino. Concludendo che alcuni credono essere le uncture ad uno effecto, et daposcia è ad uno altro. Per questo io suspicai quasi che in me si risolvesse il motivo, per gli sembianti sui verso me ridiculosi convertiti, ma io diciò alhora non feci altro pensiero. Arbitrando dunque accortamente che quella unguentatione a solevamento degli membri fessi stata mi fusse. Ecco che io repente incomincio tanto in lasciva prurigine et in stimulosa libidine incitarme, che tutto me rivolvea torquentime. Et quelle versute licentemente rideano, sapendo il mio tale accidente. In tanto vegetavase, che io me sentiva in grande irritamento ognhora più extimulare. Onde io non so quale morso, overo pastomo me cohibisceron, che in esse quale rabida et affamata aquila tra una turma di perdice rapace et perpete sé dil aire praecipita, non invadesse raptore. Così né più, né manco era fortemente istimulato alla violentia. Et tanto incitamento omni hora incrementare sentendo, salace et pruriente me cruciava. Et tanto più oltra mensura di venerea libidine prono flagrava, quanto che sì opportuni et accommodati obiecti violentissimi se offerivano, incremento di una quasi perniciosissima peste et di inexperta urigine percito. Una dunque di queste flammigere Nymphe di nome Aphea ludibonda mi disse. Poliphile che hai tu? Ad hora laeto scherciavi, et hora io te vedo alterato et mutitato. Io li dissi. Perdonatime che me contorqueo più che [p. 87 modifica]una salicea strophia, io me perdo (date venia) di ardore lascivo, ad questo commoventise tutte in effrenato riso. Ad me disseron. Ohe, et se la tua peroptata Polia quivi ella fusse, che ne faresti tu hen? Heu me diss’io. Per quella divinitate a cui succumbendo servite, ve supplico, non agiungete face et non accumulate teda et resina al mio incredibile incendio, non picate più il mio arsibile core, non me fate ischiantare ve prego. Imperoché non mediocremente me perdo et totalmente me strugo. Ad questo mio lamentabile et moerente risponsorio, incontinente cum le coralicee buccule piene di ridenti clamori fortemente excitate, deveneron ad tanto excesso, che esse, né io, valevemo hogi mai per multiplicabile riso caminare. Ma sopra gli odoriferi fiori et sopra il solo herbido corruendose et involventise, da insolente riso se suffocavano, onde opportuno fue il suo stricto succintulo transverso, alquanto ralentare, et laxare, et per questo modo semianime iacendo sotto per le umbrigere et foliose arbore, et per la patula opacitate degli rami pausavansi. Quivi dunque cum domesticata fiducia gli dissi. O foemine ignibonde et di me malefice, cusì mi fate vui? Ecco che modo licita occasione di irrumpere et opprimere, et di vui fare violentia excusabile mi se praesta. Et verso quelle nuto facendo di volerle prehendere, fingendo audaculo di fare quello che per niuno modo audeva, ma cum più novo riso, invocando l’una da l’altra adiuto, relicti et indi et quindi gli aurei soccoli et velamini fugendo, asportate dalle fresche aure le tenie. Et tra gli fiori neglecti gli vasculi currevano. Et io drieto correndo. Tanto che veramente non so che non spasemasseron, et io aequalmente, prosternate le virtute, et tutto in proluvio de libidine ruente per nimietate del nervico rigore impatiente. Dunque alquanto havendo durato questa solatiosa ludificatione, et questo ludibrioso spasso, et pienamente satisfacto del mio cusì facto agitamento. Recollecti gli soccoli et l’altre cose sparse. Appresso gli verdegianti et madenti rivi d’uno corrente fluviolo, temperato il suave riso, di me tenerrime miserate quivi ad gli ornati rivi di humili et flexuli iunci, et saliuncula, et cum natante Vitrice, et avicino copiosi di vivaci et aquabuli simplici, una di queste morigera Geusia chiamata inclinatose, extirpoe la Heraclea Nymphea, et una radice di Aron, et Amella, le quale in poca distantia l’una da l’altra germinavano mi offerite ridendo, quale ad me di queste piacesse eligere devesse, et ad mia liberatione gustarle. Per la quale cosa io ricusai la Nymphea. Damnai il Draconculo per il suo caustico, acceptai Amella. Et questa mundificata suaseme di gustare. Onde non fue longo intervallo di tempo, che migrante il venereo lubrico et incentivo stimolo, la intemperantia libidinosa se extinse. Dunque per questo modo le illecebre carnale obfrenato, [p. 88 modifica]solaciantise le festigiante damigelle, faconde et facete, pervenissimo sencia avedersene in uno celebre loco, summamente amoeno. Quivi cum decente ordine et distantia era una percupressata via de driti et excelsi cupressi, cum gli sui angulosi et rimati Coni, densi di frondatura