Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 47

N. 47 - 24 novembre 1872

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[p. 383 modifica]1^ -ftjxrisro XXVII. KT- 4 7 24 NOVEMBRE 1872 SI PUBBLICA. OGNI DOMENICA Al presente numero è unito il N. 22 della Rivista Minima. LA SITUAZIONE (FRANCIA, GERMANIA, ITALIA, ECC.) Con questo titolo leggiamo nelfArZ Musical di Parigi un bell’articolo che ei dà uno specchio fedele dello stato presente della musica teatrale: Non è fuor di proposito fare l’inventario della ricchezza musicale, qualunque ne sia la provenienza, di quella, intendo, che tocca i teatri. Non sarà cosa lunga... disgraziatamente. Incominciamo da noi. In fatto di opere non sappiamo ciò che la Francia produca ogni anno; sappiamo solo quante ne rappresenta nella sua prima scena lirica. L’annata può riputarsi buona quando ne fa rappresentare una; se non che le annate non sono tutte buone, e ne passano di quelle che vivacchiano, sul vecchio repertorio senza che l’affìsso annunzi mai la minima novità. Un opera ogni anno non è evidentemente troppo per un paese come la Francia che ha uno dei primi Conservatori del mondo, molti membri dell’Istituto fra i suoi compositori in voga ed una miriade di musicisti, non tenendo conto dei premiati di Roma che vengono ogni anno incoronati. Supponendo che un opera sola riesca su tre, dovremmo tuttavia avere in trent’anni dieci opere che rimarrebbero nel repertorio. Dove son esse? Quanto all’Opéra-Comique la carestia è meno grave; ma quanti mesi d’una stagione teatrale passano senza che si annunzi mai un’opera nuova? E, se anche se ne annunziano, quante sono quelle che possono lottare colle vecchie opere che si denno riprodurre in mancanza di meglio? Non teniam conto delle operette, delle farse buffonesche, delle parodie, delle caricature; esse possono dilettare più o meno il pubblico, ma sarebbe cosa singolare classificarle fra le opere d’arte. Questo per la Francia. Passiamo alla Germania. I giornali speciali ne informano scrupolosamente di tutto ciò che apparisce in fatto di opere sceniche nell’ordine musicale. Orbene, tranne alcune rare opere, troppo rare per un paese vasto e produttivo qual’è la Germania; tranne le sedicenti epopee liriche di Riccardo Wagner, che non sempre vi ottengono l’accoglienza che i partigiani della sua musica vorrebbero far credere, i teatri di Vienna, di Berlino, di SALVATORE FARINA Monaco, di Weimar, ecc, sono alimentati d’ordinario da opere francesi od italiane. Non è raro — e fu cosi da tempo imme morabile — non è raro di vedere i compositori tedeschi disertare il loro paese (come fecero Gluck, Mozart, Meyerbeer e come ai dì nostri fece il signor De Flotow, e in cerchia meno elevata Offenbach, Litolff, ecc.) e venire a scrivere per le nostre scene musicali. E incontrastabile che se eglino trovassero miglior accoglienza in casa loro vi rimarrebbero. No, la Germania, si ha un gran dire, non è cosi feconda di compositori e specialmente di opere sceniche come si è preteso. La statistica ha rigori senza eguali, e l’argomentazione dei numeri tanto è brutale quanto è convincente. Non parleremo che per tenerle presenti, della Russia, dell’Inghilterra, della Spagna, del Belgio e del Portogallo, dove, se pure si produce qualche opera, avviene rarissimamente, e il più delle volte, quasi sempre, per non dir sempre addirittura, quelle composizioni muoiono là dove videro la luce, senza pur passare le frontiere del paese che le vide germinare. Rimane l’Italia. Quivi è ben altro. Vi si rappresentano su per giù, una quarantina d’opere nuove ogni anno. Certo non nascono tutte vitali; ed anche fra quelle che alla prima rappresentazione ottengono esito che si potrebbe credere splendido, e che procurano ai loro autori gran numero di applausi e di chiamate, poche ve n’han che vivano lungamente. Simili alle meteore luminose del cielo dei tropici, esse splendono d’una luce sfolgorante per poche ore e d’un subito spariscono dal firmamento dell’arte. Ma sta il fatto che.si è molto operosi dall’opposto versante delle Alpi e che l’Italia è senza contrasto più feconda delle altre nazioni in fatto d’opere liriche scritte per la scena. Convien dire inoltre che buona parte di codeste opere non arrivano fino a noi, per ragioni indipendenti dal loro merito. Se ben si ricercasse, se ne troverebber molte che potrebbero essere importate in Francia e vi sarebbero accolte con gran favore. Non mancano esempi. Noi ne abbiamo applaudito di quelle che avevano per oltre una dozzina d’anni fatto il giro di tutti i teatri della penisola, ma siam cosi fatti che ogni nome che ei è sconosciuto, foss’egli altrove popolarissimo, ei ispira diffidenza. Ignorando ciò che è scritto sulla bulletta della bottiglia, gustiamo di mala voglia e con una certa ripugnanza il liquore, pronti a giudicarlo anticipatamente con molta severità. Forse che gli Italiani sono i soli che scrivano oggidì il più gran numero d’opere per le scene musicali? No, ma non si può negare che eglino sono che ne fanno rappresentare il maggior numero. Perchè? Cerchiamo bene, e ne troveremo il motivo. Vi ha in ogni gran città d’Italia — e le gran città in Italia sono molte — uno o due gran teatri d’opera, e tal volta più. Il pubblico italiano non si accontenta cosi facilmente come facciamo noi al regime delle riproduzioni; le accetta, ma con moderazione, ed esige che ogni anno un teatro che s’intitola teatro dell’opera dia almeno un’opera nuova detta ordinariamente opera d’obbligo. La parola implica il dovere che l’impresario assuma [p. 384 modifica]386 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO di far rappresentare una nuova opera (1), durante la stagione musicale, stagione di sei mesi o d’un anno, poco monta. Contate ora tutti i gran teatri d’opera della penisola, e vi darete ragione del perchè, alla fine dell’anno, facendo il bilancio teatrale, si trovi che ei furono una quarantina di opere nuove. Vi ha chi pretende che laggiù non si facciano spese di messa in iscena, e che perciò riesca facile fare eseguire una nuova opera, mentre il nostro Teatro dell’Opera è incagliato dalla messa in iscena, ben altrimenti splendida a Parigi. È un errore. Quanti hanno viaggiato ed hanno visitato l’Italia poterono convincersi del contrario. Libero alle persone che non furono mai a Milano, a Parma, a Napoli, a Venezia, a Genova od a Bologna di credere che vi si rappresentino le opere come si fa al nostro Teatro Italiano di Parigi. Non cercheremo di toglierli dall’inganno. Perch’essi credessero, converrebbe che vedessero, e non possono o non vogliono darsi questa briga. Nulla tuttavia impedirebbe loro d’interrogare quei che si son recati in Italia; e fra i nostri compositori e critici ve n’ha che andarono - non è gran tempo - a Milano, a Parma ed a Padova per assistere alle rappresentazioni dell’Aida di Verdi. Interrogateli; e vi diranno se la messa in scena db quest’opera non potrebbe reggere al confronto di quella delle migliori rappresentate all’Opera. Per parte mia posso affermare che ho assistito a rappresentazioni del Profeta a Firenze e, a costo di trovare degli increduli, che la messa in scena era più ricca alla Pergola che non sia all’Accademia di musica. Ma siffatta quistione è secondaria; ritorniamo a quella che più ei importa. Si scrive quasi altrettanto in Francia, ma solo le opere rimangono nello scrittoio dei compositori. Perchè? Perchè l’Italia ha, come abbiamo detto, gran numero di teatri d’opera e la Francia non ne ha che uno. Delle scene dipartimentali non è a tener conto; esse non vivono che del repertorio di Parigi (2). Le rarissime eccezioni non fanno che avvalorare la regola. Ora si scrivano venti opere in un anno e se ne dia una sola - se pure si dà - ed è un’opera sola che la Francia avrà prodotto, mentre T Italia ne avrà prodotto quaranta. Ma, si dirà, quante ve n’ha fra le quaranta di veramente buone? Supponendo che non ve ne sia che una, sarà sempre un’opera. A Parigi non ne abbiamo nemmeno una da gran tempo! Ed avendola, converrà supporre che piaccia per confrontarla con quella fra le quaranta d’Italia, che avremo ammessa come tale. Quest’è la situazione: la Germania produce poco, l’Italia produce molto e rappresenta molto, la Francia produce più che non si creda e fa rappresentare pochissimo. I commenti sono inutili, chè non abbiam voluto per oggi occuparci se non dell’inventario musicale. JL de Thémines, (1) Anche in Italia la massima parte dei teatri di provincia vivono di ciò che si produce nei pochi teatri di prim ordine, salvo qualche eccezione. Non è esatto il credere che in Francia si produca quasi tanto quanto in Italia, chè la produzione è sempre proporzionata alla probabilità offerta agli autori di veder rappresentate le opere loro; minime in Francia queste probabilità, pochi devono essere anche gli scrittori; in Italia dove si rappresentano ogni anno 40 opere nuove circa se ne scrivono certo assai più. A. della Red. (2) Le opere d’obbligo rare volte sono nuove assolutamente; quasi sempre non sono se non riproduzioni di quelle pochissime fra le nuove che furono accolte e giudicate con gran favore. I padrini, che in Italia come altrove tengono al fonte battesimale le nuove creature musico-teatrali, sono di solito j parecchie migliaia di lire pagate dall’autore il quale dee possedere un po’ di ) ben di Dio.... o un mecenate. A. della Red. Si narra di Boieldieu il seguente curioso aneddoto. L’illustre autore della Dama Bianca avea l’entrata libera al teatro del Vaudeville, ma siccome frequentava assiduamente T Opéra Comique, non approfittava gran fatto del suo diritto. Una volta tuttavia gli prende vaghezza di recarvisi, ma mentre fa per passare gli si chiede il suo biglietto. — Ho T ingresso libero, dice. — Il vostro nome, di grazia? — Boieldieu. — Come? — Boieldieu. — Il compositore? — Appunto. — Voi? — Per bacco! Ne