Elogio catodico del quotidiano/Cap. 1

Cap. 1

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Introduzione Cap. 1.1

Cap. 1 - Gli esuli della Rai abbattono il monopolio a colpi di trasmissioni amatoriali basate sulla partecipazione popolare.

Il fenomeno delle tv locali nasce sull’onda emotiva del ’68, nei primi anni settanta per opera, paradossalmente proprio di un regista della Rai, Peppo Sacchi, allora in rotta con la tv di stato per una questione di rapporti di lavoro.

Come strumento di protesta, scelse provocatoriamente di fondare nella sua città, Biella, una sua stazione televisiva “libera”, in aperta violazione della normativa dell’epoca, che garantiva alla Rai il monopolio delle trasmissioni radiotelevisive in Italia. Nell’avventura di Telebiella, questo il nome scelto per la sua emittente, Sacchi coinvolse molte persone che allora avevano rapporti tesi con l’emittente di Stato, tra cui soprattutto il noto presentatore Enzo Tortora, che circa un decennio addietro era stato licenziato dalla Rai.

Il presentatore genovese, nove anni prima, era stato messo alla porta dai dirigenti di viale Mazzini dopo che in un’intervista al settimanale Oggi1 in cui criticava pesantemente il monopolio televisivo e il sistema di lottizzazione politica della Rai, arrivò a definire quest’ultima come “Un jet supersonico comandato da un branco di boy scout che litigano ai comandi”. «Mi posi il problema, assai grave allora e oggi per fortuna molto meno, di fare un mestiere che non esisteva se non nel monopolio» [Tortora 1988, 49], si legge in una sua autobiografia, pubblicata pochi mesi prima di morire. Peppo Sacchi ed Enzo Tortora, che avevano già lavorato assieme in Rai fin dagli anni cinquanta, si incontrano di nuovo, da “esuli”, a Lugano dove entrambi lavorano per l’emittente di stato svizzera TSI.

A quanti, come Sacchi e Tortora, che avevano avuto problemi nel rapporto di lavoro con la Rai, negli anni del monopolio, non rimaneva altra strada che le emittenti estere in lingua italiana, come la Televisione della Svizzera Italiana, Telemontecarlo, e Telecapodistria, televisioni allora ricevibili sui televisori, come unica alternativa al primo e al secondo canale, in alcuni zone del nord Italia e della costa adriatica. Tali stazioni televisive estere rappresentarono per anni, non solo per personaggi artistici, ma anche per molti tecnici, gli unici datori di lavoro potenzialmente alternativi alla Rai monopolistica.

Nel tempo libero Sacchi, come ricorda il quotidiano La Stampa2 si dedica a un hobby particolare: “gira Biella e il Biellese su una R4, si ferma nelle piazze e all'angolo dei bar, apre lo sportellone e, moderno cantastorie, al posto dei disegni in sequenza che narrano la cronaca, accende un televisore che mostra i fatti della settimana biellese, da lui registrati su cassetta.” E proprio mentre si trova a Locarno nella Svizzera Italiana Sacchi come ricorda in un’intervista3 ha un’idea fulminante «In un ristorante la televisione era accesa e in quel momento era in onda un programma che proveniva direttamente dalla Germania. Mi fu spiegato che alcune ditte private avevano installato una grossa antenna sulle colline di Bellinzona e con dei cavi coassiali portavano il segnale della televisione tedesca ad Ascona e Locarno dove risiedeva una comunità germanica. L'idea di realizzare una tv locale che raccontasse i fatti di una città senza retorica ed eufemismo come li si narra a casa alla moglie mi inseguiva da mesi. Mi ricordai che nel nostro codice postale non esisteva alcun divieto sulle trasmissioni via cavo. E iniziai l'avventura». La tecnologia della tv via cavo era utilizzata in Svizzera per permettere di vedere le emittenti televisive delle diverse lingue parlate nei vari cantoni della confederazione.

«Perché Locamo sì e Biella no?- Da questo momento Biella non dovrà più attendere il passaggio della R4 per vedere la propria cronaca, può farlo comodamente al bar o addirittura in casa propria: basta collegarsi con i cavi che Sacchi sta freneticamente tirando per tutta la città. Del resto: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente la propria opinione con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», così la pensa la Costituzione nel suo articolo 21. L'equipe: Peppo, Ivana e cinque o sei amici; l'attrezzatura: un paio di telecamere, un impianto di riflettori, un registratore di immagini, il cavo; la rete: all'inizio nel centro con video sotto i portici del municipio, in un ristorante, al bar Beni, da un barbiere».

Come mi ha raccontato Sacchi in una serie di incontri/interviste, per un po’ di tempo Telebiella non desta l’attenzione della stampa nazionale. Uno dei punti di svolta arriva con l’interessamento di un cronista del quotidiano La Nazione, con una specifica esperienza in campo televisivo; Enzo Tortora. L’ex conduttore del Gambero e di Campanile Sera che allora lavorava come giornalista nel quotidiano fiorentino non potrà che complimentarsi con il gruppo dei giovani guidati dall’amico Sacchi.

Assolvono a un compito cui i faraonici «studi» della RAI-TV non avevano finora prestato la minima attenzione: quello dell’informazione locale. Ho visto mandare in onda («Telebiella» ha solo quattro microscopiche telecamere giapponesi) filmati e inchiestine d’interesse locale che non sfigurerebbero affatto nel pomposo Telegiornale nazionale. C’è un senso del lavoro, della funzionalità delle cose, c’è una semplicità schietta di linguaggio che invano cerchereste nel grande carrozzone del parastato

Nelle parole dello stesso Tortora nella sua autobiografia [1988, 51]

Seguivo con grande passione e, devo ammettere, anche con un pizzico di legittimo senso di rivalsa, i progressi delle televisioni private, che allora si chiamavano “libere”. Progressi che vivevo in prima persona perché rappresentavano la fine del monopolio televisivo.

Di Telebiella Tortora viene nominato addirittura vicepresidente: il suo nome e il suo volto, che appare come conduttore nelle trasmissioni fanno di colpo aumentare la visibilità dell’iniziativa di Peppo Sacchi, aumentando l’interesse della stampa.

Siccome sono un ambizioso, - dichiarò Sacchi a Tv Sorrisi e Canzoni - vorrei che fosse scritto a chiare lettere che Telebiella è in funzione dal 1967, anche se il polverone si è levato solo ora. Di strada ne abbiamo fatta parecchia e teoricamente siamo pronti a trasmettere in colore.

All’Eco di Biella Sacchi nel 2006 chiarì riguardo la fase di “pre-esercizio” del 1966/67:

La tivù non mi frullava nemmeno per l'anticamera del cervello. Pensai ad un gioco, ad un club a Biella di teleamatori i quali si potessero collegare via cavo per vedere filmati da cineclub. Facemmo alcune prove, funzionava. Ma il Ministero mi disse che non era possibile accogliere la richiesta. Non la feci tanto lunga, avevo altro per la testa, dovevo lavorare. Ma nel '70 e nel '71 tornai alla carica sulla base di considerazioni semplici per cui se le immagini fotografiche e le notizie venivano diffuse ai giornali via cavo telefonico si poteva farlo anche con racconti per immagini. Potendo contare su un direttore giornalista e un editore c'erano le caratteristiche per trasmettere un giornale per immagini e lo facemmo con schermi e cavi in città. “

Ma a far entrare nella storia della comunicazione l’esperienza di Telebiella fu la coraggiosa battaglia per far giudicare incostituzionale il monopolio televisivo della Rai allora vigente in Italia.

Nel ricordo dell’allora pretore Giuliano Grizi, «Alla fine del 72 mi recai presso lo studio fotografico di Lino Cremon, e mi incontrai con Sacchi, che mi investì in malo modo chiedendomi se era ancora in vigore l’art 21 della costituzione perché a lui non permettevano di impiantare i cavi di Telebiella. Io gli risposi che poteva benissimo impiantare l’impianto di Telebiella, bastava che chiedesse l’autorizzazione al comune per il cablaggio sotto le strade, Peppo mi ascoltò e da li venne fuori tutto».

Il primo problema da affrontare per Sacchi e Tortora è che secondo la legislazione italiana il cittadino non può avere accesso diretto a un giudizio da parte della corte costituzionale sulla legittimità di una norma. La questione di legittimità costituzionale in via incidentale di una legge può essere sollevata soltanto nell'ambito di un processo.

A Sacchi e Tortora non rimane che convincere un amico a denunciarli.

Nel ricordo dell’autobiografia di Enzo Tortora [1988, 51] «Ricordo che allora ci facemmo denunciare – lo dico senza timori- per scatenare su di noi l’interesse dei giornali e trovammo un pretore molto intelligente che lo fece, trasformando quello che era un “caso cittadino” in un “caso nazionale”. Tant’è che Biella diventò addirittura il capolinea di un governo. Andreotti, mi sembra, inciampò nel cavo di Telebiella».

