Dell'arte della guerra/Libro secondo

Libro secondo

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DELL’ARTE


DELLA GUERRA


DI NICCOLÒ MACHIAVELLI




LIBRO SECONDO


I
O credo che sia necessario, trovati che sono gli uomini, armargli; e volendo fare questo, credo sia cosa necessaria esaminare che arme usavano gli antichi, e di quelle eleggere le migliori. I Romani dividevano le loro fanterie in gravemente e leggermente armate. Quelle dell’armi leggieri chiamavano con uno vocabolo Veliti. Sotto questo nome s’intendevano tutti quegli che traevano con la fromba, con la balestra, co’ dardi; e portavano la maggior parte di loro, per loro difesa, coperto il capo e come una rotella in braccio. Combattevano costoro fuora degli ordini e discosti alla grave armadura; la quale era una celata che veniva infino in sulle spalle, una corazza che con le sue falde perveniva infino alle ginocchia; e avevano le gambe e le braccia coperte dagli stinieri e da’ bracciali, con uno scudo imbracciato lungo due braccia e largo uno, il quale aveva un cerchio di ferro di sopra, per potere sostenere il colpo, e un altro di sotto, [p. 218 modifica]acciocchè, in terra stropicciandosi, non si consumasse. Per offendere avevano cinta una spada in sul fianco sinistro lunga uno braccio e mezzo, in sul fianco destro uno stiletto. Avevano uno dardo in mano, il quale chiamavono pilo, e nello appiccare la zuffa lo lanciavano al nimico. Questa era la importanza delle armi Romane, con le quali eglino occuparono tutto il mondo. E benchè alcuni di questi antichi scrittori dieno loro, oltre alle predette armi, un’asta in mano in modo che uno spiede, io non so come un’asta grave si possa da chi tiene lo scudo adoperare; perchè, a maneggiarla con due mani, lo scudo lo impedisce, con una, non può fare cosa buona per la gravezza sua. Oltre a questo, combattere nelle frotte e negli ordini con l’arme in asta è inutile, eccetto che nella prima fronte dove si ha lo spazio libero a potere spiegare tutta l’asta; il che negli ordini dentro non si può fare, perchè la natura delle battaglie, come nello ordine di quelle vi dirò, è continuamente ristringersi; perchè si teme meno questo, ancora che sia inconveniente, che il rallargarsi, dove è il pericolo evidentissimo. Talchè tutte le armi che passano di lunghezza due braccia, nelle stretture sono inutili; perchè se voi avete l’asta e vogliate adoperarla a due mani, posto che lo scudo non vi noiasse, non potete offendere con quella uno nimico che vi sia addosso. Se voi la prendete con una mano, per servirvi dello scudo, non la potendo pigliare se non nel mezzo, vi avanza tanta asta dalla parte di dietro, che quelli che vi sono di dietro v’impediscono a maneggiarla. E che sia vero, o che i Romani non avessono queste aste, o che, avendole, se ne valessono poco, leggete tutte le giornate nella sua istoria da Tito Livio celebrate, e vedrete, in quelle radissime volte essere fatta menzione delle aste; anzi sempre dice che, lanciati i pili, ei mettevano mano alla spada. Però io voglio lasciare queste aste, ed attenermi, quanto a’ Romani, alla spada per offesa, e per difesa allo scudo con l’altre [p. 219 modifica]armi sopradette. I Greci non armavono sì gravemente per difesa come i Romani, ma, per offesa si fondavono più in sull’asta che in sulla spada, e massime le falangi di Macedonia, le quali portavano aste che chiamavono sarisse, lunghe bene dieci braccia, con le quali eglino aprivono le stiere nimiche e tenevano gli ordini nelle loro falangi. E benchè alcuni scrittori dicono ch’egli avevano ancora lo scudo, non so, per le ragioni dette di sopra, come e’ potevano stare insieme le sarisse e quegli. Oltre a questo, nella giornata che fece Paulo Emilio con Persa re di Macedonia, non mi ricorda che vi sia fatta menzione di scudi, ma solo delle sarisse e delle difficultà