Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro II/III

Cap. III

../II ../IV IncludiIntestazione 24 agosto 2020 75% diari di viaggio

Libro II - II Libro II - IV
[p. 164 modifica]

CAPITOLO TERZO.

Artificiose, e crudeli operazioni del Regnante

Mogol, per occupare l’Imperio.


E
Gli si è ormai per lunga isperienza palese, che assai più colla forza, che col dritto, la successione di sì gran Monarchia vien regolata; e che (se pure i figli attendono la morte del Padre) alla per fine, coll’armi in mano, nell’incerto evento d’una battaglia, ogni ragion di primogenitura ripongono: il Mogol [p. 165 modifica]però, di cui abbiam ragionato, all’aperta forza aggiunse la fraude, colla quale e i fratelli, e’l Padre mandò in rovina.

Dapoi ch’ebbe 40. anni regnato Sciagehan, più da Padre, che da Re, essendo già in età di 70.anni, ad altri pensieri acconcia, che d’Amore; fieramente venne ad invaghirsi d’una giovanetta Mora. Dal suo focoso desiderio mosso, tanto sregolatamente (più ch’alla sua età si conveniva) di lei prese piacere, che venuto in estrema debolezza, disperato di sua salute, si chiuse per tre mesi nell’Aram, senza farsi vedere da’ Popoli, come era di costume. Teneva egli sei figliuoli: i maschi erano quattro, e si chiamavano, il primo Darà, o Darius; il secondo Sugiah, cioè Principe coraggioso; il terzo Oreng-zeb, che significa l’ornamento del Trono; e l’ultimo Morad Baksce. Delle due femmine si chiamava la prima Begum Saheb, cioè Principessa Padrona; e la seconda Rauscenara Begum, cioè Principessa luminosa, o lume delle Principesse. Si pongono così fatti nomi, perche non essendo in que’ Regni nè Contadi, nè Marchesati, od altri Titoli, come in Europa; non ponno, come i nostri Principi, prender nome dalle Terre; [p. 166 modifica]oltreché queste appartengono tutte al Re, il quale poi dà a tutti coloro, che lo servono, assegnamenti a suo piaciere, o paga in contanti. Per la stessa ragione i nomi degli Ombrah sogliono essere, per ragion d’esemplo: Fulminator di tuoni, Rompitor di schiere, Signor fedele, il Prudente, il Perfetto, e simili.

Questi figli era già qualche tempo, ch’egli vedendogli ammogliati, potenti, e pretensori della Corona F. Bernier. Revolut. des estats du G. Mogol. to. 1. pag. 20. (e per conseguente nemici l’un dell’altro) e in tale stato, ch’era impossibile rinserrargli nella innaccessibile Fortezza di Govaleor, giusta il costume; dopo varj pensieri, temendo non venissero ad uccidersi in sua presenza, risolse allontanargli dalla Corte. Mandò Sultan Sugiah nel Regno di Bengala, Oreng-Zeb in quello di Decan; Morad Baksce nel Guzaratte, e donò a Darà Cabul, e Multan. I tre primi partirono contenti, e ne’ loro Governi fecero da Sovrani; ritenendosi tutte le rendite, e tenendo eserciti in piedi, sotto pretesti di tenere in freno i sudditi, e’ Principi confinanti. Darà essendo primogenito, e destinato all’Imperio, rimase nella Corte; dove il Padre nutrendolo colla speranza della Corona, permetteva, che gli [p. 167 modifica]ordini si ricevessero per mano di lui; e che avesse una spezie di Trono più basso del suo fra gli Omrah: giacchè avendogli voluto cedere il Governo, l’avea Darà ricusato per riverenza.

Or’essendosi per la ritirata di Sciah-gehan sparsa voce, ch’egli fusse morto, senza alcuno indugio s’armarono i figli, per contendere del paterno Reame. L’astuta volpe d’Oreng-Zeb, tra questi sconvolgimenti di cose, per cogliere più sprovveduto il fratello, pubblicamente diceva, ch’egli non pretendeva punto la Corona: e che si aveva eletta la vita di Fachir, o povero, per servire Iddio, con quiete. Scrive frattanto a Morad Bakscè, che egli era stato sempremai suo verace amico; e che niuna pretensione avea sulla Corona, avendo satta professione di Fachir: ma che Darà essendo inabile a regnare, e Kafer o Idolatra: Sultan Sugiah Refesis o Eretico, nemico della Religion della Patria, ed indegno della Corona; altro che Morad non gli parea degno del Reame, al quale gli Ombrah tutti, non ignorandone il valore, si sarebbon volontieri sommessi. Quanto a se, purche gli promettesse di buona fede, che giunto al Trono, lo lascerebbe in pace, a [p. 168 modifica]pregar Dio, in un angolo del Reame, tutto il rimanente de’ suoi giorni; non solo si sarebbe ingegnato di ajutarlo col consiglio, ma l’avrebbe anche data la sua gente, per distruggere gli emuli fratelli: in pegno di che gli mandava 100. mila Rupie; consigliandolo a venir, con ogni prestezza, ad impadronirsi della Fortezza di Suratte, dov’era il Tesoro. Morad Baksce, che nè potente, nè ricco molto si era, accetta volontieri il partito, e’l danajo: e prende tantosto a far da Re, promettendo gran premj a coloro, che si fussero posti dal suo canto; sicchè in picciol tempo pose in piedi poderoso esercito. Indi poi tolti tre mila soldati sotto il comando di Sciah Abas valente Eunuco, mandogli ad assediare il Castello di Suratte.

