Delle Antiche carceri di Firenze denominate delle Stinche/Parte prima/Capitolo V

Capitolo V

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CAPITOLO V.

Delle Dipinture de’ due Tabernacoli, che esistevano sugli angoli del lato principale di queste Carceri.



Nell’anno 1616 fu dato principio alla costruzione di un nuovo Tabernacolo in sull’angolo appunto del muro delle Stinche, dalla parte di verso Badia, per accompagnatura dell’altro antichissimo, che stava nell’angolo opposto, cioè dalla parte del Canto agli Aranci, e che fu demolito per la ragione che diremo più sotto. Dovendosi poi fare per entro i medesimi Tabernacoli la pittura a fresco, ne fu data l’incombensa a Giovanni da S. Giovanni celebre pittore1, [p. 24 modifica]il quale nell’ultimo edificato, e che esiste anche al presente, rappresentò la ferrata d’una carcere ed [p. 25 modifica]un venerando vecchio2, vestito in abito senatorio in atto di porger limosina a’ carcerati, mentre Gesù Cristo nostro Signore, che è figurato presente ed in istato glorioso, colla venerabil sua mano benedice quella elemosina. In aria vedonsi alcuni Angioletti che osservano quella pia azione; e nella parte di questa bella storia, che risponde più vicina all’occhio, vedesi un uomo in piedi, civilmente vestito, in positura grave e in atto di guardare chi lo mira, e questo è il ritratto al naturale e bellissimo dello stesso pittore. Nelle bande di fuori del Tabernacolo sono due figure di Sante.

Prima di far la descrizione di quello che Giovanni dipinse nell’altro Tabernacolo che restava, come dissi dalla parte del Canto agli Aranci, è da sapersi, per la maggiore intelligenza di esso, che era antica usanza del Magistrato de’ Buonuomini delle Stinche nelle tre Solennità del Natale, della Resurrezione e di S. Giovan Batista, il liberare molti prigioni per debito, e tanto questi che quelli de’ Buonuomini di S. Buonaventura unire nello stesso luogo delle Stinche, e quindi mandarli a offerta con rami d’olivo in mano, alla Chiesa di S. Giovanni. Quelli poi che tal benefizio conseguivano nella Pasqua dì Resurrezione, da S. Giovanni tornavansene al Palazzo del Bargello, e da’ Buonuomini di S. Bonaventura erano pure processionalmente [p. 26 modifica]accompagnati alla Chiesa di S. Croce, ove con danari che si davano loro per carità, venivano lasciati liberi e spediti.

Avendo dunque Giovanni fatto vedere in uno de’ Tabernacoli l’atto di carità del visitare e sovvenire i miseri nel luogo di loro infortunio, volle rappresentar nell’altro l’ultimo termine della carità stessa, che è il torgli affatto da tale infelicità. Questo pertanto era l’argomento di quella bellissima dipintura a fresco, la quale sappiamo dal Baldinucci, che fino da un secolo e mezzo fa, era molto guasta e quasi ridotta al suo termine, per colpa degli anni e dei venti, che quivi molto possono. Non è quindi da farsi meraviglia, se questo Tabernacolo, essendo tutto lacero e guasto, venisse, or son press’a cinquant’anni, demolito3.

Note

  1. Di questo brav’uomo, tanto valente nell’arte della Pittura, quanto pronto ai motteggi, e sagace nel far delle burle, non sarà forse discaro ai miei lettori l’udire un aneddoto molto bizzarro, il quale riporterò colle parole istesse di Filippo Baldinucci nella Vita di quel celebre Dipintore da lui descritta.
    «Crescendo Giovanni ogni dì più in posto di molto concetto appresso l’Altezza del Granduca Cosimo II, ne godè fin ch’ei visse la protezione con segni di non ordinario amore; ed una volta fra l’altre ebbe a dirgli queste parole: — Giovanni, vi vogliamo bene, e vi faremo servizio, ma voi nulla mai ci chiedete. — Ed egli al Granduca: — Se Vostra Altezza desidera di farmi grazia, una glie ne chiederò, ed è questa. Io ebbi fin da bambino gran piacere dell’andare colla civetta, e tale quale io son ora, quando dò riposo ai pennelli, e che il tempo lo concede, non lascio di andare or qua, or là; ma le gite son lunghe, e le prede sono scarse: vorrei però che Vostra Altezza me ne concedesse la licenza per la bandita delle Cascine. — Molto poco chiedete, — disse il Granduca, e non ebbe appena egli parlato, che furono dati gli ordini per tale facoltà; e Giovanni non prima l’ebbe avuta, che incominciò a valersene. Accaddegli una mattina l’esservi trovato da una squadra di birri, che messolo in mezzo (solita usanza di quella gente) gli dimandarono, chi il faceva andare a civetta in quel luogo. — Le mie gambe, rispose, e il sapere che qui sono più pettirossi che altrove. — Ma sapete voi, disser coloro, che qui è bandita? — Io non so tante cose, riprese Giovanni, e penso che il mondo sia fatto per tutti. — Or sappiate, dissero i birri, che questo è un di quei luoghi del mondo, che non è per tutti; però venitevene con esso noi.— Lo presero, lo legarono, e poi per la porta a S. Piergattolini, corteggiato da gran comitiva di ragazzi e da ogni sorta di persone, che bene il conoscevano per aver egli operato presso a quella porta, ed anche per avere sua abitazione in quella contrada, conducevanlo alle carceri del bargello. Giunse in Mercato nuovo nell’ora appunto dello spasseggiare che fannovi i Negozianti e i Cavalieri; onde alcuni di loro suoi conoscenti ed amici, lasciati i negozi, s’accostarono a lui, e con gran pena domandarongli di quel successo. Rispose un di coloro: che per averlo trovato a civettare nelle Cascine senza licenza. — Come senza licenza? disse Giovanni; la licenza io l’ho bella e buona; — e messa, come ei potè il meglio, la mano alla tasca, fecela loro vedere. — O perchè non ce la mostraste voi quando vi pigliammo? dissero i birri. — Oh ve lo dirò io, disse Giovanni a voce alta, perchè se io ve l’avessi mostrata allora, voi non avreste avuta la fischiata in Mercato nuovo, che v’avrete adesso.— E tanto bastò, come noi dir sogliamo, per dar le mosse a’ tremoti, perchè in un subito e dalle Loggie di Mercato nuovo e dalle botteghe da tutta la strada si sentì un rumore di fischiate contro la persona de’ birri, che mai il maggiore; e Giovanni posto in libertà se n’andò a godersi la burla fatta, sotto le loggie con quei gentiluomini, mentre i birri svergognati e confusi dieder volta addietro».
  2. Dal Cinelli nelle Bellezze di Firenze pag. 392, sappiamo che questo è il ritratto del Senatore Girolamo Morelli.
  3. Firenze antica e moderna, vol. VI, pag. 133.