Fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi/Lezione VII

Lezione VII

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LEZIONE VII.

Ematosi — Nutrizione — Calore animale.


V’ho mostrato nella Lezione passata, che nella respirazione scompariva una parte dell’ossigeno dell’aria inspirata, e in suo luogo si trovava un volume eguale o minore d’acido carbonico, che l’aria espirata esciva satura di vapore acqueo, e che contemporaneamente a questi cangiamenti accadeva nel polmone la conversione del sangue venoso in sangue vermiglio arterioso. Abbiamo pur visto come tutti questi fenomeni accadevano parimenti fuori del corpo vivente e nelle stesse condizioni in cui in esso si operano.

Ci rimane a studiare nelle sue particolarità l’indicato cangiamento del sangue. Quale degli elementi organici del sangue è quello che subisce questo cangiamento? In che consiste chimicamente questo cangiamento? A rispondervi adeguatamente a tali questioni, vi confesserò sin d’ora, che troppo poco le sperienze fin qui fatte ci hanno svelato, e non posso che scegliere, nell’immensità delle ricerche tentate, quelle che sembrano generalmente le meno imperfette e meno discordanti fra loro. Il sangue si definisce [p. 81 modifica] oggi dai microgrofi, un liquido composto in gran parte di acqua in cui sono disciolti vari sali, albumina, corpi grassi, fibrina, e nel quale nuotano in sospensione un gran numero di globetti di color rosso, d’una forma determinata, d’un diametro più o meno grande nei diversi animali e analoghi ad una specie di vescichetta, il di cui involucro colorato è solubile nell’acido acetico. Voglio mostrarvi una bella sperienza di Müller che vi darà una giusta idea di questa composizione del sangue.

Ferisco il cuore a varie rane vive e raccolgo il sangue che ne esce sopra un feltro di carta; passa attraverso al feltro un liquido giallastro, e la materia rossa globulare rimane sul feltro. Vedrete fra pochi instanti rappigliarsi il liquido filtrato, ed il coagulo sarà fibrina. Ecco così da mia parte la sostanza colorante, dall’altra il siero in cui la fibrina era disciolta. Se non si fosse raccolto il sangue sul feltro, la fibrina si sarebbe egualmente coagulata, inviluppando però tra le sue parti la materia globulare sospesa; è così che avviene del sangue fuori del corpo vivente. Secondo circostanze intieramente fisiche, quali sono la temperatura conservata nel sangue estratto, la densità del siero, le proporzioni diverse di globuli e di fibrina, la coagulazione del sangue è più o meno pronta, più o meno abbondante, il coagulo si forma più o meno resistente.

Prendendo il solo coagulo, quale si forma in una massa di sangue abbandonata a sè stessa, ed agendovi sopra col gas ossigene, vedesi prendere il colore vermiglio. Lasciato questo coagulo all’aria e poscia tagliato, si trova d’un colore fosco all’interno, mentre è rosso alla superficie; le nuove superfici formate col taglio lasciale all’aria divengono poco dopo rosse. Indubitatamente sono i globuli del sangue che subiscono al contatto dell’ossigene il cangiamento di colore. Baudrimont e Martin Saint-Ange hanno mostrato in questi ultimi tempi, che nel tempo dell’incubazione v’è, a traverso il guscio calcare dell’uovo degli uccelli, [p. 82 modifica] assorbimento d’ossigeno, esalazione d’acido carbonico, ed hanno provato che se si impediscono questi fenomeni non veggonsi comparire nell’embrione i globetti rossi e l’embrione non si sviluppa. Rimane ora a sapersi se i globuli si fanno rossi per il solo ossigeno che assorbono o per il solo acido carbonico che perdono nella respirazione, o se al contrario il sangue diviene venoso per il maggior acido carbonico di cui si carica o per la minor quantità d’ossigeno che vi rimane, o se per ambedue queste cagioni riunite. Ci mancano sopra di ciò esperienze precise. Magnus ha provato che il sangue venoso nel perdere la maggior quantità possibile d’acido carbonico diviene meno fosco, senza però mai prendere il color vermiglio; il che condurrebbe ad ammettere che le due cagioni influiscano contemporaneamente nel cangiamento di colore, che subisce il sangue nella respirazione. Devo anche aggiungervi, che se si asciuga con esattezza il coagulo del sangue di tutto il siero che lo bagna, e se poi si lava con acqua distillata, nella vista sempre di spogliarlo d’ogni traccia di siero. Allora a contatto dell’ossigeno non prende più il bel colore vermiglio che acquista quando il siero lo bagna. Eccovi una soluzione satura di sal marino che verso a goccio sopra il coagulo di sangue: dopo poco ne vedete i punti bagnati prendere un color vermiglio, mentre il resto della superficie non cambia di colore. Sembrerebbe dunque non essere i sali del siero indifferenti nel cangiamento di colore che subisce il sangue, al contatto dell’ossigeno. Si sa oggi che il siero assorbe un’abbondante quantità di acido carbonico, molto maggiore di quella che assorbe l’acqua. Potrebbe perciò dirsi che la presenza del siero influisce nel cangiamento di colore del sangue, in quanto che si carica esso siero dell’acido carbonico che l’ossigeno poi discaccia.