Arebbe voluto Darà soccorrerla; ma se ne astenne, per assistere all’infermità del Padre, e reprimere l’impeto di Sultan Sugiah; che con poderose forze, dopo aver soggiogato il Regno di Bengala (che avea in Governo) s’era fatto innanzi nel Reame di Lahor. Contro costui mandò subito, con potente esercito, Soliman Scecur suo figlio primogenito; che disfatto suo Zio, lo ridusse dentro il terreno di Bengala; e posti quindi buoni presidj [p. 169 modifica]nelle frontiere, si ritirò appresso Darà suo Padre.

Per lo contrario Oreng-Zeb manda il suo figliuolo Sultan Mahmud (Genero del Re di Golconda) all’Emir-Gemla (ch’era ancora occupato per ordine di Sciah-gehan all’assedio di Kaliana) a dirgli, che gisse a trovarlo in Dolet-Abad; perche ivi dovea farlo inteso d’un’affare di molta importanza. L’Emir, a cui eran ben note le artificiose maniere d’Oreng-zeb, si scusò francamente, dicendo: che il Padre non era ancor morto; e che tutta la sua famiglia era rimasa in Agra nelle mani di Darà in pegno di sua fede; onde non potea dargli ajuto nelle sue cose, senza la perdizione del più caro, che avea nel Mondo. Avuta sì fatta risposta, non si perdè di animo Oreng-Zeb, ma inviò all’Emir Sultan-Mazum suo secondo figliuolo; il quale seppe in così fatta guisa adoperarsi, cho lo indusse a venir seco in Dolet Abad, col fiore del suo esercito (avendo di già espugnata Kaliana.) Lo ricevette Oreng-Zeb con infiniti segni di stima, e d’onore; trattandolo di Babà, e di Babagì, cioè di Padre, e Signor Padre: e dopo averlo abbracciato cento volte, fattolo da parte, [p. 170 modifica]cominciò a dirgli: che non era giusto, che avendo la sua famiglia in mano di Darà, egli s’arrischiasse a far in palese alcuna cosa in suo favore; ma che dall’altro canto non vi era difficultà, che non potesse superarsi. Vi proporrò adunque (soggiunse) un mezzo, che non vi parrà strano, quante volte vorrete pensare alla sicurczza di vostra moglie, e figli; ed è, che voi soffiate, che io vi ponga in prigione (che senza dubbio tutti crederanno esser da dovero, avendo voi per uomo da non soffrirlo da scherzo) e frattanto io mi servirò d’una parte delle vostro schiere, della vostra artiglieria, e di qualche somma del vostro danajo (come tante volte mi avete offerto) e mi porrò a tentar la fortuna. L’Emir, o che fusse per l’amicizia giurata a Oreng-Zeb, o per le gran promesse altre volte fattegli; o perche vedesse Sultan Mazum presso a lui bene armato, e Sultan Mahmud, che gli faceva mala ciera; si condusse a far tutto quello, che quegli voleva, lasciandosi imprigionare in una camera. A tal novella tutta la sua gente prese l’armi per liberarlo, ed essendo in gran novero l’arebbe fatto, se Oreng-Zeb con lusinghe, promesse, e doni non [p. 171 modifica]l’avesse quietata: in maniera tale che non solo le truppe dell’Emir, ma la più parte di quella di Sciah-gehan vedendo gli affari intorbidati, presero il suo partito. Impadronitosi adunque delle tende, cammelli, e bagaglie dell’Emir, si pose in marcia per andar all’espugnazion di Suratte: ma avuta novella, dopo alcuni giorni di cammino, che il Govcrnadore l’avea di già renduta a Morad Baksce; mandò a congratularsi con costui, e a farlo partecipe del succeduto coll’Emir Gemla; delle forze, e danajo, che si trovava; e delle secrete intelligenze, che aveva alla Corte: pregandolo di più, che dovendo egli far la strada di Brampur ad Agra, facesse ogni diligenza per farsi trovarti sul cammino, e parlar seco.

Seguì ciò secondo il suo desiderio, unendosi, con grandissimo giubilo, i due eserciti. Oreng zeb fece nuove promesse a Morad Baksce, di nuovo protestandosi, che non pretendea la Corona; ma che solamente era ivi per ajutarlo a porre sul Trono, a dispetto di Darà lor comune nemico. Si mossero quindi amendue verso Brampur; dove venuti alle mani coll’esercito di Sciah-gehan, e Darà, che impedir volea loro il passo del fiume [p. 172 modifica]Ogene; per lo gran valore di Morad, rimasero superati i contrarj Generali Kasem-Kan, e Gesson-senghe, con morte di 8. m. Ragipu.