dubitereste forse? — Niente affatto, ribatte il bigliettaio, non ho dubbio di sorta epperò vi prevengo che la vostra furberia non riesce. — La mia furberia? Ma, signore, sappiate che io sono incapace di tal frode: il nome che vi ho detto è il mio. — È inutile insistere, noi conosciamo perfettamente il signor Boieldieu. — Oh! Voi lo conoscete? — E uno dei frequentatori più assidui, viene tutte le sere. — Ed è venuto oggi? — È venuto. — Sarei curioso di vederlo. — Come! Voi persistete nell’inganno e volete essere posto in confronto del signor Boiëldieu? — Sarà la prima volta che mi troverò innanzi a lui, e ei tengo. — Quale audacia! — Vi prego di condurmi in faccia a lui, e saprete allora qual sia l’impostore. L’accento determinato e l’aspetto da gentiluomo, impressionarono gli impiegati, i quali volendo veder chiaro nell’imbroglio, lo condussero all’ingresso delle sedie riservate. Quivi il bigliettaio indicò un signore assai ben vestito che guardava attento lo spettacolo. — Eccolo. — E quello il signor Boieldieu? — Fin che non mi abbiate provato il contrario. Boieldieu guardò l’usurpatore colla benevolenza che formava il fondo della sua natura. «Ecco un uomo felice, diss’egli, io turberei la sua felicità, di cui gode in mio nome! Lo priverei d’un piacere che prende tutte le sere, per rivendicare un diritto di cui non mi servirò forse mai più. In fede mia, non sarò cosi crudele! Ed aggiunse ad alta voce: — Scusate, non insisto più e mi ritiro. — Ah! confessate dunque che siete un falso Boiëldieu? — Confesso tutto quello che volete; ho fatto un semplice scherzo. — Un cattivo scherzo, signore, un cattivo scherzo! E Boieldieu se la battè eroicamente. Rivista Milanese Sàbato, 23 novembre. Il teatro Carcano ha dato la luce dalla sua ribalta ad un’altra opera fortunata, il David, Rizzio del giovine maestro Canepa. Venendo ultimo fra i miei colleghi a commentare il successo e ad anatomizzare il nuovo nato, non ho la soddisfazione di poter dire cose nuove soltanto coll’enumerare i pezzi applauditi e le chiamate al maestro, ma almeno so di certo ciò che vi ha di più dure [p. 385 modifica]vole nelle prime festose accoglienze’. Colle quali mi piace credere che il pubblico volle meglio testimoniar la sua stima ad un giovine di vero ingegno, venuto di lontano, ignaro di cabale fuor dell’influsso di amicizie, a chiedere al pubblico un giudizio schietto intorno alla prima sua fatica, piuttosto che mostrare veramente il suo entusiasmo per la nuova opera. Il pubblico ha le sue bizzarrie, e non è raro che gli venga il ghiribizzo di fare il padre nobile o di darsi per mecenate a chi mostra di non averne nemmeno uno. Allora i suoi giudizii sono benevoli, i suoi applausi rumorosi, gli vengono fuori come nelle grandi occasioni grida di bravo, ed esce dal teatro contento dell’autore che ha incoraggiato e di sè stesso. Il maestro Canepa non creda già che questo scemi in alcun modo i suoi meriti, perchè di solito siffatte fantasie bonarie non vengono al pubblico se non quando gli si fa innanzi un autore modesto, inesperto ancora di intrighi, pieno d’ingegno, di buona volontà e di giovinezza. Occorre tutto ciò perchè il pubblico applaudisca nel primo lavoro il secondo, il terzo, tutto l’avvenire d’uno scrittore - e molte volte non basta. Il David Rizzio non è dunque un capolavoro; il suo autore ha passato di poco la ventina, ed ha per sè una scusa legittima, cioè, che colle moderne esigenze musicali, i lavori prematuri non riescono mai capilavori. Ma il David Rizzio non è nemmeno una di quelle sconciature che fanno venir dal cuore l’augurio di una perpetua sterilità; nossignori il maest ro Canepa ha idee, ha ottime intenzioni, ha fantasia, ha dottrina. Quando si ha tutto ciò si cammina spediti colle gambe della giovinezza, e si arriva quasi sempre. Tutti i giovani che scrivono per la prima volta un’opera in musica, si piacciono a far conoscere gli studi che han fatto, e non sapendo ancora architettare un edifìzio rigorosamente armonico in tutte le sue parti, vogliono far pompa dei materiali di fabbrica che, di solito, fra proprii ed altrui, sono molti. Anche il maestro Canepa fa cosi; nella sua opera si odono un’infinità di motivi, alcuni dei quali non solamente belli, ma di provenienza legittima; in orchestra si può dire che tutti gli strumenti hanno una parte obbligata, il trombone, i corni, i flauti, i pifferi non solamente ei sono, ma si fanno sentire, abbozzano un’idea, ne compiono un’altra cominciata sul palcoscenico, fanno un gruppetto, un trillo, una scala cromatica, pigliano atteggiamenti e movenze e andature sempre varie, in moto di continuo, di continuo in azione, di continuo in fermento. E un errore anche questo, ma l’errore dei prodighi, i quali per errare hanno prima di tutto bisogno di esser ricchi. E non basta: il giovine autore, provveduto al primo bisogno di mostrare quello che sa e quello che potrà fare, si prova a fare sul serio, a far vedere che egli non immagina sulla falsa riga, che non gli manca arditezza, che non si è accontentato di studiare la maniera di far cantare la prima donna e il tenore e di trar partito dalle grandi orchestre, ma che ha capito in che consiste la moderna fisionomia del melodramma. Non vi riesce benissimo, ma vi riesce quanto basti al suo intento. 0 m’inganno, o tutto il cumulo di intenzioni, di propositi che si agita nella testa d’un artista che è alla vigilia di divenire un grand’artista, si fa palese in questo David Rizzio. Il quale non ha impronta originale, nè simmetria di parti, ma per certi frequenti lampi di melodia schietta, per certi accessori e frastagli benissimo riusciti, si toglie dalle solite scolastiche sublimità di genii che non sono tali se non fino a tanto che hanno preso finale. Non vo’ enumerare i pezzi dell’opera che più piacquero, inutile noia che fu patita e fatta patire da altri, mi starò pago a dire che nel primo atto vi è una bellissima romanza, nel secondo un graziosissimo duetto fra baritono e mezzo soprano, che vien sempre fatto ripetere, e nel terzo un coro di congiurati che ha un’impronta singolarmente efficace. Anche questo coro vien fatto ripetere ogni sera. Molte e vere bellezze melodiche si trovano inoltre sparse qua e là in altri pezzi. La conclusione che traggo da questo David Rizzio è che quando dalla confusione di mille fantasie che fanno GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 387 il caos giovanile ne uscirà una netta, quando alla ricchezza della tavolozza e degli ornati corrisponderà la sicurezza e l’armonia del disegno, il maestro Canepa potrà darci un magnifico lavoro. Per far ciò, non ha che da aspettare il tempo, il quale è puntuale e viene sempre presto, anche se par che tardi. A quanti maestri invece il tempo par davvero che abbia le ali... che essi non hanno! Gli esecutori a cui fu affidata la prima interpretazione di quest’opera fecero del loro meglio per farsi applaudire. Vi riusci il tenore Ferrari dalla bellissima voce, vi riuscì il baritono Carpi, corretto ed elegante nella parte di Enrico, è il basso Romani, che è artista diligente, di maniere simpatiche e di buoni mezzi. La signora Mayer nel far la parte di Regina non aveva punto d’una regina, e poi la voce alquanto stridula nocque molte all’effetto dei canti che le erano affidati; con una voce quanto è possibile ad una voce esser esile senza cessar di voce, ebbe miglior fortuna la signora Valerga nella sua particina. L’orchestra andò un po’a rotoli, ed i cori fecero qualche volta come l’orchestra. Il teatro dal Verme campa melanconicamente i giorni alternando le opere del suo repertorio, che non sono assolutamente nuovissime: Trovatore J Favorita e Don Giovanni. Le nuovissime sono alle prove, e se non casca la vòlta dei cieli, avremo finalmente fra un paio di settimane i Promessi Sposi del Ponchielli, tante volte e tanto inutilmente promessi. Nel Trovatore udimmo giorni sono un altro baritono, il signor Broggi; non ha gran voce, ma di quella che ha è padrone e seppe farsi applaudire. Al Carcano è promesso il Nabucco. Al Milanese trionfò un’altra commediola ridotta dal francese: Un colp de man. Al teatro Santa Radegonda una sola novità importante: Capitale e mano d’opera di Valentino Carrera. Nella Rivista Minima se ne parla di proposito. Finisco con una buona novella: il nuovo teatro della Commedia in piazza S. Fedele si aprirà ai primi del prossimo dicembre con rappresentazioni della compagnia Bellotti-Bon, e colla commedia di Ciconi, La Rivincita. Una circolare stampata ei annunzia la prossima pubblicazione in Milano d’un periodico mensile col titolo II Convegno, che si occuperà di filosofia, di scienze, di lettere e di arti. In questi ultimi giorni i teatri d’opera francese della Francia, del Belgio e della Svizzera, hanno rappresentato le seguenti opere in italiano: Perpignan e Namur il Barbiere, Tournai il Don Pasquale, Ginevra e Aja la Traviata, Liegi e Tolosa il Rigoletto, Lille e Gand la Lucia, Lione e Montauban il Trovatore, Marsiglia il Guglielmo Teli. Persino in Algeri è stato dato il Guglielmo Teli! — A Mülhausen poi fu eseguito il Trovatore in tedesco. Ecco ora le opere di autori italiani rappresentate ultimaménte nei principali teatri della Germania: Il Trovatore, a Vienna, Colonia, Amburgo, Cassel, Kónigsberg, Berlino, Francoforte s. M.. Breslavia. Norma, a Vienna, Kónigsberg, Berlino. Medea (di Cherubini), a Berlino. Il Barbiere di Siviglia, a Berlino, Weimar, Breslavia, Amburgo. Un Ballo in maschera, a Francoforte s. M., Vienna. La Figlia del reggimento, a Francoforte s. M., Amburgo, Berlino, Kónigsberg. Rigoletto, a Breslavia, Cassel, Vienna. Lucia di Lammermoor, a Amburgo, Kónigsberg, Vienna, Lipsia.’ La Favorita, a Vienna. Lucrezia Borgia, a Vienna. L’Elisir d’amore, a Cassel. Guglielmo Teli, a Colonia, Monaco. La Sonnambula, a Amburgo. [p. 386 modifica]CALE DI MILANO 388 GAZZETTA MUSI