Ma in che consiste chimicamente il cangiamento di colore dei globuli sanguigni. A questo proposito la scienza può dirsi [p. 83 modifica] affatto nell’oscurità. La quantità abbondante di ferro (cinque o sei per cento) che entra costantemente nei globuli sanguigni, e che non si trova in tale proporzione in nessun altra sostanza animale, ha fatto sempre credere che questo metallo, ora allo stato di perossido, ora allo stato di carbonato non fosse indifferente nel cangiamento di colore del sangue. L’ossigene scaccia infatti l’acido carbonico del carbonato di ferro, e dal suo lato l’acido carbonico può discacciare l’ossigene del perossido, secondo le quantità relative dell’ossigene e dell’acido carbonico che si trovano in presenza ad agire sul ferro ossidato.

Mulder e Liebig sembrano abbracciare queste idee. Tutti i risultati clinici meglio constatati sembrano consentire che l'uso del ferro in certe malattie ravviva, in qualche modo, il colore del sangue. Se non che Scherer in questi ultimi tempi sembra esser giunto ad ottenere la sostanza colorante del sangue spogliata intieramente di ferro.

Se l’osservazione di Scherer verrà confermata, provando in oltre che la sostanza colorante spogliata del ferro subisce a contatto dell’ossigene e dell’acido carbonico, i cangiamenti che abbiamo visto accadere nei globuli sanguigni, saremo costretti a rinunziare all’idea che il ferro interviene nei cangiamenti di colore del sangue.

Il sangue arterioso spinto dalle ripetute contrazioni del cuore, e dalle successive dilatazioni e contrazioni dovute all’elasticità propria delle pareti dei vasi arteriosi, giunge vermiglio sino alle ramificazioni capillari. Attraversa in questi vasi tutti i tessuti, perde il suo color rosso, ritorna per i vasi venosi al cuore e ripassa quindi per il polmone. È in questo passaggio del sangue arterioso per i capillari che dicesi in Fisiologia accadere la nutrizione. Si ammette in questa Scienza che le parti tutte dei tessuti animali si vanno trasformando e rinnovando continuamente, e che questi fenomeni sono proporzionali al vario grado di attività del sistema capillare proprio dei diversi tessuti. Mancano in [p. 84 modifica] verità le prove sperimentali di questa rinnovazione continua, e mi è parsa sempre insufficiente quella che deducesi dal coloramento delle parti ossee degli animali nutriti con sostanze coloranti, e dal loro successivo scoloramento al cessare di quel nutrimento. Se non che è forza confessare, che questa rinnovazione risulta provata dal complesso dei fatti fisiologici. Se volessi qui dirvi tutti gli elementi sperimentali che ci mancano, e che sarebbero necessarii a rischiarare il fatto della nutrizione, sarei molto più lungo di quello che lo sarò esponendovi quelli che si possiedono. I globuli sanguigni non fanno parte di alcun tessuto, ma essenziali, come sono alla nutrizione, possono riguardarsi con una certa probabilità, come il corpo catalitico che eccita la trasformazione dei tessuti e la loro successiva rinnovazione. Un’analogia di questo carattere dei globuli si trova anche nella necessità, che essi hanno per acquistare la suddetta attitudine, di caricarsi d’ossigene.

