Esercitazione VI

../V ../VII IncludiIntestazione 11 settembre 2022 75% Da definire

V VII
[p. 650 modifica]

Argomenti per il moto della Terra e soluzioni.

Esercitazione Sesta.

Nel principio del vostro secondo Dialogo, doppo aver detto ed esagerato molto ed in molte maniere, più con invettive che con ragioni, contra la dottrina e più contro i seguaci di Aristotile, toccate un punto da non trapassarlo con silenzio, pei esser tonte e radice di molte conseguenze importanti alle controversie, e pregiudiziali alle posizioni peripatetiche: cioè che esso Aristotile,

1. servendosi del perturbato, ha messo tal volta la prova di una proposizione tra testi che par che trattino di ogni altra cosa: e però insogna saper accozzar ben questo testo con un altro remotissimo; e chi avrà questa prattica, saprà cavar da suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perchè in essi è ogni cosa. E soggiungete, impugnando questa posizione (che fate dirla al vostro Simplicio), che se ciò bastasse, voi con i versi di Virgilio o di Ovidio, formandone centoni, esplicherete con questi tutti gli affari de gli uomini ed i segreti della natura; anzi, che questo farete col libretto dell’alfabeto, nel quale si contengono tutte le scienze; e chi saprà ben accoppiare ed ordinare questa e quella vocale, con quelle consonanti o con quell’altre, ne cavarà le risposte verissime a tutti i dubbi e gli insegnamenti di tutte le scienze, come il pittore da varii colori (ne i quali niuna figura è attuale è distinta) dipinge uomini, fabriche, animali, ucelìi etc. Talcheè, per questa via, Aristotile niente avrebbe insegnato di espresso più di quel che si faccia un alfabeto, etc.; e cito i suoi seguaci, troppo pusillanimi, per ricuoprirsi con l’arme di altri, non avendo ardire di comparir con le proprie, gli hanno data auttorità che egli non si avrebbe arrogata giamai, etc. [p. 651 modifica] Ma tralasciamo, di grazia (per fuggir ogni tedio o prolissità), queste altercazioni di parole ingiuriose, e veniamo alle filosofiche. Intendete provare che non il cielo, ma la Terra sia quella che si move in giro, restando esso cielo immobile o fermo, massime il Sole e lo stellatopostille 1: del che apportato tutte quelle ragioni od esperienze che possono conchiudere la vostra intenzione; le quali io, al solito, compendiosamente (senza pregiudicar all’essenziale) con ordine recitarò, per esaminarle poi. La vostra prima ragione dunque ò questa.

2. L’immensità della sfera stellata, che contiene la Terra per tanti milioni di volte, non è ragionevole che con moto velocissimo di una intera conversione di 24 ore si mova, stando la Terra ferma. E se potessero seguir gli stessi effetti tanto dal poner mobile il cieloquanto la Terra, ed alcuno dicesse che questa stia immota ed il cielo si aggiri, sarebbe come se uno, salito nella cima della cuppola per veder la città ed il contado, domandasse che se gli facesse girar intorno tutto il paese, acciò non avesse egli ad aver la fatica di volger la testa, etc.

3. Supponete poi per fondamento delie cose che avrete da dire, che il moto in tanto è moto e come moto opera, in quanto ha relazione a cose che di esso mancano; ma tra lo cose che tutte ne participano egualmente, niente opera, come s’ei non fusse: come il moto di una nave, carica di robbe diverse, in comparazione fra esse robbe non è moto, perchè elle non si sono fra lor punto mosse o discostate; anzi quel moto è commune a tutte, con equalità, di participazione etc.: onde il moto è di quel che si move rispetto a qualche cosa immobile, non già sopra qualche immobile, come malamente ha detto Aristotile; il quale, avendo da qualche buona scuola presa questa proposizione (detta da voi, cioè che il moto sia rispetto a qualche cosa immobile), nè avendola interamente penetrata, anzi avendola scritta alterata, sia stato causa di confusione, mediante quelli che vogliono sostenere ogni suo detto. Indi tornate all’intento vostro principale

e per provare che la Terra si mova, adducete la prima confirmazione tale, che chiamate primo discorso.

4. «Essendo (dite) dunque manifesto che il moto il quale sia commune a molti mobili, è ozioso e come nullo in quanto alla relazione di essi mobili tra loro, poi che tra di essi niente si muta, e solamente ò operativo nella relazione che hanno essi mobili con altri che manchino di quel moto, tra i quali si muta abitudine; ed avendo noi diviso l’universo in due parti, una de quali necessariamente ò mobile, l’altra immobile; per tutto quello che possa dipender da tal movimento, tanto è far mover la Terra sola quanto tutto il resto del mondo, poichè l’operazione di tal moto non è in altro che nella relazione che cade tra [p. 652 modifica] i corpi celesti e la Terra, la qual sola relazione è quella che si muta. Ora, se per conseguir il medesimo effetto ad unguem tanto fa se la Terra sola si mova, cessando tutto il resto dell’universo, che se, restando ferma la Terra sola, tutto l’universo si mova di un istesso moto, chi vorrà credere che la natura (che pur, per commun consenso, non opera con l’intervento di molte cose quel che si può far col mezo di pochi) abbia eletto di far movere un numero immenso di corpi vastissimi, e con una velocità inestimabile, per conseguir quello che col movimento mediocre di un solo intorno al suo proprio centro poteva ottenersi Le variazioni (soggiungete in risposta a Simplicio) di meridiani, di orizonti, di giorni e delle notti, sono solo in comparazion della Terra; la quale rimossa con l’imaginazione, tutte queste apparenze restano nulle.