Avvalorato Morad Baksce dal felice esito della battaglia, altro non cercava, che combattere; con ogni studio ingegnandosi di sopraggiungere il nemico: mentre Oreng-zeb vanaglorioso animava i suoi soldati, pubblicando che egli teneva 30. m. Mogoli del suo partito fra la gente di Darà. Riposatisi alquanto diedero la seconda battaglia in Samongher, nella quale Morad Baksce, sebbene ferito dal Generale Ram senghe rutlè, coraggiosamente combattendo, uccise il suo feritore con un colpo di freccia. Or mentre era ancor dubbio l’evento della battaglia, il traditore Calil-ullah-kan, che comandava 30. m. Mogoli, co’ quaii avrebbe potuto disfare il nemico; non solo si pose dal canto d’Oreng-zeb, ma infedelmente persuase Darà di scender dall’Elefante, e porsi a cavallo: e ciò affinchè non vedendolo più i soldati, lo credesser morto, e si perdessero di cuore. Tanro seguì, imperocchè soprafatti tutti da improviso terrore, si posero in fuga, per iscampar dalle mani d’Oreng-zeb. [p. 173 modifica]In cotal guisa Darì da vittorioso in un subito divenne vinto; e vedendosi abbandonato, fu costretto anch’egli fuggire, per salvar la vita. Di modo tale, che può dirsi, che Oreng-zeb per essere stato fermo sull’Elefante, si vide la Corona dell’Indostan stabilità sul capo; e Darà, per esserne sceso troppo resto, precipitò dal Trono: piacere che prende sovente volte la fortuna, di far dipendere le grandi vittorie dalle più picciole, e dispregievoli cose. Ritornato l’infelice Darà in Agra disperato, non avea ardire di farsi vedere dal Padre; il quale gli avea detto in accomiatandolo: Ricordati Darà di non venire più in mia presenza, se non vincitore; nientedimeno il buon vecchio non lasciò di mandarlo a consolare, ed assicurarlo della sua buona volontà.

Quattro giorni appresso vennero Oreng-zeb, e Morad Baksce in un giardino, discosto una picciola lega dalla Fortezza d’Agra; ed indi mandarono un’accorto, e confidente Eunuco a far riverenza a Sciah-gehan; e a dirgli, ch’essi sentivano infinito dispiacere di tutto l’accaduto, ma che erano stati astretti a ciò fare dall’ambizione di Darà: del rimanente essere prontissimi ad ogni suo [p. 174 modifica]comandamento. Sciah-gehan qurunque ben conoscesse l’ardente desiderio di regnare del figliuolo, e che non bisognava fidarsi delle sue belle parole; mostrossi piacevole all’Eunuco; perocchè egli intendeva cogliere Oreng-zeb nella trappola, senza venire alla forza aperta, come sarebbe stato a tempo di fare. Costui però esperto maestro d’inganni, fece nelle medesime reti rimanere il Padre; perocchè differendo di giorno in giorno la visita, che per mezzo degli Eunuchi s’era concertata; andò nel mentre, con secreti intrighi, guadagnando il cuore degli Ombrah. Quando gli parve le cose essere in buono stato, mandò Sultan Mahmud suo primogenito nella Fortezza, sotto pretesto di voler parlare a Sciah-gehan di sua parte. Questo Principe giovane, ed ardito, giusto alla porta, diede colle sue genti (che erano in aguato) addosso alle guardie, e postele in fuga, entrò coraggiosamente dentro, ed impadronirsi delle mura.

Sciah-gehan vedendosi caduto nelle reti, che avea ordite al figliuolo, tentò coll’offerta del Regno subbornare Sultan Mahmud; ma questi costante portò le chiavi della Fortezza al Padre; che fece della medesima Governadore il suo [p. 175 modifica]Eunuco Ekbarkan. Costui subito rinserrò il vecchio Re con Begum Saheb sua figliuola, e tutte le Donne; in maniera che non potesse parlare, nè scrivere a veruno, non che uscire dal suo appartamento senza licenza. Appena ciò fatto, tutti gli Ombrah furono costretti corteggiare Oreng-zeb, e Morah Baksce, e dichiararsi ogn’uno per Oreng-zeb. Essendo adunque costui assicurato del tutto, prese dal Tesoro quello, che gli parve; e lasciato Sciah-hest-kan suo zio Governadore della Città, si parti con Morad baksce perseguitando Darà.