quanto essere per sua natura poteano, et compositamente collocati. Et il coaequato solo per omni parte di verdissima vincapervinca contecto, abondante degli sui flosculi azurini. La quale ornata via di debito laxamento lata, ad una verdegiante clausura directamente tendeva, et alla apertione di quella, ad libella gli cupressi distributi, di longitudine di stadii quatro. Al quale claustro pervenuti laetamente, trovai quello aequilatero, di tre alamenti, alla simigliancia di drito muro, alto quanto gli sublimi Cupressi della via. Il quale era tutto di spectatissimi Citri, di Naranci, et di Limoni, cum gratissima foliatura compressamente congesti, et cum artificiosa cohaesione innexi, et di pedi sei iudicai la sua crassitudine. Cum una porta nel mediano inflexa del proprio arborario, cum diligente industria del artifice compositamente conducto, quanto meglio dire si potrebbe né fare. Di sopra al conveniente loco, erano ordinate fenestre. Diqué nella superficie ligno overo stipite alcuno se pandeva, ma solamente delle florulente fronde la periucunda et grata virdura. Tra le belle, folte, et vivace foglie era del candido fiore cumulatissimamente ornato, odore naranceo spirante suavissimo et ad gli desiderosi ochii, maturi fructi et imperfecti summamente delectabili copiosi se offerivano. Poscia nella interstitia crassitudine, mirai gli rami (non sencia miraveglia) per tale magisterio Compacti, che per quegli commodamente se saliva per tutta la capace compositione. Onde per la fultura degli nexi rami gli salienti non apparevano. Intrando dunque nui in questa verdosa et quam gratissima clausura ad gli ochii summamente spectabile, et ad lo intellecto dignia di aestimatione, vidi che l’era uno elegante claustro in fronte ad uno mirando pallatio et amplissimo, et di symmetriata architectura eximio et molto magnifico. Il quale della frondifera conclusione rendeva il quarto alamento, di longitudine passi sexanta. Et era questo ambito uno Hypaethrio quadrato subdiale. Nella parte mediana di questa spectatissima area, vidi uno eximio fonte di limpidissime aque, scaturiente in alto fina alla sublimitate quasi della viridante clausura per angustissime fistulette, et giù in una larga concha cadevano, la quale era di finissimo amethysto il cui diametro tre passi continiva, di crassitudine quadrante verso gli labri in uncia demigrante, di excellentissima fusura, circuncirca apparendo di anaglypho dignissimi expressi di monstri aquatuli. Di quanti mai gli antiquarii inventori in [p. 89 modifica]duritudine fingere prestantemente valseno. Opera daedalea et di admiratione conspicua. Né tale se iacti Pausania havere statuito il suo cratere aeneo ad Hippari. La quale habilmente fondata era sopra uno egregio stylo di diaspro, di varicose mixture, la una per l’altra venustamente adulterantese, intersecantese il diaphano calcedonio, di colore di marina aqua turbida, riduto in nobilissima factura. Excitato di vasi gutturii, uno sopra all’altro, cum separatione di eximia nodatura. Il quale erecto stava infixo nel centro di uno plyntho rotondato di verdigiante Ophites. Il quale rotondo, era levato dal aequato pavimento, quincuncio cum il circundante Porphyro, che era cum perpolite undule curiosamente liniato. Circuncirca al stylo subiecte alla concha quatro Harpyie d’oro cum gli unguicosi pedi et rapaci, sopra la planicie del Ophites posite adstavano. Le quale cum le parte posteriore verso al stylo, l’una opposita directamente all’altra, et cum suesplicate ale sotto resistevano al ianthino labro, overo concha, cum virginei volti. Crinite giù per le spalle dalla cervice deflui gli capillamenti. Et cum la testa non giungendo sotto la concha. Cum le caude anguinee inglobantese, et in extremo in antiquaria frondatura se demigrante. Facevano all’infimo vaso gutturnio del stylo, non ingrata, ma amicale illaqueatura et coniugio. Intro nel mediano umbilico del vaso sopra l’ordine del subiecto stylo, era proportionatamente sublevato del proprio vaso Amethystio, uno oblongo calice inverso, tanto più sublato, quanto era exfossato il vaso, il suo medio, dagli ambienti labii della concha. Sopra il quale excitata era una artificiosa Arula, supposita alle tre Gratie nude. Di finissimo oro, alla proceritate communa, l’una cum l’altra adhaerentise. Dalle papille delle tate delle quale, l’aqua surgente stillava subtile, quale virgule apparendo di cinerato argento terso et strissato. Et quale si extilata si fusse per il candidissimo pumice di Taracona. Et ciascuna di esse nella mano dextera teniva una omnifera copia, la quale sopra del suo capo alquanto excedeva. Et