Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro primo

Libro primo

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Dedica Libro secondo

Indice

  •  Introduzione 
  •  Capitolo 1 
Quali siano stati universalmente
i principii di qualunque città,
e quale fusse quello di Roma.


Di quante spezie sono le republiche,
e di quale fu la republica romana.


Quali accidenti facessono creare in Roma
i Tribuni della Plebe, il che fece
la republica più perfetta.


Che la disunione della Plebe
e del Senato romano fece libera
e potente quella republica.


Dove più sicuramente si ponga
la guardia della libertà, o nel Popolo
o ne’ Grandi; e quali hanno maggiore
cagione di tumultuare, o chi vuole
acquistare o chi vuole mantenere.


Se in Roma si poteva ordinare uno stato
che togliesse via le inimicizie
intra il Popolo ed il Senato.


Quanto siano in una republica
necessarie le accuse a mantenerla
in libertade.


Quanto le accuse sono utili
alle republiche, tanto sono perniziose
le calunnie.


Come egli è necessario essere solo
a volere ordinare una repubblica
di nuovo, o al tutto fuor degli antichi
suoi ordini riformarla.


Quanto sono laudabili i fondatori
d’una republica o d’uno regno,
tanto quelli d’una tirannide
sono vituperabili.


Della religione de’ Romani.


Di quanta importanza sia tenere conto
della religione, e come la Italia,
per esserne mancata mediante
la Chiesa romana, è rovinata.


Come i Romani si servivono
della religione per riordinare la città
e seguire le loro imprese e fermare
i tumulti.


I Romani interpetravano gli auspizi
secondo la necessità, e con la prudenza
mostravano di osservare la religione,
quando forzati non la osservavano;
e se alcuno temerariamente
la dispregiava, punivano.


I Sanniti, per estremo rimedio
alle cose loro afflitte,
ricorsero alla religione.


Uno popolo, uso a vivere sotto
uno principe, se per qualche
accidente diventa libero,
con difficultà mantiene la libertà.


Uno popolo corrotto, venuto in libertà,
si può con difficultà grandissima
mantenere libero.


In che modo nelle città corrotte
si potesse mantenere uno stato libero,
essendovi; o, non vi essendo,
ordinarvelo.


Dopo uno eccellente principe
si può mantenere uno principe debole;
ma, dopo uno debole, non si può
con un altro debole mantenere
alcuno regno.


Dua continove successioni di principi
virtuosi fanno grandi effetti;
e come le republiche bene ordinate
hanno di necessità virtuose successioni,
e però gli acquisti ed augumenti loro
sono grandi.


Quanto biasimo meriti quel principe
e quella republica che manca
d’armi proprie.


Quello che sia da notare nel caso
de’ tre Orazii romani
e tre Curiazii albani.


Che non si debbe mettere a pericolo
tutta la fortuna e non tutte le forze;
e, per questo, spesso il guardare
i passi è dannoso.


Le republiche bene ordinate
costituiscono premii e pene
a’ loro cittadini, né compensono mai
l’uno con l’altro.


Chi vuole riformare uno stato anticato
in una città libera,
ritenga almeno l’ombra de’ modi antichi.


Uno principe nuovo, in una città
o provincia presa da lui,
debbe fare ogni cosa nuova.


Sanno rarissime volte gli uomini
essere al tutto cattivi o al tutto buoni.


Per quale cagione i Romani
furono meno ingrati contro agli loro
cittadini che gli Ateniesi.


Quale sia più ingrato,
o uno popolo o uno principe.


Quali modi debbe usare uno principe
o una republica per fuggire questo vizio
della ingratitudine; e quali quel capitano
o quel cittadino per non essere oppresso
da quella.


Che i capitani romani per errore
commesso non furano mai
istraordinariamente puniti; né furano
mai ancora puniti
quando per la ignoranza loro
o tristi partiti presi da loro
ne fusse seguiti danni alla republica.


