Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro terzo

Libro terzo

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Libro secondo

Indice

  •  Capitolo 1 
A volere che una setta
o una republica viva lungamente,
è necessario ritirarla spesso
verso il suo principio.


Come egli è cosa sapientissima
simulare in tempo la pazzia.


Come egli è necessario,
a volere mantenere una libertà
acquistata di nuovo,
ammazzare i figliuoli di Bruto.


Non vive sicuro uno principe
in uno principato, mentre vivono coloro
che ne sono stati spogliati.


Quello che fa perdere uno regno
ad uno re che sia, di quello, ereditario.


Delle congiure.


Donde nasce che le mutazioni
dalla libertà alla servitù, e dalla servitù
alla libertà, alcuna ne è sanza sangue,
alcuna ne è piena.


Chi vuole alterare una republica,
debbe considerare il suggetto di quella.


Come conviene variare co’ tempi
volendo sempre avere buona fortuna.


Che uno capitano
non può fuggire la giornata,
quando l’avversario la vuol fare
in ogni modo.


Che chi ha a fare con assai,
ancora che sia inferiore,
pure che possa sostenere gli primi impeti,
vince.


Come uno capitano prudente
debbe imporre ogni necessità
di combattere a’ suoi soldati,
e, a quegli degli inimici, torla.


Dove sia più da confidare,
o in uno buono capitano
che abbia lo esercito debole,
o in uno buono esercito che abbia
il capitano debole.


Le invenzioni nuove,
che appariscono nel mezzo della zuffa,
e le voci nuove che si odino,
quali effetti facciano.


Che uno e non molti
sieno preposti ad uno esercito,
e come i più comandatori offendono.


Che la vera virtù si va
ne’ tempi difficili, a trovare;
e ne’ tempi facili, non gli uomini virtuosi,
ma quegli che per ricchezze
o per parentado hanno più grazia.


Che non si offenda uno,
e poi quel medesimo si mandi
in amministrazione e governo
d’importanza.


Nessuna cosa è più degna d’uno capitano,
che presentire i partiti del nimico.


Se a reggere una moltitudine
è più necessario l’ossequio che la pena.


Uno esemplo di umanità
appresso i Falisci
potette più che ogni forza romana.


Donde nacque che Annibale,
con diverso modo di procedere
da Scipione
fece quelli medesimi effetti in Italia
che quello in Ispagna.


Come la durezza di Manlio Torquato
e la comità di Valerio Corvino
acquistò a ciascuno la medesima gloria.


Per quale cagione Cammillo
fusse cacciato di Roma.


La prolungazione degl’imperii
fece serva Roma.


Della povertà di Cincinnato
e di molti cittadini romani.


Come per cagione di femine
si rovina uno stato.


Come e’ si ha ad unire una città divisa;
e come e’ non è vera quella opinione,
che, a tenere le città,
bisogni tenerle divise.


Che si debbe por mente
alle opere de’ cittadini,
perché molte volte sotto una opera pia
si nasconde uno principio di tirannide.


Che gli peccati de’ popoli
nascono dai principi.


A uno cittadino
che voglia nella sua republica
fare di sua autorità alcuna opera buona,
è necessario, prima, spegnere l’invidia:
e come, vedendo il nimico,
si ha a ordinare la difesa d’una città.


Le republiche forti
e gli uomini eccellenti
ritengono in ogni fortuna
il medesimo animo
e la loro medesima dignità.


Quali modi hanno tenuti alcuni
a turbare una pace.


Egli è necessario,
a volere vincere una giornata,
fare lo esercito confidente
ed infra loro e con il capitano.


Quale fama o voce o opinione
fa che il popolo
comincia a favorire uno cittadino:
e se ei distribuisce i magistrati
con maggiore prudenza che un principe.


Quali pericoli si portano
nel farsi capo a consigliare una cosa;
e, quanto ella ha più dello istraordinario,
maggiori pericoli vi si corrono.


Le cagioni perché i Franciosi
siano stati e siano ancora giudicati
nelle zuffe, da principio più che uomini,


Se le piccole battaglie
innanzi alla giornata sono necessarie;
e come si debbe fare a conoscere
uno inimico nuovo,
volendo fuggire quelle.


Come debbe essere fatto uno capitano
nel quale lo esercito suo possa confidare.


Che uno capitano
debbe essere conoscitore de’ siti.


Come usare la fraude
nel maneggiare la guerra
è cosa gloriosa.


Che la patria si debbe difendere
o con ignominia o con gloria;
ed in qualunque modo è bene difesa.


Che le promesse fatte per forza,
non si debbono osservare.


Che gli uomini,
che nascono in una provincia,
osservino per tutti i tempi
quasi quella medesima natura.


E’ si ottiene con l’impeto e con l’audacia
molte volte
quello che con modi ordinarii
non si otterrebbe mai.


Quale sia migliore partito nelle giornate,
o sostenere l’impeto de’ nimici,
e, sostenuto, urtargli;
ovvero da prima con furia assaltargli.


Donde nasce
che una famiglia in una città
tiene un tempo i medesimi costumi.


Che uno buono cittadino
per amore della patria
debbe dimenticare le ingiurie private.


Quando si vede fare
uno errore grande a uno nimico,
si debbe credere
che vi sia sotto inganno.


Una republica,
a volerla mantenere libera,
ha ciascuno dì
bisogno di nuovi provvedimenti;
e per quali meriti Quinto Fabio
fu chiamato Massimo.