Come si svolsero veramente i fatti Sacchi lo ha ricordato in occasione del 35° anniversario della fondazione di Telebiella «Andai da un mio amico di nome Marco Porrino con dei fogli contenenti la denuncia e gli dissi: “firma qui” e lui firmò». Nelle parole del settimanale Tv sorrisi e Canzoni all’epoca: «Io direi che il signor Porrino ci ha fatto un grosso favore, è un amico più che un nemico. Era da tempo che attendevo una denuncia, alla Rai di Milano continuavo a chiedere: “Cosa aspettate a denunciarmi?”. L’unica difficoltà, che però non si è rivelata tale, è stata quella di chiedere il permesso del Comune di Biella per far passare i cavi attraverso le strade e le piazze.

Ricorda il pretore Grizi

le leggi in vigore allora risalivano al 1936 e vietavano solo gli impianti telefonici, telegrafici e radiofonici. La tv via cavo era una cosa nuova, e non rientrava in nessuna di quelle categorie. E siccome c’era il principio di libertà che dice che tutto quello che non è espressamente vietato è ammesso Il governo dapprima prese per scherzo la cosa, ma si è uno scherzo che fanno a Biella, poi in breve non rise più nessuno

Il pretore Grizi in qualità di “giudice a quo” formulò la richiesta di legittimità costituzionale in via incidentale delle norme che regolavano il monopolio televisivo in Italia alla Corte Costituzionale. Grizi inviò gli atti anche ma anche alla Corte di giustizia della comunità europea.

Nella cronaca dell’epoca di Enzo Tortora all’epoca inviato del quotidiano La Nazione, Ne parlano tutti, ne scrivono tutti: i due minuscoli «studi» (due stanzette in via XX Settem-bre, affitto lire trentamila) sono in questi giorni invasi dagli inviati di moltissimi quotidiani, arrivati a Biella sulla scia della notizia che una sentenza di un pretore h assolto gli «eretici» del piccolo video indipendente. Precisiamo subito una cosa: Telebiella non - è una stazione televisiva. E’ un giornale. E’, più esattamente, un «quotidiano di informazioni» (e come tale è stato regolarmente registrato in tribunale) che si serve, per la diffusione delle proprie copie, proprio di quel «ogni altro mezzo» che la Costituzione prevede e garantisce. Questo mezzo è il cavo. Il cavo coassiale. Non è il telefono, non è il telegrafo, non è un «impianto radioelettrico», il cui esercizio abusivo, in base al vetusto «codice postale» sarebbe passibile di sanzioni. Ma questi sottili «distinguo», croce e delizia dei legulei, al pubblico non interessano molto: il problema che «Telebiella», in questo nostro paese più sensibile finora ai «regolamenti» del festival di Sanremo o di Canzonissima che alle garanzie per le libertà fondamentali dei cittadini, butta sul tappeto, è chiarissimo nei suoi confmi. Dovremmo, per l’eternità, sorbirci l’ergastolo audiovisivo monopolistico, gestito da una RAI-TV che, sia pur nelle condizioni disastrose che tutti conoscono, fa il bello e il cattivo tempo fornendoci quel che le pare? «Telebiella» affronta coraggiosamente la questione. «Quando cominciammo», dice Peppo Sacchi — nemmeno quarant’anni, una moglie, Ivana Ramella, che funge anche da annunciatrice — «non credevamo certo di mettere in moto questa valanga. Pensammo, con un gruppo dì amici, di ideare qualcosa che effettivamente si mettesse al servizio della città, delle sue esigenze, dei suoi problemi. Il banco di prova furono le elezioni di maggio. Con la collaborazione del comune, approntammo un servizio “trasmissione dati” che, in tre o quattro piccoli posti di visione, faceva fermare migliaia di persone per strada.

«Fu uno show elettorale, se volete (lavoravamo sino alle tre di notte) che ci convinse della bontà dell’idea. Biella ci appoggiò, e ci appoggia, in modo totale. Oggi “Telebiella” è, per i cittadini, uno strumento insostituibile di informazione. Noi diamo, con una ora di trasmissione al giorno, relazione dei nostri problemi: approntiamo dibattiti sul “caso del giorno “, ospitiamo gli amministratori, di qualunque parte essi siano, perché vengano qui e si spieghino. E’ incredibile, l’autentica “sete” che la gente dimostra d’avere per qualcosa che la tocchi da vicino. E parliamo di tutto: di sport, a livello locale, si capisce, di nascite e di morti. Parliamo del dialetto, per esempio, e delle tradizioni e della cultura di casa nostra»; In breve, il successo è stato incredibile. «Collegarsi» con «Telebiella» è diventato, per gli spettatori biellesi, quasi un motivo d’orgoglio campanilistico.

Prima trasmissione di Telebiella e quindi prima trasmissione della televisione libera italiana è “Campanile… in vasca?” una curiosa parodia del programma Rai “Campanile Sera” che propone una serie di sfide tra alcuni paesini del biellese. Ma, vero protagonista di Telebiella, proprio per ovviare alla mancanza di scenografie, era il pubblico, che si recava negli studi della piccola emittente, ospitati nel seminterrato dell’ex convitto della scuola per tecnici lanieri, di cui il padre del regista Sacchi era preside.

Dai portici di Biella, la piccola televisione via cavo cerca di attuare una presa diretta sulla realtà: trasmette programmi sulla vita della città, rende gli spettatori protagonisti [Bartolomei, Bernabei, 1983, 11]. “Abituato agli spettatori-manichini della Rai, Peppo Sacchi accoglie con entusiasmo piccole orde in canottiera e pantofole, tableaux vivants dei suoi primi programmi” ricordano Dotto e Piccinini [2006, 16]. “Il pubblico ci voleva bene,- mi racconta Sacchi- ci portava negli studi delle torte e una volta all’anno facevamo dei pranzi sociali al santuario della Madonna di Sala Biellese, ognuno portava da mangiare qualcosa e si condivideva il tutto, eravamo più di 100 persone, a volte anche 150”.

“Volevo rompere il monopolio della Rai- dichiarò Sacchi al quotidiano La Stampa - volevo che la televisione si occupasse di informazione e cultura locali, cose che la tv di Stato non poteva e doveva fare. Credevo nella forza della provincia. Usavo la tv per dare al Consiglio comunale di Biella la stessa dignità di Montecitorio, per creare libere tribune d’opinione”. «So che in una recente riunione di politici — raccontò con amarezza Sacchi a Enzo Tortora in un articolo per La Nazione — si è parlato di “Telebiella” come di folklore paesano. Ebbene, noi rivendichiamo questa etichetta, che costituisce al contrario un titolo d’onore. Un piccolo paese, un piccolo giornale, sono altrettanto importanti, agli effetti della democrazia, di una metropoli o di un giornalone».

Lo stesso Sacchi nella sua autobiografia ricorda il ruolo decisivo delle inchieste sui disservizi che creavano difficoltà alla gente, le piccole storie raccontate dal pubblico, in una parola insomma quella dimensione del “quotidiano” su cui punterà le telecamere la neotelevisione.

Fiorì la stagione eroica della impari lotta contro il
monopolio che, avendo chiuso le porte alla pluralità, le aveva chiuse anche
ad una Italia falsamente ritenuta di seconda categoria.
L’Italia delle province, delle minoranze, delle culture diverse.
L’Italia dei cittadini onesti, tartassati, sfruttati, sottomessi.
È stata la nostra stagione.
Quella che, pur non volendolo, ha aperto le porte ai barbari dell’etere [Sacchi 1998, 7].

La dimensione del quotidiano fu presente proprio nel codice genetico di Telebiella: è il regista Sacchi, nella sua autobiografia romanzata in terza persona a dichiarare che l’idea di un medium attento alle piccole storie della gente affondava le radici nei suoi ricordi delle serate estive dell’infanzia trascorsa in una cascina nei pressi di Pavia.

Solitamente, quando il cielo era ancora sfumato di crepuscolo, arrivavano le prime persone. Si portavano a presso le sedie impagliate o gli sgabelli, andando a prendere il loro posto nel crocchio. Poi, dalla stazione di Motta San Damiano, giungevano quelli che erano stati a lavorare in città. Avevano ripreso la bicicletta lasciata al mattino, in custodia, non dichiarata, al capostazione. Passando accanto ai ruscelli, che fiancheggiavano la strada, salutavano i compari che alla luce di una lampada ad olio pescavano rane. Erano lumini ondeggianti che si specchiavano nelle acque pigre e stagnanti. Distanziati l’un l’altro, disegnavano una incerta linea che sfumava verso l’oscurità mischiata di impalpabile nebbia. Poi, dopo essersi lavati con il sapone marsigliese, del quale si portavano appresso il profumo, si sedevano accanto agli altri.