Notate ancora che, come nei vegetabili, la diastasi converte l’amido in destrina, che poi si cambia in cellulosa, in legnoso, cioè in corpi isomerici fra loro, così i globuli sanguigni possono convertire l’albumina in fibrina, ciò che di certo avviene nell’embrione.

Vorrei potervi dire che l’esperienza ha dimostrata la realtà di questi cangiamenti, come ce l’ha dimostrata per l’amido. Ho tentate molte sperienze sopra questo soggetto, e non ne ho tratto che dubbiezza di resultamenti. Ho tenuto per lo spazio di un mese, ad una temperatura costante di + 40° C. dell’albume d’ovo, mescolato ad una piccola quantità di globuli sanguigni di sangue di pollo, e in presenza dell’ossigene. Il recipiente dove si raccoglieva un acqua termale mi offriva la comodità di un mezzo caldo costantemente allo stesso grado. Ho visto che una porzione dell’ossigene scompariva, che era rimpiazzata da una porzione d’acido carbonico, che si deponeva in fondo al recipiente un gran numero di fiocchi [p. 85 modifica] rossastri, mentre il liquido messo da prima era appena colorato e limpido. Esaminando questi fiocchetti non mi parvero però mai identici alla fibrina. Non vorrei però conchiudere da questi resultati negativi la falsità del principio, su cui erano fondate le mie sperienze. È questo un soggetto che merita più lunghe, più variate ricerche.

Una parte dell’ossigene del sangue arterioso scompare e v’ha in sua vece un eccesso d’acido carbonico nel sangue venoso. L’ossigene si combina al carbonio nei capillari, in essi si fa di certo questa combustione, e allor quando si trova che il volume dell’acido carbonico espirato è minore di quello dell’ossigene scomparso nella respirazione, conviene ammettere che non solo il carbonio, ma l’idrogene ancora, il quale fa parte degli elementi organici del sangue o dei tessuti, si combina coll’ossigene per formar acqua. Ecco un altra combustione, che sappiamo accadere nei carnivori, oltre quella del carbonio.

Gli acetati, i tartrati, gli ossalati che disciolti entrano nel circolo sanguigno, escono per le vie urinarie allo stato di carbonati. L’acido benzoico introdotto nella circolazione sanguigna, esce per le stesse vie urinarie allo stato di acido ipurico.

Tutti questi fatti provano, che la principale azione chimica che si osserva nella circolazione sanguigna e nella nutrizione è una combustione, è una combinazione dell’ossigeno col carbonio, coll’idrogene. Ma lo ripeto, v’è tuttora molta incertezza in questi fenomeni. Qual differenza passa fra la composizione chimica di tutti gli elementi del sangue arterioso e quella di tutti gli elementi del sangue venoso? Qual è questa differenza nel sangue, prima e dopo il suo passaggio per i reni, per il fegato, per i diversi tessuti? Eccovi alcune delle moltissime questioni, che dovrebbero essere risolute da esperienze precise, da ricerche tutte d’accordo nei risultati, prima di farci ad indagare il fatto della nutrizione e delle secrezioni. [p. 86 modifica]

Gli alimenti modificati, come lo abbiam visto, nell’atto della digestione entrano nel sangue. Molti fra di essi sono identici agli elementi organici dei tessuti animali: sono questi le sostanze neutre azotate. Così pure accade delle sostanze grasse, le quali o come sono, o appena modificate si trovano negli alimenti, come nel tessuto adiposo. Non è naturale, sarebbe anzi strano l’ammettere che l’urea, l’acido carbonico e l’acqua, i quali sono i definitivi prodotti delle trasformazioni che avvengono nella nutrizione, provengano dagli elementi organici del sangue introdottivi dagli alimenti. Deve credersi che quei prodotti vengano dai tessuti trasformati, i quali sono rimpiazzati dai nuovi elementi organici che entrano cogli alimenti. E difatti negli animali alimentati per lungo tempo collo zucchero, coll’amido, colla gomma continua la produzione dell’urea, come prima dell’uso di questi alimenti. Lo stesso avviene negli animali fatti morire d’inanizione.