Il giorno che doveano uscire da Agra, gli amici di Morad baksce, e principalmente il suo Eunuco Sciah-abas, presero a dirgli, che già ch’era Re, e che anche Oreng-zeb lo trattava di Maestà; andasse questi contro Darà, ed egli si rimanesse colle sue Truppe nelle vicinanze d’Agra, e Dehli. Ma tanta fidanza egli avea nelle promesse del fratello, e nel giuramento di fedeltà, che l’un l’altro s’avean dato sopra l’Alcorano: che dispregiando ogni savio consiglio, si pose incammino verso Dehli, in compagnia di Oreng-zeb. A Maturas (discosto quattro giornate d’Agra) di nuovo gli amici proccurarono di [p. 176 modifica]fargli conoscere, che il fratello covava cattivi disegni nell’animo; e che s’astenesse, almeno per quel giorno, d’andarlo a visitare, sotto pretesto d’indisposizioni: ma egli incredulo, e quasi incantato dalle melate parole di colui, non solo vi andò, ma vi rimase a cena. Infinite furono le carezze, che gli fece il traditore (sino ad asciugargli il sudore col moccichino) trattandolo sempre da Re, e da Maestà; ma non tanto lo vide soprafatto da’ vapori del buon vino di Sciras, e Cabul, che levatosi di tavola di bella maniera, ed invitando il fratello a continuare il sollazzo con Mircan, ed altri Ufficiali, ch’erano quivi; ritirossi, come se andasse a riposarsi. Morad baksce, che amava ii bere, ubbriacatosi più che non era, cadde infine in preda al sonno: quello appunto, che desiderava Oreng-zeb per fargli togliere la scimitarra, e’l gemder, o pugnale. Quindi entrato di nuovo nella camera, cominciò a sgridarlo con queste parole: Che vergogna, che infamia, è questa! un Re, come te, è così poco continente, che si ubbriaca di tal maniera? che si dirà di te, e di me? Che si prenda questo infame, questo ubbriaco, sia ligato di piedi, e di mani, e rinchiuso a digerire il vino. Ad un tratto fu [p. 177 modifica]ciò eseguito: e perche i Capitani di Morad Bak-sce sentivano male la prigionia del lor Principe, tanto fece Oreng-zeb con doni, e promesse, che gli acchetò, e ricevette tutta la loro gente al suo servigio. Il disgraziato fratello fu rinchiuso dentro un’Ambry (ch’è una casetta di legno, che si pone sopra l’Elefante, per portare le donne) e condotto a Dehli, nella picciola Fortezza di Salemgher, posta in mezzo del fiume.

Assicuratosi di Morad-Bak-sce, seguitò la traccia di Darà; imponendo a Sultan Mahmud, e all’Emir-gemla la distruzione di Sultan Sugiah. Aspirando però Mahmud a cose, che non dovea per allora, ed essendo di sua natura superbo; venne in contesa coll’Emir-gemla, a cagion del comando superiore, che pretendeva d’aver egli solo: e di tempo in tempo lasciavasi uscir di bocca parole di dispregio, e minaccevoli contro di lui, e poco convenevoli ad ubbidiente figliuolo. Temendo poscia che il Padre, sdegnato per gli suoi mali portamenti, avesse dato ordine all’Emir d’arrestarlo; ritirossi, con pochi de’ suoi, verso Sultan-Sugiah, facendogli gran promesse, e giurandogli fedeltà; ma questi temendo di qualche stratagemma [p. 178 modifica]d’Orengzeb, e dell’Emir, faceva sempre osservare ogni suo portamento; sicchè fra pochi mesi tornò Mahmudal Campo dell’Emir. Altri dicono, che fusse stata arte d’Oreng-zeb farlo passare appresso il Zio, per rovinare l’uno, e l’altro; overo un pretesto specioso per assicurarsene: essendosi veduto appresso, che oltre le minaccevoli lettere, colle quali lo richiamava in Dehli, fece arrestarlo nel passeggio del Gange, e rinserratolo dentro un’Ambry, condurlo a Gavalcor.

Oreng-zeb fatto questo colpo, fece sapere all’altro figliuolo, detto Sultan-Mazum, che stasse nel dovere, se non voleva correr l’istessa fortuna; perche il punto del regnare era dilicato, e i Re devono quasi aver gelosia della loro ombra stessa. Passato poscia in Dehlì, prese a comandar da Re: e mentre l’Emir teneva a mal partito Sugiah (che con ogni industria resisteva, mantenendosi libero il passeggio del Gange) pensò, almeno coll’inganno, aver Darà nelle mani, con farlo uscire dal Guzaratte. Fece che il Ragià Gessem-Senghe gli scrivesse, che voleva favellar seco d’un’affare importantissimo, sul cammino d’Agra. Darà che avea un mezzano esercito formato, [p. 179 modifica]disavvedutamente uscì da Amed-Abad, e a gran giornate venne in Asmire, otto giorni lontano d’Agra. Quivi tardi avvedutosi del tradimento di Gessem-Senghe, nè vedendo modo di ritornar così tosto in Amed Abad (35. giornate discosta) in tempo d’Estate, con penuria d’acque, fra le Terre di molti Ragià, amici di Gessem; risolse in fine, conciòfossecosache inferiore di forze si conoscesse, per ogni modo combattere.

