Gli amori/Fino a morirne

Fino a morirne

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L'Indovinello Omissioni

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FINO A MORIRNE


Mia cara amica,


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lla non risponde? Chi tace acconsente! E col suo silenzio non mi dice ella veramente che io ho ragione, che la condotta della mia ultima protagonista è proprio una specie di logogrifo, e che la mancanza di logica nella psiche muliebre è quella che produce tali risultati?

Se non m’inganno, se proprio ella non mi ha risposto perchè, rispondendomi, dovrebbe darmi ragione, io voglio ricambiare il suo assenso e darle ragione a mia volta. Queste illogiche creature, queste sfingi viventi ogni parola delle quali è un enimma, non fanno soltanto soffrire gli uomini che le incontrano, ma soffrono esse medesime, prima di essi; soffrono della propria indecisione, dei contrasti della loro natura, delle contraddizioni della loro volontà; ne soffrono acutamente, talvolta fino a morirne. E poichè è inteso che io debba comprovare le mie asserzioni con altrettante parabole, eccole quella che fa al caso presente.

Ella legge le opere di molti, di tutti i romanzieri moderni; ma uno gode più degli altri le sue simpatie: un romanziere che è al tempo stesso filosofo; uno scrittore che, come a lei, piace a tutte le signore, e [p. 68 modifica]che, per la felice complessità della mente eletta, è anche apprezzato dai pensatori; un romanziere filosofo, poeta e critico, psicologo e osservatore. Non aggiungo altro, se no ella indovina chi è; ed io le dico i peccati, non i peccatori... Peccatore? Quest’uomo non ha nulla da rimproverare a sè stesso! Giudichi, piuttosto.

Egli che vive, poniamo, a Cosmopoli, va un giorno, poniamo, a Flirtopoli. Qui incontra, presso un’amica, una signora. Costei, bellissima fra le più belle, lo conosce di fama; ma egli resta poco tempo nella città dove è venuto a visitare qualche amico, e se pure lascia intendere alla dama l’effetto che la sua bellezza ha prodotto in lui, pure non crede di prolungare il proprio soggiorno per farle una corte d’esito incerto; e bastandogli la soddisfazione d’amor proprio provata nell’udire le lodi letterarie delle quali ella gli è stata larga, se ne parte, torna al suo paese, credendo di non doverla più rivedere.

Al suo paese, dopo un certo tempo, riceve un giorno una lettera della quale non riconosce la scrittura: questa lettera porta il francobollo di città. Egli corre alla firma, e vede il nome di lei... È dunque venuta a Cosmopoli? Per che motivo? E che cosa vuole da lui?... Egli legge la letterina; è brevissima: la dama gli dice che, essendo venuta a Cosmopoli per vederne le principali curiosità, avrebbe piacere di visitarne l’Arsenale; e che perciò si rivolge a lui, sperando ch’ei voglia accompagnarvela.

Dovrò io, cara contessa, spendere molte parole per dimostrarle lo stupore di quell’uomo? È vero che a Cosmopoli c’è un famoso Arsenale, la visita del quale nessun viaggiatore coscenzioso, che abbia meditato il suo Baedeker prima di mettersi in via, suol tralasciare; ma rivolgersi a un letterato per visitarlo non le pare che sia press’a poco come pregare un marinaio di guidarci per qualche valico alpino?... Ora se questa dama, appena arrivata a Cosmopoli, invita il nostro scrittore presso di lei con un pretesto discretamente ridicolo, non è naturale che egli pensi di non esserle indifferente? [p. 69 modifica]

L’amor proprio, che suggerisce simili persuasioni, si chiama vanità quando opera con poco fondamento, e degenera in fatuità quando non ha fondamento di sorta. Il pericolo di doversi dare del fatuo da sè stesso impedisce al nostro artista di accogliere la lusinghiera idea — quantunque essa non sia interamente gratuita. Dopo aver girato mezza giornata per i ministeri, egli ottiene il permesso di visitare l’Arsenale insieme con una dama; e mandata a memoria una descrizione del luogo per non fare cattiva figura, va a prendere la nostra signora. Saluti, complimenti, ringraziamenti, discorsi sui comuni amici di Flirtopoli, visita all’Arsenale, spiegazioni, esclamazioni dinanzi agli oggetti più curiosi; altri ringraziamenti, nuove strette di mano.