5. Seconda continuazione. Quando si attribuisca questo gran moto al cielo, bisogna di necessità farlo contrario a i moti particolari di tutti gli orbi de’ pianeti, de i quali senza controversia ciascheduno ha il suo movimento proprio da occidente verso oriente, e questo assai piacevole e moderato, e convien poi fargli rapire in contrario, cioè da oriente in occidente, da questo rapidissimo moto diurno; dove che, tacendosi mover la Terra in sè stessa, si leva la contrarietà de’ moti, ed il solo movimento da occidente in oriente si accommoda a tutte l’apparenze e sodisfa a tutte compiutamente. Nè è vero (rispondete a Simplicio), che i moti circolari (come dico Aristotile) non sien contrarii; anzi, come due cavalieri giostrando a campo aperto, o due squadre intere, o due armate in mare, si vanno ad investire e si rompono, sono contrarii; così due moti fatti all’incontro sopra una linea circolare si contrastano, impediscono, e sono contrarii, non meno di quei due che si fanno all’incontro sopra una linea retta. Ed in somma e più semplice e più natural cosa il poter salvar il tutto con un movimento solo, che coll’introdurne due, siano contrarii over opposti. In oltre:

6. Secondo che un orbe e maggiore, finisce il suo rivolgimento in tempo più lungo, ed i minori in più breve: onde Saturno, discrivendo un cerchio maggiore li tutti gli altri pianeti, lo compisce in trent’anni, Giove in dodici, etc.; delle stelle Medicee, la più vicina a Giove fa il corso in ore 24, la seguente in tre giorni, etc.: però, mentre si faccia il movimento della Terra in ventiquattro ore, quest’ordine si serverà inalterato; altrimente, dal rivolgimento di Saturno in trent’anni si farebbe un passaggio eccessivo ad uno di una sfera immensa di 24 ore. E questo poi è il minimo disordinamento; perchè dalla sfera di Saturno si passa alla stellata, assai più vasta di quella, tardissima (come dicono) di molte migliaia d’anni; ed indi, d’un eccesso al altro, passar al primo mobile che si aggiri in 24 ore.

7. «Ma dandosi la mobilità della Terra, l’ordine de’ nperiodi viene benissimo osservato, e dalla sfera pigrissima di Saturno si trapassa alle stelle fisse, del tutto immobili, e viensi a fuggire una quarta difficultà, la quale necessariamente [p. 653 modifica] bisognerebbe ammettere quando la sfera stellata si faccia mobile: e questa è la disparità immensa tra i moti di esse stelle, delle quali altre verranno a moversi velocissimamente in cerchi vastissimi, altre lentissimamente in cerchi piccolissimi, secondo che queste e quelle si trovano più o meno vicine a i poli; che pur ha dell’inconveniente, sì perchè noi veggiam quelle, del moto delle quali non si dubita, moversi tutte in cerchi massimi, sì ancora perchè pare con non buona determinazion fatto il constituir i corpi, che si abbino a mover circolarmente, in distanze immense dal centro, e fargli poi movere in cerchi piccolissimi.»

8. «E non pure le grandezze di cerchi ed in conseguenza le velocità de i moti di queste stelle saranno diversissimi da i cerchi e moti di quell’altre, ma le medesime stelle anderanno variando i suoi cerchi e sue velocità (e sarà il quinto inconveniente), avvenga che quelle che due mil’anni là erano nell’equinozziale, ed in consequenza descrivevano col moto cerchi massimi, trovandosene a’ tempi nostri lontane per molti gradi, bisogna che siano fatte più tarde di moto e ridottesi a movere in minori cerchi; e col tempo potrebbe alcuna di loro ridursi a star ferma col polo, e poi tornar a moversi: dove che l’altre stelle, che si movono sicuramente, tutte descrivono (come si è detto) il cerchio massimo dell’ orbe loro, ed in quello immutabilmente si mantengono.»

9. «Sesto inconveniente è l’esser inescogitabile qual deva esser la solidità di quella vastissima sfera, nella cui profondità siano così tenacemente saldate tante stelle, che senza punto variar sito tra loro, concordemente vengono con sì gran disparità di moti portate in volta: o se pur il cielo è fluido (come più ragionevolmente convien credere), sì che ogni stella per sè stessa per quello vada vagando, qual legge regolerà i moti loro? ed a che fine, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera? A me pare che per conseguir ciò, sia tanto più agevole ed accommodata maniera il constituirle immobili che ’l farle vaganti, quanto più facilmente si tengono a segno molte pietre murate in una piazza, che le schiere di fanciulli che sopra vi corrono.»

10. «E finalmente, per la settima instanza, se noi attribuiremo la conversion diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virtù, che seco porti l’innumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi ed assai maggiori della Terra, e di più tutte le sfere di pianeti, ancorchè questi e quelli di lor natura si movino in contrario; ed oltre a questo è forza concedere che anco l’elemento del fuoco e la maggior parte dell’aria siano parimente rapiti, e che il solo piccol globo della Terra resti contumace e renitente a tanta virtù: cosa che a me pare che abbia molto del difficile, essendo la Terra corpo pensile, librato sopra il suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, e circondato da un ambiente liquido; onde dovrebbe cedere essa ancora, ed esser portata in volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far mover la Terra, corpo minimo [p. 654 modifica] ed insensibile in comparazione deli’universo, e perciò inabile a fargli violenza alcuna.