In questa battaglia fu tradito Darà, non solo da Sciah-Navaze-Kan, ma da tutti gli Ufficiali del suo esercito (che facevano tirar l’arteglieria senza palle) sicchè fu astretto a fuggire, per salvar la vita; e passare a traverso di tutte le Terre de’ Ragià, che sono dopo Asmire, sino ad Amed-Abad, senza tende, e bagaglio, nel cuore del caldo; e con soli due mila Soldati, i quali furono la più parte spogliati da’ Kully, Contadini del paese, che sono i più gran ladroni dell’Indie. Essendo, dopo tanto stento, giunto lontano una giornata d’Amed-Abad, il Governadore corrotto da Oreng-zeb, gli fece sapere, che non s’avvicinasse, perche avrebbe trovatele porte chiuse: di che oltremodo afflitto Darà, nè sapendo a che [p. 180 modifica]risolversi; gli venne in mente un Patan assai potente, chiamato Gion-Kan, al quale avea egli salvata due volte la vita, allora quando, in pena della ribellione, Sciah-gehan comandò, che fusse gittato sotto l’Elefante. Risolvette aduque, mal grado i consigli del figliuolo Sepesce-Kuh, e della moglie, d’andarlo a trovare. Quivi giunto fu accolto in prima cortesemente; ma la seguente mattina il traditore, ed ingrato Patan, con molta gente armata, se gli gittò sopra; ed uccisi alcuni soldati accorsi alla difesa, fecelo ligare insieme colla moglie, e’l figliuolo, togliendosi tutto il danajo, e le gioje. Postolo quindi sopra un’Elefante, con un Carnefice dietro, che dovesse ucciderlo ad ogni minimo segno di fuga; lo condusse al Campo di Tatabakar, dove lo pose nelle mani di Mirbabà Generale, che lo fece dal medesimo trasportare a Lahor, ed indi a Dehli. Essendo alle porte di Dehli, furono varj i pareri di Oreng-zeb, e de’ suoi, se doveano farlo passare per mezzo la Città, o nò, per mandarlo a Gavalcor; ed alla per fine si deliberò di porlo malamente vestito, colla moglie, e’l figliuolo, sopra un ridicolo Elefante; e così farlo passare per mezzo la Città, coll’infame Patan allato. [p. 181 modifica]

Riseppe intanto Oreng-zeb, che tutta la Città era commossa contro di lui, a cagion di tante crudeltà; e dubbitando di peggio, chiamò i suoi a consiglio, s’era meglio mandarlo in prigione, o farlo morire. Molti furono del primo parere; ma gli antichi nemici di Darà (spezialmente Nakim Daud Medico) secondando il genio del Tiranno, gridarono altamente, ch’egli facea di mestieri, per la salute del Regno, che morisse: tanto più che non era Musulmano, ma Kaser, (o Idolatra) e senza Religione. Volontieri vi acconsentì Oreng-zeb; incontanente comandando, che Sapesce-Kuh fusse menato prigione a Gavaleor, e Darà fusse ucciso per mano d’uno schiavo, nomato Nazer. Entrato questi, per eseguire il barbaro comandamento, Darà che stava egli medesimo apparecchiandosi alcune lenticchie, per temenza del veleno; presago del suo male, gridò verso il figliuolo: ecco chi viene per ucciderci. Volea egli, preso un coltello di cucina, difendersi; ma i manigoldi gli furono subito addosso, e gittatolo per terra, tagliarongli la testa Fu portata questa ad Oreng-zeb, nella Fortezza; ed egli fattala porre in [p. 182 modifica]un piatto, lavolla prima colle sue mani, per vedere, e veramente era del fratello; e poi ch’ebbe conosciuto esser dessa, posesi a piangere, dicendo: Ahi disgraziato: mi si tolga dinanzi, e si porti a sepellire nel sepolcro di Humayon.

La sera fece entrar nel Serraglio la figlia del misero, che fu poi mandata a Sciah-gehan, ed a Begum Saheb, che la richiesero: e Sepesce-Kuh fu condotto a Gavaleor. Fu anche premiato Gion.Kan del tradimento; ma nel ritorno alle sue Terre, fu ucciso dentro il bosco: e sperimentò, che amansi i tradimenti, non i traditori.

Non rimaneva altro della famiglia di Darà, che Soliman-scekuh, il quale non era facile di trarre da Serenagher, se il Ragià avesse osservata la sua parola; ma le secrete macchinazioni del Ragià Gessesenghe, le promesse, e minaccie d’Oreng-zeb, la morte di Darà, e gli altri Ragià vicini, lo fecero mancar di fede. Soliman sapendo d’esse tradito, fuggì per deserte montagne, verso il Gran Tibet; ma il figlio del Ragià lo sopraggiunse, e a colpi di pietre (da cui restò ferito) fecelo fermare, e poscia condurre a Dehlì; dove fu posto in Salemgher, con Morad-Baksce, non [p. 183 modifica]senza lagrime di tutti gli Omrah.