  • Padilla è stato nominato da Re Guglielmo suo cantante di Camera. E

questo il primo artista straniero cui venga conferita siffatta onorificenza. ¥ Secondo la Gazzetta di Bergamo, nel prossimo carnovale si vuol dare nel teatro di Bergamo la Virginia del maestro Nini, ora direttore di quell’istituto musicale. Leggiamo nel Trovatore: Il teatro di Casalmaggiore non esiste più! Il Genio civile ha dovuto farlo atterrare per giovarsi di quei materiali ad impedire lo straripamento del Po, che minacciava di invadere la città! Milano, se sono vere le voci che corrono, avrà quanto prima un altro teatro, alla Barriera di Porta Ticinese. Sarà un teatro popolare, e verrà costrutto secondo il disegno dell’architetto Sfondrini. ¥ Abbiamo ricevuto il primo numero di un nuovo giornale artistico-letterario che si pubblica a Messina col titolo II Teatro. Il programma è pieno di buone intenzioni. I nostri augurii.

  • La vedova di Thalberg ha fatto dono al Consiglio Municipale di Ginevra

del busto marmoreo del marito, nato in Ginevra nel 1811. Il busto sarà collocato nella facciata del Conservatorio di musica.

  • Fra le nuove melodie di Gounod una ve n’ha, Maid of Athens di cui

si è molto parlato. Il compositore tolse a Byron le parole inglesi ed il greco ritornello zon mou sas agapo. La persona che ispirò a Byron i suoi versi vive ancora, si chiama, Mrs. Black, abita in Atene ed è vecchissima, naturalmente, e cosa, più triste, poverissima. Fu aperta ora in Inghilterra una sottoscrizione in suo favore, e Gounod ha generosamente ceduto a profitto di Mrs Black il prodotto dei suoi diritti d’autore sulla Melodia Maid of Athens. ¥ Molti giornali hanno parlato in questi giorni d’un grave accidente avvenuto in una ferrovia degli Stati Uniti al signor Max Strakosch che viagiava con Carlotta Patti, con Mario, ecc. La Revue et Gazette Musical di Parigi assicura che in questa notizia non v’ha nulla di vero.

  • L’appendicista del Coztrrier de France, Arnoldo Mortier, racconta il

seguente bell’aneddoto, caratteristico per la moderna letteratura teatrale. Quando Roqueplan era direttore delle Variétés, gli si presentarono due amici per leggergli un cattivo vaudeville. Uno dei due autori cominciò quindi colle parole: «Personaggi: Godard, rentier-, Agathe, sua figlia; de Fiers, officiale di cavalleria. L’azione ha luogo a.... «— Roqueplan interruppe il lettore: «Pardon, amico mio, non avviene alcuna sorpresa nella vostra pièce, non è vero? de Fiers finisce collo sposare Agathe? «— «Certamente. — Basta così, il resto è inutile. La pièce è charmante, ed io l’accatto.» — Roqueplan era uomo pratico, ed i direttori odierni non correrebbero gran pericolo a seguire il suo esempio, aggiunge l’appendicista, chè i vaudevilles ch’essi rappresentano sembra vengano tutti accettati nella stessa maniera. Cornelia von Czikaun era la vedova d’un maggiore austriaco e maestra di pianoforte. Ella non dava alcun concerto, ma soltanto lezioni di musica e campava la vita modestamente, quando le giunse una lettera dall’America che le annunciava che un Creso americano l’aveva fatta erede di un milione. Questo ricco signore, amante della musica, aveva passato alcuni anni a Vienna, e tutti i giorni si faceva suonare il pianoforte dalla fortunata signora Cornelia von Czikaun.

