Faust/Parte prima/La cucina di una strega

La cucina di una strega

../La cantina di Auerbach in Lipsia ../Una via IncludiIntestazione 6 luglio 2023 75% Da definire

Johann Wolfgang von Goethe - Faust (1808)
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
La cucina di una strega
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LA CUCINA DI UNA STREGA.


Sopra un basso focolare sta bollendo un gran calderone. Per mezzo il vapore che ne esala veggonsi andare all’insù diverse fantasime. Una Gattamammona siede presso il calderone, lo schiuma e ha cura che non trabocchi. Il Gattomammone coi Gattini le è seduto a canto e si scalda. Dalle pareti e dal soffitto pendono tutti quegli strani arnesi che si convengono a una strega.

FAUSTO e MEFISTOFELE.

Fausto. Io ho a schifo questi pazzi arredi e queste stregherie. Che salute puoi tu promettermi fra sì fatta congerie di frenesie e di sozzure? Ho io bisogno del consiglio di una femmina decrepita? e potrà una sudicia broda levarmi di dosso trent’anni? Oh, misero se tu non sai altro partito! Io sono già fuori di speranza. Non può la natura provvedere, o non saprebbe un nobile Spirito trovare qualche balsamo?

Mefistofele. Tu torni al tuo senno! Sì veramente, [p. 114 modifica]vi è un modo naturale di ringiovanire, ma leggesi in un altro libro, ed è uno strano capitolo.

Fausto. Io vo’ saperlo.

Mefistofele. Or bene: egli è un modo che non richiede nè oro, nė medico, nè incantesimi. Esci lesto alla campagna; dàtti a zappare e a spaccar legne; contieni te e il tuo animo dentro la siepe del tuo podere; usa cibi semplici e parchi; vivi fra le bestie come bestia, e non avere a sdegno d’ingrassare tu stesso il solco che mieti. In questa guisa, credi a me, tu durerai giovane sino agli ottant’anni.

Fausto. Io non sono avvezzo a simil cosa; nė mai saprei ridurmi a tòrre la zappa in mano. Un vivere stretto e uniforme non va alla mia natura.

Mefistofele. E perciò bisogna che ci entri la Strega.

Fausto. Ma perchè proprio questa vecchiaccia? Non potresti lavorare la pozione tu stesso?

Mefistofele. Egli sarebbe un bel passatempo! Per certo ch’io fabbricherei fra tanto mille ponti. Simil pozione non richiede arte e sapere soltanto, ma pazienza ancora. Un placido spirito mette anni e anni a prepararla, e il tempo solo dà virtù a’ suoi fermenti. Mirabili e rarissime son tutte le cose che la compongono; e ben ha potuto il diavolo insegnare a costei come la si faccia; ma il diavolo non la può fare. (Scorgendo gli animali.) Vedi che leggiadra famiglia! Quest’è la fantesca; questi il servo. (Alle bestie.) Or non è forse in casa la signora?

Le Bestie. Di casa fuora

       Ad un festino
       Uscita per la cappa del cammino.

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Mefistofele. E quanto duran poi,

     Dite, i bagordi suoi?

Le Bestie. Tanto che noi

     Scaldianne un poco
     Le piote al foco.

Mefistofele a Fausto. Che ti pare di queste gioviali bestiuole?

Fausto. Le mi paiono la più sciocca cosa ch’io vedessi a’ miei dì.

Mefistofele. E a me anzi un simil ragionare riesce gustosissimo. (Alle bestie)

     Or mi dite anche, bertuccioni sciocchi,
     Che è quel che nel paiuolo rimestate?

Le Bestie. Egli è una broda lunga da pitocchi.

Mefistofele. Molti la gusteran, non dubitate.

Il Gatto si accosta a Mefistofele e gli si stropiccia intorno.

            Deh, i dadi fuora
        Gitta, o signore,
        E vincitore
        Fammi in buon’ora.
            Ahi, poveretto,
        Vivo in martoro,
        Ma se avessi oro
        Avre’ intelletto.