Per parlarvi meno vagamente di queste trasformazioni, vi citerò alcuni esempj, quali si trovano nel libro di Liebig, di Chimica Organica applicata alla Fisiologia Animale.

Un serpente lasciato per un certo tempo senza alimenti e poi cibato con una capra, un coniglio, un pollo, rende in escrementi i peli, le ossa dell’animale mangiato, espira acido carbonico e acqua, e non rigetta che l’urato di ammoniaca per le vie urinarie.

Riprende così il serpente il suo peso, e tutto è scomparso dell’animale divorato. Interpretiamo questo semplice caso di nutrizione. L’urato d’ammoniaca contiene l’equivalente d’azoto per 2 equival. di carbonio; intanto i muscoli, il sangue dell’animale mangiato contenevano per un equivalente d’azoto 8 equival. di carbonico e se a questo carbonio s’aggiunge tutto il carbonio del grasso, del cervello dell’animale mangiato, si vede che il [p. 87 modifica] serpente ha preso per 1 equivalente d’azoto 8 equival. di carbonio e più ancora. Negli escrementi non si trovano che 2 equivalenti d’azoto, e perciò i 6 equival. che mancano devono essere stati rigettati allo stato d’acido carbonico. Non sto a ripetervi che crediamo, che l’urato d’ammoniaca e l’acido carbonico sono prodotti dai tessuti trasformati, in luogo dei quali si sono messi degli equivalenti presi fra gli elementi organici dell’animale digerito. È sempre vero che tanto carbonio e azoto trovasi nei prodotti della trasformazione dei tessuti che subiscono in presenza del sangue arterioso, altrettanto ne riprendono dal sangue o dagli alimenti. Ciò che v’ho detto del serpente posso ripetervelo del leone e di tutti i carnivori; nella loro urina v’è la sola urea in cui l’azoto è al carbonio come 1:1. Poichè questi animali si nutrono di carne nella quale l’azoto sta al carbonio come 1:8, ne viene che tutto l’eccesso del carbonio introdotto su quello che esce nelle urine, sparisce nella respirazione, è bruciato, convertito in acido carbonico. Di certo la respirazione è assai più attiva nel leone di quello che lo sia nel serpente.

Gli 15 o 20 grammi d’azoto che l’uomo rende ogni giorno nell’urina, più quell’eccesso d’azoto che espira, provengono dunque dalle materie neutre azotate di cui si nutre, o più direttamente dai tessuti trasformati, di cui prendono il posto le suddette sostanze alimentari.

Boussingault ha provato coll’esperienza non trovarsi nelle urine del cavallo tutto l’azoto che fa parte dei suoi alimenti, ed ha così dimostrato che anche l’eccesso dell’azoto espirato proviene dagli alimenti.