11. Di più, secondo Aristotile un corpo semplice ha un moto semplice naturale, o non più; dunque, se ciascun de gli orbi celesti con questo moto naturale può moversi senza aver de gli estranei, non è meglio e più conveniente che così sia, che ricever moti altrui? e se col poner mobile la Terra e fermo il ciel stellato o il primo mobile, ciò giustamente accade senza alcuno inconveniente, perchè non deve farsi? I quali motivi (dite questa volta modestamente) non portate come leggi infrangibili, ma che abbiano qualche apparenza, e che una esperienza o concludente dimostrazione in contrario basti a batter in terra questi ed altri cento mila argomenti probabili. Poi, rispondendo al vostro Simplicio, dite che non in comparazione alla virtù infinita del primo Motore date la difficultà del mover il cielo più che la Terra, ma per congruenze naturali ed avendo riguardo ai mobili, essendo operazione più breve e più spedita mover la Terra, che l’universo, e di più avendo l’occhio alle tante altre abbreviazioni ed agevolezze che con questo solo si conseguiscono.

12. Aggiungete che un verissimo assioma di Aristotile, che ci insegna che Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, ci rende più probabile, il moto diurno essere della Terra sola, che dell’universo, trattone la Terra. Al qual assioma, di Aristotile rispondendo Simplicio che si deve aggiunger un aeque bene, instate con dire che sia superfluo ciò aggiungere; perchè il dire egualmente bene è una relazione, la quale necessariamente ricerca due termini almeno, non potendo una cosa aver relaziono a sè stessa, e dirsi, v. g., la quiete esser ugualmente buona come la quiete; e perchè quando si dice: «In vano si fa con più mezi quello che si può far con manco mezi», s’intende che quello che si ha da fare deva esser la medesima cosa, e non due cose differenti, e perchè la medesima cosa non può dirsi egualmente ben fatta come sè medesima, adunque l’aggiunta della particola egualmente bene è superflua ed una relazione che ha un termine solo. Indi passate a portar le ragioni d’Aristotile, de i Peripatetici e d’altri, per le quali si prova che la Terra stia ferma e si mova il cielo, per confutarle e far che la vostra posizione resti corroborata. Ma pria che veniamo a queste, sarù bene essaminar le precedenti con ordine, ad una ad una.

1. E prima, quanto alla imputazione che voi stiratamente date ad Aristotile, lo vegga chi lui mai con osservazione letta la sua dottrina, e specialmente la filosofica, che fa ora al proposito. In tutte le sue opere naturali (che io per più di vinti cinque anni continui, con la scorta di buoni lettori prima, poi con ottimi libri e con assidui essercizii di insegnarla, ho con ogni possibile accuratezza studiata ed osservata) ho trovato solamente tre over quattro trasposizioni di testi; la quale (dato che non sia stata trascuraggine de gli più antichi compilatori, per fuggir ogni scusa vile) non toglie mai il senso, nè l’ordine, nè la dottrina [p. 655 modifica] regolata e conseguente, come son pronto di far veder a chi si sia, o pure come ogni intelligente non appassionato può veder da se stesso. E per questo, im-moderatamente amplificare che nell’istessa maniera si contengano i sensi ne i suoi scritti come tutte le cose nell’alfabeto o tutte le pitture ne i colori, non è da persona amica sinceramente dell’investigation del vero, ma più tosto da mordace ed invida dell’altrui gloria. L’esser egli recondito e succinto è virtù e gravità venerabile, conveniente a sì alto soggetto di cui si tratta, alla fama di chi ne scrive, e forse allo stilo di quei tempi, alla greca filosofica elocuzione; sarebbono facilità communali, se al modo triviale da gli uomini grandi si conferissero. E voi stesso, nel principio del vostro primo Dialogo, non commendate Pittagora cbe abbia servato circa i numeri questo medesimo stile, per le medesime cagioni? perchè dunque lo biasimate in Aristotile? Non sono per tanto i seguaci di esso pusillanimi, ma vivacemente modesti; seguono quelle insegne che vittoriose trionfano gloriosamente de gli altri. E quantunque in molte materie apparisca dubbio, ciò avviene per esser elleno, per la loro altezza, dall’intelligenza nostra remote, e perchè forse in effetto per vie naturali sono problematiche, e come tali disputabili da ambe le parti. E qual altro determinatamente con dimostrazioni infallibili le risolve? trovatene pur uno voi, ed avrà in ciò séguito più di Aristotile. Non è dato a gli uomini saper distintamente i misteri reconditi della natura; ma assai è degno di lode e metodicamente procede chi determina nella maniera che esse sono da noi intelligibili o die il nostro intelletto le capisce. Che alcuni poi si siano ribellati da Aristotile e che mai siano più ritornati alle sue dottrine, come ancora dite poco di sotto nel medesimo Dialogo, ciò nulla rilieva; già che essendo questi tali nella famosissima scola peripatetica di niun grido e forse del tutto incogniti, gli ò più di capitale esser conosciuti ne gli errori che sprezzati nelle dottrine, come colui che abbruggiò il tempio di Diana: ed è di sì bassa liga questo vostro argumento, che se valesse punto (e pur gli argomenti buoni in ogni soggetto son tali), se ne farebbono di simili innumerabili, di ribellanti dalle umane e dalle divine leggi, che verrebbono le leggi istesse in esterminio, o almeno in compromesso di esser buone o rie. Ma torniamo pure alle controversie filosofiche.