Mefistofele. O, quanto la bertuccia si stimerebbe beata, sol che potesse mettere al lotto. (I Gattimammoncini stanno intanto giocando con una grossa palla, e rotolandolasi innanzi.)

Il Gatto.

    Quest’è il mondo
        Che va ratto
        Ratto a tondo;

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        Ognor tratto
        Nanzi e ’ndietro,
        Scende e sale,
        E risona come velro,
        Che è sì frate!
        Di colori,
        Di splendori
        È di fuori
        Luculento;
        Ma di drento
        Pien di vento,
        Bugio e cieco
        Come speco.
        Mucin bello,
        Ti ritrai,
        Chè se in ello,
        Ohimè, intoppi, tu morrai.
        Tutto gaio
        È a vedello,
        Ma d’argiglia
        Lo fe il sommo pentolaio,
        E va in cocci qual stoviglia.

Mefistofele. Che vuol dir quel crivello?

Il Gatto levandolo giù.

        Se tu se’ ladroncello
   Io li conosco, tosto ch’io ti squadro.

(Corre alla Gatta e la fa guardare per mezzo il crivelle.)

        Deh, mi squadra costui
        Per mezzo a’ fori sui,
        E di senza rispetti s’egli è ladro.

Mefistofele accostandosi al fuoco. E cotesto calderone? [p. 117 modifica]

Gatto e Gatta. O, lo sciocco! o, il gocciolone!

        Non conosce il calderone,
        Non conosce la pignatta.

Mefistofele. Che bestial, villana schiatta!

Il Gatto. Nella seggiola ti assetta,

        E to’ in mano la scopetta.

(Induce Mefistofele a sedere.)

Fausto. (Il quale in questo frattempo stava guardando in uno specchio, ora avvicinandovisi, ora allontanandosene.)

Che miro? Che angelica forma mi si mostra in quel magico specchio! O, dammi, Amore, le rapidissime tue ali, e ponimi nella dimora di costei! Ahi! quand’io non rimango fermo qui, — quando tento di farmele da più presso, io non la veggo più se non come velata da una nebbia. Bellissima immagine di una donna! E può la donna essere così bella? O in quel caro corpo mollemente disteso vegg’io quanto di più leggiadro fosse mai figurato nel cielo? Avvi nulla in terra che possa pareggiarsegli?

Mefistofele. Certo, allorchè un Dio, dopo aver sudato sei dì, ha in ultimo detto bravo a sė medesimo, ei non dee aver fatto una goffa cosa. Consola i tuoi occhi per ora in quella vista; ed io ben so dove rintracciarti sì fatta rarità. Beato chi ha la ventura di menarla sposa.

(Fausto guarda tuttavia nello specchio. Mefistofele stendendosi nella seggiola e agitando la scopetta segue a dire.)

Io seggo qui propriamente come un re sul trono; ho lo scettro in mano, e sol mi manca la corona.

Le Bestie le quali sinora sono state facendo fra [p. 118 modifica]loro ogni più strana gesticulazione, portano con altissime grida una corona innanzi a Mefistofele.

           E anch’ella ti è tratta
        Innanzi, o signore;
        Di grazia, la imbratta
        Di sangue e sudore.

(Esse vanno sbadatamente qua e là con la corona, e la frangono in due pezzi coi quali dànnosi a saltare attorno)

        È in pezzi! or vedere
        N’è dato e parlare;
        La vita godere,
        Udire e rimare!

Fausto dinanzi lo specchio. Ahi, me misero! Io sto per insanire!

Mefistofele accennando le Bestie. Ora quasi comincia a girare il capo anche a me.

Le Bestie. E quando per sorte

        La rima è a dovere,
        Par subito un forte,
        Un nobil pensiere.

Fausto, come sopra. Il mio petto s’accende! Deh, usciamo tosto di qui.

Mefistofele, nella posizione suddetta. Si vuole almeno confessare che costoro son poeti sinceri.

