Filocolo/Libro terzo/37

Libro terzo - Capitolo 37

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Partito il giovane, Fileno ricominciò il doloroso pianto; e increscendogli della sua vita, con dolenti voci incominciò a chiamare la morte così: - O ultimo termine de’ dolori, infallibile avvenimento di ciascuna creatura, tristizia de’ felici e disiderio de’ miseri, angosciosa morte, vieni a me! Vieni a colui a cui il vivere è più noioso che il tuo colpo, vieni a colui che graziosa ti riputerà! Deh, vieni, ché il tristo cuore ti chiede! Oimè, ch’io non posso con la debole voce esprimere quanto io ti disidero. Poi che un solo colpo dei tuoi debbo ricevere, piacciati di concederlo sanza più indugio. Non sia l’arco tuo più cortese a me che al valoroso Ettore o ad Achille. Io tengo in villania il lungo perdono che da lui ho ricevuto. I doni disiderati, tosto donati, doppiamente sono graditi: concedi questo a me che tanto disiderata t’ho, e che con così dolente voce ti chiamo. Oimè, come sono radi coloro che con volonteroso animo ti ricevono, come ti riceverò io! Dunque, perché non vieni? Non consentire che disiderandoti, come io fo, io languisca più. Io non ricuserò in niuna maniera la tua venuta. Vieni come tu vuoi, solo ch’io muoia. Io non fuggirei ora gli aguti ferri, né le taglienti spade com’io feci già; l’agute sanne de’ fieri leoni non mi dorrebbeno, né di qualunque altra fiera dilacerante il mio corpo: dunque vieni. O rapaci lupi, o ferocissimi orsi, se alcuni nel dolente bosco, bramosi di preda, dimorate, venite a me, facciasi il mio corpo vostro pasto: adempiete quel disio che altri adempiere non mi vuole. Oimè, perisca il tristo corpo, poi che perita è la speranza, cerchi la dolente anima i regni atti al suo dolore e vada con la sua pena alle misere ombre di Dite, ove forte sarà che maggior pena che ella al presente sostiene, vi truovi. O iddii abitatori de’ celestiali regni, se alcuno mai in questo luogo ricevette onore di sacrificio dolgavi di me. O driade, abitatrice di questi luoghi, fate che la misera vita mi fugga. O infernali iddii, rapite del mio misero corpo la vostra anima. Cessi che io più me e voi stimoli con le mie voci -. E così piangendo e gridando, tutto delle propie lagrime si bagnava, baciando sovente il candido velo, sopra il quale per debolezza sovente cader si lasciava. Ma Florio, rimaso a Montoro, presto a mettere in essecuzione le triste insidie sopra Fileno, udito che il misero per paura di quelle avea preso volontario essilio, lasciò stare le cominciate cose, e incominciossi alquanto a riconfortare, imaginando che poi che questo era cessato di che egli più dubitava, niuna altra cosa, fuori che prolungamento di tempo, al suo disio gli poteva noiare.