2. Che la sfera stellata, vastissima di mole e per milioni di volte maggior della Terra, non debba per questo moversi, ma si bene la Terra, che è piccola, val tanto quanto sarebbe a dire che un fuoco grande non scaldi o non abbrugi per la sua immensità, ma una favilla efficacemente ciò facci; poichè non è più naturale di scaldare ed abbruggiare al fuoco, che di moversi a i corpi naturali, e più a i più perfetti, essendo (come sapete e supponete ancora) il moto effetto principale della natura; sì dche ove ella in modo più nobile si ritrova, indi questo effetto più potente da lei diviene. Ma voi misurate l’opre della natura indefessa con quelle de gli uomini deficienti e debili; vi par che sia grande affare. [p. 656 modifica] pesante e faticoso, il movere 1! eccelsa mole del ciol supremo; onde, compassionando il primo Motore, che raggira, volete che stia in riposo, e credo che v’indurreste anco a pensar ch’eai dorma, perchè patisca meno o sia più da questi travagli lontano. Pietoso lfilosofo! Conviene dunque, dall’eccellenza di quel corpo celeste aver somma operazione, la quale a gli altri tutti in varie maniere diffonde, e specialmente col moto: che se ben pare all’umana capacità impercettibile, è tanto più alla sua sopra umana condizione conveniente, e dalla viltà della Terra remoto.

3. Il vostro supposito è totalmente falso, onde non fie maraviglia se falsi anche falsi siano anche i conseguenti. Non è (dico) vero in conto alcuno il moto in tanto che il moto sia moto, in quanto ha relazione a cose che di esso manchino, etc.; anzi è egli entità assoluta, operativa, la quale, cessando ogni relazione ed ogni comparazione a qual si voglia altro mobile (appunto l’opposito di quel che voi supponete), sarà sempre moto; come se il primo mobile, entro sè stesso agirandosi, ancor che niuna altra cosa si trovasse nè dentro nè fuora della sua circonferenza, sarebbe però vero moto il suo moto: ed il contrario non è vero, nè meno imaginabile. Così le robbe che sono in una nave, e che egualmente participano i1 moto di lei, si movono realmente, se bene non si allontanano l’una dall’altra; e voi commettete un paralogismo molto spaccato, mentre dite: «Non si movono overo non si allontanano l’una dall’altra; dunque non si movono, o pure quel moto non è moto»; come chi dicesse: «Due palle di piombo, tratto da un medesimo archibugio con egual velocità, nell’istessa distanza ed ad un medesimo segno, perchè hanno participato l’istessa violenza, non si son mosse». L’egualità suppone il suo fondamento: come se dicessimo «La torre ed il campanile sono uguali di altezza», dunque bisogna inferire «Ambidue sono alti, o quanti» e non (come fate voi) «Dunque non hanno quantità». Così appunto: «Si movono di equal velocità e dell’istessa participazione di moto le robbe di una nave, dunque non si movono»; anzi si movono, dico, già che hanno il moto uguale, etc. È vero che, facendo comparazione tra loro, questo moto non le distingue, e per l’uniformità non si conosce; ma che per questo so non vi sia o non sia moto (che è l’istesso), è, non dirò, falsissimo, ma ridicolo ancora. Da questo seguita parimente, quanto egregiamente (secondo il suo solito) abbia detto Aristotile, che il moto è sempre sopra qualche cosa immobile, e non in rispetto (come voi dite) di altra cosa immobile; conciosia che il rispetto non ha che far con il moto, e l’immobile (che sarà almeno il principio o fine di esso) gli è assolutamente necessario. Io so però che la vostra intenzione nel far questo novello supposito è stata per mostrare, che tanto col moversi il primo cieio e star ferina la Terra, quanto col moversi la Terra e star fermo il cielo, avressimo l’istesse apparenze, aspetto o siti, onde sarebbe difficile conoscer se il moto fusse del cielo o della, Terra: il che gratis vi si concede, specialmente [p. 657 modifica] se si faccia comparazione di un moto solo, non discendendo alla varietà di molti o diversi. E chi non sa che così bene si vedrebbono tutte le parti di una ruota se ella si raggirasse intorno a chi la vuol vedere, come so egli si volgesse attorno di essa? come anco per l’uniformità del moto, e per l’acquisto ad unguem de gli medesimi siti senza alcuna minima variazione o irregolarità o difformità, è forse impossibile distinguere se il moto sia di questa o di quello. Ma per questo effetto dire, il moto non esser moto se non in rispetto, non è al proposito. Le dottrine che mancano di verità, di distinzione e di ordine, mancano di esser dottrine.

