Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro sesto – Cap. VIII

Libro sesto – Cap. VIII

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De la vite, et de suoi pani: in che modo i pesi si tirino, si portino, et si spinghino.

cap. viii.


N
Oi habbiamo trattato de la ruota, de le taglie, et de le manovelle: da quì innanzi voglio che tu sappia che la vite è fatta quasi di cerchi come anelli, i quali veramente son quelli, che pigliano sopra di loro a reggere il peso: se questi piani, o anegli fussino intieri, et non tagliati, in modo che la fine de l’uno non fusse il principio de lo altro, certamente che il peso, che reggerebbono, se bene e’ si movesse, non anderebbe mai nè in su, nè in giu, ma andrebbe atorno ugualmente secondo lo andare del pane: è forzato adunque il peso ad andar in su, o in giu da la forza de le manovelle giu per i pani de le viti. Di nuovo se questi pani fussino piccoli, et si avvicinassino al centro quanto più potessino, certo che con più piccola manovella, et con [p. 145 modifica]minori forze moveresti i pesi. Non tacerò quì di dire quel che certo non pensai d’havere a raccontare, cioè che se tu ti ordinerai di maniera che il fondo di qual si voglia peso da moversi, non sia (per quanto però potrà la mano, o l’arte del maestro) più largo che un punto, et che si muova talmente su per un piano, stabile et sodo, che nel muoversi non faccia solco alcuno in detto piano, io ti prometto che tu moverai la Nave d’Archimede, et ti riuscirà qual tu ti voglia cosa simile a queste. Ma di loro ne tratteremo altrove. Qual s’è l’una di per se di queste cose, che noi habbian dette, è molto gagliarda a mover pesi, ma se elle s’accozzeranno tutte insieme, saranno gagliardissime. Ne la Magna troverai tu in molti luoghi la gioventù scherzare su per il diaccio con certi zoccoli ferrati, che di sotto sono sottilissimi, i quali poi che si muovono non altrimenti che un leggiere pesce, sdrucciolano sopra il diaccio con tanta velocità, che non sopportano d’esser superati dal volo di qual si voglia veloce uccello. Ma conciosia che i pesi o e’ si tirino, o e’ si spinghino, o e’ si portino, diremo, che e’ si tirano con le funi, si spingono con le stanghe, et si portano con le ruote, et con simili instrumenti; et in qual modo ci possiamo servire a un tratto di tutte queste cose insieme, è manifesto. Ma in tutti questi si fatti modi, bisogna che ci sia una qualche cosa, che stando ferma, et immobile, serva a far muovere l’altre cose. Se il peso si harà a tirare, bisogna che vi sia un’altro peso maggiore, al quale si leghino gli instrumenti, che tu harai ad adoperare, et se tu non harai tal peso, metterai un palo di ferro di tre cubiti gagliardo, ben adentro nel terreno ben pillato, o fermatolo con tronconi attraversati: Dipoi lega a la testa del palo, i che esce fuori del terreno, le taglie, et gli argani: Et se il terreno sarà renoso, distendavisi travi lunghe sopra de le quali si tiri il peso, e a le teste de le travi ad un buon chiodo leghinsi i vostri instrumenti. Io dirò cosa che gli inesperti non l’acconsentiranno, fino a tanto che non habbino inteso il caso come egli sia, cioè, che per un piano si tirano più commodamente duoi pesi che uno; et questo si farà in questo modo: Mosso il primo peso insino a la fine de la travata che egli harà sotto, lo fermerò con biette, et conii, in maniera che non si muova di niente, et vi appiccherò, o legherò lo instrumento con il quale harò a tirar l’altro peso, di maniera che su per un medesimo piano averrà che il peso mobile, da lo altro a lui uguale, ma che starà fermo, sarà vinto, et tirato. Se il peso si harà a tirare ad alto, ci serviremo molto accommodatamente d’una trave sola, o vero d’uno albero di Nave, ma gagliardo: Rizzando questo albero lo fermeremo da piede a un palo, o con qualche altra cosa stabile tu ti voglia: Da la testa da capo si leghino non meno che tre canapi, l’uno che serva da destra, et l’altro da sinistra, per venti, et l’ultimo, che venga giù per lo albero disteso. Dipoi alquanto discosto dal piè de lo albero si fermino le taglie, et l’argano in terra, et messo questo canapo ne le taglie, correrà per esse, et mentre che ei correrà, tirerà seco la testa de lo albero che è su alta. Ma noi da l’una parte, et da l’altra con que’ duoi venti, quasi che come con dua redini lo modereremo, di maniera che egli stia quanto noi vogliamo ritto, et che e’ penda da quella parte, che più bisogna, per collocare il peso nel destinato luogo. Questi duoi venti da gli lati, se tu non harai pesi maggiori a chi tu gli possa accommandare, fermerali in questa maniera: Cavisi nel terreno una fossa quadrata, et mettasi nel fondo a giacere uno troncone al quale si leghino uno, o più laci, che venghino ad avanzare sopra il terreno; sopra il troncone poi si distendino assi a traverso, dipoi si riempia la fossa di terreno, et si pilli, et mazzapicchi forte, et bagnandola diventerà più grave. L’altre cose tutte si faccino in quel modo, che dicemmo del