Mentre mangiucchiavano la loro cena, raccontavano delle cose sentite a Pavia. Notizie nazionali ed internazionali, mescolate ai resoconti di chi era rimasto in Paese. O di chi era andato, con la corriera, al mercato di Stradella. Era un minestrone di notizie non “impaginate”, ma spontanee e vere. Ed importanti. Anche i bambini restavano lì, ad ascoltare curiosi. A fantasticare. Sino a quando il buio nascondeva il volto di ognuno di loro. Le rondini avevano cessato da tempo i voli radenti lungo la strada. Ora le lucciole palpitavano il loro chiarore un po’ qui, un po’ là. Annunciavano, in quel modo, la chiusura di “radio cortile”. Da quelle serate tenere ed indimenticabili, come la dolcezza amara del ricordo di una carezza materna, era forse germogliata nell’Uomo quell’idea utopistica che a conti fatti, era risultata devastante per la sua vita. Che lo aveva trascinato, in una assolata mattinata di giugno, in quello studio oramai troppo freddo e vuoto.“Tele Cortile”.[Sacchi 1998, 105-106]

A questo proposito riferendosi al passaggio che porterà alla “Ferialità” della neotelevisione, Caprettini [1996, 66] sottolinea come, nella veterotelevisione, “Gli eventi televisivi avevano perciò ancora quella dimensione di festività che la quotidianizzazione dei palinsesti poco alla volta annullerà”. La dirigenza della tv di Stato a lungo commette l’errore di sottovalutare ampiamente il fenomeno delle emittenti televisive locali. A questo proposito è interessante considerare le parole di Vittorio Giovanelli [2003, 81], che prima di essere nominato direttore di Retequattro era all’epoca dirigente in viale Mazzini.

In Rai erano (o forse dovrei dire: eravamo) scettici sulle [..] prospettive di sviluppo e sull’effettiva capacità di rappresentare un’alternativa alla Rai.

Il pioniere Peppo Sacchi, già regista Rai, che dieci anni prima aveva iniziato a trasmettere una sorta di quotidiano televisivo con la testata Telebiella da noi era considerato con sufficienza non disgiunta da tenerezza. La stessa che potrebbe suscitare un ferroviere, che una volta andato in pensione, per non staccarsi dagli amati convogli, si mettesse a giocare con i trenini”.

Non tutti i giornalisti della carta stampata inviati a Biella per seguire la coraggiosa battaglia intrapresa contro il monopolio Rai si mostrarono entusiasti dell’iniziativa. L’ampio coinvolgimento del pubblico o di personaggi non televisivi nella realizzazione delle trasmissioni delle emittenti televisive locali, viene in un primo momento ampiamente deriso dalla stampa. Carlo Sartori, allora inviato del quotidiano La Stampa e che in seguito diventerà direttore del settore ”Canali tematici e nuove offerte” della Rai dopo aver visitato gli studi della piccola emittente di Biella arrivò a definirla sulle colonne del quotidiano piemontese come:

un sottoprodotto di televisione, confezionato come una frittata, nella cucina di casa. Fatta tra amici, con lui che fa il regista e la moglie che si improvvisa annunciatrice, nell’intervallo tra un salto al mercato e la pasta da scolare [Sacchi 1998, 56].

Prima annunciatrice di Telebiella, e prima persona in assoluto a comparire in una trasmissione televisiva italiana non della Rai fu la moglie di Peppo Sacchi, Ivana Ramella Pollone.

La signora Ivana, sembra essere l’anello di congiunzione perfetto tra le due anime di Telebiella, quella dei professionisti del settore televisivo e quella dei cittadini comuni. Come mi ha raccontato “Io ho studiato recitazione teatrale e avevo vinto anche diversi premi, poi avevo lavorato come annunciatrice in alcuni programmi per bambini, alla Rai e alla televisione Svizzera” ma negli anni dell’esperienza di Telebiella è come scrive Enzo Tortora “annunciatrice (ma per fortuna proprietaria di una boutique, come soluzione alternativa) ”.

Nella redazione di Telebiella, alla lettura dell’articolo, c’è aria di delusione; i vari collaboratori leggendo il quotidiano se lo passavano nervosamente di mano in mano commentando delusi

-Poi dice che se questa è l’alternativa alla TV di Stato, meglio beatificare Bernabei. - Ci fa passare per dei cafoni in cerca di notorietà [Sacchi 1998, 56].

Ma è lo stesso giornalista Sartori de La Stampa a dover riconoscere non senza sorpresa che

“Nella piazzetta dove siamo venuti ad assistere al programma, ci guardiamo attorno e scopriamo che la gente è soddisfatta, «E’ la nostra televisione, la nostra di Biella, capisce?» alza la voce un giovane, Luigi Cosa. L’uditorio è d’accordo: «Le persone citate nei programmi e quelle che parlano lì dentro, tutti le conosciamo, tutti sappiamo chi sono». «Era questa la tv a cui pensavo allora, 35 anni fa - dichiarò Sacchi nel 2007 in occasione dell’anniversario - Non avevo certo il desiderio di sovrappormi alla Rai, piuttosto quello di creare la tivù del territorio, con le sue tradizioni, le sue storie, i suoi protagonisti». Veri protagonisti agli albori della genesi dell’emittenza televisiva locale furono quindi everyman, capaci però con il loro carisma di convincere molte persone, talvolta anche famose, a collaborare quasi sempre a titolo gratuito, per la realizzazione del loro “Sogno catodico”. Si scatena un divismo casereccio. Vengono imbarcate mogli, sorelle, fidanzate, amici e fidanzate degli amici [Dotto, Piccinini 2006, 26]. “I primi protagonisti sono: il socio fondatore, la casalinga inquieta, il fotografo di matrimoni, i figli e il genero del padrone, gli amici influenti, il politico.”- ricordano nell’occasione del decennale della liberalizzazione dell’etere in ambito locale Freccero e Lombezzi [1988, 246] su il Patalogo -” Ai giovani lo spazio musicale e le dediche, ai notabili il filo diretto con l’assessore e dibattito, all’amicone il quiz. Ogni vallata, paese, città oltre la squadra di calcio fonda la propria tv. A questo proposito, riferendosi alle motivazioni dei fondatori delle emittenti libere negli anni Settanta, è interessante riportare questa riflessione, dal significativo titolo “Il Videogame” del noto critico televisivo del Corriere nonché docente universitario Aldo Grasso.

L’elettronica promette e permette nuovi stili di vita. Chi non ha mai giocato con quelle meravigliose macchine (videogame) che si trovano in tutti i bar? Chi non ha mai sperato di creare, con l’elettronica, un proprio piccolo mondo? Ebbene, qualcuno c’è riuscito. Prima con quel giocattolo che si chiama Videotape, poi, per alcuni, con una stazioncina tv: un posto dove far giocare amiche e amici, padri e figli, mogli e mariti. Senza tener conto di questa componente di gioco sofisticato non si spiegherebbero alcuni fenomeni che hanno caratterizzato la prima fase delle tv private: l’impreparazione, il dilettantismo, la spregiudicatezza, e poi la golosità visiva, lo spettacolino casereccio, l’assenza, o quasi, di una riflessione teorica (tanto che gli slogan più eversivi hanno spesso coinciso con la pubblicità delle ditte produttrici). Molte tv private sembrano nate per soddisfare un capriccio: sostituire la Rai (e non trovare vie alternative); e nell’ottica del capriccio si fa il verso alle trasmissioni che hanno caratterizzato la Rai degli anni cinquanta: quarti d’ora del dilettante, feste dell’oratorio, giochi di società da club vacanziero [Grasso 2006, 15].