  • Nell’Eco d’Italia di Nuova Jork si legge:

Assistemmo alla rappresentazione dell’opera buffa francese, i cui interpreti, specialmente la brava attrice Aimèe, riscuotono sempre il più vivo e ben meritato plauso. Negli intermezzi, il fanciullo Romeo Dionesi, di cui i giornali dell’America del Sud dicevano mirabilia, cantò la romanza della Marta e la Stella Confidente con quella stessa abilità e disinvoltura che i nostri bimbi, ammaestrati dal precettore, dicono il sermoncino nella circostanza della nascita del Bambino. Noi crediamo però che con simili continuati esercizi la salute del povero fanciullo ne andrà a soffrire, ed il pubblico in seguito si ricuserà di assistere a simili fanciullaggini. La ditta Pleyel Wolff, fabbricante di pianoforti a Parigi, ha inventato una tastiera mobile che diventerà popolarissima. Questa tastiera si colloca sulla fissa, e permette di trasportare nel tono che si vuole qualunque pezzo, colla massima facilità.

  • Il giorno 13 in Parigi in occasione del quarto anniversario della morte

di Rossini, gli amici del defunto fecero una mesta visita al cimitero del PèreLachaise, dove la salma del gran maestro riposa fra quella di Alfred de Musset, che dettò magnifici versi sulla Romanza del Salice, e quella di Dantan, a cui si deve l’ultimo busto di Rossini. 4 Le cantanti che volessero andare a cogliere allori a Dublino, sappiano che una delle più favorite facezie del pubblico della terza galleria consiste nel gettare sul palcoscenico un mazzo di fiori attaccato ad un filo; nel momento in cui la prima donna assoluta fa per raccoglierlo, il mazzo si leva in aria in mezzo a risa allegre e rumorose. ¥ Il compositore polacco Tschaikoffsky ha scritto un’opera intitolata — Opritschniki. Il Musical World parlando di Adelina Patti scritturata in Russia, le assegna per quattro mesi la paga di 230,000,000 di lire; e 15,000,000 di lire ogni rappresentazione straordinaria. In tutte dugento quarantacinque milioni! senza contare due serate a beneficio! Oh gli zeri!!