daposcia tutte tre le aperture, elegantemente convenivano in una rotondatione et hiato parimente inseme coeunte. Cum fructi et fronde varii pendenti fora degli oruli, overo labii degli intorquati corni abondantemente referti. Tra gli fructi et fogliature alquanto prominevano dispositamente sei Sipunculi effluendo, dagli quali l’aqua per filatissimo exito saliva. Daposcia il solertissimo artifice fusore per non impedire uno cubito cum l’altro, cum signo di pudicitia le statue cum la leva mano occultavano la parte digna di copertura. Sopra gli labii dilla hiante concha (dilla quale la circuitione più ambiva uno pedi del subiacente Ophites) cum il capo levato sopra gli sui pedi viperei stando, cum decentissimo intercalato

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[p. 91 modifica]assidevano sei squamei draconculi d’oro praelucenti. Per tale excogitata arte, che l’aqua dalle mammille manante cadeva directamente nella vacuata et aperta cranea della testa degli recitati draconculi, cum le ale dispanse, mordici et similmente cadauno di uno Sepunculo regeravano, o vero evomevano essa aqua. La quale cadeva poscia ultra la rotundatione dil Ophites, et tra una rotunditate porphyrica, le quale erano aequalmente più eminente della aequatura de l’area, overo subdivale pavimento, quanto sopra è dicto. Ove interiecto ambiva uno canaliculo tra lo Ophites et essa porphyrica rotundatione lato in apertione di pede uno et semi, et duo integri profundato. Il quale Porphyrico, era tripedale nella plana superficie, cum eximia undiculatione, verso il pavimento.

Il residuo degli draconculi per il moderato lacunare della concha serpivano dummentre che tutti convenisseno transformate le sue extreme caude in antiquaria fogliatura, et in uno periocundissimo illigamento cum l’arula, alle tre imagine substituta, overamente suppedio, cum proportionata altecia. Sencia occupatione deforme, del lacunato della pretiosa concha. Diqué per il verdigiante congresso del Naranceo claustro, et per la collustratione della lucida materia, et per le purissime aque rendevasi uno gratissimo coloramento, quale Iris nelle cavate nebule dentro del nobile, superbo, et elegante vaso. Poscia nel pandare corpulento della concha tra l’uno et l’altro draconculo in aequabile spatio, della praestante fusura extavano capi di iubato leone, cum exquisita exactione, vomebondi spargevano per uno vorabile Sipunculo l’aqua stillante dale sei fistulette, nella copia bellissime constitute. La quale aqua cum tanto frenato impulso saliva, che il praecipitio suo cadeva tra gli draconculi ne l’ampia et sonabile concha, cum gratissimo tinnito del apertissimo vaso per l’alto caso delle dicte aque. Di questa dunque rarissima operatura, cum tanto acuto ingegno praecipuamente extructa, quale era esso insolente vaso. Le quatro perfectissime Harpyie, et quale era di eximia dignitate l’arula, che io vidi ove assidevano le tre figure di fulgentissimo oro, et cum quale artificio et politura digesta. Io giamai subcincte et di lucidissimamente explicare non saperei, et meno idoneo il tutto descrivere. Factura non di humano ingegno. Ma licente testificare posso (gli Dii deierando) che nunque al nostro saeculo tale né alquanto aequivalente Toreutica fusse più grata et più spectabile excogitata. Et cusì stupefacto considerava ancora quelle pugnacissime petre di durecia, del substentamento della magna concha, cioè il stylo degli vasi gutturii, uno all’altro superastituti composito. Cum quale prompta facilitate, né più, né meno, che si di tenella cera la materia praestata se fusse, non cusì facillimi gli ducti filamenti si sareberon et cusì f ii [p. 92 modifica]asperamente interscalpti, et sencia contumacia rosicante del durissimo smirilio, tali Triglyphi così egregiamente expressi. Ma cum opportuni celti et scalpelli de sì facta temperatura, quale ignora gli nostri moderni artifici, cum praecipua nitella splendescenti. Tutta la intervallata area dunque (in medio della quale excitato era di questo spectatissimo artificio della celebre et sumptuosa fontana) havea il pavimento lapideo di quadrature di fini marmori di vario colore et deformatura. Nelle quale meno del suo capto erano intro appacti bellissimamente rotundi di gratioso diaspro cum summa aequabilitate amussi, dissentanei del coloramento. Et gli relicti angoli cum volubile fronde et lilii venustamente satisfacti erano. Daposcia le large liste, overo fascie, tra le quadrature mirai di optimo tessellato di gratissime petre di colore, cum minuta incisura. In foglie verdacie cum punicei fiori Cyanei, Phoenicei et Glauci, tanto