Interessante è anche l’intervento di Luciano Vecchi [1985, 145]

Già da un bel po’ di tempo nelle cittadine che un tempo aspettavano la chiamata a “Campanile sera” sono sorti piccoli studi dove ognuno che ne abbia voglia può condurre i suoi giochini, trasmettere le musichette che preferisce, organizzare i suoi dibattiti, inviare i suoi messaggi, e tutti nel circondario possono far visita, telefonare, instaurare un discorso. Qualcuno ha dimostrato che si può creare un organismo nuovo e allargarlo fino alla stessa ampiezza di diffusione della Rai

Come mi ha ricordato Peppo Sacchi: «Telebiella era realmente aperta a tutti, allora c’era solo il telefono per dire la propria opinione non c’erano fax ed E-mail, chi voleva dire qualcosa poteva venire fisicamente di persona nei nostri studi». Erano emittenti (televisive, ma anche radiofoniche) nate e gestite all' insegna dell' artigianato- scrive Laura Delli Colli sul quotidiano La Repubblica- lontano ancora il nome (e il regno) di Berlusconi, si trattava perlopiù di iniziative molto locali, nate dal capriccio (e dai quattrini) di piccoli imprenditori neanche consorziati, e ben presto in guerra. A queste intraprendenti persone che pur di vedere realizzato il loro “Sogno catodico” profusero passione e quattrini al punto spesso da finire in rovina, dedicano una riflessione anche i giornalisti Giancarlo Dotto e Sandro Piccinini [2006, 41]:

Hanno tracciato la strada. Scalato montagne. Hanno raschiato il fondo e il tetto dell’etere. Hanno intuito, capito, ci hanno provato. La televisione era il nuovo albero della cuccagna. Si sono arrampicati fin dove hanno potuto, altri sono caduti. Uomini arditi, pazzoidi, ingegnosi. Anatre zoppe. Gli mancava il colpo d’ala. La visione insieme mistica e manageriale del tutto. Sono i Berlusconi mancati. Quelli che Berlusconi non sono mai stati, che non lo saranno mai, ma che avrebbero potuto esserlo. Untori forse, ma mai abbastanza unti. In questo caso le repliche, imperfette, hanno preceduto l’originale. Che aspettava solo il suo momento.


«E’ difficile capire cosa sia stato il fenomeno delle televisioni private in Italia, scrivono Carlo Freccero e Mimmo Lombezzi [cit. in Patalogo 1988, 246], i dati sociologici e mediologici- ormai abbondanti da soli non riescono a spiegare “il caso Italia”. La proliferazione delle emittenti nasce da un effettivo pluralismo delle comunicazioni o non piuttosto da un gigantesco psicodramma nazionale? Nasce dal bisogno di istituire microsocietà dell’informazione o dalla voglia di farsi vedere dagli amici? Certo è, che nel volgere di pochi anni, l’Italia è diventata un laboratorio unico nel mondo, una fucina di esperimenti nel campo delle comunicazioni di massa»

Da queste particolari dinamiche secondo Caprettini [1996, 68] dipende il fatto che la “Caratte- ristica peculiare dei palinsesti delle Tv locali è comunque l’alto grado di approssimazione, la stessa che dominava anche la produzione dei programmi”. Tra i tanti ragazzi che nei primi anni Settanta collaborarono a Telebiella molti venivano proprio dall’ambiente delle feste patronali della parrocchia. Negli stessi anni Maurizio Costanzo arrivò a definire queste emittenti “La tv dei filodrammatici esausti”. Senza dubbio filodrammatiche di provincia, teatri parrocchiali, compagnie teatrali di dilettanti, feste di paese nonché festival e kermesse di partito, offrirono alle nascenti tv locali un pozzo senza fondo da cui attingere, ovviamente gratis, volti nuovi in cerca di ribalta.

E’ divertente leggere il ricordo che Peppo Sacchi affida alle pagine della sua autobiografia romanzata in terza persona, di quando fu invitato a una festa di paese a Cossato, paesino non distante da Biella, dove si esibiva un giovane diciottenne, che avrebbe debuttato quella sera proprio con un’imitazione del fondatore di Telebiella. Dopo essere andato alla festa controvoglia, Sacchi come ricorda nel suo diario romanzato in terza persona,

seduto in prima fila, sulle sedie spaventosamente scomode, non riusciva ad interessarsi allo spettacolo. Il palcoscenico improvvisato era sormontato da posticci elementi di una scenografia squallida, che gli ricordava le recite negli oratori parrocchiali. Le lampade buttavano fasci disordinati di luce sui personaggi, schiaffeggiandoli senza rispetto” [Sacchi 1998, 31].

Il fondatore di Telebiella aveva osservato annoiato l’aspirante comico che, a suo giudizio, “rischiava di rimanere tale per il resto della sua vita”. Sempre secondo Sacchi il giovane sul palco “Si agitava instancabile come se non volesse dar la possibilità al filo, che in qualche modo lo legava al pubblico, di rompersi. Si agitava anche troppo e parlava. Parlava. Parlava.― Quante parole ― pensò[…]―, non usa pause, non calibra i tempi...” [Sacchi 1998, 31]. Secondo Sacchi la performance del giovane non riusciva a catturare “né l’attenzione, né tantomeno le risate del pubblico”. Quando il fondatore di Telebiella fu invitato controvoglia sul palco a parlare della sua nuova esperienza televisiva esordì dicendo

Telebiella è nata anche per dare spazio a spettacoli come questi. Perché la televisione è, e deve essere, un bene di tutti. Non può essere patrimonio di chi detiene il potere... [Sacchi 1998, 32].

Alla fine dello spettacolo, davanti ad una pizza e ad una birra, Sacchi parlò a lungo con il giovane dilettante che gli raccontò che da pochi giorni “aveva preso il diploma di ragioniere, ma la sua aspirazione non era di finire in banca. Gli piaceva scrivere, imitare, raccontare barzellette. Gli piaceva recitare. Voleva sentire la gente ridere” [Sacchi 1998, 32]. Tuttavia il fondatore di Telebiella gli permise di iniziare a collaborare gratuitamente con la sua piccola emittente dove osservò stupefatto che quel ragazzo “si scriveva i testi, organizzava, raccoglieva la pubblicità e poi, con grande entusiasmo, partiva come un razzo aggredendo il telespettatore [Sacchi 1998, 32]. Anche a distanza di qualche mese Sacchi [1998, 33]

non riusciva ad inquadrarlo. Qualche volta pensava che avrebbe dovuto solo scrivere testi. Aveva il viso da ragazzo “normale”, di gradevole compagnia. Non da comico. Non riusciva a trasmettergli niente. Tanto meno il riso. Con il tempo, forse, avrebbe potuto recitare parti di comprimario, di spalla! Niente di più. Ma non sarebbe mai emerso.

Solo a distanza di anni, quando rivide quel giovane su ben altri schermi, Sacchi si ricordò di quell’incontro e dei giudizi espressi, rendendosi conto che all’epoca

non aveva capito nulla del personaggio Ezio Greggio, anche se non riuscì mai a ridere e a condividere l’entusiasmo del pubblico. Ma dal momento che è il pubblico a decidere del successo o del fallimento di un personaggio non gli restava che accettare i fatti! Il resto conta poco [Sacchi 1998, 31-33].

In queste poche righe dell’autobiografia di Sacchi è descritto l’evento che ha dato indubbiamente il “la” alla carriera di Ezio Greggio, ma contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, Peppo Sacchi rileggendo il testo dello scrivente mostra chiaramente di non essersi pentito affatto dei giudizi espressi e ridacchiando commenta solo dicendo che per lui “Greggio è rimasto quello che era a Telebiella, non mi piaceva allora e a maggior ragione mi convince ancora di meno oggi...”. Il vero successo per il comico biellese arriverà anni dopo, nella trasmissione “Drive In”, della quale era regista il biellese Beppe Recchia che, a sua volta, aveva preso parte all’esperienza di Telebiella. L’abilità dei promotori della tv via cavo della piccola cittadina piemontese rispetto ad altre esperienze coeve di trasmissioni televisive in palese violazione dell’allora vigente monopolio Rai fu proprio quella di coinvolgere nelle loro trasmissioni come testimonial, fianco a fianco con la gente comune, numerosi personaggi televisivi che erano stati “epurati” dalla tv di Stato. Ben presto la notorietà raggiunta da Telebiella fu tale che anche chi, come il cantante Bruno Lauzi, appariva regolarmente sugli schermi di viale Mazzini, decise di aiutare coraggiosamente la piccola emittente biellese. «Peppo Sacchi, Enzo Tortora ed io, - scrive il cantante genovese nella sua autobiografia [2006, 121-122]-, eravamo solidi liberali, il che ci faceva sentire risorgimentali ed in un certo senso rivoluzionari». A distanza di anni è lo stesso Lauzi a riconoscere che scrivendo la sua autobiografia commette una piccola “civetteria” sottolineando la differenza sulle motivazioni che avevano indotto loro tre a sostenere Telebiella.

La differenza fra noi tre consisteva nel fatto che per Peppo (Sacchi) la TV via cavo rappresentava il suo futuro lavorativo, per Enzo (Tortora) rappresentava la maliziosa risposta alla subitanea defenestrazione subita da parte della direzione della Rai; mentre io abbandonavo volontariamente, badate bene, il ventre caldo e protettivo di Mamma Rai a mio assoluto rischio e pericolo: unico dei tre che aveva qualcosa da perdere, gli altri essendo arrivati all’ultimo giro. Per far capire che terrore suscitava nei colleghi un qualsiasi contatto tra loro e Telebiella, va citato il rifiuto da parte dell’attrice Bianca Toccafondi, in tournée in città, di rilasciare un’intervista di tre minuti per il telegiornale locale; presumibilmente, per paura che la propria immagine, collegata in qualche modo con quella diabolica trappola elettronica, le garantisse l’iscrizione a titolo gratuito nel libro dei reprobi.