  • Fu annunziato non è molto che si era rinvenuto fra i manoscritti di

Lortzing, lo spartito d’un’opera col titolo Regina e che il teatro di Norimberga ne avrebbe avuto le primizie. L’ultima parte della notizia fu prematura, poiché gli eredi di Lortzing possedono bensì lo spartito, ma manca loro il testo, senza il quale non si può far rappresentare l’opera. TOIvïNO, 21 novembre. Dinorah allo Scribe — Terzo concerto di musica classica — Marcia, Coro dei • Bardi e Sinfonia del Tannhaüser. Non vi ho scritto la settimana scorsa per potere in questa prendere con una fava sola due piccioni e molti merli, che avrò l’onore di presentarvi qui sotto. Intanto comincio dall’opera Dinorah che allo Scribe ha avuto festosissima accoglienza prima di tutto nella Sinfonia, poi nelle persone degli interpreti principali, cioè la Pernini, protagonista, Minetti, il Correntino per eccellenza, e Cuyas, un baritono pieno d’abilità e di talento, i quali tutti colle seconde parti e coi cori ebbero qual più qual meno la loro parte del pubblico plauso e della generale soddisfazione, senza dimenticare il concertatore Bozzelli ed il direttore Bertuzzi sopra degli ^altri lodevolissimi. La Dinorah, che è l’ultimo spartito del gran maestro berlinese, perchè V Africana, opera postuma, era composta dieci anni prima di quella, appartiene ad un genere melodico e descrittivo molto più spiccato e più deciso di quello dei lavori precedenti, quasi come se Meyerbeer avesse voluto di nuovo avvicinarsi allo stile italiano e dare una sorella alla Sonnambula: comunque fossero gl’intendimenti suoi quella Dinorah è riescila un capolavoro specialmente nei due primi atti e nella seconda metà dell’ultimo; per tale fu giudicato dai Torinesi quando l’udirono al Carignano ed al Regio, per tale lo confermarono la sera di domenica corrente sulle eleganti scene del teatro Scribe. Quasi tutti i pezzi, cominciando da quel grandioso componimento che è la Sinfonia, furono applauditi; ma questa principalmente, la sortita di Correntino, il terzetto finale del primo atto, l’aria dell’ombra e la romanza del baritono trasportano il pubblico a vivissimo entusiasmo: la gran scena delle litanie, quando Dinorah vorrebbe ricondurre alla memoria la sacra cantilena e solo vi perviene allorché la sente intonare dal coro interno, è una delle pagine più filosofiche, più veritiere e più toccanti di cui vada altero il moderno melodramma, ed è di tanto maggior valore in quantochè i mezzi adoperati per tracciare questa singolarissima situazione sono semplicissimi. Riguardo agli artisti la signora Pernini, che canta molto bene, ha buoni mezzi e se vuole sa stare convenientemente in scena, poteva fare migliore impressione curando di rendere meglio il carattere drammatico di quella sventurata pastorella che ha perduto il bene dell’intelletto: per fortuna il suo talento musicale ebbe largo campo di farsi ammirare nella sovra ricordata [p. 387 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 389 aria dell’ombra, e le fruttò quivi copiosissima messe di lusinghiere dimostrazioni. Minetti, applaudito al suo apparire sulla scena, non ebbe pezzo senza le più vive approvazioni e i plausi più insistenti, chè il pubblico trova sempre in lui un tipo ammirabile di verità scenica, di espressione melodrammatica, di gesto, d’azione, di portamento, nella figura, negli abiti, nelle pose per tratteggiare al vivo la persona di Correntino, rozzo pastore, avido di ricchezze imbevuto di superstizioni e di paure, religioso e bigotto, per trovare e possedere senza rischio il tesoro è disposto a grificare la vita d’una povera pazzerella. Il baritono Cuyas, visibilmente indisposto, non ha guari che sapo— tuto distinguersi nella sua grande aria di sortita, ma nel duetto con Correntino, nel terzetto del primo e in tutta la scena drammatica del secondo atto ha cominciato a piacere ed ha finito per destare la generale ammirazione nella romanza del terzo atto, da esso resa con ricchezza di mezzi, squisitezza di modi e toccantissima verità d’accento. Nelle parti secondarie la Bianchi ha avuto speciali encomi nell’aria del capraio e cogli altri qualche applauso nel quartettino. Egregiamente l’orchestra, quantunque malgrado le premure del Bertuzzi e del Bozzelli non sia completa mancandovi diverse seconde parti. Benissimo i Cori. Ricco il vestiario, discrete le tele, insufficienti i meccanismi. Veniamo ora al secondo piccione, il quale è per me raffigurato dal terzo gran Concerto di musica Classica sotto la direzione del maestro cav. Pedrotti: per tale trattenimento l’ampio recinto del teatro Vittorio alle ore due pom. di domenica 17 corrente rigurgitava di spettatori e forniva occasione solenne ai torinesi di pronunziare un’inappellabile sentenza. Ed ecco come e quale. Piaceva la Sinfonia di Bazzini intitolata Saul e premiata nel concorso aperto dalla Società del Quartetto di costi per provvedere di musicale introduzione la tragedia d’Alfieri portante lo stesso nome: piaceva, ripeto, nella prima parte, ma più ancora nella stretta di gagliardissimo effetto e molto atte ad esprimere il grido vittorioso del barbaro filisteo e lasciare nell’animo una severa impressione. Piaceva il preludio dell’opera inedita Rina dell’egregio maestro Franceschini, capo-musica della Guardia Nazionale, e coi più vivi festeggiamenti all’autore,se ne volle la replica. Piaceva il flautista cav. Beniamino, il quale con una Fantasia di Demersmann trovò modo di trarre più volte la gran massa degli ascoltanti a prepotente entusiasmo che il plauso più rumoroso non bastava ad esprimere. Piaceva l’intermezzo del Quartetto in la, op. 13 di Mendelssohn eseguito da tutti gli istrumenti d’arco e fruttava nuove ovazioni speciali ai valenti e diligentissimi interpreti. Piaceva ma che diavolo dico piaceva... dovrei dire destò fanatismo, fece delirare; ma già gli è inutile le parole non bastano a narrare il successo della Sinfonia della Semiramide, la quale pareva si sentisse per la prima vero non fosse mai stata eseguita tanto bene, lo che non è, che anzi alcune prime parti lasciarono molto rare. volta, 0Vper vero a deside18 Novembre. La Reginella al teatro Rossini. Vi scrivo dopo la 3.a rappresentazione della Reginella del maestro Braga, che ottenne sulle scene del teatro Rossini un felicissimo successo, ad onta che l’esecuzione, specialmente alla prima recita, lasciasse molto a desiderare; posso accertarvi che l’esito della prima sera non solo si mantenne, ma riesci più brillante essendosi intanto migliorata l’esecuzione e rimesso in salute il tenore Montanaro, la cui indisposizione aveva impedito di far gustare tutte le bellezze della parte affidatagli. Io vi confesso che la musica della Reginella mi piacque assai e mi fè provare delle care sensazioni, dovute specialmente alle bellezze melodiche, al canto puramente italiano, alla delicatezza dell’istrumentazione, all’ingegnoso lavorio degli istrumenti d’arco. Le mie sensazioni ebbi la compiacenza di veder divise da una grande maggioranza che, riconoscendo le incontrastabili bellezze dello spartito, ha applaudito e vivamente applaudito l’egregio maestro, il quale seppe elevarsi con quest’ultima sua opera sulla miriade dei compositori che raramente riescono a provocare un successo, o a conservarselo se acquistato per zelo di partito. I pezzi che furono giudicati i migliori e guadagnarono applausi e chiamate al maestro, furono la sinfonia, la ballata di Reginella, il duetto e terzetto successivi, e tutte le seconde parti del primo atto; il duetto fra baritono e soprano e tutta la scena finale del second’atto; il preludio, la romanza per tenore ed il terzetto finale del terzo atto. Alla seconda recita venne replicata la sinfonia e la romanza del tenore nel terzo atto; ed alla terza recita anche il preludio del terzo atto. Ciò vi prova che il favore del pubblico verso sì pregevole lavoro venne man mano crescendo, e se l’esecuzione fino dalla prima sera fosse stata almeno buona, il Braga sarebbe stato ben più di dodici volte chiamato al proscenio. Anche nelle due ultime recite l’egregio maestro venne chiamato parecchie volte all’onore del proscenio. All’Apollo, la compagnia Pietriboni continua a recitare alle panche, benché batta il tamburo qualche volta con produzioni che dà per nuovissime per Venezia, mentre furono recitate altre volte. La compagnia però è discreta e meriterebbe un maggior appoggio. La Violante, dramma di Vittorio Salmini, piacque per il verso e la forma, ma si sostenne per l’amore degli amici tanto personali che politici dell’autore, essendo in complesso una produzione di poco valore; infatti alla seconda recita il teatro era quasi vuoto.; Al Malibran, la compagnia di Mario Rossi fa miglior fortuna,’ ed un po’ colla commedia, un po’ col ballo e col canto, trova maniera di chiamar sempre molto concorso. Gli spettacoli del carnovale sono ancora in gestazione. Però si prevede che la nostra Venezia farà magra figura al cospetto delle altre città che avranno aperto il loro grande teatro.; GENOVA, 21 novembre. R appresentazione dell’Anna. Rosa del maestro Bignami — La Contessa d’Egmont — Zampa diferito — La Lucia di Lammermoor con Carrion — Ciniselli — Stenterello e l’Esposizione ligustica. L’annunciatovi ritardo àeW Anna Rosa