È impossibile, nello stato attuale della Scienza, di dire precisamente per qual serie di passaggi e di prodotti intermedii, i muscoli, le cartilagini ec. si convertano in urea, sotto l’azione dell’ossigene dei globuli sanguinei. Aggiungendo alla formula della proteina, che è quella stessa [p. 88 modifica] dell’albumina, caseina, fibrina ec. tanto ossigene quanto ve ne vuole per farne urea, e per convertire il rimanente d’idrogene e di carbonio in acqua ed in acido carbonico si hanno delle quantità d’acido carbonico e d’acqua, che sono assai minori di quelle prodotte nella respirazione. V’è un esempio numerico dedotto dalle sperienze di Boussingault, che vi riferirò per meglio stabilire, che il carbonio degli alimenti azotati convertiti in urea è grandemente inferiore a quello che gli animali emettono allo stato di acido carbonico. Ecco questi numeri. Un cavallo si conserva in uno stato di perfetta salute prendendo per alimenti giornalieri un kilogrammo e mezzo di fieno, e 2 kilogrammi e un quarto di avena. Le ricerche analitiche danno che l’azoto del fieno è 1,5 e quello dell’avena 2,2 per 100. Ammettiamo che tutto l’azoto degli alimenti sia ridotto in sangue allo stato di fibrina e di albumina, ciò che fa 140 gram. d’azoto introdotti nel sangue e destinati a prendere il posto dell’azoto che esce nei prodotti dei tessuti trasformati. Il peso del carbonio ingerito contemporaneamente a quest’azoto, s’inalza a 448 gram., dei quali solamente 246 possono convertirsi in acido carbonico nella respirazione, giacchè il cavallo rende 93 gram. di carbone in urea e 109 gram. allo stato d’acido ipurico. Ma un cavallo, secondo le sperienze dello stesso Chimico espira in un giorno, allo stato di acido carbonico 2454 gram. di carbonio. È chiaro dunque che il carbonio dei principii azotati degli alimenti, non è che una piccola frazione di quello che si trova nell’acido carbonico espirato.

Da ciò la necessità per l’animale, di altri alimenti, per supplire all’insufficienza del carbonio contenuto negli alimenti azotati. L’amido, la gomma, lo zucchero, i corpi grassi sono di questo genere. In tutti quei casi in cui ti vede l’economia animale destinata a progredire, come nel giovine animale, la natura ha accresciuta nei suoi alimenti [p. 89 modifica] la proporzione di quelli che danno il carbonio e l’idrogene e che si perdono nella respirazione, venendo così risparmiati gli alimenti azotati destinati all’accrescimento dei tessuti.

Il Dott. Capezzuoli ha recentemente trovato, determinando successivamente il peso delle materie grasse, e delle materie azotate neutre nell’ovo del pulcino nel tempo dell’incubazione, e nel pulcino stesso dopo escito dall’uovo che circa al 17mo giorno dell’incubazione, cioè poco prima della nascita del pulcino, si trova una sensibile diminuzione nella quantità della sostanza grassa e delle sostanze azotate neutre, la quale va via via crescendo.

Quanto ai corpi grassi sembra che essi non siano intieramente impiegati nella respirazione, che nel caso in cui l’amido e la gomma siano in difetto. È così che vedesi sparire il grasso negli animali ibernanti e in quelli rimasti per lungo tempo senza nutrizione. I suddetti corpi sembrano nello stato fisiologico destinati da prima alla formazione della sostanza cerebrale e nervosa, e a riempire le maglie del tessuto cellulare il quale non è senza scopo per le funzioni della vita, e quasi si tiene a deposito di materiali per la respirazione.

Abbiamo, in una delle precedenti Lezioni, ammesso con Dumas e con tutta la scuola francese, che i corpi grassi degli animali, si trovano negli alimenti, poiché una esperienza di Boussingault stabilisce con numeri, esservi negli alimenti somministrati ad una vacca, anche più di materia grassa di quella che essa rende nel latte e negli escrementi, rimanendo costante il suo peso. Non è possibile però di ammettere l’identità della materia grassa degli alimenti, con quella trovata negli animali. La cera o il corpo analogo a questa, che l’etere separa dagli alimenti non è la stearina, l’oleina, e molto meno l’acido cerebrico di Tremy. Questa cera subisce adunque nell’animale una modificazione di composizione, ma è più naturale, più conforme ai fatti chimici e fisiologici l’ammettere, che [p. 90 modifica] nell’animale la cera si cangi nei corpi grassi propriamente detti, di quello che sia l’immaginare con Liebig, che l’amido si converte in grasso per l’eliminazione d’una porzione del suo ossigene. Quanto agli alimenti amilacei noi abbiamo già ammesso, che questi nello stomaco si trasformano in destrina, in zucchero e in fine in acido lattico combinato alla soda. Questo lattato è nei polmoni, e principalmente nei vasi capillari, convertito dall’ossigene dei globuli sanguigni, e per una vera combustione, in carbonato di soda, che una nuova porzione d’acido lattico torna nuovamente a scomporre.