Vedendo Oreng-zeb andare attorno poscia in lode del valore di Morad-baksce, n’ebbe tal gelosia, che trovò subito il modo di farlo perire. Avea Morad, sul principio della guerra, tolta la vita, in Amed Abad, a un tal Sajed, uomo ricchissimo, a fine di prendersi i suoi beni. Or’i figli di costui fece il Tiranno in piena assemblea comparire, a chieder la testa del Principe, in vendetta della morte del Padre. Alcuno degli Omrah non contradisse, sì perche era il Sajed de’ parenti di Maomet; come per aderire alla volontà d’Oreng-zeb, di cui conosceano essere il ritrovato. Si permise adunque a coloro, senz’alcuna forma di processo, far mozzare il capo a Morad: ciò che incontanente fu eseguito in Gavaleor.

Non rimanendo altro ostacolo ad Oreng-zeb, che Sultan Sugiah; e questi, avvegnache mantenuto si fusse qualche tempo in Bengala, pure bisognò alla fine, che cederle alla forza, e fortuna del fratello: imperocchè l’Emir-gemla colle genti mandategli, perseguitandolo da per tutto, e fin dentro tutte quell’Isole, che forma il Gange vicino la sua foce; obbligollo di fuggire a Dake, ch’è [p. 184 modifica]l’ultima Città di Bengala alla riva del Mare. Quivi non avendo navi, per mettersi nell’Oceano, nè sapendo dove porsi in salvo; mandò il suo primogenito Sultana Banche al Re di Aracan, o Mog (Principe Gentile) a pregarlo, gli permettesse di rifugiarsi per allora nel suo paese; e dargli a suo tempo, colla dovuta mercede un vascello per Moka, avendo egli desiderio di andare alla Mecca. Il Re d’Aracan mandò prontamente, con Sultan Banche, quantità di galeasse, o mezze galee, con risposta cortese intorno al rimanente. S’imbarcò adunque Sugiah, colle sue donne, e giunto da quel Re, fu ricevuto assai bene; ma venuta poi la stagione, non adempì questi la parola di provvederlo di nave, per gire alla Mecca; ma mostrandosi ogni dì più freddo, cominciò a lagnarsi, che Sugiah non lo visitava: e quantunque Sultan Banche spesso lo corteggiasse, e gli facesse grandi presenti, non per ciò ottenne nulla. Dimandando poscia in matrimonio una delle figlie di Sultan Sugiah, e vedendo non essergli subito conceduta; talmente sdegnossi il Barbaro, che fece risolvere il fuggitivo Principe, ad oprar finalmente da disperato. Pensò egli co’ suoi 300. soldati, che [p. 185 modifica]portati s’avea di Bengala, e co’ Maomettani del Paese, da lui subbornati, entrar nella casa del Re, uccider tutti, e farsi chiamar Re d’Aracan; ma il giorno prima, che dovea dar compimento all’opra, si scoperse il tutto, e fu costretto per salvarsi, fuggire verso il Pegù; dove era impossibile di pervenire, a cagione delle grandi montagne, e foreste, che dovea passare. L’istesso giorno fu sopraggiunto il meschino da’ soldati del Re, e quantunque coraggiosamente si difendesse, uccidendone gran numero; ne sopravvennero poi tanti, che bisognò alla per fine cedere alla Fortuna. Sultan Banche, che non si era tanto innoltrato, si difese anch’egli; ma ferito a colpi di pietre, e d’ogni parte circondato, fu arrestato, co’ due piccioli fratelli, sorella, e madre. Quanto alla persona di Sultan Sugiah, varie sono le opinioni: alcuni dicono che fusse ferito nelle montagne, mentre soli quattro de’ suoi lo seguivano; e che avendogli un’Eunuco medicata la ferita del capo, si pose a fuggire a traverso de’ boschi: altri dicono, che fusse stato trovato fra’ morti, ma non ben conoiciuto; taluno, che fusse stato veduto poscia in Maslipatan; altri vicino [p. 186 modifica]Suratte: ed altri in fine, che si fusse ritirato in Persia: di maniera tale, che per tanta varietà di novelle, un giorno disse Oreng-zeb ridendo, che Sugiah era divenuto peregrino. L’opinion più ricevuta si è, che morisse nella battaglia, se pure non fu ucciso da’ ladri, o dalle fiere, di cui sono piene quelle foreste.

Dopo sì funesto successo, fu porta tutta la famiglia in prigione, e’l Re si prese per moglie la figlia primogenita; ma scopertasi poi una nuova congiura di Sultan Banche, si sdegnò quegli in sì fatta maniera, che fece a tutti toglier la vita, sino a quella ch’era sua moglie, e gravida: a’ maschi col ferro, e alle donne colla fame.