non nocque alla sua felice rappresentazione, ed il maestro Bignami deve essere contento del modo con cui fu interpretato il suo lavoro dalle signore Spaak, Maresi e Stoika e dai nella sera del 16 corrente. Il teatro Paganini era zeppo, tutti giudicare il lavoro del giovane cieco, tendeva il verdetto del pubblico. e Brandini signori Karl erano accorsi che dal 1862 per udire e in poi atNoi non possiamo tener calcolo delle forme antiquate di quest’opera, appunto perchè scritta da 10 anni, e perciò facendoci più giovani di due lustri dobbiamo convenire che v’ha dell’ingegno, dello studio e dei pezzi di buona fattura. Di fronte alle ovazioni che i genovesi fecero al Bignami, che fu chiamato al proscenio ben 23 volte, ed aH’opinione della maggioranza, trovo inopportuno aggiungere altre parole, tranne per dire del ripetuto buon viso, e degli applausi che nelle due successive rappresentazioni ebbero il maestro e gli esecutori dell’Anna Rosa, fra cui non ultimi vanno rammentati e lodati i maestri concertatori Grimaldi, ed il direttore d’orchestra Corradi. Ora è allo studio la Giulietta e Romeo sotto la direzione dello stesso Marchetti che trovasi in Genova. Il ballo la Contessa [p. 388 modifica]390 GAZZETTA AI U S I C A L E DI MILANO AVE. tere il suo nome sul cartello perchè le donne corrano curarsi d’un palchetto o d’una scranna. L’Ugolini, a cantar in questa o in quell’opera, finirà, se non per almeno per non dispiacere. Ma è strano di vedere che che se i buoni tenori sono rari dappertutto, E no dovessi citar un solo, sarei nel più ad assifuria di piacere, al Teatro Italiano non si possa contar che sopra un tenorino francese per riempir la sala, o su d’un tenore del quale si riconosce lo zelo ed il buon volere, ma che non ha tutte le simpatie del pubblico, sia questi giusto o ingiusto verso di lui. Non credo ingannarmi dicendo qui sono rarissimi, grande impaccio. d’Egmont del compianto Rota fu riprodotto con lusso asiatico e piacque. Al teatro Nazionale Carion e TAdami continuano ad attirare le più fragorose dimostrazioni dal pubblico, il quale poi non tralasciò di ammirare il valente tenore nella Lucia in cui si produsse in luogo del Manciù, scioltosi dal suo impegno. Credevo in questa mia potervi parlare dell’impressione che avrebbe destato Tiberini nello Zampa, ma per indisposizione della Davidof la prima rappresentazione dello spartito di Hérold venne protratta di sera in sera, e se i conti non isbaglieranno, domani a sera potremmo udire la promessa opera. Anche in questo brillante ritrovo comparve un nuovo balletto comico, I saltimbanchi della China, il cui argomento è quello dell’opera I due orsi, nel quale v’hanno buone danze e splendidezza di mise en scène. Al Doria vi ha Ciniselli che colla sua compagnia chiama molto concorso. All’Apollo, Stenterello diverte il popolino. - È aperta l’esposizione ligustica di Belle Arti; fra i lavori esposti primeggia la giovinezza di Cristoforo Colombo, statua in marmo del Monteverde, una testa di donna, quadro del Rapisardi. Hi M PAVIA, 21 novembre. Le Precauzioni al teatro Fraschini. In questa graziosa operetta del Petrella entrano tutti gli artisti che cantarono nella Linda, ad eccezione del Lendinara, che, riputandosi forse artista di gran vaglia, non accettò d’indossare i modesti abiti di Oreste; e fu perciò sostituito dal tenore (!) Marcelli, il quale, per troppo amore a Pilade, si dimentica d’andar in traccia di Albina, sua amante (lo dice il libretto - sarà), per cantare insieme il duetto del 3.° atto. Abbiamo fatto inoltre conoscenza col basso buffo Grandillo, napoletano (Cola). Son disposto a perdonargli la scarsa voce in grazia del tentativo fatto ed in parte riuscito, di scacciare colle sue lepidezze e colle sue ridicole movenze la musoneria da cui era affetto il pubblico Peccato che il nostro pubblico, piuttosto serio per indole, si pente spesso d’aver riso troppo e infligge sonoro biasimo agli artisti che non sanno frenarsi a tempo o variare nel repertorio delle lepidezze. La prima donna De-Sassi (Albina) continua a piacere sempre più. Ha voce deboluccia, ma piacevole; ciò che non piace è lo sforzo troppo visibile che fa per trarre le note fin dalle più profonde cavità del petto. Il contralto Bordelli (Mimosa) e la comprimaria Guberti (Romilla) formano colla De-Sassi un terno femminile, che se non si può dir bello, è però abbastanza buono. Il baritono Medini Achille (Pilade) non può in quest’opera mettere in evidenza i pregi della sua bella voce, perchè è cosi fatta la sua parte. — Il basso Migliara Francesco (Muzio) fa sempre bene; nella Linda peraltro è più a suo posto; in quest’opera ha presso il pubblico il grave torto di aver trascurato la precauzione (altra assoluzione) di scegliere per genero un Oreste dotato di maggiore voce. Del basso Migliara Firmino (Conte Bietola), come feci già nella Linda è carità non parlare. - Sempre bene i cori e di bene in meglio l’orchestra, nella quale il bravo direttore Ramperti non si contenta di dirigere con valentia non comune, ma viene spesso in aiuto col suo eccellente violino. 20 novembre. Un nuovo teatro — I tenori in generale — I teatri che godono d’una sovvenzione — I concerti. In fatto di novità teatrali, la sola che possa annunziarvi è l’apparizione d’un nuovo tenore aY Opéra. Dico «apparizione,» perchè il povero diavolo tremava tanto la prima sera, che non sarebbe impossibile che il direttore lo pregasse di prendere qualche lezione di coraggio (parlo, beninteso, del coraggio artistico) e quando ne avrà profittato di esordire di bel nuovo. Infatti, questo tenore, che ha nome Prunet, non ha potuto spiegare tutti i suoi mezzi, e chi l’ha inteso alle prove o altrove, può assicurare che sono preziosi. La voce è bella, il metodo è eccellente, lo stile corretto; nullameno egli non ha riportato quel successo felice al quale si attendevano i suoi amici, tutti coloro che l’hanno già udito ed il direttore dell’Opéra. Almeno, non si è commessa l’ingiustizia di giudicarlo da questa semplice apparizione. Tutti han capito che la commozione gl’impediva di far valere la bella sua voce; i giornali anch’essi, l’indomani, hanno differito il loro giudizio; ed hanno avuto ragione. Checché ne sia, il Prunet non parmi dover esser mai un tenore per Y Opéra, salvo che non si limiti a cantar le parti, ove abbisogna la grazia più che il vigore. E giacché parlo di tenori, insisterò sulla difficoltà di trovarli. Qui, i teatri lirici non ne sono ben provveduti, e posso dir che tutti, YOpéra, Y Opéra-Comique, il Teatro Italiano, l’Ateneo, si trovano nella stessa condizione. Non già che ne manchino; al contrario! ne hanno più che bisogni, ma la quantità non compensa la qualità. Darebbero tutti quelli che hanno scritturato per un solo, e che fosse perfetto. L’Opéra ne prova regolarmente uno ogni mese per non dire ogni quindicina. E poi ritorna al Villaret, tenore di forza, ed al Bosquin, tenore di grazia. Gli altri sono come augelli di passaggio. Alcuni di essi restano scritturati, ma per cantar chi sa quando. Il Conservatorio, le scuole di canto di Dupry e di Roger ne fanno sorgere, di tanto in tanto, qualcheduno. Li credereste fenomeni della natura, fatti anche più prodigiosi dall’arte. Esordiscono, e felicenotte. Bisogna cominciar da capo - all’Opéra-Comique è presso a poco lo stesso. Ce ne sono varii, ma dite ad un gran compositore di dar la sua opera nuova, vi risponderà: «Quando troverò un buon tenore» - Non parlo di quello dell’Ateneo che è insufficiente ad onta che lo facciano cantar tutte le sere nelY Alibi, spartito che fin dal primo giorno fu accolto freddamente. Vero è che questa gelida accoglienza non ha impedito che il direttore lo facesse eseguire durante cinque o sei settimane, e tutte le sere! Costà quando un’opera cade, è rappresentata due o tre sere al più. Qui é diverso: si direbbe che tutta Parigi voglia andare ad assicurarsi del fiasco - finalmente, al Teatro Italiano, i due tenori che cantano alternativamente sono Caponi ed Ugolini. Caponi è il prediletto del sesso debole, e basta metLa colpa è anche nel metodo di canto adottato dai principali professori di qui. Invece d’insegnar innanzi tutto a ben cantare, impiegano tutti i loro sforzi a sviluppare ed aumentare la possanza o l’estensione della voce dell’allievo. Se arrivano a fargli dare il do diesis, credono di aver riportato il più gran trionfo, per essi tutta la scienza musicale è nel famoso ut de poitrine. Non dico che chi ha la fortuna d’averlo, debba non farne conto. Ma se non ha nello stesso tempo un metodo irreprensibile, sarebbe meglio per lui che avesse quella nota di meno e un po’ di stile di più. Duprez e Tamberlik che hanno fatto sfoggio di quella nota eccezionale e dirò quasi fenomenale sapevano cantare; ma gli alunni che vediamo uscir dal Conservatorio o dai Corpi particolari hanno pensato piuttosto alla voce che al canto; sicché, quando esordiscono, non fanno nè caldo nè freddo, e credono che il pubblico sia ingiusto. Per conchiudere, se un buon tenore — veramente buono — venisse in questo momento a Parigi, sarebbe sicuro d’essere ben accolto... Ma i buoni tenori sono scritturati e ad eccellenti condizioni. Il mio avviso, dunque, resterà probabilmente infruttuoso. [p. 389 