Vi dirò ancora una parola delle viste ipotetiche di Liebig sulle funzioni del fegato. Non v’ha di certo più niun fisiologo il quale creda essere la bile destinata del tutto a venire evacuata: basterebbe per convincersene il riflettere che Berzelius non ha trovato in mille parti di escrementi umani, che 9 parti d’una sostanza simile alla bile, per cui, mentre un uomo separa in un giorno da 500 a 700 grammi di bile, ne verrebbe che ¹/₅₀, o ¹/₇₅ solo della bile separata sarebbe espulsa cogli escrementi. D’altra parte non può credersi che una sostanza così poco azotata, come la bile possa servire alla nutrizione. Liebig ammette che la bile versata nel duodeno entra in combinazione solubile colla soda, la quale è assorbita e convertita in carbonato di soda, cedendo così parte del suo carbonio all’ossigene. Ad ammettere questa idea parmi manchi l’appoggio dell’esperienza, giacchè non è che in certi casi patologici e duranti certe costituzioni atmosferiche che si sono trovate traccie di materia biliare nel sangue.

Che che ne sia delle viste ipotetiche, più o meno fondate sulla nutrizione, che ho voluto accennarvi di volo, è un fatto che un uomo adulto assorbe in un giorno circa 1015 grammi d’ossigene. Le osservazioni di Dumas, d’Andral e Gavarret, e le più recenti di Scharling portano in termine medio, che 224 grammi di carbonio si [p. 91 modifica] esalano in un giorno dall’uomo, allo stato di acido carbonico, che gli uomini ne esalano più delle donne, i bambini principalmente più degl’uomini, che più se ne esala nella veglia che nel sonno. Un cavallo rigetta allo stato d’acido carbonico 2465 gram. di carbonio, consumando per ciò 6504 gram. d’ossigene. Una vacca lattajola consuma 2212 gram. di carbonio, che rigetta allo stato d’acido carbonico, prendendo 5833 gram. d’ossigene. Le quantità degli alimenti dunque sono in rapporto necessario colle quantità dell’ossigene respirato, dell’acido carbonico esalato. L’attività dei movimenti respiratorii, la densità dell’aria respirata e la quantità di carbonio introdotta cogli alimenti, devono essere in proporzione fra di loro onde si conservino i materiali dell’economia animale.

In quegli animali in cui l’attività dei movimenti respiratorii è più grande, più rapida la circolazione capillare, maggiore la quantità dei globuli sanguigni è minima la porzione delle sostanze grasse dei loro tessuti. È il caso degli uccelli, della jena, della tigre. Fate che questi animali si muovano poco o niente, e il grasso s’accumulerà nei loro tessuti.

È indubitato dunque che un animale è un vero apparato di combustione, in cui sempre si brucia il carbonio, da cui sempre si svolge acido carbonico. Un tale apparato calorifico è stato costituito in maniera da conservare un eccesso di calore, che doveva essere necessariamente costante, o poco variabile, sulla temperatura del mezzo ambiente. Questo eccesso varia secondo la rapidità della combustione dell’apparato calorifico animale e secondo la temperatura costante del mezzo ambiente in cui vive. Un grammo di ferro che si ossida all’aria e un grammo di ferro che brucia nell’ossigene, svolgono di certo la stessa quantità di calore, ma uno si ossida, forse in un secondo mentre l’altro v’impiega molte ore. Da ciò la differenza del calore immensamente più grande che il primo mostra sull’altro. Una massa di mosto [p. 92 modifica] convenientemente ammucchiato si scalda grandemente nel suo fermentare, un’altra simile, ridotta ad uno strato sottile, svolge la stessa quantità di calore, che però non si rende sensibile per la maggior dispersione. È così che va intesa la differenza fra gli animali a sangue caldo, e gli animali a sangue freddo.