4. Dall’aver fatto conoscere che il supposito non è buono, non è buono, casca per se stesso tutto il vostro primo discorso; poscia che non poniamo il moto del cielo e la quiete della Terra per quel puro rispetto che voi dite, nè per la semplice apparizion di siti, orizonti o de gli aspetti etc., che sarebbono (come ho pur anco detto) i medesimi col moto tanto del cielo quanto della Terra., ma perchè l’operazioni maggiori ed universali convengono alle cagioni ed a i corpi più nobili: sì che se la Terra avesse ella il moto ed il cielo si stesse immobile, ella sarebbe più operatrice e più nobile di quello, già che noi non abbiam altra via più spedita e sicura di conoscer la differenza delle cose, che quella delle operazioni, delle quali tutte principalissima fra le naturali è il moto: onde la Terra (che pur chiamate, nel primo vostro Dialogo, sentina d’immondizie. feccia del mondopostille 2) sarebbe il primo mobile, operatrice somma, indefessa, primo instromento del Divino Architetto, e dovrebbe per conseguente esser la sua sede regale, non stanza di animali miserabili ed immondi. Ha dato per tanto il moto rapidissimo al primo mobile, perchè conveniva alla nobiltà della sua natura, e l’ha tolto alla Terra, perchè n’era incapace; onde, transferendolo voi da quello a questa, fate come chi togliesse la ragionevolezza all’uomo e l’attribuisse ad un verme. Ed in questa maniera la natura opera conforme alle sue leggi eterne e giustissime; nè è molto nè poco, nè eccessivo o mancante, quel che a misura dà ella a ciascuno, conforme alla sua abitudine, pur da lei medesimamente, come per base del retto, concessagli.

5. Quello poi che voi nella seconda continuazione adducete per inconveniente, è congruenza, necessità grande ed opportuna a i misteri, a i fini diversi, della natura. Dal primo mobile, come da prima, corporea cagione, è ragionevole che nelli altri inferiori corpi si diffondano i beneficii e le grazie di esso: già la sua primità non deve esser oziosa, di ordine puro, a stampa, ma di dipendenza e di azzioni, e le cause essenzialmente ordinate hanno anco connessi gli effetti, specialmente l’inferiori con le più degne, senza lo quali non possono operare. [p. 658 modifica] ancorchè quelle potrebbono senza queste. Per tanto è convenevole, che avendo gli orbi inferiori il loro natural moto, anco di quel del primo partecipino: ed in questa maniera qua giù fra noi diviene la diversità delle coso con la varietà ammirabile do’ modi loro, oltre quelle che, del tutto a gli uomini sconosciute ed in maniere parimente incognite, forse altrove si fanno. Nè sono però questi moti talmente tra sè stessi contrarii o pur opposti, eche abbino o quella ripugnanza o quella ineompossibilità che alla vera contrarietà si richiede, ed all’esser in un medesimo soggetto contradichi. Contrarii veramente si dicono quei moti, i termini do i quali sono contrarii ed impossibili ad esser uniti, come il caldo sommo col freddo, il su con l’in giù, eto.; ma quei che da un istesso principio ad un medesimo punto ancora son terminati, non hanno veruna ropugnanza, eccetto che tal ora diversa occupazione locale di mobili, che non fa contrarietà in modo alcuno. Mi dichiaro. Il moto fatto sopra una superficie, linea, o corpo circolare, da qual si voglia parte che si cominci, si può terminare ad un istesso segno, e può il principio ed il fine segnarsi in qual si voglia parte, onde se ben mille moti sopra l’istessa sfera si facessero, non avrebbono perciò condizione di vera contrarietà; come mille aumentazzioni, perchè hanno l’istesso fine o termine di calore, non saranno contrario giamai, ancorchè l’una dal freddo, l’altra dal tepido cominciasse; così mille aumentazioni, mille moti all’insù, avendo, o potendo avere, l’istesso termine; ma sì bene il moto fatto all’insù con quello che tende all’ingiù, la calefàzzione con la frigefazzione, etc.: di modo che, non essendo questa varietà o repugnanza ne i termini acquisibili nel corpo circolare, non saranno contrarii. E se bene due mobili sopra d’un cerchio medesimo s’incontrassero e s’impedissero, sarebbe un impedimento corporeo, di mole, di varie occupazion di luoghi, non ripugnanza de i moti; anzi in questa maniera ogni corpo sarebbe a qual si voglia altro corpo contrario, conciosia che dove è l’uno non può esser l’altro: e così voi dall’ineompossibilità de’ corpi passate alla contrarietà de’ moti, che è fallo notabile. E vedete ancora, non esser l’istessa ragione di contrarietà fra due moti fatti l’un contra l’altro sopra una linea retta, con quella di quei che si fanno sopra la circolare, e più, particolarmente discendendo a i moti celesti, poichè non si fanno sopra i medesimi poli, onde anco si fuggirebbe questo apparente incontro. Nè è simile l’incontro di due cavalieri o di due armate in mare, essendo fra costoro contrarietà per cagion di vita 0 di morte, di vittoria o di perdita, non già per l’acquisto di un medesimo luogo. Oltre che nella diversità de’ moti celesti non avemo due mobili contrarii sopra l’istessa distanza circolare, poichè ogni corpo celeste si move nel suo proprio giro o luogo, senza occupar quel dell’altro; ma sì bene in un mobile solo avemo più moti: e questo niun assurdo contiene, come che non sia inconveniente in un medesimo soggetto esser diversissimi accidenti, massime non repugnanti, e come non sarebbe impossibilie che un sasso tondo, cadendo da alto a basso, si rivoltasse insieme, [p. 659 modifica] cadendo in giro; e pur maggior repugnanza è fra il moto rotto ed il circolare, che fra l’un circolare c l’altro. E voi stesso concedete alla Terra tre moti insieme, non meno oppositi che i predetti del cielo. Di modo che (tornando a riconcluderc in universale), nè per causa di termini, nè per unità, pura di spazio, nè per opposizion di mobili, nè per identità di poli, hanno i celesti moti contrarietà fra loro; ed all’opposito, per communicazione di beni, per diversità di effetti, por connessione di operare, per dipendenza ed ordine ad un primo, gli inferiori devono partecipare il moto del più nobile: e così esso, e non la Terra, è ragionevolissimo che si mova, o che i cieli dalla Terra dipendano ed ella sia il primo mobile. Or dite pur voi.