piano da tirarvi sopra i pesi; percioche a la testa de la trave, et al peso ancora bisogna legare le loro taglie, et appresso al piè de la trave bisogna fermare lo [p. 146 modifica]argano, o qual altro instrumento tu voglia, che habbia forza di manovelle. In tutte queste cosi fatte cose, per metterle in opera, bisogna avvertire nel muovere i pesi grandissimi, che tutti quelli mezi, che s’hanno ad adoperare, non sieno troppo piccoli, et che non ci serviamo di lunghezza debole ne le funi, et ne li stili, et in qualunche mezo, che noi useremo per muovere; Percioche egli hanno del debole, conciosia che la lunghezza di sua natura è certamente congiunta con la sottigliezza; Et per il contrario le cose corte hanno del grosso. Se le funi saranno sottili, raddoppinsi ne le carrucole; se elle saranno troppo grosse, bisogna trovare carrucole più grosse, accioche ne le carrucole strette le funi non si taglino. I perni de le carrucole vogliono essere di ferro, non meno grossi che la sesta parte del mezo diametro de la sua carrucola, ne anco più che la ottava parte di tutto il diametro: le funi bagnate sono più sicure da lo abbruciarsi, il che per il soffregarsi, et muoversi talvolta avviene, e sono più atte a fare girare le carrucole, e meno sgusciano, et è meglio bagnarle con aceto, che con acqua, e se pure con acqua, quella di Mare, è la migliore: se elle si bagnano con acqua dolce, et stiano al Sole caldissimo, si infracidano presto: avvolgere le funi insieme è molto più sicuro, che annodarle: sopra tutto bisogna havere cura che una fune non seghi l’altra. Gli Antichi usavano un regolo di ferro, al quale egli accomandavano le prime legature de le funi, et de le taglie, e nel pigliare un peso, et massimo di Pietra, usavano una forbicia di ferro. La forma di essa forbicia, o tanaglia era cavata da la lettera X, che con i rampi di sotto, era volta a l’indentro con i quali quasi come un granchio strignessero mordendo il peso. I duoi rampi di sopra erano bucati, et per essi buchi messavi una fune, et fattovi una legatura strigneva il tratto di essa forbicia, o tanaglia (Tav. 15. A). Io ho visto ne le gran Pietre, et massimo ne le colonne, ancora che elle fussino finite del tutto, lasciativi certi dadotti, che escono in fuora, quasi come manichi, a li quali si legassino le legature acciò non iscorressino: usasi, et massimo a le cornici, di fare certe buche ne le Pietre, da mettervi le ulivelle, che si fanno in questo modo: faccisi una buca ne la Pietra a similitudine d’una scarsella vota, grande secondo la grandezza de la Pietra, che sia stretta in bocca, et larga nel fondo. Io ho vedute buche di ulivelle fonde un piede. Empionsi questi di conii di ferro (Tav. 15. B) i duoi de quali da gli lati son fatti a somiglianza de la lettera D, questi si mettono i primi per empiere i fianchi de la buca, et il conio del mezo, poi si mette l’ultimo infra l’uno, et l’altro. Hanno tutt’a tre questi conii i loro orecchi che avanzano fuori del pari forati, nel qual foro si mette un perno di ferro, che piglia con loro insieme un manico che avanza fuori, al quale si lega la fune che corre per le taglie che l’ha a tirare. Io lego in questo modo le colonne, et gli stipiti de le porte, et simili Pietre che si hanno a posare per dovere rimanere ritte. Io ho fatto fare o di legno, o di ferro una cintura gagliarda secondo la grandezza del peso, con la quale ho cinto intorno in luogo accommodato la colonna, o altra Pietra, et con certi conietti sottili et lunghi dandoli col martello leggiermente, l’ho serrata, et ferma, dipoi ho aggiunto a detta cintura una legatura di fune come una braca, et in questo modo non ho offeso nè la Pietra con ferrarvi dentro ulivelle, nè dato danno a canti vivi de li stipiti, o simili con cignerli di funi; Oltre a che questo modo di legare è il più spedito, il più atto, et il più fidato di tutti gli altri. Racconteremo più distesamente altrove molte cose che a ciò si aspettano. Ma hora bisogna solamente trattare, che gli strumenti sono quasi come corpi animati, et che hanno mani molto gagliarde, et che e’ muovono i pesi non altrimenti, che noi huomini ci facciamo con le mani. Et per tanto que’ medesimi distendimenti di membra, et di nervi, che noi usiamo nel rilassare, spignere, raccorre et transferire, quelli stessi bisogna che noi imitiamo ne le machine. Una [p. 147 modifica]cosa ti vo ricordare che e sarà bene, che quando tu harai a movere in qual si voglia modo, qualche smisurato peso, che tu vi ti metta sensatamente, cautamente, et con maturo consiglio, rispetto a varii incerti et inrecuperabili accidenti et pericoli, che in cosi fatte facende, fuor d’ogni oppenione sogliono avvenire, ancora a più pratichi, perche e’ non te ne succederà mai tanta gran lode, ne gloria d ingegno, se ti riuscirà bene quel che tu ti sarai messo a fare, che e’ non sia molto maggiore il biasimo, et l’odio de la tua temeraria pazzia, quando il fatto non ti riesca. Di questi sia detto a bastanza, torniamo a gli intonichi.