Non può dunque cader dubbio sulla sorgente generale del calore animale. Questa si trova nelle azioni chimiche della respirazione operate nei capillari, della trasformazione dei tessuti e principalmente nella combinazione dell’ossigene col carbonio.

Non ho voluto e non voglio neppure accennarvi le altre ipotesi immaginate sulle sorgenti del calore animale. Perchè tagliando i nervi pneumo-gastrici o la midolla spinale, si vedeva abbassare un termometro immerso nei tessuti d’un animale, si diceva che l’innervazione era la diretta cagione del calore animale, ma intanto non si rifletteva che per questo taglio dei nervi e della midolla spinale la respirazione, la circolazione sanguigna venivano meno.

Piuttosto che nella discussione di tali ipotesi, sarà meglio d’entrare in maggiori particolarità sulle azioni chimiche che abbiamo considerate come unica sorgente del calore animale.

I Fisici hanno voluto mettere a prova la verità di questa ipotesi. Un animale esala in un certo tempo una certa quantità d’acido carbonico e di acqua, e svolge nello stesso tempo una data quantità di calore che può misurarsi dalla quantità d’acqua che è capace di riscaldare in quel dato tempo. Se l’acido carbonico e l’acqua che l’animale esala, sono il prodotto della combustione del carbonio e dell’idrogene, il calore svolto dell’animale, hanno detto i Fisici, deve essere uguale a quello che quelle stesse quantità di carbonio e d’idrogene svilupperebbero bruciando all’aria.

Partendo dalle determinazioni fatte con un calorimetro circondato d’acqua fredda, in cui l’animale era tenuto, [p. 93 modifica] notando il riscaldamento dell’acqua, e misurando nello stesso tempo l’ossigene consumato dall’animale o i suoi prodotti, acido carbonico e acqua, Dulong e poscia Despretz hanno trovato che sopra 100 parti di calore prodotte dall’animale e raccolte dal calorimetro, sole 80 o 90 erano rappresentate dalla combustione del carbonio e dell’idrogene, dedotta dall’acido carbonico e dall’acqua emessi dall’animale.

Se si riflette che la temperatura dell’animale nel calorimetro è sempre più alta di quella dell’acqua che lo circonda, e che quindi l’animale si raffredda durante l’esperimento, si trova in questo raffreddamento una spiegazione plausibile dell’eccesso trovato. E in fatti le numerose sperienze di Despretz hanno mostrato, che gli eccessi del calore raccolto dal calorimetro, su quello dovuto alla combustione respiratoria, sono tanto più grandi quanto più l’animale è giovane, e quanto più è elevata la sua temperatura. Si sa d’altra parte dalle belle sperienze di Edwards che gli animali giovani si raffreddano molto più presto degli adulti.

Non v’ha dunque ragione di cercare altre sorgenti di calore animale, oltre le azioni chimiche della respirazione e della nutrizione; se non che credo si abbia torto nel voler applicare esattamente i risultati delle sperienze delle combustioni ordinarie fatte in un calorimetro, a quelli delle combustioni che possono accadere in un animale, e a non voler ammettere come sorgente del calore animale, che una sola delle molte azioni chimiche che si operano nel seno dell’animale stesso.

E di fatti l’acido carbonico di cui si carica il sangue venoso, il quale è sicuramente un prodotto della combinazione dell’ossigene atmosferico col carbonio degli elementi organici dei varii tessuti che si trasformano, non può esser prodotto da carbonio esistente in questi tessuti allo stato libero, ma bensì in combinazioni che siamo lontani dal conoscere pienamente. Ora è provato dalle sperienze [p. 94 modifica] di Dulong che un corpo combinato ad un altro non svolge nel bruciare o nel combinarsi all’ossigeno, la stessa quantità di calorico che svolge essendo preso allo stato libero. Il calore che svolgono il gas idrogene bicarbonato, il gas des marais, l’essenza di trementina, bruciando nell’ossigene, formando acqua e acido carbonico, non uguaglia la somma del calore che svolgerebbero i volumi dei gas componenti, bruciando separatamente, ma è generalmente molto minore. Le sperienze di Hess e di Andrews le quali proverebbero svolgersi sempre in una data combinazione, una quantità assoluta di calore, qualunque sia lo stato dei due corpi che si combinano, sono tuttora assai poco estese, e fin qui si riferiscono alle successive combinazioni d’uno stesso corpo, come sarebbe il caso dell’acido solforico il quale si combina con diversi atomi d’acqua.

