Delle speranze d'Italia/Capo VI

Capo VI

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Capo V Capo VII

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CAPO SESTO.

la confederazione è impossibile finchè
una gran parte d’italia è provincia straniera


1. L’ostacolo, unico, ma gravissimo a qualunque confederazione italiana, è quella signoria straniera, che penetra nel fianco della penisola, che soverchia in potenza e popolazione italiana, quattro de’ sei principati Italiani; e che li soverchia tutti insieme poi come parte d’un imperio più grande che non la penisola intiera1. Finchè [p. 48 modifica]dura tal condizione, non è possibile niuna confederazione, niun ordinamento, niun equilibrio italiano, non è possibile se non una preponderanza di quell’imperio sugli Stati Italiani. — Quando Napoleone, ordinata Francia sotto il suo consolato, volle ordinare Italia, ognun sa che ei chiamò a sè molli notabili italiani in quell’adunanza, a cui rimase il nome di Consulta di Lione. Fra i primi o primo era Melzi. Il quale entrato in discorso, e buono Italiano ed alto uomo di stato com’era, proponendo che l’Italia settentrionale fosse riunita sotto una sola dizione, ed assentendo fin lì pur Napoleone, proseguì il Melzi [p. 49 modifica]a cercare qual casa di principi si potesse chiamare a sì bello Stato, e nominò casa Savoia. Sorrise allora malcontento Napoleone. Ed insistendo Melzi a mostrare come ciò converrebbe insieme all’equilibrio d’Italia e a quel d Europa: — “Ma chi vi parla d’equilibrio?” riprese vivamente Napoleone. — E Melzi, stato alquanto sopra sè: “Or intendo. M’ingannai. Io doveva parlare di preponderanza”. — “Così è, or v’apponete”, riprese Napoleone; e di preponderanza o prepotenza od onnipotenza fu l’ordinamento effettuato. — E finché sotto diversissima signoria dura pur un simile ordinamento, ei si può ben soffrire e rassegnarsi o gridare; ma niun equilibrio, niun ordine vero sarà mai in Italia; od anzi niuna vera Italia nell’equilibrio d’Europa.

2. E niuna confederazione buona in Italia. Io credo che ciò sia chiaro a chiunque abbia ombra di senno. Ma discorriamone; posciachè siamo a discorrere. — Io dico che la confederazione italiana non è desiderabile nè possibile, se v’entra la potenza straniera; e che sarebbe desiderabile forse, ma così difficile, che monta ad impossibile, senza la potenza straniera.

3. Presieduta dal papa o da qualunque altro, ed ordinata in qualsiasi modo che lasci entrare la potenza straniera, la confederazione non può più essere desiderabile a nessun Italiano. Quando [p. 50 modifica]si pattuisse e giurasse che il papa sarebbe presidente, il papa noi sarebbe; anzi sarebbe meno indipendente, meno principe, in men buona situazione di papa che non è ora. E così d’ogni altro principe che fosse bonario tanto da accettare un nome, un’impostura di presidenza. Ma il fatto sta che nemmeno il nome non sarebbe conceduto dalla potenza straniera a nessun altro se non a sè; ch’ella surrogherebbe titolo, grado ed effettività di presidente; che n’avrebbe buon pretesto dalla superiorità di sua potenza; e che quando mancassero ragioni, pretesti o patti, verrebbe la forza a decidere o la questione in generale o le questioni eventuali quotidiane; che in somma d’un modo o d’un altro ella la potenza straniera sarebbe prima, sarebbe prepotente, sarebbe tutto. E così pure senza gran diversità se s’immaginasse di non avere presidente, se si pattuisse una diplomatica eguaglianza o reciprocità; questa diventerebbe in breve ciò che sogliono le eguaglianze pattuite, ma non reali, le perfette reciprocità in diplomazia; parole, finzioni legali, cerimonie, e non più. — E quindi, se non si volesse supporre che si perdesse il senno dai principi italiani, e da tutti i lor ministri e consiglieri, non è possibile ch’essi si riducan mai a tal errore, a tal viltà, di farsi volontariamente così, più dipendenti, più servi che non sono. [p. 51 modifica]

