Discorso sull'indole del piacere e del dolore/X

Come l'uomo giudichi nella scelta fra i dolori e fra i piaceri

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Come l'uomo giudichi nella scelta fra i dolori e fra i piaceri
IX XI

Nel calcolo dei piaceri e dei dolori, l’uomo valuta piú l’intensione che non la durata. Esattamente calcolando, un dolore che si esprimesse della forza d’un grado durando dieci minuti, dovrebbe considerarsi uguale a un dolore che avesse dieci gradi di forza, ma durasse un sol minuto. Eppure nella scelta l’uomo si determinerà piuttosto per la minor intensione di quello che per la minore durata, e crederà men male il dolore d’un grado benché duri dieci minuti. Osserviamo ciò che accade sul Moncenisio, allorché è coperto di neve, e che vi si discende rapidissimamente sopra di un traino mosso dalla sola gravità per il gran pendio della montagna. Moltissimi viaggiatori, finita la discesa e passato il monte, vogliono nuovamente affrontare il tedio, il pericolo, lo stento di rampicarvisi nuovamente a piedi sino alla sommità per provare un’altra volta il piacere di discendervi con quella rapidità, che non la cede al volo degli uccelli. Questa è l’immagine fedele della maniera colla quale calcola l’uomo sul punto della propria sensibilità. Egli affronterà un dolore spontaneamente, purché la di lui intensione non sia grande, quand’anche ei debba nella total quantità riuscir grande per la sua durata, e l’affronterà ogni qualvolta ei debba rapidamente cessare, dal che ne ottiene un piacere. La maggior parte delle debolezze e delle apparenti inconseguenze dell’uomo nasce appunto da questo principio, che piú resta colpito dall’intensione dei piaceri e dei dolori, di quel ch’ei non lo sia dalla durata; sebbene la quantità assoluta, per essere ben calcolata, dovrebbe desumersi dal prodotto dell’una per l’altra. Ma quando di due sensazioni dolorose una è da soffrirsi tutta in un colpo, e l’uomo nel momento immediato prevede tutto il grado d’infelicità in cui piomba, preferisce l’altra sensazione di cui la parte che se gli presenta è men dolorosa per il momento consecutivo, e senza esattamente trascorrerla sino al fine col di lui sguardo la sceglie con ribrezzo minore. La vita è una serie di momenti; la parte che è nostra è il momento attuale; tutto il restante avvenire è una mera probabilità tanto piú forte, quanto il tempo avvenire è piú vicino al momento attuale. Un dolore intenso e breve piomba sui momenti piú vicini alla nostra esistenza, e ci promette la pace per que’ momenti che sono piú discosti. Un dolore piú durevole e meno intenso ci presenta i momenti piú contigui, piú nostri, sotto un’apparenza meno ripugnante, e sebbene per que’ momenti piú rimoti non ci lasci vedere la pace, la lusinga che nasca in questo intervallo qualche soccorso che abbrevii i mali, sempre piú o meno sta nel cuore; e quindi nasce che comunemente gli uomini si determinino piú per l’intensione che per la durata, siccome dissi. Quantunque io creda generalmente condotto l’uomo a scegliere piú per l’intensione che per la durata, non ne viene però che con uguale misura uniformemente ci determiniamo; anzi quanto piú l’uomo è illuminato e placido nel suo giudizio, tanto si va egli accostando alla precisione nel calcolo, e sempre piú va considerando la durata, perché quanto piú l’animo umano si trova vicino allo stato ch’io dissi, tanto piú sa prevedere e scostarsi dalla maniera di operare de’ bruti i quali quasi unicamente si determinano sugli oggetti esistenti e feritori de’ loro organi. In tre classi quindi, io divido la maniera di sentire degli uomini; e sono le seguenti. La parte piú comune degli uomini rimira piú d’un oggetto a un tempo stesso, ma li vede con un colorito pallido e contorni sfumati e incerti. Sono per lo piú quindi dubbiosi ne’ loro giudizi, timidi di equivocare nella scelta, ed essendo pure costretti a dare un corso alle loro azioni, son forzati a prender di norma l’imitazione anzi che il raziocinio. Incapaci di passioni grandi, incapaci di vigor d’animo, languiscono nella imbecillità; si sottraggono al mordace sentimento del poco valor proprio col sonno, co’ liquori assopitivi, col giuoco, colla lettura, o colla compagnia che avidamente e senza scelta ricercano, e a ciò vengono spinti da quel tedio abituale in cui restano immersi, abbandonati a loro stessi. Questi vedon gli oggetti come attraverso la nebbia, e non potendo spignere lo sguardo molto addentro, valutano nella loro scelta piuttosto la superficie di quel lato che lor si presenta, anzi che la massa; quindi omettendo quasi del tutto la durata, giudicano delle sensazioni quasi interamente sulla pura intensione momentanea. Un minor numero d’uomini, in vece, ha l’immaginazione fatta per modo che un fantasma vincitore s’impadronisce della loro sensibilità, e il restante delle loro idee resta inconsiderato ed in disordine, mentre quel fantasma è rappresentato con vivissimo colorito e con esatti contorni. Questi hanno per loro carattere l’immaginazione, l’entusiasmo, l’elevazione; i voli piú arditi non si vedono che in questi uomini. Essi però si suddividono