Volendoci limitare alla sola azione chimica del carbonio e dell’idrogene coll’ossigene per spiegare la produzione del calore animale, sarà difficile interpetrare i risultati ai quali son giunti in questi ultimi tempi Andral e Gavarret, studiando l’esalazione dell’acido carbonico nell’atto della respirazione dell’uomo, Stando alle esperienze molto estese, e secondo ogni apparenza esatte, di questi due distinti Fisiologi, la quantità d’acido carbonico che viene esalato nella respirazione è estremamente varia a seconda del sesso, dell’età e d’alcuni stati fisiologici. La differenza è compresa tra i numeri 5, e 14,4, esprimendo coi medesimi le quantità, prese in grammi, di carbonio che entrano a formare l’acido carbonico espirato nello spazio d’un ora. 11 primo di quei numeri è stato trovato in un fanciullo di 8 anni, e l’altro in un giovane di 26 anni. Notate che la temperatura essendo più elevata nei bambini che negli adulti, siccome è maggiore la massa che si deve riscaldare in questi, così deve pure essere maggiore corrispondentemente la perdita del calore che devon fare. [p. 95 modifica]

Andral e Gavarret hanno pure trovato che la quantità d’acido carbonico che è emessa da una donna è assai minore all’epoca della sua pubertà, di quello che lo sia prima di quest’epoca, e che la differenza scompare allorchè l’età o altre cagioni mettono fine al fenomeno della mestruazione. Malgrado ciò non si trova nessuna differenza sensibile di temperatura nel corpo d’una donna nè prima, nè dopo, nè nel tempo della mestruazione, nè nello stato di gravidanza. E senza ricorrere a questi risultati sperimentali basterebbe considerare, come in certe malattie siavi un rapido abbassamento, e in certe altre una grandissima elevazione di temperatura in tutto il corpo, senza che possa ammettersi una corrispondente variazione nella funzione respiratoria.

Concludiamo intanto, che nello stato attuale delle nostre cognizioni fisio-chimiche è duopo ammettere, che le azioni chimiche che avvengono negli animali, durante la trasformazione dei loro tessuti sotto l’influenza dell’ossigene atmosferico, sono la sorgente del calore negli animali, che principale, ma non unica, deve considerarsi fra queste, la combustione del carbonio e dell’idrogene, e che ci mancano ancora i dati sperimentali per trovare l’esatta corrispondenza fra il calore prodotto da un animale e quello svolto dalle azioni chimiche che in esso avvengono e che ci è dato di produrre nei nostri apparati.

Non lascierò questo soggetto senza dirvi, che anche nei vegetabili il calore svolto nella germogliazione e un fenomeno d’azione chimica dovuta alla combinazione dell’ossigene col carbonio del seme che germoglia. Si sa che nella germogliazione v’è assorbimento d’ossigene, sviluppo d’acido carbonico. Nella germogliazione la diastasi converte l’amido in destrina, in zucchero e che infine scompare producendo acido carbonico. È curioso che nelle piante, come negli animali, siano l’amido e lo zucchero i corpi che bruciando svolgono il calore proprio a questi esseri. Nello stesso modo si dee [p. 96 modifica] spiegare il calore che accompagna la fecondazione delle piante, ed è perciò che troviamo scomparso lo zucchero nella canna da zucchero, nella barbabietola, nelle carote, dopo la infiorazione e la fruttificazione.