Il culmine della notorietà di Telebiella coinciderà con l’ esecuzione dell’ordine di “Taglio del cavo”, in seguito al rifiuto della piccola emittente di sospendere le proprie trasmissioni. Una delle innumerevoli idee di Sacchi e Tortora è di coinvolgere il pubblico anche in questa occasione: con una serie di lunghe trasmissioni provocatorie a metà tra il dibattito e la veglia negli studi dell’emittente gremiti di pubblico all’inverosimile si attende l’arrivo dei funzionari dell’Escopost che mettano i sigilli all’impianto televisivo. In quei giorni Sacchi e compagni si guadagnano sul campo il soprannome di “Tupacamaros del video” Fiutata l’aria che tira in città l’intervento dei funzionari viene procrastinato di pochi giorni, temendo problemi di ordine pubblico ed eseguito appositamente al mattino. Precauzioni vane, perché lo stesso sarà trasmesso in diretta dall’emittente con una trasmissione con climax crescente. Nel racconto di Enzo Tortora dalle colonne de La Nazione

Con colpo di mano effettuato nella mattina del primo giugno (data sapientemente scelta, durante il lungo ponte delle vacanze) i solerti funzionari del ministero delle poste hanno tagliato i cavi alla piccola stazione indipendente piemontese.[…] La piccola stazione di Biella ha frattanto registrato, attimo per attimo (e tutta la città stava ad assistere) l’ingresso mattutino degli impacciatissimi funzionari dell’Escopost che si accingevano a quella “disattivazione degli impianti” minacciata e attuata dal ministro. E’ un documentario che verrà probabilmente proiettato nei cinema, sulle pubbliche piazze, anche nelle scuole, e già parecchie televisione straniere se ne sono assicurate i diritti per mostrare ai loro pubblici quale curioso concetto della libertà di stampa si abbia, tutto sommato, in Italia. Si vedono austeri signori che, impappinandosi come principianti, leggono verbali e si vedono avvocati dello stato, nerovestiti, come i becchini di Pinocchio, che alla domanda dell’avvocato Dall’Ora “Intendete procedere lo stesso nonostante vi avvisiamo che pende un ricorso alla corte costituzionale e che consideriamo illegittimo quest’atto? “ rispondevano bisbigliando “si proceda” come gli aiutanti del boia di Maria Stuarda.

Nel ricordo dell’allora pretore Giuliano Grizi: “C’era Andreotti presidente del consiglio, e nel governo c’erano i repubblicani, i social democratici e i liberali, La Malfa disse, o via Gioia o via i Repubblicani, Gioia non se ne andò e così cadde il governo.” Tredici mesi dopo il taglio del cavo arrivarono le due sentenze della Corte Costituzionale che legalizzarono le trasmissioni via cavo e la ripetizione del segnale delle emittenti estere in lingua italiana. In occasione del trentacinquesimo anniversario di Telebiella, Sacchi dichiarò all’Eco di Biella:

«Quando nel 1974 il monopolio Rai si incrinò con la prima legge che consentiva la trasmissione via cavo in luoghi chiusi o contigui Berlusconi ci contattò. Io. Enzo Tortora ed altri lo incontrammo. Lui voleva realizzare una tivù via cavo per le residenze di Milano 2». E com'era allora il "signor B"? «Era uno sveglio che voleva dare un servizio in più ai suoi clienti, voleva arricchire il suo business»

Come raccontano Ruggeri e Guarino [1994, 67] nel loro libro “Berlusconi inchiesta sul signor Tv”

Per la città satellite Milano 2, la Siemens ha messo a punto una grande antenna centralizzata allo scopo di eliminare l’antiestetica fungaia di antenne dei tetti delle eleganti palazzine del complesso residenziale. Dalla stessa Siemens, Berlusconi acquista un impianto di Regia intende installare una tv condominiale quale ulteriore, prestigioso “servizio” destinato ai facoltosi abitanti di Milano2. Alle figure emergenti del terziario avanzato, professionisti e yuppies trasferitisi nei confortevoli condomini di Milano 2 Berlusconi offre un optional aggiuntivo, una tv privata, Telemilano.

Sacchi e Tortora declinarono l’invito, mentre a sfruttare quell’impianto di televisione via cavo ci penseranno Alceo Moretti e il funzionario di banca Giacomo Properzj che si occupa della piccola emittente nel tardo pomeriggio, finito il lavoro in banca. Decisiva è la collaborazione volontaria di un gruppo di abitanti di Milano 2. Nelle parole di un’intervista rilasciata da Giacomo Properzj allo scrivente per il sito internet www.tvlocali.tv

“una volta accompagnai a Milano2 un amico, e mi raccontò che allora quel comprensorio aveva un’antenna centrale e allora io ho pensato che se ci avessero dato l’autorizzazione avremmo potuto creare una piccola stazione televisiva, collegammo tra i 1200 e i 2000 appartamenti”. […] “L’idea mi è venuto perché tutti i giornali parlavano di Telebiella e Peppo Sacchi; io ero allora molto impegnato in politica ho pensato che fosse interessante avere uno strumento molto nuovo”. I candidati apprezzano moltissimo la novità, introdotta dal lungimirante Properzy (che per i programmi di politica di trasformò addirittura in Anchorman), i partiti pagavano per andare in onda insomma erano dei veri e propri spazi autogestiti Ma il vero propulsore dell’emittente erano i cittadini del quartiere di Milano2, che spingendosi l’un l’altro cercavano di andare in onda, i dirigenti di Telemilano davano generosamente molto spazio a queste iniziative in quanto garantivano audience sicuro. “Invitavamo anche gente nota di Milano2, i cui abitanti erano come i coloni americani, e questa televisione era anche uno strumento di conoscenza reciproca, poi pensavamo di proseguire da Milano2 al quartiere Feltre di Milano e poi cominciavano a essere costruiti altri condomini fuori dal comprensorio Edilnord. Un pomeriggio ero al telefono […], ho visto un ometto piccolo con un sorriso cordiale, si è presentato e mi ha detto “Piacere, Silvio Berlusconi.”

Io conoscevo il nome, eravamo suoi inquilini mi sono alzato in piedi gli ho stretto la mano, l’ho fatto accompagnare da uno dei miei collaboratori nello studio sotto, dopo 1 minuto è risalito ha salutato e uscito, ma io ero ancora al telefono. Per tutta la vita mi sono rimproverato di non aver posato il telefono e di non averlo accompagnato, o magari anche averlo accompagnato per strada fuori, insomma stabilito un rapporto più diretto che mi avesse consentito di essere inserito nell’equipe del nascente grosso progetto della tv.

Anche la progenitrice di Canale 5, Telemilanocavo, (in seguito Telemilano 58 con la legalizzazione delle trasmissioni via etere) ha quindi un’origine che la pone a metà strada tra la telestreet e la metropolitan television: è nata per opera di Giacomo Properzj che nel tempo libero si dedica talvolta anche alla conduzione dei programmi, aiutato da un gruppo di cittadini di Milano 2. Tutto questo prima dell’acquisto della piccola emittente da parte di Berlusconi per la cifra simbolica di una lira.

«Tortora rappresenta da tempo ormai, per coloro che hanno interesse (e danaro) a far nascere televisioni private il «campione» su cui puntare, l’antiTeulada per eccellenza» si legge sulle colonne del quotidiano Il Giorno nella primavera del 1977. Ben sei anni dopo l’appoggio dato come vicepresidente di Telebiella, il presentatore genovese tuttavia, non è ancora riuscito a rientrare in Rai. Grazie a un gruppo di giovani non professionisti che collaboravano con Telebiella guidati da Renzo Villa, Tortora aveva fondato a Busto Arsizio TeleAltoMilanese. L’ex conduttore del “Gambero” si è guadagnato sul campo il soprannome di “Giovanni dalle Antenne Nere”. “Il motivo è semplice:- spiegò Tortora intervistato dal mensile Playboy -da quando Mamma Rai mi ha sbarcato sette anni fa, dopo vent’anni di servizio, con un paio di telefonate, semplicemente perché avevo detto che non vedevo perché non potevano esserci altre stazioni radiofoniche e televisive libere, mi è sempre rimasto il pallino della televisione. In fondo non avevo che anticipato la decisione della Corte costituzionale ho capito che ne valeva la pena”. Nel giro di pochissimi mesi dalla sentenza della Corte costituzionale che sanciva l’illegittimità del monopolio per le trasmissioni via etere in ambito locale erano nate infatti moltissime emittenti televisive libere, creando il fenomeno del “Far west della tv” che è considerato un unicum a livello mondiale. A questo proposito può essere interessante leggere quanto scritto nel 1983 da Umberto Eco nel celebre articolo “TV:La trasparenza perduta”.

