Dizionario - Vocabolario del dialetto triestino/Al lettore

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../Coniugazione dei verbi ausiliari aver, o gaver e esser IncludiIntestazione 2 novembre 2011 75% Letteratura

Dizionario - Vocabolario del dialetto triestino Coniugazione dei verbi ausiliari aver, o gaver e esser
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AL LETTORE.


Scopo precipuo di questo mio lavoro è stato quello di mettere alla portata dei meno colti — chè gli altri potrebbero tutto al più spigolarvi qualche nonnulla — una raccolta di poche pagine del nostro dialetto che loro possa riuscir praticamente utile col servire di dizionario e di vocabolario allo stesso tempo. E difatti sarebbe stato troppo vago il dire p. e. Fero, sm. ferro; ordigno; granchio; tagliuola; agucchia; liscia; attizzatoio; gretola; calamistro; ferro scempio; piegatello; ancipite; ecc. e, chi si fosse trovato ad aver tra mano il mio libro e vi avesse cercato, poniam figura: fero de bonagrazia, trovato: Fero, sm. ecc., sarebbe stato costretto di ricorrere ad un vocabolario, ed arrivarci, frugandovi entro, fino a: piegatello, per sapere il fatto suo. E di voci con corrispondenti vari il dialetto nostro abbonda.

In alcuni casi poi la dizione del dialetto non ha gradazioni a significare la maggiore o minore efficacia di un vocabolo, ed allora io ho aggiunto alla dizione le rispettive dilucidazioni; p. e. coraggio richiesto dalle circostanze ed a queste opportuno, ardimento; disonorare grandemente, vituperare; prova evidente, apodissi; — amore appena nato, amorotto; piccolo riscaldo interno, incalescenza, ecc. Altro caso. Per poter esprimere convenientemente il vero significato di una voce toscana ci vuole talvolta in dialetto, difettando questo di varie voci proprie, una circonlocuzione; e dove calzava io l’ho usata. Il Tommaséo dice che la circonlocuzione, o perifrasi, come vuolsi chiamarla, è morte dell’evidenza e dell’effetto, ma se vi è giùocoforza l’usarla? Altro caso ancora. Alla versione propria c’è sovente, nella lingua, quella figurata, o la similitudine: nel mio libro si troverà spesso esclusa la versione propria ed usata solo la similitudine, o la forma figurata, chè la propria riesce facile a ciascuno di formarsela da sè.

Questo per le generali, e da capo.

I sostantivi io li ho usati tutti al maschile; e solo dove il femminile varia assolutamente di significato, p. e. bala e balo, paca e paco, sportel e sportela, ecc. esso forma articolo da sè.

[p. 6 modifica]Gli aggettivi, ed i partecipî usati aggettivamente, si trovano tutti al positivo, meno que’ rari che prendono al diminutivo o all’accrescitivo, denominazione affatto diversa.

I verbi si trovano tutti all’infinito loro naturale; e quando si usano pronominali, o reciproci, o riflessivi o altro che sieno, n’è fatto cenno nel corpo dell’articolo relativo; e in questo caso, presi tutti in un fascio, vengono battezzati per vnp.

V’hanno delle voci in cui lo sc viene diviso, restando la s alla prima ed il c alla seconda sillaba, p. e. rascela, riscio, viscio ecc., o la s forma sillaba da sè, p. e. scenza, scinca, sciopo, ecc.; a tutte queste voci si troverà unita dopo la denominazione, fra parentesi, in corsivo, la parola divisa come va pronunciata. Esempio: Rascela, sf. (ras-cela) racimolo.

Riguardo al suono della s e della z, devo avvertire che esse si pronunciano sempre dolci quando si trovano sormontate da un punto, per modo che la mancanza del punto fa accorto chi legge che vanno pronunciate aspre, anche qualora esse si trovano scempie. Fatta eccezione della terza persona del presente, indicativo del verbo essere: è, che. si troverà sempre xe.

In alcune poche voci, p. e. pastroc, apocope di pastrociotoc apocope di tocio, ecc. il c finale va pronunciato come c davanti ad i e ad e; (c dolce) ed in alcune rarissime, p. e. coch, patoch, ecc. il ch va pronunciato come c davanti ad a, o, u. (c gutturale.)