Così finita la crudel guerra, che lo smoderato desiderio di regnare avea fatto durare, tra’ quattro fratelli, dal 1655. sino al 1660. F. Bernier Revolut. des Estats du G. Mogol t. 1. rimase Oreng-zeb pacifico possessore di sì vasta Signoria; imperocchè dopo tanto spargimento di sangue, ed enormità commesse, gli fu facile farsi dichiarar Re, con applauso di tutti i Grandi. Il maggiore ostacolo, che egli trovasse si fù quello del G. Cadì, che dovea dargliene il possesso. Diceva costui, che la legge di Muhammed, e di [p. 187 modifica]natura insegnava, non doversi alcuno dichiarare Re in vita di suo Padre: e tanto più Oreng-zeb, che avea fatto morire Darà primogenito, al quale si dovea il Reame dopo la morte di Scia-gehan. Per superare questa difficultà, fece congregare i Dottori della legge, e disse loro: che quanto al Padre, egli era inabile per l’età; e quanto alla morte del fratello Darà, l’avea fatto morire come dispregiatore della legge (bevendo vino, e favoreggiando gl’Infedeli.) A queste ragioni aggiunte le minaccie, fece conchiudere a’ Maomettani Cafisti, ch’egli meritava l’Imperio, e si dovea dichiarare Re.

Seguitando tutta volta ad opporvisi il Cadì, fu necessario privarlo dell’ufficio, e porre un’altro in suo luogo Tavern. voyag. des Ind. l. 1. chap. 5. pag. 252.; il quale per lo beneficio ricevuto, al tutto diede consentimento. Adunque a’ 20. di Ottob. 1660. Oreng-zeb venuto nella Moschea, s’assise sul Trono; il più ricco, e’l più superbo, che mai siasi veduto al Mondo, per l’infinità delle preziosissime gemme, che l’adornano (l’istesso appunto, ch’era stato cominciato dal Tamerlane, e compiuto da Scia gehan) quivi ricevendo omaggio da tutti i Grandi, giusta il costume. Si fecero poscia grandissime feste in [p. 188 modifica]Gehanabat, per tutto il Regno.

Considerando Oreng-zeb (detto corrottamente nel Campo Oranzevo) la gravezza de’ delitti commessi, per giungere al suo intento; volontariamente si prescrisse da quel punto una rigorosa attinenza, di non mangiar più pane di grano, nè carne, nè pesce; e di mantenersi di pane d’orzo, di riso, di erbe, di confetture, ed altre cose simili; nè bere alcuna sorte di licore.

Vennero alla di lui Corte Ambasciadori de’ primi Monarchi d’Asia, e d’Africa, a congratularsi della sua elevazione al Trono; ma egli non picciolo dispiacere sentì dalla lettera, che gli scrisse il Re di Persia, rimproverandogli la morte di Darà, e la prigionia di Scia-gehan; come azioni indegne di un Musulmano, e di un fratello, e figlio di Musulmano: e motteggiandolo sul titolo, che s’avea arrogato sulle monete di Alemguire (cioè Signore del Mondo) conchiudeva, quasi lo sfidasse con tai parole: poiche tu sei Alem-guire; Io ti mando una spada, e cavalli, acciò ne avviciniamo l’un l’altro.

Morì finalmente Sciah-gehan dentro la Fortezza d’Agrà, circa la fine del 1666. [p. 189 modifica]Ed Oranzevo, che da gran tempo desiderava togliersi davanti un continuo rimprovero della sua tirannia, subito vi andò ad impadronirsi di tutte le gioje del Padre. Ricevette in grazia Begum-Saheb sua sorella, come quella, ch’avendo dominio sullo spirito del Padre, (essendogli moglie, e figliuola) gli avea conservato tante gioie d’immenso valore; quando Sciah-gehan sdegnato, ch’egli avesse mandato a cercargliele, mentre era ancor vivo, per adornarne l’usurpato Trono, volea ridurle in polvere dentro un mortajo. Oltreacciò aveagli dato molto oro, ed ornata di ricchi tappeti la Moschea, nella quale egli avea posto piede prima d’entrar nella Fortezza. Fu menata poscia onorevolmente in Gehanabat, dove morì con sospetto di veleno.

Se vorremo ora dare un’occhiata a’ tempi passati, ed alla vita dell’istesso Sciah-gehan, vedremo, ch’egli fu gastigato da Dio con quell’istessa pena, ch’avea fatta soffrire al nipote Bulaki, usurpandogli la Corona.

Gehanghir Re d’India figlio d’Acbar, e nipote di Humagion, dopo aver pacificamente regnato 23. anni, videsi inquietato dall’ambizione de’ figli, che stimarono troppo lunga quella vita, che differiva [p. 190 modifica]il lor dominare. Il Primogenito fece un potente esercito dalla parte di Lahor, per sedersi, prima del dovere, sul paterno Soglio; onde il Re per punirne la temerità, gli andò incontro, con poderosa oste; e disfatto, lo menò prigioniero insieme con quei Signori, che l’avean seguitato. Essendo però egli di natura benigno, e non volendosi imbrattar le mani nel sangue del figliuolo, che non potea non amare; contentossi di fargli passare il ferro rovente su gli occhi, e in tal guisa tenerlo appresso di se; con pensiero di far regnare un giorno il di lui figliuolo primogenito Sultan Bulakì. Ma Sultan Curom (che prese poi il nome di Scia-gehan) credendo, che come secondo figlio di Gehanghir dovea, per giustizia, esser anteposto a suo nipote; deliberò di non lasciar modo, per spignerlo giù dal Trono, e stabilirvisi egli, senza aspettar la morte del Padre. Coprì sì malvagio pensiero col simulare, e finto ubbidire, sino a guadagnarsi l’affetto paterno; e quando gli parve esser bene nella sua grazia, pregollo, che gli permettesse di condurre il cieco fratello nel Reame di Decan, ch’egli avea in Governo: dicendogli, che a lui toglieva con ciò un oggetto dispiacevole d’avanti agli occhi; [p. 191 modifica]ed al fratello avrebbe più tranquillo fatto menare il resto de’ suoi giorni. Il Re nulla penetrando l’intenzione di Curom, vi acconsentì; ma questi avuto in potere il povero Principe, seppe di tal maniera farlo perire, che niuno potè mai pensare, ch’egli avesse avuta la crudeltà di avvelenarlo.