Ora, con la moltiplicazione dei canali, con la privatizzazione, con l’avvento di nuove diavolerie elettroniche, viviamo nell’epoca della Neotelevisione. Della Paleo TV si poteva fare un dizionarietto con i nomi dei protagonisti e i titoli delle trasmissioni. Con la Neo Tv sarebbe impossibile, non solo perché nessuno ce la fa più a ricordarli e a riconoscerli, ma anche perché lo stesso personaggio gioca ruoli diversi a seconda se parla dai teleschermi statali o da quelli privati [Eco 1983, 163].

All’epoca infatti si osservò un curioso fenomeno, che solo pochi anni dopo sarebbe apparso completamente impensabile. Molti personaggi televisivi e registi della Rai, anche quando non in contrasto con la dirigenza, lavoravano contemporaneamente oltre che per la tv di Stato anche per emittenti televisive private, di alcune delle quali erano addirittura soci. Le numerosissime emittenti commerciali inoltre avevano la difficoltà di reperire cameramen, e altri tecnici specializzati; la norma in questo caso è il ricorso al “doppio lavoro” dei dipendenti Rai regolarmente in servizio oppure nella migliore delle ipotesi di coloro che, fiutato l’affare, si misero in prepensionamento aprendo in proprio dei service televisivi. «La Rai non vede troppo di buon occhio le collaborazioni che i suoi divi- sottolinea Stefano Pettinati [1988, 292] tornando sull’argomento una decina di anni dopo - come tutti i suoi dipendenti di ogni ordine stanno offrendo alle TV «libere». Ma gli alti dirigenti non danno troppo peso alla cosa. E’ convinzione generale che tante televisioni un po’ sgangherate e costrette a trasmettere solo in ambito locale non potranno mai nuocere alla tv di Stato». Pettinati prende come esempio

Cino Tortorella, l’ex mago Zurlì, che per anni ha curato tutte le principali trasmissioni per ragazzi della Rete Uno, abbandona la Rai e passa a Telealtomilanese, la televisione di Enzo Tortora, dove gli fanno le proposte più interessanti e dove soprattutto desiderano sganciarlo dal pubblico minorenne che oltre che la sua fortuna, ha costituito sempre il suo limite, imposto dalla tv di stato. Tortorella è un po’ amareggiato - come del resto lo sono molti altri- dalla Rai. In ventidue anni trascorsi alla Tv di stato, ha inventato, allestito e diretto alcune fra le più importanti trasmissioni pomeridiane….e in Rai Tortorella è un po’ snobbato. Quando Telealtomilanese avanza le sue proposte, l’ex mago Zurlì chiede all’ufficio scritture se può contare, se non proprio su un contratto che lo leghi alla tv di stato per qualche anno, quantomeno su una promessa di continuità. E la Rai gli risponde di no. Il giorno dopo passa alla tv privata [Pettinati 1988, 300].

Così, mentre il noto presentatore Renato Tagliani fonda Canale 3 a Torino, Sandro Paternostro diventa socio della genovese Telesuperba, Pippo Baudo diventa direttore artistico e socio della catanese Antenna Sicilia e Mike Bongiorno comincia la sua collaborazione con Telemilano.

“Si inaugura un nuovo ruolo del conduttore televisivo, quello di sponsorizzatore di rete o di azienda televisiva, con risvolti spesso polemici in cui non si lesinano critiche e accuse ai concorrenti” scrive Maria Pia Pozzato [1992, 97]. Le tv private hanno buon gioco a ingaggiare grossi nomi con cachet che sembrano da favola e soprattutto con la loro elasticità imprenditoriale. Berlusconi fa un contratto in un’ora, la Rai ci impiega mesi [Pettinati 1988, 340].

L’ex monopolista si vede quindi sfilare a colpi di ingaggi milionari talvolta sotto forma di quote azionarie i cavalli migliori della sua scuderia. La Rai comincia a sentire il peso della concorrenza delle tv commerciali, che oltre a dimostrarsi agguerriti avversari sul terreno degli ascolti e della raccolta pubblicitaria, mettono fine al suo potere di monopsonio sul mercato dello starsystem e dei tecnici televisivi. “La Rai compirà uno sforzo per la graduale riconquista del pubblico «rubato» dalla concorrenza privata - si legge in un articolo de Il Giorno nella primavera del 1977- nei corridoi circolano indiscrezioni su programmi e personaggi. La rete due considerata da alcuni «troppo impegnata» starebbe cercando un antidoto da opporre a Mike Bongiorno e l’avrebbe trovato nel “Recupero” di Enzo Tortora: dopo la brusca rottura di qualche anno fa. E’ un acclamato reingresso nella tv di Stato alle redini di un quiz.” Mentre nell’era del monopolio erano i dirigenti della Rai a decidere cosa il pubblico dovesse vedere, - osserva Menduni [2003, 100]- la concorrenza televisiva offre, dopo le ingenuità e il colore locale delle prime emittenti televisive private, alternative consistenti e agguerrite, che nel loro complesso aumentano la facoltà di scelta del pubblico e quindi il suo potere, sia pure all’interno dei programmi che gli sono offerti.

Il dover rispondere da parte dell’ex monopolista agli attacchi sferrati a colpi di ingaggi milionari da parte dalla concorrenza agguerrita fa sì che la Rai comprenda finalmente l’importanza della competizione attraverso il capitale umano, reintegrando in azienda persone come Enzo Tortora che erano state escluse unicamente per motivi politici o per contrasti di natura personale con la dirigenza.

Ma proprio mentre Tortora sta contrattando con successo il suo rientro in Rai, si vede costretto ad abbandonare all'improvviso anche Telealtomilanese, stazione televisiva che aveva contribuito a fondare. Il petroliere Giuseppe Mancini socio di maggioranza dell'emittente vuole estromettere dalla società il cofondatore e contitolare Renzo Villa, grande amico di Enzo Tortora.

La situazione è inevitabilmente pesante; Telealtomilanese è un'emittente che è nata da un gruppo di amici entusiasti e inevitabilmente il rischio, essendoci una situazione di contenzioso tra i due azionisti principali, è che si creino fazioni, pro o contro Renzo Villa, a cui sono legati da vincoli di amicizia i principali artisti, volti noti in primis, dell'emittente. Come mi ha raccontato Angelo Costanza, che vide di persona la scena, Enzo Tortora fu convocato nella sala riunioni di Telealtomilanese da Giusppe Mancini che dopo aver brevemente spiegato la situazione pronunciò in dialetto la frase fatta che usavano gli industrialotti dell’altomilanese per licenziare su due piedi le maestranze “Mi te des gli 8 diis”. Il presentatore genovese rispose prontamente “E io non le do otto millesimi di secondo per andarsene a ….”

La notizia giunge alle orecchie di Silvio Berlusconi il quale convoca il presentatore genovese facendo una cospicua offerta affinché vada a collaborare con la sua “Telemilano”, allora tv condominiale di Milano2.

“Scommetto che lei non troverà più nessuno che le offre 100 milioni pur di tradire un amico” disse il futuro presidente del consiglio a Tortora, ricevendo per tutta risposta un secco “E io scommetto che lei non troverà mai più nessuno che li rifiuta!” Fortunatamente per Renzo Villa questa situazione che potrebbe segnare la fine della sua esperienza nel mondo delle televisioni sarà solo uno stimolo per creare una nuova emittente assieme agli amici e colleghi di Telealtomilanese che non gli hanno voltato le spalle.

A dare i natali alla nuova televisione che prenderà il nome di Antenna3 Lombardia dopo alcuni ripensamenti, sarà curiosamente un tavolo del retro di una latteria di Busto Arsizio. «I nostri detrattori ci chiamavano con disprezzo “La tv della latteria” - ricorda Villa - e ci fu chi parafrasando la nota frase che Enzo Tortora rivolse ai dirigenti Rai arrivò a dire che eravamo “Un branco di boy scout che giocano col meccano”».

Degli ottocento milioni che incassa per la vendita della sua quota di minoranza Villa ne regala cento, sotto forma di quote azionarie della nuova emittente all'amico Tortora per compensarlo del mancato introito dovuto al rifiuto dell'offerta di Telemilano.