4. Forse è più difficile a dimostrare la seconda asserzione: che non sia possibile la confederazione senza lo straniero. E per vero dire, se i sei o sette principi italiani, convenendo un bel dì insieme tra sè o per ambasciatori, pattuissero, firmassero e ratificassero un trattato di confederazione, io non so chi potrebbe, chi ardirebbe opporsi a tal trattato; legittimo senza dubbio, poichè in legge essi sono principi indipendenti e compiuti, e che una inalienabil prerogativa di tal principato è quella di poter fare trattati d’alleanza, secondo l’utile o piacere proprio. Se la potenza straniera vi si opponesse, il torto di lei sarebbe così chiaro, che probabilmente la confederazione italiana sarebbe aiutata da altre potenze straniere secondo l’occorrenza; nè in tal caso io sarei di quelli che con soverchio orgoglio nazionale consigliassero di rigettar tali aiuti. Ed anche senza aiuti (perchè, uniti che fossero i principi, s’unirebbero con essi e tra sè molto volentieri i popoli a tale scopo), io confiderei che resisterebbero facilissimamente alla potenza straniera, anche aiutata da una o due altre, ma impacciata più che mai da’ suoi sudditi italiani.

— Ma il difficile è appunto quell’accordo dei principi. Siamo compiutamente sinceri; veggiamo ciò che è; non ciò che dovrebb’essere, o potrebb’essere se fosse come non è; parliamo dei [p. 52 modifica]principi, degli uomini come sono, di quelli che sono ora, o son probabili per l’avvenire, ne’ secoli come corrono, nell’Italia com’è ridotta. E pogniamone uno od anche due uomini grandi, arditi e quasi avventati come avrebbero ad essere per proporre e firmar quel trattato; tali non sarebbero gli altri cinque, o almeno quattro o tre o due od uno; non essendo probabile nè possibile che tra sei o sette uomini quali ch’ei sieno, principi o no, si incontrin mai sei o sette uomini grandi, arditi e generosi; e bastando uno o due, che mancassero, a fare quasi nullo l’effetto dell’ideata confederazione. — Due sorta di possibilità sono negli affari umani: la condizionale e la assoluta. Ma finchè rimane impossibile la condizione della prima, questa rimane impossibilità pari alla seconda; e non vai la pena di fermarci a considerare l’una più che l’altra. Io vorrei averne smentita dal fatto: io auguro alla patria mia sei o sette principi capaci d’ideare, trattare, firmare e mantenere tal atto, come sarebbe una confederazione italiana senza stranieri.

5. All’incontro facciam l’ipotesi che non fosse più la provincia straniera. In qualunque maniera ne rimanesse divisa l’Italia, quanti e quali che fossero i principati risultanti, la confederazione sarebbe fattibile, facile a farsi, tutta fatta. La differenza stessa delle situazioni e delle potenze vi [p. 53 modifica]aiuterebbe. La comunanza degli interessi vi moverebbe. Il fatto della confederazione precederebbe i patti. — Il solo ostacolo è la potenza straniera. Ciò è chiaro, patente, saputo da tutti, è una di quelle verità volgarissime e di senso comune, delle quali avendo io già dette ed essendo per dire parecchie, mi vergognerei di farne un libro; se non che, elle sono quelle appunto le quali meno splendide, si sogliono scriver meno, e le quali tuttavia gioverebbe più spandere e far penetrare nella politica di qualsivoglia nazione, in quella sopratutto della più immaginosa fra le nazioni.


Note

  1. Ho introdotta qui nel testo una giusta correzione fattami del mio traduttore in Francese (Paris, Didot, 1844). E da una statistica del 1839 da lui recata (ivi, p. 92), e da altri dati più recenti partecipatimi gentilmente da uno scrittore Italiano di queste cose, traggo poi il seguente specchio approssimativo della popolazione di varii Stati Italiani, nel quale trascuro (come mi par si debba) le cinque ultime cifre, e così le poche migliaia d’abitanti di Monaco e San Marino; ed ometto le popolazioni Italiane della Corsica, della Svizzera, del Tirolo, delle provincie Illiriche, e delle Isole Jonie.
    Principati Italiani.
    Regno delle Due Sicilie 8,000,000
    Regno di Casa Savoia 5,000,000
    Stati del Papa 2,700,000
    Toscana, compresa Lucca 1,700,000
    Parma 500,000
    Modena 400,000
    Totale 18,300,000
    Provincia straniera.
    Regno Lombardo Veneto 4,700,000
    Totale generale 23,000,000

    Nota della seconda edizione.