(Il calderone, al quale la Gatta non ha atteso, comincia a traboccare; di che nasce una gran fiamma che si volge con impeto su per la gola del cammino. La Strega scende a precipizio per mezzo la fiamma, mandando urli spaventevoli.)

La Strega. Au! au! au! bestie insensate!

        Brutti porci, ite in malora;

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        La caldaia trascurate,
        E arrostite la signora!
        Bestie!

(Accorgendosi di Fausto e di Mefistofele.)

            Chi è lì?
        Che fate qui?
        Chi in casa, chi
        Entrarmi ardi?
        Or sì or sì
        Che sin negli ossi
        Vi avrò coi rossi
        Bollor percossi!

(Essa immolla la schiumatoia nel calderone, spruzza fiamme sopra Fausto, Mefistofele ed i Gatti. Questi guaiscono.) Mefistofele, (menando in giro la scopetta e percotendone ogni vasellame).

        In pezzi ampolle,
        Pentole ed olle!
        Ve’ la tua polta
        Per terra vôlta.
        Con gusto matto,
        Brutta carogna,
        Viso di fogna,
        La zolfa io batto.
        Vuol tal bordone
        La tua canzone.

(Mentre la Strega dà indietro tutta stizzita e spaventata:)

Mi riconosci ora? scheletro! spaventacchio! Riconosci tu il tuo signore e maestro? Non so chi mi tiene ch’io non suoni il bastone anche sulle tue [p. 120 modifica]vecchie ossa, e non isfracelli te, e i bambocci tuoi spiriti, quei visi di gallo! Tieni tu oggimai sì poco conto del farsetto rosso! Non hai tu più occhi in capo da conoscere la penna del gallo? Ho io travisato la mia faccia? Ho io a dirlo da me il mio nome?

La Strega. O signore, perdonatemi così villana accoglienza. Ma io non veggo il piè di cavallo. E i vostri due cervi dove son essi?

Mefistofele. A questa volta ne esci netta, che per verità è un buon pezzo che non ci siamo veduti. L’umana cultura, che liscia e lecca tutto il mondo, si è stesa fin sul diavolo. I fantasmi settentrionali son iti in fuga; e dove vedi tu ora corna e code e unghioni? E quanto al piè, com’io non posso sbrogliarmene, e mi farebbe vergogna fra la gente, così da più anni uso polpe posticce, a somiglianza di tanti giovinetti.

La Strega ballando.

        Dalla gioia mi gira il cervello;
        Oh, che onore! Satan nel mio ostello!

Mefistofele. Donna, non mi dire questo nome.

La Strega. Perchè? Che vi ha egli fatto?

Mefistofele. Da gran tempo è registrato al libro delle favole; ma gli uomini non sono per tanto migliori. Si sono disfatti del Maligno, ma i maligni sono rimasi. Chiamami barone, e starà a dovere. Son cavaliere anch’io come altri; nè tu metti in forse la nobiltà del mio sangue. Guarda, quest’è la mia arme gentilizia. (Fa un gesto indecente.)

La Strega, ridendo smascellatamente. Ah, ah! le son delle vostre. Voi siete ancora quel furfantaccio che foste sempre. [p. 121 modifica]

Mefistofele a Fausto. Amico, tirane profitto! A questo modo si suol trattare con le streghe.

La Strega. Or mi dite, che vi bisogna?

Mefistofele. Un buon bicchiere della felice pozione che sai. Ma chieggoti che ce ne dii della più vecchia, chè gli anni raddoppiano la virtù.

La Strega. Di tutto cuore. Ne ho qui un fiaschetto del quale gusto di tanto in tanto io medesima, e che non getta più alcun lezzo. Di buon animo ve ne do un bicchierino. (Piano.) Ma ben sapete che se quest’uomo ne bee senza preparazione, egli non può campare un’ora.

Mefistofele. Va, va; ch’egli è un mio buon amico, e gli farà bel pro. Io gli consento il migliore della tua cucina. Descrivi il tuo circolo; di su le tue parole, e dàgliene un bicchier colmo.