Ciò fatto mutossi il nome in quello di Sciah-gehan, cioè Re del Mondo; e posto insieme un grande esercito, si pose in camino, per far la guerra al Padre, giustamente sdegnato; e più per la morte del figliuolo. Uscì Gehanghir in persona, con gran numero di soldati, contro al fellone, ed ambizioso Curom; ma la vecchiezza, abbattuta dal dolore di vedersi così oltraggiata, fecelo rimaner morto per istrada, e facilitò all’altro di conseguire il suo fine. Niente però di manco, prima di spirare, raccomandò il nipote Sultan Bulakì ad Asuf-Kan, Generalissimo del suo esercito, e primo Ministro di Stato, e a tutti i Capi della soldatesca; ordinando loro, che dopo la sua morte, non altri che Bulakì riconoscessero per lor verace, e legittimo Signore: e dichiarando per lo contrario Sultan Curom ribelle, ed incapace di succcdere alla Corona. Di più fece [p. 192 modifica]giurare, particolarmente Asuf-kan, di non avere a permettere mai che si facesse morire Bulaki; ciò che quegli poscia fedelmente osservò, ma non per stabilirlo sul Trono, che avea desinato a Sciah-gehan suo genero.

Saputasi la morte di Gehan-ghir, tutti i Grandi riconobbero per Re il giovane Sultan Bulaki. Due Cugini di questo Principe, accortisi in brieve de’ cattivi disegni d’Asus-kan, volendo farnelo avvisato, fur cagione a se stessi della perdita della vita, e al Re del Regno; imperocchè questi, inesperto nel mestier di regnare, ne richiese lo stesso Asuf-Kan, il quale, dopo aver giurato, di aver sempre ad esser fedele al suo Re, secretamente fece i due Principi morire. Considerando poscia, ch’avendo il Re contezza della congiura, pericolosa cosa si era differir più l’impresa; e vedendosi potente di seguito, fece sparger voce, che Scia-gehan era morto, e che’l corpo sarebbe portato a sepellire in Agra, colle ossa di Gehan-ghir, giusta il desiderio, che ne avea mostrato prima di morire. Egli medesimo recò tal novella a Bulaki, persuadendolo, che quando ciò si avrebbe a fare, uscisse per lo meno due leghe [p. 193 modifica]fuori d’Agra, incontro all’esequie; dovendosi un tale onore a un Principe del sangue, benche nemico. Venne intanto Sciah-gehan sconosciuto, e quando fu a veduta dell’esercito, presso ad Agra, si pose in una bara, e fecesi qual morto condurre. Vennero tutti i principali congiurati, con Asuf, sotto la Tenda, dove fu riposto, come per fare onore al morto Principe; e poi che videro uscito d’Agra il giovane Re, scoperta la bara, fecero in piè rizzare Sciah-gehan, su gli occhi di tutto l’esercito; e ad alta voce dichiarandolo Re, essi, e col loro esemplo tutti gli altri, giurarongli omaggio.

Bulaki udita per istrada sì crudel novella, tutta la sua salute ripose sbigottito nella fuga: ciò che gli fu facile, perche non istimarono i suoi nemici a proposito il perseguitarlo. Andò egli molto spazio ramingo per l’Indie, menando vita da Fachir; ma in fine stracco di far più sì penoso mestiere, ritirossi in Persia, dove fu magnificamente ricevuto, e sostentato da Scia-Sofi. Sciah-gehan rimaso senza competitore, pure temendo delle fazioni, che poteano suscitarli a favore del legittimo Re, fece a poco a poco morire tutti i bene affetti al nipote; [p. 194 modifica]rendendo famosi per la crudeltà i primi anni del suo governo. Adunque se egli in vita fu dal proprio figliuolo privato del Regno, deesi riputare giusta vendetta del Cielo, che sempre è più grave, quando è più tarda.

Queste sono le vie, per cui si poggia al Trono dell’Indostan, ritrovate non già dal reo costume di que’ popoli, ma lasciate aperte dal difetto di buone leggi, intorno alla ragion di primogenitura. Ogni Principe del Sangue stima perciò aver bastevole ragione sulla Corona; ed esponendosi alla crudel necessità di vincere per regnare; talora in una sola rovina avvolge infinite vite, non che la sua, per far divenire più sicuro l’altrui stabilimento.