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 391 Tre nuove rappresentazioni sono annunziate per domani e doman l’altro: Domani, ripresa del Rigoletlo agl’italiani con Capoul e T Albani; doman l’altro les Deuæ reines allo stesso teatro, con artisti drammatici e due cantanti, Lutz e ColonnSse. E doman l’altro due opere nuove all’Ateneo che aveva immensamente bisogno di cangiar cartello. H Alibi incominciava ad irritare i nervi del piccol numero di gente che si ostinava ad andarvi. La mia prossima lettera, dunque sarà un po’ meno sterile della presente. Ma la colpa non è mia; bensì dei direttori di teatro che fanno aspettare così a lungo la menoma novità. Bisogna che questo pubblico sia ben paziente per pagare, per via d’imposte e di tasse addizionali, la sovvenzione alle due grandi scene liriche, VOpéra e VOpéra-Comique, e tollerare che questi due teatri, precisamente perchè godono del privilegio d’aver una dote o sovvenzione assai considerevole, non diano quasi mai opere nuove. A quando a quando, i giornali, infastiditi di questa colpevole indifferenza, lo dicono assai chiaro; ma è come se parlassero a sordi. Nessuno ne tien conto; i direttori dei due teatri meno degli altri! Sono i Concerti che vanno a vele gonfie! Concerti popolari ove non si esegue per lo più che musica tedesca, Concerti del Grand Hôtel, ove si esegue un po’ di tutto, voglio dire di tutte le scuole, e Concerti del teatro da Châtelet, ove si assiste come ad una rappresentazione lirica. Ed in tutte e tre la calca è immensa, tutte le domeniche. Ed in una città ove la musica, foss’anco quella dei concerti, è tanto ricercata, si è cosi avari di opere nuove! Questi eccellenti amatori di musica si contenterebbero di avere dal l.° gennajo fino al 31 dicembre Robert le Diable, il Barbiere e la Dame Bianche. È ben il caso di ripetere: Trahit sua quemque voluplas! «A- jARimandiamo al prossimo numero i due Carteggi di Napoli e Londra, arrivatici in ritardo. ROMA. Nel Fanfulla di venerdì, leggiamo il seguente resoconto della prima rappresentazione, del Don Carlo ah’ApòlLo: «Il Pompiere, sbalordito dalle stuonature di ieri sera, riserba a domani il resoconto della prima rappresentazione di Don Carlo. «Io dirò intanto che l’Apollo era pieno zeppo di pubblico scelto e attentissimo. Le emozioni di questo pubblico si riassumono in poche parole: indulgenza verso la signora Pantaleoni e la signora Giovannoni, obbligate, contro la loro volontà, a parti che non stanno d’accordo con i loro mezzi; entusiasmo per Maurel, chiamato fuori più volte alla fine del 4.° atto; indignazione contro il maestro Terziani scoppiata spontaneamente e rumorosamente dopo le famose battute del terzo atto, che furono rovinate in modo da non riconoscerle più; e massima indignazione, contro la deputazione degli spettacoli, che pare non abbia altro ufficio fuor quello di godersi un palcd di proscenio, e che permette una «messa in scena» e una esecuzione come quella di ieri sera. «E con simili elementi artistici, che Impresa, Direzione teatrale e Municipio intendevano compiere il massacro dell’Aùùz// Ci piacerà sentire cosa diranno ora quei giornali che non risparmiarono ogni sorta di contumelie (tanto ridicole del resto, che non francò la spesa di rispondere) all’indirizzo dell’editore proprietario dello spartito. Così, pare, s’intende e si protegge l’arte a Roma! FIRENZE. Alla Pergola andò in scena la Norma colla Krauss, col tenore Pardini, colla Fernandez-Bentami e col basso Vecchi. L’esito non corrispose alle grandi aspettazioni. REGGIO (Calabria). Il Rigoletto fu occasione di vivi applausi alla signora Pierangeli ed al baritono Magnani. Bene anche gli altri. MODENA. Leggiamo nel Panaro del 19: Abbiamo presagito che il Barbiere avrebbe rialzate le sorti del Goldoni, e non c’ingannammo; giacché il pubblico corre a questa musica deliziosa e bene interpretata non solo dalla signora Flavis-Cencetti (Rosina) e dal sig. Trinci (D. Bartolo), ma anche dal sig. Giommi, che nella Chiara faceva una figura mediocre, e che ora fa egregiamente la parte di Figaro. RAVENNA. Al teatro Patulli la Norma procurò molti applausi e meritati alla signora Maglia: benino la signora Olivesi ed il tenore Messeri. TRIESTE. La nuova opera del maestro Apolloni Gustavo Wasa fu rappresentata per la prima volta il giorno 15 ed ebbe lietissimo successo. I migliori pezzi ed applauditi ogni sera sono il duetto della scena prima fra Edvige e Gustavo, il terzetto successivo con l’entrata d’Arnoldo e coro, l’aria d’Edvige nella scena terza; tutta la scena seconda del secondo atto fra Edvige e il finale dello stesso atto, applaudito con entusiasmo. Il terzo ed il quarto atto passarono nella prima sera un po’ freddi: nelle successive furono invece assai applauditi il finale del terzo atto ed il duetto fra Edvige e Cristiano nel quarto; il successo si fa sempre più bello. Gli esecutori sono: la signora Wiziak. il tenore Capponi, il basso Maini ed il baritono Pantaleoni: ottimi tutti. L’orchestra, diretta dal Cremaschi, fa bene il suo còmpito. NUOVA YORK. All’Accademia di Musica mercoledì sera la Favorita non poteva esser meglio tradotta dalla Lucca(Leonora).dappoiché con quel potente ed arcano magistero che colpisce la fantasia ed il cuore, essa fanatizzò nel capolavoro del quarto atto e specialmente nel duetto finale, addimostrandosi grande interprete delle sublimi ispirazioni di Donizetti. Ebbe fiori, chiamate e dovette ripetere molti pezzi. Il baritono Sparapani (Alfonso) si fece molto apprezzare, in modo speciale nella romanza A tanto amore, in cui si appalesò valente artista ed ottenne le più lusinghiere dimostrazioni. — Così V Eco à’ Italia. NOTIZIE ITALIANE — Milano. Nel numero d’ieri del Trovatore leggiamo una notizia che ei ha sorpresi ed indignati... e ei pare impossibile che si trovi un maestro italiano capace di simile bassezza - Ecco la notizia, e giudichi la gente onesta: Ci viene assicurato che un individuo, all’uopo di poter rappresentare VAida, il Guarany ed un’altra opera all’estero, in paesi dove non vige nessun trattato sulla proprietà letteraria, abbia incaricato un giovane maestro di istruméntare queste opere e così truffare i proprietari editori della musica e vituperare la musica stessa. Non sappiamo sin’ora chi sia codesto speculatore e nemmeno colui che presterà mano a siffatta furfanteria ed avrà l’impudenza di istrumentare un’opera come l’Aida. Ala lo sapremo e non taceremo. NOTIZIE ESTERE — Vienna. Il 2 Novembre ebbe luogo il primo concerto di Bulow;il successo del celebre pianista fu immenso; egli suonò composizioni di Bach, di Bramhs, di Mozart, di Raff e di Schubert. Il secondo concerto ebbe luogo il 7 e fu tutto consacrato a Chopin. — I lavori del Teatro al Prater sono sospesi per mancanza di fondi. — La società Mannergesang-Verein diede il 3 novembre un concerto in onore di Mendelssohn, eseguendo solo opere del gran maestro. — Lipsia. Il sesto concerto del Gewandhaus era consacrato a celebrare le nozze d’oro del Re e della Regina di Sassonia. Il canto nazionale God save thè King diede principio al trattenimento; la prima strofa fu cantata dai solisti, la seconda da una parte del coro, la terza dal coro intero con accompagnamento di piena orchestra; l’effetto fu grandioso, ed il pubblico vi rispose con applausi interminabili. — Manchester. Il signor Hall inaugurò il 31 ottobre la quindicesima annata dei suoi concerti popolari. La sua orchestra si compone di 80 esecutori, a capo dei quali è F. Strauss da Londra. FRANCESCO LUCCA Annunziamo con sincero dolore la morte di Francesco Lucca, editore di musica, proprietario e fondatore dello stabilimento che porta il suo nome. Era nato in Cremona sul principio del secolo, ed aveva atteso di buon’ora alle cose musicali, apprendendo l’arte dell’incisore nello Stabilimento Ricordi. Da così modesto principio trae origine la presente floridezza d’una delle più importanti case commerciali milanesi - ed è crediamo, il miglior elogio che si possa fare al defunto. Amò la sua arte, fu prodigo del suo per gli artisti e tenerissimo per la sua famiglia. Il generale compianto che ne accompagna la repentina morte, è la prova più grande delle doti del suo cuore. I funerali ebbero luogo con gran pompa ieri alle 10 antimeridiane. Il convoglio funebre partì dalla abitazione del defunto, si recò prima alla chiesa di S. Fedele e poi al cimitero maggiore; accompagnato da gran folla di amici e di cittadini. Fra quelli che accorsero a dare al defunto l’ultima e mesta testimonianza di stima, notiamo tutto il personale degli stabilimenti Lucca, Ricordi, Canti, Vismara, il sindaco Belinzaghi, l’assessore Labus, i professori del Conservatorio, gran numero di maestri compositori, di critici, di letterati e di giornalisti, la Direzione, l’impresa ed il Corpo coristico del teatro alla Scala, ecc. Tenevano i cordoni della bara i maestri Braga e Gomez, il signor Giuseppe Ricordi ed il signor Villani, tenore. I corpi di musica della Guardia Nazionale di Milano e dei Corpi Santi rendevano più solenne la tristezza del freddo e piovoso mattino e più commovente la mesta cerimonia. Fra i pezzi eseguiti dal corpo di musica della Guardia Nazionale, fece viva impressione una stupenda marcia funebre del maestro Ponchielli. A