6. L’ordine che, dite, si servarebbe ponendo la Terra mobile, non è di alcun momento, nè convenevole al fatto presente de i moti celesti, nè concordante con l’altre vostre posizioni. Già voi dite che secondo che un orbe è maggiore, finisce il suo rivolgimento in tempo più lungo, etc. Ciò (dico) non è universalmente vero, e perciò l’ordine non è invariabile, nè da voi si potrà tirar giusta la conseguenza del vostro intento. Venere e Mercurio (come riferiscon di commun consentimento gli astronomi) si movono in tanto tempo in quanto si move il Sole; overo in tempo uguale fra loro, che basta, già che voi ponete il Sole immobile: e pure non sono questi orbi eguali, ma di gran mole ineguali, ed eccedenti o eccessi, come sapete benissimo. Meglio sarà per tanto ponere l’ordine che Aristotile assegna, non però del tutto invariabile, ma assai men fallace del vostro. Dice egli, dunque, che per ciò il moto di Saturno sia più tardo, perchè, come più vicino al primo mobile, viene dalla rapidissima velocità di quello (che lo rivolta dal suo naturale altrove) più potentemente impedito, e secondo che gli altri più da tal impedimento o ritardanza, da quel primo causata, si allontanano, così hanno il moto lor naturale più celere: la qual ragione assai confacevole e probabile, quantunque forse patisca qualche obiezzione (già egli in materie così oscure e difficili non pretende far dimostrazioni evidenti), e però assai più verisimile della vostra, e suppone miglior ordine, ne i corpi e moti celesti. È ben vero che esso, insieme con Platone ed altri famosi filosofi, pone per primo mobile l’ottava sfera stellata, alla qual posizione non si farebbono facilmente tante opposizioni quante possono farsi a coloro che sopra di essa pongono altri orbi pur mobili: e (per dirla) mi è sempre questo pensiero sommamente piaciuto, per una special congruenza della nobiltà del primo cielo, stimato sede di Dio, corpo divino ed alla vera divina grandezza (per quanto può sustanza corporea finita, all’infinito purissimo immateriale attarsi) proporzionato: e già a questo gli filosofi e gli astrologi attribuiscono i principali influssi e le più nobili operazioni. Egli, quasi regai teatro, al cospetto di quell’onnipotentissimo Monarca, fa pomposa mostra di lampadi innumerabili, eterne, inestinguibili; egli per meraviglia attrae, e quasi rende stupidi, gli occhi e la mente de’ risguardanti; di lui son [p. 660 modifica] quasi tutti i stupori: talchè non alMitro più nobile, nè altro primo, di esso più propinquo a Iddio, massimo un che fusse senza stelle (come dicono di quel che pongono primo), dovrebbe ponersi. È re de’ pianeti il Sole, è padre de’ viventi e l’occhio principale dell’universo; son pieni di virtù e di opere gli altri pianeti: ma la loro unità dalla numerosità innumerabile delle stelle, dalla velocità del moto incomparabile è in mille guise superata da questo primo corpo celeste e divino. E chi sa, che la cagione per cui gli astrologi hanno sonniati altri cieli sopra di esso, non sia appunto un sogno? e che il moto di settemila anni, eluda loro gli vien attribuito per proprio, oltre il diurno di 24. ore, sia vero? qual età, qual speculazione, sarà senza errore giunta a tal conoscenza? Chi sa (anco quando ciò fosse vero indubitato), che avendo un moto solo semplice naturale (come conviene a i semplici corpi), non avesse gli altri due (che gli atribuiscono, del ciel cristallino e d’un altro che dicono primo mobile) per special prerogativa da intelligenze o da altre cause non conosciute? o che egli, come fra gli altri nobilissimo e men de gli altri semplice (come lo mostra la varietà grandissima delle stelle), fusse anco di moti più abondevole? Di quanti è partecipe l’uomo, se ben un solo è il suo primiero naturale? Niuna cosa però di queste asserisco irretrattabilmente; insinuo solo, e desiderarei che altri, più de gli arcani celesti (per altre professioni aggiunte alle filosofiche) intendente, si immergesse più oltre. E voi, Sig. Galileo (che anco insinuate poner la sfera stellata per primo cielo, ancorchè immobile), con le vostre matematiche ponderandola e dandolo il moto che le conviene, propalatela con ragioni per manifesta al mondo, se pur sapete, e riceverete più gloria che dell’esservi messo contro alla potentissima veemenza dell’acque che impetuose corrono per vie naturali al suo centro. Ma da questa poca di digressione torno al segno onde partii, concludendovi che dalla sfera pigrissima di Saturno non deve pervenirsi alla total immobile del ciel stellato, ma ben a lei, sì che per la somma velocità faccia pigrissima la prenominata di Saturno, per le ragioni di Aristotile sudette.