 La Stampa, 10 maggio 1998, Dal cilindro di Peppo Sacchi spunta una nuova Telebiella?
 La Nazione, 8 febbraio 1973 “A Biella la prima Tv privata”.
 Tv Sorrisi e Canzoni , 15 aprile 1975 “Quando la tv corre sul filo”
 Eco di Biella, 7 novembre 2006
 Eco di Biella, 7 novembre 2006
  Dichiarazione rilasciata dal dott. Grizi in occasione del 35° anniversario di Telebiella e raccolta dallo scrivente.
 Nelle parole di Baroni [2005, 70]:” Date e documenti audiovisivi alla mano, Campanili…in vasca? È il primo programma ufficiale di intrattenimento della TV privata italiana, anzi, come si diceva allora con la giusta enfasi, della tv libera. Il programma propone, nello stile Giochi senza frontiere (Secondo programma, 1965) una gara tra ragazzi di frazioni locali con la partecipazione di personaggi legati alla pubblica amministrazione, lo sport, lo spettacolo e il mondo religioso. Tutto qui, questa è la storia del programma, ma “Campanili…in vasca?”è in realtà molto di più, è il big bang, l’anno zero, la data storica della televisione italiana: da lì in poi nulla sarebbe stato come prima”.
 Intervista rilasciata allo scrivente
 La Stampa, 24 gennaio 1993 “Sono il padre di un mostro, ho creato la prima tv libera”
 La Nazione, 30 giugno 1973
 Sacchi, “Il crepuscolo della tv: romanzo documento sulla battaglia di Telebiella”, pro manuscripto, Biblioteca di Bornasco, 1998.
 Dichiarazione rilasciata allo scrivente.
 La Nazione, 8 febbraio 1973 “A Biella la prima Tv privata”.
 Carlo Sartori in “Ieri sera a Telebiella, nel covo dei pirati”, La Stampa, 10 marzo 1973.
 Laura Delli Colli, in La Repubblica, 3 gennaio 1987.
 Lauzi B. “Tanto domani mi sveglio, autobiografia in controcanto”, Gammarò Editori, pag 121, 122.
 Enzo Tortora, La morte di Telebiella, La Nazione 6 giugno 1973.
 Sentenza n. 225/1974 e n. 226/1975
 Il Giorno 3 marzo 1977.
 Per la seguente definizione, cfr L’Europeo, 9 luglio 1976, n.28 articolo col titolo stesso di “Giovanni dalle antenne nere”
 Il Giorno 3 marzo 1977
 Dichiarazione rilasciata dal dott. Angelo Costanza allo scrivente.
 Dichiarazione rilasciata in occasione dei 32 anni di Antenna3 e raccolta dallo scrivente.
 In questo territorio sono molto comuni le filodrammatiche, compagnie teatrali formate da non professionisti, attori amatoriali, tutti con un’altra professione che alla domenica pomeriggio si esibivano nei teatrini degli oratori della zona nella recitazione di commedie, spesso in dialetto. Di queste compagnie, la più famosa è senza dubbio quella dei “Legnanesi di Felice Musazzi”, compagnia nata negli anni ’40 nell’oratorio maschile della chiesa del SS. Redentore del   Legnarello. Telealtomilanese e Antenna3, oltre ad essere nate de facto da una compagnia filodrammatica oratoriana, daranno ampio spazio a “I Legnanesi”, che proprio nell’emittente di Legnano presentavano in anteprima le loro commedie.
 La Notte, mercoledì 5 Maggio 1976
 La Spinta periodico locale della zona dell’Altomilanese, data n.d.
 Dichiarazione rilasciata dal dott. Angelo Costanza allo scrivente.
 Settimanale “Gente”, 9 agosto 1976, n.32, “A mezzanotte non spegnere il tuo televisore:c’è Enzo Tortora”
 La trasmissione “Il Pomofiore”, nata da un’idea di Enzo Tortora a Telealtomilanese con la regia curata da Beppe Recchia continuò su Antenna3 Lombardia. Tale cambio di emittente coincise con il ritorno in Rai di Enzo Tortora. La conduzione del programma, fu affidata quindi a Lucio Flauto e la regia a Cino Tortorella.
 Settimanale “Settimana Tv”, 11 Luglio 1976, n 28 “Con Enzo Tortora si divertono due milioni di telespettatori”
 Benché in onda nella versione radiofonica dai lontani anni '50, la versione televisiva del programma di Corrado avrà inizio solo nel 1986, nove anni dopo Il Pomofiore. Una primogenitura di trasmissione basata sulle performance di “dilettanti allo sbaraglio” spetta forse neanche troppo a sorpresa a una trasmissione radiofonica di Enzo Tortora in onda  Rai negli anni  '50, dal nome “Il quarto d’ora del dilettante” che con una straordinaria lungimiranza sembra di fatto anticipare la nota definizione di Handy Warhol sul quarto d’ora di celebrità.
Domenica del Corriere, settimanale del Corriere della Sera, 22 Luglio 1976, Numero 30, Intervista di Mike Bongiorno a Enzo Tortora “Aiuto! Dalla tv escono fantasmi e donne nude”
 Novella 2000, 25 giugno 1976, n.26 “Alla tv libera li trattiamo così”
 Novella 2000, 25 giugno 1976, n.26 “Alla tv libera li trattiamo così”
 Con la seguente dichiarazione, Tortora sembra anticipare quello che diventerà uno dei suoi cavalli di battaglia nella trasmissione Portobello: il confronto tra l’uomo politico e il cittadino qualunque. Formula simile sarà ripresa e amplificata in anni successivi da Gianfranco Funari. Non bisogna infine dimenticarsi che Tortora nella stagione ‘82/’83 presentò su Retequattro Cipria, una trasmissione basata sulla partecipazione di personaggi politici in show autodegradanti.
 Novella 2000, 25 giugno 1976, n.26 “Alla tv libera li trattiamo così”.
 La seguente trasmissione fu riproposta anche su Antenna 3 Lombardia sempre con la conduzione dello stesso Tortora.
 Settimana TV, 11 luglio 1976, n.28 “Con Enzo Tortora si divertono due milioni di telespettatori”.
 Settimanale “Gente”, 9 agosto 1976, n.32, “A mezzanotte non spegnere il tuo televisore:c’è Enzo Tortora”
 Novella 2000, 25 giugno 1976, n.26 “Alla tv libera li trattiamo così”.
 Novella 2000, 25 giugno 1976, n.26 “Alla tv libera li trattiamo così”.
 Il Giorno, 3 aprile 1977.
 Dichiarazione raccolta dallo scrivente e pronunciata dal sig. Renzo Villa nel suo discorso di ringraziamento in occasione dei festeggiamenti per i 32 anni dell’emittente.
 Ibidem, Il Giorno 3 aprile 1977.
 L’allora gruppo Fininvest, nato in un seminterrato di un residence di  Milano 2 non poteva contare su studi che potessero contenere numeroso pubblico. Tale situazione si sbloccherà solo quando, mediante il takeover di Italia1, nel gruppo berlusconiano confluiranno gli studi di Cologno Monzese, ex strutture cinematografiche, che erano state riconvertite in un centro di produzione televisiva proprio da Telaltomilanese che vi si era trasferita, in quanto più vicini a Milano. Telealtomilanese divenne  poi emittente capofila del circuito Italia1.
Le serate di inaugurazione dell’emittente furono tre, con altrettanti diversi conduttori (Ettore Andenna, Lucio Flauto ed Enzo Tortora) ed altrettanti registi (Cino Tortorella, Beppe Recchia e Davide Rampello). Ad inaugurare la nuova emittente è il ritorno sul ring del pugile Sandro Mazzinghi. Come ha raccontato Villa in occasione del 33° anniversario di Antenna3: “Ciò aveva creato una notevole curiosità , sia da parte di un pubblico “generico”, più interessato alla nascita di un’emittente e dalla possibilità di vedere dal vivo uno studio televisivo, ma anche di tanti e tanti sportivi italiani”.
 Testimonianza riportata anche in cfr. [Dotto, Piccini 2006, 92]
 Le televisioni regionali in Europa e Lombardia, ricerca del Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi della Lombardia edita per i tipi di Guerini e associati.
 Dichiarazione rilasciata allo scrivente nel novembre 2010
 Il Corriere della Sera, 2 aprile 2005
 Villa nel 2005 ha motivato in un’intervista allo scrivente l’alto numero dei soci che costituivano l’azionariato popolare col fatto che “in questo modo avrei potuto raccogliere in pochissimo tempo le 50.000 firme che secondo l’art 71 comma 2 della nostra Costituzione sono necessarie per poter presentare una proposta di legge di iniziativa popolare”

Al quotidiano La Stampa del 6 maggio 1983 aveva dichiarato anche “non mi servivano i loro soldi ma la loro firma per bloccare eventuali proposte di legge contro le tv private”.

