Favole (La Fontaine)/Libro ottavo/XVI - L'Oroscopo

Libro ottavo

XVI - L'Oroscopo

../XV - Il Topo e l'Elefante ../XVII - L'Asino e il Cane IncludiIntestazione 16 ottobre 2009 50% raccolte di fiabe

Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro ottavo

XVI - L'Oroscopo
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Il tuo destin per quella stessa via
per cui lo fuggi a te corre d’incontro.

Un padre di sì caldo e intenso affetto
amava un suo figliuol unico in terra,
che sulla sorte sua quanti indovini
e sonnambuli vanno per la via,
facea cantar.
Uno di questi un giorno
annuncia che doveva il giovinetto
fino ai vent’anni andar molto guardingo
dall’incontrar leoni, oltre il qual tempo
potrebbe di sua vita andar sicuro.
Il buon padre, per far che mai pericolo
di tal sorta facesse al suo diletto
eterno danno, in un palagio il figlio
tosto rinchiuse e proibì che il piede
ei mettesse di fuori. A far men tristo
di quel lucente carcere il soggiorno,
entro il palazzo era un giardin e molti
vi accorrevan fanciulli, e in giochi e in salti
e in spassi ed in chiassosa compagnia
allegramente egli vivea rinchiuso.

Sol la caccia gli fu con odio e tetro
color descritta, come cosa indegna
d’uomo gentil. Che importa? Ha mai parola
trasformato dell’indole il metallo?
Onde avvenne che il giovine alle sagge
avvertenze sentia balzar nel petto
un desiderio di battaglia, e sempre
voglioso, irrequieto, e in preda a un caldo
sogno, volea discendere nei campi
a combatter le fiere. E più fremea
quanto sentia più stringer le catene;
ma l’Oroscopo a lui stava davanti
colle fiere parole.
Era il palagio
di belle statue adorno e di pitture,
che ritraevan cacciatori e cacce,
ed animali e alpestri paesaggi,
onde più s’accendea l’anima al mesto
giovincello. Dipinto era un leone
fra l’altre belve, a cui rivolto un giorno:

- O mostro, - disse, - o mio fatal nemico
per cui viver mi tocca oscuro e vile
in queste mura... - E sì dicendo, acceso
d’ira improvvisa, sul leon dipinto
si scaglia, e sfonda la dipinta tela...
Ahimè! nel muro era un acuto chiodo
dal dipinto velato, e tal fu il colpo
che a mezzo il petto il garzoncel trafisse,
ch’ei cadde in terra del suo sangue intriso.
Invan fu chiesto ad Esculapio il balsamo
che le ferite tenero rinchiude,
il caro capo abbandonò per sempre,
e morì per le stesse arti trafitto,
che salvarlo dovean dal suo destino.