Una republica o uno principe
non debbe differire
a beneficare gli uomini
nelle sue necessitadi.


Quando uno inconveniente è cresciuto
o in uno stato o contro a uno stato,
è più salutifero partito temporeggiarlo
che urtarlo.


L’autorità dittatoria fece bene,
e non danno, alla Republica romana:
e come le autorità che i cittadini
si tolgono, non quelle che sono loro
dai suffragi liberi date,
sono alla vita civile perniziose.


La cagione perché la creazione in Roma
del Decemvirato fu nociva alla libertà
di quella republica, non ostante
che fusse creato per suffragi publici
e liberi.


Non debbano i cittadini,
che hanno avuti i maggiori onori,
sdegnarsi de’ minori.


Quali scandoli partorì in Roma
la legge agraria: e come fare una legge
in una republica, che riguardi
assai indietro, e sia contro a una
consuetudine antica della città,
è scandolosissimo.


Le republiche deboli sono male risolute
e non si sanno diliberare; e se le pigliano
mai alcun partito, nasce più da necessità
che da elezione.


In diversi popoli si veggano spesso
i medesimi accidenti.


La creazione del Decemvirato in Roma,
e quello che in essa è da notare:
dove si considera, intra molte altre cose,
come si può o salvare, per simile
accidente, o oppressare una republica.


Saltare dalla umiltà alla superbia,
dalla piatà alla crudeltà,
sanza i debiti mezzi, è cosa imprudente
e inutile.


Quanto gli uomini facilmente
si possono corrompere.


Quegli che combattono per la gloria
propria, sono buoni e fedeli soldati.


Una moltitudine sanza capo è inutile:
e come e’ non si debbe minacciare prima,
e poi chiedere l’autorità.


È cosa di malo esemplo non osservare
una legge fatta, e massime
dallo autore d’essa; e rinfrescare
ogni dì nuove ingiurie in una città,
è, a chi la governa, dannosissimo.


Li uomini salgono da una ambizione
a un’altra; e prima si cerca non essere
offeso, dipoi si offende altrui.


Gli uomini, come che s’ingannino
ne’ generali, ne’ particulari
non s’ingannono.


Chi vuole che uno magistrato
non sia dato a uno vile o a uno cattivo,
lo facci domandare o a uno troppo vile
e troppo cattivo o a uno troppo nobile
e troppo buono.


Se quelle cittadi che hanno avuto
il principio libero, come Roma,
hanno difficultà a trovare legge
che le mantenghino: quelle che lo hanno
immediate servo, ne hanno quasi
una impossibilità.


Non debba uno consiglio
o uno magistrato potere fermare le azioni
delle città.


Una republica o uno principe
debbe mostrare di fare per liberalità
quello a che la necessità lo constringe.


A reprimere la insolenzia d’uno che surga
in una republica potente,
non vi è più sicuro e meno scandoloso
modo, che preoccuparli quelle vie
per le quali viene a quella potenza.


Il popolo molte volte disidera
la rovina sua, ingannato da una falsa
spezie di beni: e come le grandi speranze
e gagliarde promesse facilmente
lo muovono.


Quanta autorità abbi uno uomo grave
a frenare una moltitudine concitata.


Quanto facilmente si conduchino
le cose in quella città dove la moltitudine
non è corrotta: e che, dove è equalità,
non si può fare principato;
e dove la non è, non si può
fare republica.


Innanzi che seguino i grandi accidenti
in una città o in una provincia,
vengono segni che gli pronosticono,
o uomini che gli predicano.


La Plebe insieme è gagliarda,
di per sé è debole.


La moltitudine è più savia
e più costante che uno principe.


Di quale confederazione o lega
altri si può più fidare; o di quella fatta
con una republica, o di quella fatta
con uno principe.


Come il Consolato e qualunque
altro magistrato in Roma
si dava sanza rispetto di età.