7. La quarta difficilità che voi apportato, è stata da Aristotile istesso, nel secondo del Cielo, apportata e adeguatamente soluta. Dice egli per tanto, e bene, che essendo le stelle fisse nel proprio orbe, secondo la distanza che hanno da i poli, così fanno o disegnano cerchi maggiori, ancorchè esse stelle non fussero tutte eguali; il che non solo non ò inconveniente, ma congruo e necessario. Sarebbe forse verisimile, che le maggiori in maggior circolo con maggior velocità si movessero, mentre ciascuna da sè stessa avesse il proprio moto, aggiungendovi la proporxion del vigore, nel modo che diciamo esser più veloce un veltro grande e gagliardo di un debile e piccolo; ma essendo il moto altrui, e di altri l’obiezzione, non vostra, non occorre diffondersi in più prolissa risposta. Se quelle delle quali non si dubita (che credo intendiate de’ pianeti) si movono in cerchi massimi, ciò avviene perchè sono situate lontane da i poli, il che è manifesto dal [p. 661 modifica] non uscir esse dallo spazio del zodiaco; che se a i poli più vicine fussero j poste, farebbono giri minori, e così l’essempio è contra voi, più tosto che in favore. Nè so imaginarare, nò voi credo sappiate dirla, chè non la tacereste, qual sia non buona determinazione, che corpi distanti per immensità grandi dal centro non si possano movere in cerchi piccolissimi circa i poli. Forse alla distanza immensa avrà da rispondere la immensità di cerchi nel proprio orbe? e perchè? Rendete, rendete le ragioni delle vostre asserzioni, chè in questo consiste la formalità del sapere: e pur ne sete sempre sì scarso, che appena in mille ne assegnate una, e questa per lo più dialettica e forse imaginaria.

8. Non so, quanto al quinto inconveniente che voi inducete, da quali principii caviate la consequenza contra di noi. Come, di grazia (secondo lo nostre posizioni) le medesime stelle anderanno variando i suoi cerchii, se noi le poniamo fisse ed immutabili da i proprii siti, e che solo si aggirino col suo orbe? Che i cerchi di alcune, insieme con i moti loro, siano diversissimi da quei degli altri, pur che si movano connesse o portate ne i proprii orbi, già vi è stato detto esser senza alcun inconveniente vero. E se quelle che due mila anni fa erano nell’equinozziale, ed a’ tempi nostri (secondo che voi dite) se ne trovano lontane per molti gradi, ciò adiviene (se pur sia vera l’ipotesi), che quel cielo ragirato col moto tardissimo di sette mila anni (supposto quando si statuisse per primo mobile l’altro suo primo moto naturale e semplice in 24 ore, come ho accennato di sopra) si fa sopra poli diversi; onde è necessario che in tanto tempo si varii sito delle parti celesti, non già della stella sola, quasi che per sè cam- minasse per il cielo: e perciò non seguita nè anco per imaginazione che finalmente si abbia, da ridur vicino al polo del suo orbe, ma ne sarà egualmente sempre distante. Che se poi al moto di altro orbe supcriore, al cui polo si approssimasse, descrivesse circolo minore, e poi più picciolo, conforme all’approssimazione che avesse a i poli di questo, niuno assurdo sarebbe; anzi di fatto ciò occorro, nel moto de’ pianeti, i quali, di suo natural movimento correndo per il zodiaco ed essendo sempre in un medesimo modo da i poli de i proprii orbi lontani, per il ratto del primo mobile a i poli di esso or si accostano or si dilongano. Supponete anco in questa induzzione tre cose, che sono o del tutto false o almeno hanno bisogno di stirata esposizione. L’una, che le stelle fisse si movino da sua posta, altrimenti l’approssimarsi a i proprii poli del suo orbe sarebbe ridicolo, ed a i poli de gli altri orbi è necessario: ond’il discorso vostro è nullo; nè il moto della Terra potrebbe ad ogni stella rispondere, se pur non avesse ella tanti moti, quante ha stelle la sfera stellata: ed il moto delle stelle da sè stesse è da voi nel sesto inconveniente deriso. Secondo, che, negando voi il moto del ciel stellato e delle stelle medesime di lui, or concedete (se pur parlate di propria mente) che già due mila anni erano vicine all’equinoziale, ed ora ne siano lontane per molti gradi: ecco dunque si movono, e le ponete immobili; overo tutti son moti della Terra, quanti [p. 662 modifica] son delle stelle, come ho pur detto. Terzo, che l’altre stelle descrivono immutabilmente il cerchio massimo dell’orbe loro, già che, come si ù dotto e si concede da ognuno, anco l’altre stelle (che sono i pianeti) variano circolo dal movimento del ratto, e nel proprio orbe non sono meno immobili delle fisse, salvo che se non vi metteste a diro che anco i moti loro siano della Terra: ed io aspetterò ancor questo, ed allora vi risponderò, so questi placiti ricercan risposta.