Quando i corrispondenti toscani di una voce del dialetto sono divisi da semplici virgole significa che i. rispettivi corrispondenti sono omonimi, o circa; ove poi sono divisi dal punto e virgola questo significa che il loro senso è affatto diverso. Eccone gli esempi. Baiar, va. abbaiare, baiare, latrare. — Curar, va. curare; mangiare; medicare; mondare; sbaccellare.

Presso a certi corrispondenti toscani poco noti, ho aggiunto accanto, fra parentesi, il nome dell’autore che li ha usati; ed ho cercato di porre lo accento a tutte le voci che mi sono sembrate di dubbia pronuncia.

I proverbi, le locuzioni in genere, i modi avverbiali ed i modi di dire si trovano largamente profusi in questo libro; i primi credo anzi dovrebbero esserci tutti, o giù di lì, giovato come mi sono dell’inapprezzabile gioiello raccoltovi dal Cassani, o Cavazzani, avvocato. E qui mi piace di accennare come moltissimi fra i nostri proverbi sono d’un’efficacia ben maggiore che i loro fratelli toscani. „Meter el vivo sul morto“ non ha una concisione ben più espressiva di un „imbottare sopra la feccia“? „Esserghe più giorni che luganighe“ non val meglio del mistico „il più corto riman da piedi?“ E „ogni piada para avanti“? Quanta forza in queste sole quattro parole. L’„ogni acqua immolla“ lo si può dir forte; vi corrisponde debolmente, ma debolmente assai. E „scapolarla per el buso de la ciave?“u e „cavime i oci e po lechime le buse?“ e „chi sparagna per la spina spandi per ’l cocon?“ Ci vorrebbe una buona dose d’ingenuità per non comprendere alla bella prima ciò che questi proverbi vogliono significare.

Le voci oscene, i modi sconci ed alcuni sbardellati scerpelloni popolari, tutta roba del volgo, non si trovano in questo libro — per quanto lo comporta l’indole del lavoro — e sono convinto d’aver fatto bene di bandire quella zavorra sgraziata, che, per poche linee omesse l’opera non può perdere il modesto valore che può avere, e ne avvantaggia invece in ciò che può andare per le mani di tutti.

Va da sè che in questo mio libro vi saranno degli spostamenti, delle inesattezze, delle ommissioni, e dell’altro; ma vi ha sulla terra un’opera perfetta? un dizionario poi, o un vocabolario? Libri a’ quali si appropria davvero meglio che ad ogni altro l’optimus ille est qui minimus urgetur.

[p. 7 modifica]Io ho cercato di far bene e ho fatto del mio meglio per conseguirlo; non ci sono riuscito come avrei desiderato? E pazienza. Comunque sia, saldo al sublime precetto del venerato Tommasèo — „Agevoli ciascuno secondo il poter suo la conoscenza della lingua comune“ — ho portato anch’io la mia pietra al grande edificio, — sono stato il primo a dare la spinta a questo genere di lavori, — ed ho empito, sia pure insufficientemente, una lacuna nella nostra patria letteratura. Ego plantavi.

Ecco ciò che mi fa forte a dare alla luce questa seconda edizione del mio lavoro, che io pubblico nella fede che i buoni non troveranno assolutamente inutile. In ogni modo a me basta la coscienza di aver cercato in questi dodici anni che sono corsi dalla prima edizione, di purgare il mio libro „da ogni scoria e da ogni eterogeneo elemento“ e ciò nel desiderio vivissimo che al nostro dialetto natio sia rivendicato il primato che gli spetta tra tutti i dialetti italiani.

Và dunque libro mio e che tu possa far accrescere d’un punto solo — se pur ciò è ancora possibile — ne’ cuori della nostra gioventù l’amore alla nostra cara lingua. E tu, benigno lettore, abbiti la promessa ch’io farò del mio lavoro fino al chiudersi degli occhi miei, quanto ripeteva il chiarissimo bibliotecario Iacopo Morelli: „De’ libri bisogna fare come si fa dei figli: non solo metterli al mondo, ma poi averne sempre cura.

TRIESTE, 1889.


IL COMPILATORE.