in due specie. Gli uni sono costantemente occupati da una idea prepotente, la quale ostinatamente tengono sempre di mira: uomini capaci di grandi cose, perché esercitano un’azione energica assiduamente prolungata per lungo spazio. Se il fantasma che gli occupa è conforme al bene del genere umano, sono eroi: se contrario, sono illustri scellerati: se è incoerente, sono pazzi. Gli altri sono della seconda specie, occupati da un dispotico fantasma, ma dove un fantasma detronizza l’altro e si succedono vicendevolmente. Sono questi i migliori poeti, i migliori pittori, gli oratori i piú eloquenti, uomini di grandi passioni al momento. Non ti farà maraviglia se dopo aver essi declamato in favore della civile libertà, li vedi diventati all’occasione cortigiani; combatteranno essi talvolta contro quella libertà medesima che avevan sostenuta. Questi uomini d’immaginazione, i quali a foggia degli istrioni risvegliano in lor medesimi le passioni del momento, e con calda energia le sanno comunicare, mal si giudicherebbero se si credesse costante in essi quell’entusiasmo che non parte dal cuore, ma da un’artificiosa e cercata fermentazione di sentimenti. I primi, giudicando delle sensazioni che hanno rapporto all’idea signoreggiante, s’accostano all’esattezza del calcolo e ne valutano non solamente l’intensione, quant’anche in parte la durata, ma nel restante delle loro idee pochissima attenzione vi prestano, e si determinano per la sola intensione. I secondi invece, quanto ai loro giudizî, interamente si conformano al metodo volgare, e nella loro pratica restano perpetuamente plebei. Finalmente una parte ben piccola del genere umano, è quella di coloro che sogliono ad un tempo stesso avere davanti al loro sguardo piú oggetti illuminati, coloriti, e distinti: sagacemente li paragonano, li accozzano, li separano. Conosciuta che hanno la schiera de’ mali che seco strascina il vizio, scelgono la virtú e tranquillamente e con costanza ne batton l’orme. Essi non hanno quelle clamorose estasi colle quali cercano di accreditarsi gli empirici della virtú; il loro animo piú in calma, pacatamente, e per una felice abitudine, li porta a bene e virtuosamente vivere. Costoro, sebbene per costruzione loro abbiano il cuore meno appassionato di quello degli entusiasti, con tutto ciò non sono esenti dalla febbre delle passioni. Non sempre la placida ragione lascia viva alla mente loro questa verità, che gli uomini cattivi meritano piú compassione che odio; la bassezza, l’ingiustizia fanno nascere nel loro cuore lo sdegno talvolta, come le belle azioni amore e benevolenza. Questi ultimi sono gli uomini piú simili a loro stessi nelle loro azioni. I loro discorsi sono della tempra de’ loro fatti; i loro scritti hanno la tinta istessa della lor vita e de’ loro sentimenti: essi non cercano di ridurre gli uomini attoniti e sbigottiti con gigantesche idee, ma illuminati e resi migliori da un raggio puro e sereno di verità. Essi nella scelta delle sensazioni generalmente s’accostano piú di tutti all’esattezza del calcolo, portano i loro sguardi sulle maggiori relazioni possibili e lo inoltrano al tempo piú rimoto. Queste tre classi sono come i tre tuoni principali del diverso modo di sentire degli uomini; ma ogni uomo, comunemente parlando, è un misto e partecipa di piú d’una classe. I primi sono meno di tutti capaci di piaceri e di dolori morali, perché, come si disse, dipendendo questi interamente dall’appoggiarsi che fa la mente sul passato e sull’avvenire, e dal paragone che facciamo fra il modo col quale esistiamo e quello al quale prevediamo di dover giugnere, un tal modo di sentire suppone memoria e previdenza; e dove gli oggetti si vedono abitualmente larvati e mal definiti, non v’è luogo a questo scagliamento dell’animo. I secondi che hanno un fantasma costante in tutte le sensazioni, che a quello si accostano debbon essere sommamente capaci di piaceri e di dolori morali. Se Colombo ci avesse lasciata la storia dei suoi sentimenti per il lungo tratto di tempo in cui sollecitò i mezzi onde scoprire un nuovo mondo; se ogni giorno avesse scritta la storia delle proprie sensazioni, e nel tempo in cui viaggiava alle corti per offrire il progetto, e nel lungo spazio in cui languí nelle anticamere fra un piccol filo di speranza e molti sorrisi de’ cortigiani che lo rimiravano come un uomo da romanzi; se ci avesse fedelmente tramandate le sensazioni che provò quando le speranze crebbero, poi quando ottenne le poche navi, poi di quanto nel cuore sentí durante la lunga navigazione per un mare immenso e sconosciuto; finalmente se ci avesse descritti i sentimenti che provò allo scoprire la terra, all’approdarvi, al conoscerne i tesori, avremmo un’idea allora de’ sommi dolori e sommi piaceri che occupano un entusiasta costante. Forse questa grande scena terminò nel momento in cui ebbe scoperta l’America. La terza classe, come la piú capace su tutti gli oggetti di timore e di speranza, cosí da ogni lato è accessibile ai dolori ed ai piaceri morali; minori forse nell’intensione di quei che sentono gli entusiasti, ma nella quantità e frequenza considerabilissimi.