(La Strega forma con atti strambissimi un circolo nel pavimento, e pone in esso parecchie strane cose: i bicchieri dànnosi a sonare, il calderone a mormorare, e fanno musica. In ultimo ella reca un librone, e colloca nel circolo i Gattomammoni, i quali le servono di leggio e tengono le fiaccole. Accenna a Fausto di accostarsi a lei.)

Fausto a Mefistofele. No, se tu non mi di’ che n’ha a riuscire. Quella robaccia, que’ gesti arrovellati, quelle sporcissime ciurmerie mi son note e odiose già troppo.

Mefistofele. Poh! egli è sol per ridere! Non farmi ora lo schifiltoso. Ella dee come medichessa fare un hocuspocus, acciocchè la bibita faccia buona operazione. (Fa entrare Fausto nel circolo.) [p. 122 modifica]

La Strega leggendo nel libro e declamando con grand’enfasi.

        Tu capir dèi!
        Dieci di un fanne,
        Poi tre via danne,
        Indi due tranne,
        E ricco sei.
        Quattro ne sega;
        Di cinque e sei,
        Dice la strega,
        Fà sette ed otto,
        E tu sei dotto.
        Nove son uno,
        Dieci nessuno.
        E questo delle Fate è l’un vie uno.

Fausto. Mi pare che la vecchia farnetichi.

Mefistofele. E a gran fatto non ne è in fine, mel so io; chè il suo libro suona tutto a quel tenore. Vi ho speso sopra gran tempo, perchè una pretta contraddizione rimane un mistero inestricabile non meno ai savi che ai pazzi. Amico mio, ell’è arte antica ed arte nuova. In ogni tempo si è costumato nel mondo di spargere l’errore in nome della verità per via di tre e uno, e di uno e tre. Questo si predica imperturbabilmente; di questo si cicala senza fine. E chi vorrebbe attaccarla coi malti? L’uomo, quando ode parole, si ostina a credere ch’esse coprano qualche intendimento.

La Strega continua.

           La gran potenza
        Della scienza
        A tutto il mondo è oscura.

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        E a chi non pensa
        Sol si dispensa;
        Quei l’ottien senza cura.

Fausto. Che fandonie vuol venderne costei? Io ne ho mezzo rotto il capo. Egli è come se io udissi cento mila pazzi schiamazzare tutti quanti insieme.

Mefistofele. Basta, basta, miserabile sibilla. Dà qua il tuo bevereccio ed empine il gotto sino agli orli. Non può fare alcun danno all’amico mio, ch’egli è uomo molto in là nei gradi, ed è già uso a ber grosso. (La Strega presenta con gran cerimonie la pozione in una tazza; mentre Fausto l’alza alla bocca, n’esce una fiammella.)

Mefistofele. Animo, giù tutta a un fiato. Ancora una gorgata! Ti sentirai tosto ringalluzzare il cuore. Stai a tu per tu col diavolo, e ti fa paura una fiammicella? (La Strega scioglie il circolo. Fausto ne esce.)

Mefistofele. Or fuori più ratto che possiamo. Tu non devi star quieto.

La Strega. Desidero che buon pro vi faccia quel centello.

Mefistofele. E s’io posso fare alcun servigio a te, non hai che a dirmene un molto alla Valburga.

La Strega. Togliete questa canzone, e cantatela di quando in quando, che ne proverete effetti singolari.

Mefistofele a Fausto. Orsů, vientene, e lasciali condurre a me. È necessario che tu traspiri, affinchè il beveraggio ti faccia buon giuoco dentro e fuori. T’insegnerò di poi a godere di un nobile ozio; e per una allegria che ti sentirai germinare nel petto, [p. 124 modifica]conoscerai tosto come l’alato Cupido si agiti e saltelli in qua e in là.

Fausto. Deh, lasciami gettare ancora uno sguardo nello specchio. Oh, era pur bella quella immagine!

Mefistofele. No, no; vieni, chè tu vedrai fra poco in carne e in ossa dinanzi a te il modello di tutte le donne. (Fra sè.) Con quel beverone in corpo tu vedrai tosto Elena in ogni femmina.