Giunti al cimitero maggiore, il signor avv. Mangili pronunciò alla bara ir seguente bellissimo discorso: «Francesco Lucca ebbe i natali in Cremona nel 1802, figlio dolcemente caro a tenerissimi genitori. Giovinetto apprese presso lo Stabilimento Ricordi l’arte dell’incisore: poi avido di progresso si recò all’estero, dove lavorando e studiando con febbrile attività, seppe far tesoro di quel perfezionamento ch’egli introdusse nella propria arte. I primi passi nella carriera commerciale furon per lui oltremodo difficili: ma egli seppe vincere ogni ostacolo colla tenacità dei propositi e frutto delle sue fatiche, fu uno stabilimento ch’egli innalzò a rinomanza mondiale. [p. 390 modifica]«Ad altri il dire gl’ingegni protetti, i premii largiti, l’influenza da lui esercitata sull’arte: a me, carissimo fra suoi amici, il còmpito pietoso di ricordare l’ottimo cittadino, l’affettuoso congiunto, l’amico diletto: a me, testimone delle sue beneficenze, il richiamare le lagrime rasciugate con quella carità che non attende la preghiera, che non s’infastidisce, nè s’arretra davanti alla moltiplicità dei dolori. «Amò il suo paese perchè gli uomini come lui amano tutto ciò che è bello e santo-, ebbe un culto per la famiglia e la compagna della sua esisteùza circondò di soavissime cure; ebbe amici e molti e illustri per ingegno per censo, per virtù, e tutti riamò con un tesoro di affetto. — Salito in fortuna, non obbliò quelli che con lui avevano divisi gli stenti della vita, e nella gentilezza del suo sentire mai si curò di far conoscere la mano che largiva il beneficio. Nè per lui il sentimento dell’amicizia si spegneva colla tomba. Dimenticato dai potenti, ricordò i grandi che Favevano circondato d’affetti e si onorò; l’avverso destino gli tolse la soave compiacenza di veder sorgere quel monumento che egli aveva destinato alla memoria del compagno dei suoi giovani anni, il maestro Donizetti. «Nell’arte sua predilesse i giovani con speciale affetto, sorresse col suo consiglio, li incoraggiò alla difficile meta, con loro divise le gioie nei dì dei trionfi. La sua morte lascia un vuoto immenso, e segna una perdita irreparabile per l’arte e per gli artisti. Agli operai fu padre e diede loro il più splendido esempio: quello dell’agiatezza e della stima acquistata colla probità, col lavoro. «Dotato di una rara modestia non ebbe altra ambizione fuorché quella di essere fra gli editori a niuno secondo, nobile ambizione che quasi sempre giovò agli altri più che a lui stesso. D’indole schietta la parola gli sgorgava sempre conforme agli impulsi della sua anima; odio non ebbe mai, ed ai subitanei risentimenti teneva dietro la preghiera del perdono e l’espansione di una tenerezza quasi infantile, e in allora più che mai svelava tutta la bontà di quel cuore informato a quanto vi ha di più virtuoso e di più elevato.» «Tale fu l’uomo che la morte ei ha rapito, senza che la pietà de’ congiunti potesse raccogliere l’estrema sua parola. Francesco Lucca è morto; ma la sua memoria vivrà ancora e durerà cara nel cuore di tutti, carissima in noi che nel raccoglimento del dolore or deponiamo sulla sua tomba il fiore della riconoscenza. «Dopo di lui il signor Giulio Ricordi con voce rotta dalla commozione disse le seguenti parole: «La dolorosa parola d’estremo addio, no, non credeva dovesse sì presto pronunciarsi per te, o Francesco Lucca!... Più assai d’ogni elogio delle tue virtù, è eloquente testimonianza del comune dolore la profonda mestizia dei nostri volti!» E voi operai, mirate con rispetto, con venerazione questa tomba che sta chiudendosi per sempre! «Francesco Lucca fu operaio come voi!... come voi, mosse faticosamente i primi passi, nel. sentiero della vita! Lavoratore indefesso, attento indagatore delle commerciali discipline, sagace, paziente, elevò a poco a poco il suo nome a bella, a splendida rinomanza. «La salma di colui che fu Francesco Lucca vi ripeta da oltre tomba il supremo consiglio della saggezza di questa terra: «il lavoro è felicità, il lavoro è forza, il lavoro è la sola e la vera nobiltà!» «Mirate, dunque, operai, con giusto orgoglio le universali testimonianze d’onore che la parte più eletta della cittadinanza, che i colleghi, che l’arte intiera rendono in questo momento a Francesco Lucca!... Egli fu oscuro operaio, ed ora il suo nome è sulle bocche d’ognuno: la sua memoria nel cuore di tutti. «È morto!... ma come muoiono! valorosi: combattendo!... e benché da qualche tempo la sua salute fosse alquanto malferma, pure non fuggì la fatica, non desistè mai dalla lotta un istante, non diè quartiere all’ozio mai, pur di mantenere ed accrescere la fama del suo Stabilimento, e dar lavoro e pane a voi, e procurare gloria ed agiatezza ai giovani maestri. «Se l’anima tua, povero Lucca, guarda in questo momento solenne nei nostri petti, se il brivido che ei percorre le vene, ed il dolente palpito del cuore è opera misteriosa della tua sovrumana presenza, accogli l’estremo addio mortale!... e più del nostro compianto, ti sia cagione di dolce orgoglio l’udire il tuo nome citato ad esempio di singolari virtù e fatto sprone al lavoro. «In nome de’tuoi colleghi... in nome di tutti gli operai... addio... addio!...» Parlò infine il signor Casati, e rammentò le virtù che facevano caro e fanno compianto il nome di Francese Lucca. / Poi il mesto corteo si allontanò, Sappiamo che la signora Giovannina Lucca, mandò mille lire al Pio Istituto teatrale, e mille alla Congregazione di carità. CITTÀ DI TORINO AVVISO per l’appalto della trasformazione e dell’esercizio del Teatro Caricano Ritenuto che, nel termine fissato coll’avviso in data 7 luglio e prorogato con altro avviso del 19 settembre del corrente anno per concorrere all’appalto anzidetto, non venne presentato alcun partito, la Giunta municipale, in seduta del 30 ottobre p. p., concedette un nuovo termine di un mese’ per tale concorso, e stabilì di accettare proposte anche in diminuzione della somma di fitto di annue lire 4,000 portata dal relativo capitolato; S’invita pertanto chiunque voglia assumere l’affittamento del detto Teatro Carignano per anni 25 con obbligo di trasformarne, a totale sua cura e spesa, tutti od in parte gli attuali palchi a gallerie o scompartimenti e di ridurre o surrogare l’attuale mobilio in modo che si adatti alla nuova forma, a presentare al civico ufficio l.° (Gabinetto del Sindaco) prima delle ore 5 pom. del 14 dicembre prossimo venturo, il progetto delle opere che intende eseguire secondo le modalità e condizioni espresse nel predetto capitolato approvato dal Consiglio comunale in seduta del 5 giugno ultimo scorso, unitamente alla relativa offerta in piego suggellato coll’indicazione sulla soprascritta del nome dell’offerente, ed a fare preventivamente nella civica Tesoreria, a cautela dell’offerta, il deposito di una rendita al portatore di annue lire 2000 in fondi pubblici dello Stato. L’appaltatore dovrà corrispondere al Municipio per i detti 25 anni, che decorreranno dal giorno in cui sarà deliberato l’appalto, il fitto annuo che sarà stato da lui offerto e dal Consiglio comunale accettato, a rate trimestrali anticipate, oltre ad un premio di lire 1000 per gli autori delle migliori produzioni drammatiche italiane nel modo ed alle epoche che sarà per istabilire il Municipio, da pagarsi tale premio nella Tesoreria municipale ogni anno colla prima rata del fitto L’appalto sarà aggiudicato a colui che avrà presentato il migliore progetto per comodità di adattamento, bellezza e solidità del Teatro; ed a parità di merito dei progetti si farà luogo a licitazione per il fitto sulla base della migliore offerta, il tutto sotto l’osservanza delle condizioni portate dal precitato capitolato. Non appena pronunciato il deliberamento, il predetto deposito sarà restituito ai non deliberatari; al deliberatario poi ne sarà restituita la metà, appena compiute e collaudate le opere di riattamento del Teatro, restando l’altra metà nella civica Tesoreria a guarentigia delle obbligazioni dallo stesso deliberatario assunte. Tutte le spese degli incanti, dell’atto di sottomissione, di tassa di registro, di copia ed ogni altra accessoria sono a carico del deliberatario. Il capitolato d’appalto è visibile nel predetto ufficio l.° (Gabinetto del Sindaco) tutti i giorni nelle ore d’ufficio. Torino, dal Palazzo municipale, addì 14 novembre 1872. Il Segretario C. FAVA. SCIARADA Saper se desideri Tal cosa chi fea Col primo tu interroghi E basta all’idea; Devoto il Cattolico Al mesto secondo Ricordi piissimi Del core ha nel fondo; Ricordi dolcissimi, Tremendi segreti L’inter suole ascondere Ad occhi indiscreti. Quattro degli abbonati che spiegheranno la Sciarada, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELL’INDOVINELLO DEL NUMERO 45: CI - C - CI - A POSTA DELLA GAZZETTA Sig. E. D. — Milano. — N. 318. La persona di cui chiedete l’indirizzo si trova a Rieti in qualità di direttore d’orchestra. Signor E. Par.... — Genova. — N. 139. Il pezzo che desiderate non è ancora pubblicato. Fu spiegato esattamente dai signori: Alfonso Fantoni, B. Bottigella, professore Angelo Vecchio, ai quali spetta il premio. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe, gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.