9. Che sia inescogitabile (il che adducete per sosto inconveniente) qual sia la solidità, di quella massima sfera, non è da maravigliarsi, essendo parimente quasi inescogitabile la natura totale de’ corpi celesti; de i quali i più intendenti ne parlano con grandissima circonspezione, eccetto che di alcuno cose, come del moto, del lume, della quantità, della figura. Sarebbe però più inescogitabile il ponerla in qual si voglia altra maniera di quella che la pongono i Peripatetici, e specialmente immobile, oziosa, fluida, come la fingete voi, e con lo stelle, vaganti ed immobili, raggirate in mille modi e pur quiete, con altre contradizzioni manifestissime, con gli inconvenienti che per conseguenza ne seguirebbono contra voi, addotti da voi medesimo. Nè per tener a segno le stelle deve quella sfera esser immobile, ma basta che vi sian fisse dentro, aggirandosi pur ella.

10. Nè la settima instanza è di vigor alcuno, già che appunto a quel corpo supremo devo attribuirsi suprema invincibil forza e dominio sopra gli altri, quasi nel modo che l’omnipotente Iddio l’ha sopra lui e sopra tutto il resto dell’universo, sì che sarà convenevolissimo che seco rapisca gli altri corpi inferiori, per conferirgli virtù, la qual diffonda a proporzione e con ordine al fine; onde se sino alla Terra non si estenda, ciò deve esser non per mancamento di potere, ma per altri fini da noi non conosciuti e perchè poco a questo infimo elemento una cotal participaziono sia di mestieri. Già gli ordini e l’opre tutte della natura hanno il principio, la regola e la misura, da’ fini a’ quali sono ordinate, e con questi più tosto che con la vastità della mole o con la imperfezzione della materia si conformano. Gli intoppi che si trovano nel far mover la Terra e star fermo il cielo divengono da più alta cagione che da questa vostra fievole, i quali ho accomiati e forse toccati a bastanza di sopra.

11. Che un corpo semplice abbia naturalmente un moto semplice, è vero; ma non repugna, anzi per diversi elletti (come ho detto ancora) è necessario, che partecipi de gli altri. E poi per questa ragione avreste da constituir immobili anco l’altre sfore celesti, o dargli un moto solamente; e pur l’uno e l’altro è falsissimo, e si vede con manifesta esperienza, non che con dottrine universali dogli astrologi, ricevute da ogn’uno: o finalmente avreste da dire, che di tanti movimenti si mova la Terra sola, quanti si ricerchercbbono per salvare tutti quei moti che in tutti gli corpi celesti si veggono e si osservano. E perchè ella non ha un semplice moto? come gli ne tribuite tanti, più tosto che a i corpi celesti? perchè la fate diventar il fac totum, e tutti gli altri da poco o da niente? [p. 663 modifica] Fortunata Terra, esaltata così egregiamente dal Sig. Galileo, non ricordandosi forse di averti altre volte avvilita, chiamandoti sentina d’immondizie, feccia del mondo; e pur ora sei la sola o la principale operatrice! Ma in qual maniera tanti e sì diversi e contrarii moti potreste assegnare alla Terra, avendo voi per impossibile, o almanco per inconveniente, di darne due ad un solo, e stimandogli contrarii e repugnanti? Non dunque nè ancor noi in comparazione alla pura onnipotenza divina poniamo quest’ordine, ma, quella posta per principio, con l’unione della sua sapienza infinita e con ordine alle cose naturali, rispondendo a ragionevole umana intelligenza, in questa maniera parliamo: onde nè più breve nè più spedita, ma repugnante ed assurda, operazione sarebbe dar alla Terra quel che conviene al cielo, come ad un sguattero quel che conviene al prencipe, ad una latrina le ricchezze regali e pompose della camera reggia.

12. È bella l’obbiezzione finalmente che voi fate all’aggiunta dell’assioma di Aristotile, dico a quel aeque bene. Per vita mia, che sete un speculativo profondissimo; non è da maravigliarsi che, sopra l’intelligenza de gli altri, facciate così alte pescagioni nel cielo. È vero (rispondo sul serio) che il dire aeque bene è una relazione che ricerca due termini: ma questi non sono la cosa medesima che si fa, la quale è veramente una sola, ma sono i modi diversi con i quali può farsi, alcuni de’ quali non saranno bastanti a farla così bene, come altri o più; ed eccovi quanti termini di relazione volete voi. Ma veniamo alla prattica. Uno può da Venezia andar in Roma a piedi ed a cavallo, ma a piedi non vi anderà aeque bene come a cavallo: ed un marinaro potrà di qui andar per mare in Ancona con una barca di quattro remi e di otto; vi anderà sì, ma non aeque bene con i quattro come con gli otto: e così è uno il viaggio o la navigazione, ma i modi son molti, e questi portengono all’aeque bene. Sì che voi, senza distinzion di modi alla cosa, il tutto confondete in uno: ma vi si può perdonare, perchè il conoscere la forza de gli argomenti, le distinzioni e le fallacie, tocca alla logica, la quale voi dispregiate, chiamandola incerta e attribuendo ogni certezza ed ogni dimostrazione alla matematica. Ed al vostro proposito della Terra e del cielo, ancorchè ìella si potesse movere e star ferma la sfera prima, ciò non sarebbe aeque bene; perchè ripugnarebbe alla condizione e virtù di quei supremi corpi, ed alla viltà parimente della Terra, ed all’altre cose delle quali già si è detto a bastanza.


Postille di Galileo Galilei

  1. non ho mai inteso di provar ciò, ma di mostrare che le ragioni addotte in contrario non soli concludenti.
  2. chiamola per detto di altri, e non per mio: anzi quando parlo di mio pensiero, l’antepongo all’oro ed alle gemme.

Note