Filocolo/Libro quarto/52

Libro quarto - Capitolo 52

../51 ../53 IncludiIntestazione 17 settembre 2008 75% letteratura

Libro quarto - 51 Libro quarto - 53

Al quale la reina rispose così: - Delle tre l’una, cioè la maritata, in niun modo è da disiderare, però ch’ella non è sua, né sta in sua libertà il potersi donare o concedersi ad alcuno: e il volerla o prenderla è commettere contra le divine leggi, e eziandio contra le naturali e positive. Alle quali offendere è un commuovere sopra di sé la divina ira, e per consequente grave giudicio: avvegna che sovente a chi tanto adentro non mira con la coscienza fa migliore amarle che alcuna dell’altre due, cioè o pulcella o vedova, quanto è per dovere avere de’ suoi disii l’effetto, avvegna che alcuna volta tale amore con molto pericolo sia. E il perché tale amore a’ suoi disii sovente rechi l’amante più tosto che gli altri, è questa la cagione. Manifesto è che quanto più nel fuoco si soffia più s’accende, e sanza soffiarvi s’amorta; e quasi tutte l’altre cose usandole mancano: la libidine quanto più s’usa più cresce. La vedova per essere lungamente stata sanza tale effetto, quasi come se non fosse il sente, e più con la memoria che con la concupiscenza si riscalda. La zita che ciò si sia ancora non conosce, se non con imaginazione: però tiepidamente disia. E però la maritata, sovente in tali cose raccesa più ch’altra, tali effetti disidera; e tal volta le maritate sogliono da’ mariti oltraggiose parole e fatti ricevere, delle quali volontieri prenderieno vendetta se potessero, e niuna via più presta è loro rimasa che donare il suo amore a chi le stimola di volerlo, in dispetto del marito. E avvegna che in tale maniera la vendetta sia e convenga essere molto occulta per non crescere l’onta, nondimeno elle sono nell’animo contente. Poi il sempre usare un cibo è tedioso, e sovente abbiamo veduto i dilicati per li grossi cibi lasciare, tornando poi a quelli quando l’appetito degli altri è contentato. Ma però che, come dicemmo, licito non è l’altrui cose con ingiusta cagione disiderare, le maritate lasceremo a’ loro mariti, e prenderemo dell’altre, delle quali copiosa quantità ci para davanti agli occhi la nostra città, e più tosto le vedove seguiremo amando che le pulcelle, però che le pulcelle, rozze e grosse a tale mestiere, non sanza molto affanno si recano abili a’ disiderii dell’uomo: quello che nelle vedove non bisogna. Appresso, se le pulcelle amano, esse non sanno che si disiderare, e però con intero animo non seguono i vestigii dell’amante come le vedove, in cui già l’antico fuoco riprende forze, e falle disiderare quello che per lungo abuso aveano obliato, e è loro tardi di venire a tale effetto, piangendo il perduto tempo, e le solinghe e lunghe notti che hanno trapassate ne’ vedovi letti: però queste siano amate più tosto, secondo il nostro parere, da coloro in cui libertà il sommettersi dimora -.