— Io resto ancora un poco a Cosmopoli, — dice la dama nel momento che il signore prende congedo: — spero che vi lascerete vedere!...

Egli non ha tempo di pensare se gli conviene cercare di lei, — come desidera in cuor suo, perchè quella donna è sempre più bella che mai e l’idea di poterne essere amato lo infiamma; — quando, il domani, riceve un nuovo biglietto. Questa volta ella lo invita, «se non ha di meglio da fare,» ad andare con lei, la sera stessa, al teatro.

Sarà quest’uomo ancora fatuo se penserà che questa donna lo invita all’amore? Non è evidente che lo vuole? Trascinarlo una prima volta all’Arsenale, il giorno dopo al teatro, col ritorno notturno in carrozza, in una città dove nessuno la conosce, non è una dimostrazione molto eloquente?

Ed egli l’accompagna allo spettacolo. Ella ha preso un palco di proscenio, uno di quei palchi — come ce ne sono nei teatri di Cosmopoli — dove non si è visti dagli spettatori, dove si sta come in un salottino della propria casa, liberi di fare ciò che più talenta: uno di quei palchi dove non si va se non proprio per essere liberi di fare ciò che talenta..... E allora, come è troppo naturale, egli che lungo la strada ha fatto molte spese di galanteria, che è molto ecci[p. 70 modifica]tato dall’avventura, nell’aiutare la dama a sbarazzarsi del mantello, nel vedere il bel corpo sprigionarsi della serica e odorosa custodia, si china su lei, le prende la testa fra le mani e la bacia sulla bocca.

Allora, contessa mia, sa che cosa accade? Questa donna diventa rossa come di fuoco, poi impallidisce terribilmente; poi con voce strozzata, acre, sprezzante, dà a quest’uomo dell’indegno e del vile; e come egli, agghiacciato, petrificato dall’imprevedibile accoglienza, balbetta qualche parola per tentare di giustificarsi, ella non lo lascia dire: raccoglie il mantello ed i guanti, e domanda imperiosamente la carrozza. Come un servitore congedato egli va innanzi a chiamare la carrozza, si cava il cappello mentre la dama vi prende posto, e resta in mezzo alla via.

Un uomo che riceve il massimo insulto, uno schiaffo sul viso, freme e s’arrovella e soffre come nessun altro; ma egli può dare sfogo in più modi all’impeto della rabbia e dell’ira. E ciò precisamente rende insoffribile più che uno schiaffo sul viso l’insulto d’una donna alla quale si credè di potere, anzi di dover chiedere l’amore: l’impossibilità di prendersela con lei o con altri. A questa donna quest’uomo non può dire, afferrandola per un braccio e scotendola:

— Maledetta, chi t’ha detto di provocarmi? Per qual gusto sei venuta a metterti sui miei passi? Credevi che io avessi animo di divertirti? Che cosa c’è nella tua testa vana e folle? Non c’entrerà mai la logica, la ragione, il buon senso, il senso comune?...

Egli non può andare a narrare queste cose alla gente, svelare la doppiezza di costei, ottenere che sia riconosciuto il torto di lei e la ragione sua propria. Mentre il maschio originario vorrebbe battere e sottoporre questa donna, l’uomo civile deve sorridere, inchinarsi, chiedere scusa; perchè la femmina è diventata un essere sacro anche quando è spregevole, che dice la verità anche quando mentisce, che bisogna difendere anche quando vi offende...

E il più grave è che ciò è giusto! Le leggi, i costumi, gli stessi pregiudizii che ci reggono non sono [p. 71 modifica]arbitrarii; hanno tutti una qualche ragione. Le donne debbono essere perdonate e difese perchè non sanno quel che si fanno. Se il nostro protagonista avesse sfogato il suo sdegno contro quella disgraziata, si sarebbe procurato un rimorso senza fine amaro. Se costei non seppe quel che fece, ella stessa ne sopportò le conseguenze — fino a morirne!

Il domani della scena del teatro egli mandò qualcuno all’albergo dove ella stava, per sapere, roso come era da una torbida curiosità, che cosa aveva fatto. Era partita. Allora egli si strinse nelle spalle, borbottò l’eterno: «Donne! Chi vi capisce?...» e riprese le sue esercitazioni letterarie.