 Arnaldo Cozzi in “Quindicesimo Chilometro, morte per le tv libere?” edizioni Il Portolano.
 Dichiarazione rilasciata allo scrivente da Renzo Villa
 Commento rilasciato da Tortorella in seguito alla lettura di una bozza della seguente tesi.
 Libero 13 dicembre 2009.
 La Notte, mercoledì 5 maggio 1976
 cfr Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Renzo Villa
 Sull’uso di questa espressione cfr [Casetti 1988, 57] o cfr [Casetti 1988, 79].
 Stampa Sera 20 dicembre 1983, pag 21.
 Anche Eco [1981,16] interviene sul ruolo di “simulacro” rappresentato dalla partecipazione del pubblico.

”Nei programmi di intrattenimento (e nei fenomeni che essi producono e produrranno di rimbalzo sui programmi d’informazione “pura”) conta sempre meno se la televisione dica il vero, quanto piuttosto il fatto che essa sia vera, che stia davvero parlando al pubblico e con la partecipazione (anch’essa rappresentata come simulacro) del pubblico. Lo stesso Eco tornerà sull’argomento riproponendo un’osservazione simile nel noto articolo del settimanale L’Espresso ora contenuto in [Eco 1983, 163] “La caratteristica principale della Neo Tv è che essa sempre meno parla (come la Paleo Tv faceva o fingeva di fare) del mondo esterno. Essa parla di se stessa e del contatto che sta stabilendo col proprio pubblico. Non importa cosa dica o di cosa parli (anche perché il pubblico col telecomando decide quando passare su un altro canale). Essa, per sopravvivere a questo potere di commutazione, cerca di trattenere lo spettatore dicendogli: “Io sono qui, io sono io, e io sono te”. La massima notizia che la Neo tv fornisce, sia che parli di missili o di Stanlio che fa cadere un armadio, è questa: “ti annuncio, caso mirabile, che tu mi stai vedendo; se non ci credi, prova, fai questo numero e chiamami, io ti risponderò”.

 Sulla materia prendendo ad esempio la trasmissione Portobello, interviene anche Bettetini nel libro “Le televisioni in Europa”

«Il tic tac dell’orologio percorre la conversazione fra enunciatore ed enunciatario, scandendone il ritmo; funziona come contenitore con valenza autoreferenziale; ma si riconosce in esso una funzione simbolica enfatizzata per vari aspetti: è il tempo (deputato) al racconto (di storie, di una storia) destinate a stupire commuovere strappare lacrime e sollevare al termine l’animo dell’enunciatario ingenuo, pronto a cedere ai trabocchetti istituiti dal testo. L’istituzione di siparietti interni, contrassegnati da una presentazione grafica accurata ed evocativa e dal sottofondo musicale, rivela l’inequivocabile disposizione del soggetto a rendere lo spettatore partecipe di storie destinate a proseguire nel corso delle puntate successive. E’ giocoforza notare come i procedimenti narrativi, attraverso le marche segnalate dall’ottica delle riprese, dagli stacchi di montaggio, dalla scelta del piano da proporre allo spettatore, rivelino la predisposizione a spettacolarizzare i dati del discorso integrandoli in una globale strategia pseudo umanitaria impressa dal conduttore». [Fondaz. Agnelli, 922-923]

Come scrive Pozzato [1992, 161] “Nel parlare di pubblico e di spettatore modello, utilizziamo un concetto messo a punto da Eco (1979) a proposito del lettore modello. Allargando la nozione di testo, si allarga anche la nozione di “lettore”, per cui ci sentiamo di estendere allo spettatore questa categoria.”

Sulla “progettazione” da parte degli autori televisivi di un “lettore modello” o di un “destinatario rappresentato” non si può non citare il noto articolo “Casalinga ama Vespa non corrisposta” di Beniamino Placido, che firma il pezzo che si presenta come una lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 4 agosto 1984 a nome di una “Casalinga di Voghera”: “Gentili Signori Dirigenti della Televisione, Perdonate l’ardire. Mi rivolgo a voi senza conoscervi. Voi invece mi conoscete bene. Sono una casalinga di Voghera, Anzi, la casalinga di Voghera. So che mi nominate spesso, nelle vostre riunioni. Specie quando dovete rimproverare qualcuno di quei tipetti «culturali» che vorrebbero parlare di cose astruse. Ma che cosa capirà di questi tuoi discorsi la casalinga di Voghera?” Enrico Vaime dal canto suo ricorda un divertente aneddoto: «Noi abbiamo sempre nell’orecchio le parole di quell’alto dirigente RAI che non è più qui, che ci diceva: Ma il contadino di Poggio Bustone lo capisce quello che dite? Noi siamo stati perseguitati per anni da questo contadino di Poggio Bustone. Abbiamo anche fatto anni fa, con Vianello una scenetta significativa. La scenetta era questa: C’era Vianello che andava dall’alto dirigente RAI, gli raccontava una situation che voleva rappresentare, e il dirigente rispondeva: ma il contadino di Poggio Bustone queste cose non le capisce. Questo succedeva due o tre volte a tormentone. Finché Vianello prendeva una motocicletta e si avviava verso Poggio Bustone. Andava in un campo, acchiappava un contadino e scuotendolo violentemente gli urlava: ma tu, che vuoi??» [Vaime 1985,220]. Interessante è anche il seguente intervento di Bettetini [1990, 238]:”Il progetto pedagogico-illuministico che animava la programmazione televisiva degli anni Sessanta e degli anni Settanta [..] si incarnava nel ruolo di un’emittente che mirava soprattutto all’unificazione della sua utenza, con cadute verso il basso per interessare le fasce più lontane da quello che veniva ritenuto un livello «medio» di competenza e con tentativi di recuperare queste stesse fasce, spingendole verso l’empireo di una «cultura» intesa come traguardo minimale di valori e di convivenza civile. Ci furono anche eccezioni costituite da programmi «mirati» a zone specifiche di utenza, talvolta a livelli medio-alti; ma il trend fondamentale della cosiddetta Tv «tradizionale» fu soprattutto indirizzato nel senso di un autoriconoscimento dello spettatore medio in una comunità nazionale, della quale la televisione era stimolo e specchio nello stesso tempo. Dal canto suo Grasso [2000,322] ricorda che “La trovata risolutiva di Portobello è quella di considerare la provincia come l’ideale «bacino d’utenza», smettere di rivolgersi al pubblico delle grandi città”. Il dirigente Rai Mario Carpitella proprio a proposito di Portobello scrisse il saggio “La Provincia e l’impero” contenuto nel testo “Televisione: la provvisoria identità italiana”, Edizioni Fondazione Agnelli, Torino, 1985 Casetti [1988b, 54] ricorda che “l’enunciato sotteso a tutti gli spettacoli televisivi è «questo è per te». Più precisamente lo spettatore è presentato, rispetto a quanto avviene davanti alle telecamere, come il mandante.

Nella stessa spiegazione data da Wolf [1981, 106] “Lo schema cerca di rendere conto di vari fenomeni. In primo luogo della disgiunzione del soggetto dell’enunciazione (inteso come il responsabile della produzione effettiva del testo) da qualunque soggetto (attore) presente nel testo. La stessa cosa può dirsi per quel che riguarda il rapporto tra il destinatario empirico (pubblico davanti al video) e l’attore che prende in carico la sua immagine testuale. Questa disgiunzione è possibile grazie al meccanismo semiotico definito come débrayage enunciazionale che permette di passare dalla struttura implicita e presupposta dell’enunciazione (nel caso specifico, dei soggetti presupposti dal testo: il destinatore e il destinatario empirici), alla messa in scena nel testo dell’istanza enunciativa (cioè agli attori comunicativi che compaiono effettivamente nel testo di intrattenimento, come simulacri dei precedenti). Come risulta chiaramente dalla applicazione di questo meccanismo (ma non è forse superfluo ribadirlo ancora una volta), in effetti nel testo di intrattenimento la reversibilità dei ruoli comunicativi si realizza, ma soltanto a livello dei simulacri. Nello schema, inoltre, le frecce in alto ed in basso indicano due attività pragmatiche parallele: da una parte quella di produzione del testo a carico del destinatore empirico; dall’altra quella di interpretazione da parte del destinatario, che non consiste in una semplice attribuzione di senso, ma in una vera e propria accettazione o rifiuto dal contratto enunciativo proposto dall’emittente. La linea tratteggiata interna al testo indica la stratificazione dei suoi attori comunicativi, che spesso viene occultata mentre in altri casi è esibita.
  1. Oggi, n° 44 del 29 ottobre 1969, pag.133 e sgg.
  2. La Stampa, 10 maggio 1998, Dal cilindro di Peppo Sacchi spunta una nuova Telebiella?
  3. La Stampa, 17 aprile 1986