Egloga VI

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V VII
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VI.
Vranio.



B
IZARRO mio, che sì barbuto il mento

     Movendo per lo campo i passi tardi,
               3Come alter capitan guidi l’armento;
     Perche si bassi, e si pensosi i guardi
               In terra volgi? e pur i piè ti miri?
               6Et oltra modo il tuo camin ritardi?

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     Per aventura Tirsi oggi desiri?
          E lui non rimirando hai disconforto?
          9E cosi ci palesi i tuoi martiri?
     Bizarro mio nostro bon Tirsi è morto;
          Per lunga strada di campagne scure
          12Lunge da noi nostro bon Tirsi è scorto;
     Tù fra le balze de le rupi dure,
          O ti dirocca mortalmente; o vero
          15Apprestati à soffrir crude venture.
     Io poi che più letitia unqua non spero,
          Da queste piagge penso far partita,
          18Et a più non tornar fermo il pensiero;
     Foresta più deserta, e più romita
          Sarà mia stanza; il cupo orror di Verna,
          21O pur di Falterona havrà mia vita.
     Strana cosa a pensar, che ci governa
          Morte si ciecamente, e che nel mondo
          24Nulla non sia, che le sue leggi scherna?
     Tirsi sul fior degli anni ha messo in fondo;
          Et alcun poscia lascierà canuto
          27Ch'à lui non sarà terzo, ne secondo.
     Hor che mi rechi, o farfallin venuto
          A volo verso me senza ritegno?
          30Oh, la seconda volta ecco starnuto.
     Ciò di liete novelle hassi per segno;
          Ma sciocco me; non cosi dice Alcasto,
          33C'ha ne l'indivinar cotanto ingegno.
     Ei mi suole affermar, che'n van contrasto
          E che letitia non convien ch'aspetti;
          36Io per si dura vita omai non basto;
     Lasso, dove sono iti i miei diletti?