Ora un giorno, dopo aver messo fuori un nuovo volume, ecco arrivargli una lettera sulla busta della quale riconosce il carattere di lei... Ma è proprio di lei? Non è possibile! Egli deve ingannarsi: vide due volte la sua scrittura; questa che ora considera le somiglierà, ma non è, non può essere la sua! Che cosa ha da scrivergli ancora? Ardisce ancora rivolgersi a lui? Gli chiede di farle vedere un Panificio e lo invita in un gabinetto particolare di qualche caffè elegante, per far poi la casta e la sdegnata?...

La lettera è proprio di lei; viene da molto lontano. Ella gli parla del suo nuovo libro, gli dice che le piace moltissimo, che l’ha fatta piangere, che da molto tempo non le accadeva di leggere una cosa tanto bella e forte. Gli chiede che cosa scrive ancora. Non un accenno al passato.

Il primo impeto del nostro romanziere è di stracciare quel foglio e di buttarlo nel cestino. Ma è trascorso molto tempo, la riflessione sopravvenuta gli ha dimostrato che le donne non sono responsabili delle loro azioni; la cavalleria, anzi una cosa molto più semplice, il galateo, gli rammenta che a tutte le lettere, ma più specialmente alle cortesi si deve una risposta. Un altro consigliere, più accorto, più ascoltato, l’amor proprio, gli suggerisce di rispondere perchè quella donna non creda che egli l’ha ancora con lei. E risponde; poche righe di ringraziamenti, studiatamente cortesi. [p. 72 modifica]

Tre giorni dopo egli riceve un’altra missiva lunga quattro facciate. Ella gli parla un po’ di letteratura, un po’ d’arte, un po’ di sè stessa; gli dice che è triste, che cerca nella lettura una distrazione e un conforto. Ragiona dei sogni, delle illusioni, della poesia.

Ora la disposizione dello scrittore è modificata: egli ride. Dica la verità: ne ha ben donde! Quella pazza ricomincia sopra un altro tono! Prima erano gl’inviti prosaici, ora sono le istigazioni poetiche! Ma se crede di coglierlo un’altra volta!... Le risponde pertanto menando — scusi la stupidità dell’espressione, contessa; ma non le pare che convenga alla stupidità dell’avventura? — menando, dico, il can per l’aia. Ella riscrive, e in breve scambiano epistole ad ogni corriere.

Un sentimento spinge quest’uomo a mantenere viva la corrispondenza: la curiosità. La sua curiosità, non più torbida, anzi ilare, s’appagherà soltanto quando egli vedrà come mai questa storia anderà a finire. E’ ora evidente che la dama è innamorata di lui. Era innamorata fin dal primo principio? Quando venne a Cosmopoli, e cercò di lui, e lo invitò all’arsenale ed al teatro, voleva proprio darglisi? O era ancora un’ingenua inesperta? Il suo sdegno, dopo la scena del teatro, fu un poco esagerato, ed ella si pentì poi di non essersi frenata? Oppure fu sincera, e solamente più tardi, lontana da lui, vedendo che egli non faceva nulla per rivederla, per ottenere una spiegazione, si accese di lui? Problemi!... Ma, benchè la sua curiosità di sapere tutte queste cose sia enorme, quando egli legge le nuove lettere, quando le vede piene di ardente passione, d’umile pentimento, d’implorante rimorso; allora, sia perchè non arde, sia perchè non è interamente sicuro di non fare un altro fiasco, sia perchè quell’anima cieca, vagolante in una specie di limbo, gli fa pietà; allora, dico, per una di queste o per tutte queste ragioni insieme, risponde gettando molta cenere sul fuoco, facendo intendere che egli non vuol rivederla, che pure restando amici, da lontano, nulla deve più accadere fra loro. [p. 73 modifica]

Riceve ancora, uno dopo l’altro, due o tre biglietti pieni di molta tristezza, di dolente rassegnazione, di espressioni ambigue, oscure, delle quali non considera bene il significato; ma che comprende un triste giorno, quando corre a rileggerle dopo aver letto, in un giornale, al caffè, che quella dama, buttatasi dal castello di Chillon nel lago Lemano, vi è morta annegata...