meglio confederatamente coagmentati cum obstinata cohaesione, quanto meno io il saperia exprimere, di artificiosa compositione, et di eximia collustratione nitidissimo, di diligente xesturgia, nobile deformatura. Più vago di coloratione, che non dimonstra il crystallo di varia tinctura dagli solarii radii repercosso. Perché gli colori circunducti, cum lepidissimo congresso in esse terse petre reflectevano niuno grado accusatose negli sectilii Tesseri, Scutuli, Trigoni, Quadrati, ma cum planissima directione, coaequissimi. Per le quale tutte cose, quasi io rimansi degli sensi allucinato et stupido fra me solertemente examinando l’opera summamente insigne, quale di videre non fui assueto. Et volentieri io harei voluto di alquanto pausarme, et tale dignitate di operatura sarebbe stato necessario cum più protracta mora investigare, et alquanto cum più diligentia contemplare, ma io non potea, perché convenevole se offeriva le comite faconde et mie ductrice sedulo sequire. L’aspecto dunque di questo sumptuoso, magnifico, et superbo Pallatio et la sua approbata situatione, o vero collocatione, et la Symmetria della miravegliosa compositione, nel primo congresso mi conciliava ad una praecipua hilaritate et venusta gratia, per la dignitate della quale factura, al progresso di oltra più contemplare fui provocato. Per la quale cosa meritamente arbitrava, che il peritissimo aedificatore sopra qualunque altro, che mai fabricasse fusse praestante, quale dunque contignatione trabeata et di canterii, quale distributa dispositione di conclavi, et penetrali, et caviedii? quali parieti di pretioso coassamento intecti, et incrustati, quale miro ordine di ornato, quale perenne coloratione pigmentaria degli alamenti, quale regula di columnatione et intervallo, et quivi per questo [p. 93 modifica]non se extolli la via prenestina per la Gordiana structura. Et ad questo eximio columnato ceda le sue ducento columne Numidice, Claudiane, Simiade, et Tistie di aequale numero divise. Quale marmori, quale scalpture, ove mirai le virtute Herculane in petra luculea Semidivulse mirabilmente exscalpte. Exuvie, Statue, Tituli, et Trophoei, mirificamente coelati. Quale Propyleo, o vero vestibulo, quale regio portico. Ad questo debitamente ceda Tito Caesare cum le sue petre phoenicie speculabile, et terse, tale et tanto che exile qualunque foetoso ingegno se damnarebbe volendolo narrare, accede ancora la dignitate della fenestratione et della conspicua porta, et del nobilissimo Podio, lo egregio expresso dill’arte aedificatoria. Non meno excellente vedevasi il miraveglioso soffito bellissime lacunato, cum lacunule tra la undiculatione intecta di fogliatura, quadrate et rotunde insepte. Cum exquisiti liniamenti decorati, di puro oro, et Cyaneo coloramento deaurati, et elegante depicturati. Perdase quivi qualunque altro mirando aedificamento. Essendo hogi mai all’apertione della spectabile porta pervenuti. Ecco che l’era serata la Itione di una iocunda et mirabile cortina intercalare extenta, tutta di filatura d’oro, et di seta ritramata et contexta, cum due imagine dignissime. L’altra di esse, cum omni instrumento apto ad operare circundata. Et una cum il virgineo volto sublevato, il coelo intentamente considerava. La formositate delle quale non immerito me dehortava che cum peniculo (quantunque del praeclaro Apelle) si potesse agiungere. Quivi le faconde et pervenuste et lepidissime comite, ciascuna la sua dextra giunseron benignamente cum la mia volendome introdure et acceptantime dicendo, Poliphile questo è l’ordine servabile, per el quale intrare si convene alla veneranda praesentia, et sublime maiestate della Regina nostra. Questa praecipua et primaria cortina non si concede d’intrare a niuno, sencia recepto di una simplice et vigilante damigella ianitrice, Cinosia chiamata, et questa sentendo il nostro advenire subito se appraesentoe, et urbanamente dimovete la cortina. Et nui intrassimo. Quivi era uno spatio intercluso, et per un’altra velatura diviso, di artificio et compositione nobilissima, et di omni tinctura variata. Nella quale erano signi, Formature, piante, et animali di singulare ritramatura. In questo loco al nostro adventare, una similmente curiosa donna se fece immediate ad nui, Indalomena nominata. Et ingenuamente il suo Sipario reserato, fussemo introducti. Ancora et quivi era uno aequale intervallo, tra la seconda et una tertia cortina, molto eximiamente, cum discorso et ragione, mirabilmente contexta, et de infinite ligature, et retinaculi, et di instrumenti veterrimi di harpagare et mordacemente retinere vermiculatamente f iii