che ebbe lo esercito Romano a vincerle. In modo che io conietturo, che non altrimenti fusse una falange macedonica, che si sia oggi una battaglia di Svizzeri, i quali hanno nelle picche tutto lo sforzo e tutta la potenza loro. Ornavano i Romani oltre alle armi le fanterie con pennacchi; le quali cose fanno l’aspetto d’uno esercito agli amici bello, a’ nimici terribile. l’armi degli uomini a cavallo in quella prima antichità Romana erano uno scudo tondo, ed avevano coperto il capo, ed il resto era disarmato. Avevano la spada, ed un’asta con il ferro solamente dinanzi, lunga e sottile, donde venivano a non potere fermare lo scudo; e l’asta nello agitarsi si fiaccava, ed essi, per essere disarmati, erano esposti alle ferite. Dipoi con il tempo si armarono come i fanti; ma avevano lo scudo più breve e quadrato e l’asta più ferma e con due ferri, acciocchè, scollandosi da una parte, si potessero valere dell’altra. Con queste armi, così di piede come di cavallo, occuparono i miei Romani tutto il mondo; ed è credibile, per il frutto che se ne vide, che fussono i meglio armati eserciti che fussero mai. E Tito Livio nelle sue istorie ne fa fede assai volte dove, venendo in comparazione degli eserciti nimici, dice: Ma i Romani per virtù, per generazione di armi e disciplina erano [p. 220 modifica]superiori. E però io ho più particolarmente ragionato dell’armi de’ vincitori, che de’ vinti. Parmi bene solo a ragionare del modo dello armare presente. Hanno i fanti, per loro difesa, uno petto di ferro e, per offesa, una lancia nove braccia lunga, la quale chiamano picca, con una spada al fianco piuttosto tonda nella punta che acuta. Questo è l’armare ordinario delle fanterie d’oggi, perchè pochi ne sono che abbiano armate le stiene e le braccia, niuno il capo; e quelli pochi portano in cambio di picca un’alabarda, l’asta della quale, come sapete, è lunga tre braccia e ha il ferro ritratto come una scure. Hanno tra loro scoppiettieri, i quali, con lo impeto del fuoco, fanno quello ufficio che facevano anticamente i funditori e i balestrieri. Questo modo dello armare fu trovato da’ populi Tedeschi e massime dai Svizzeri; i quali, sendo poveri e volendo vivere liberi, erano e sono necessitati combattere con la ambizione de’ principi della Magna; i quali, per essere ricchi, potevano nutrire cavalli, il che non potevano fare quelli popoli per la povertà; onde ne nacque che, essendo a piè e volendosi difendere da’ nimici che erano a cavallo, convenne loro ricercare degli antichi ordini e trovare arme che dalla furia de’ cavalli gli difendesse. Questa necessità ha fatto o mantenere o ritrovare a costoro gli antichi ordini, senza quali, come ciascuno prudente afferma, la fanteria è al tutto inutile. Presono pertanto per arme le picche, arme utilissima non solamente a sostenere i cavalli, ma a vincergli. E hanno per virtù di queste armi e di questi ordini presa i Tedeschi tanta audacia, che quindici o ventimila di loro assalterebbero ogni gran numero di cavalli; e di questo da venticinque anni in qua se ne sono vedute esperienze assai. E sono stati tanto possenti gli esempli della virtù loro fondati in su queste armi e questi ordini, che poi che il re Carlo passò in Italia, ogni nazione gli [p. 221 modifica]ha imitati; tantochè gli eserciti Spagnuoli sono divenuti in una grandissima reputazione.

Cosimo. Quale modo di armare lodate voi più, o questo Tedesco o, l’antico Romano?

Fabrizio. Il Romano senza dubbio; e dirovvi il bene e il male dell’uno e dell’altro. I fanti Tedeschi così armati possono sostenere e vincere i cavalli; sono più espediti al cammino e all’ordinarsi, per non essere carichi d’armi. Dall’altra parte sono esposti a tutti i colpi, e discosto e d’appresso, per essere disarmati; sono inutili alle battaglie delle terre e ad ogni zuffa dove sia gagliarda resistenza. Ma i Romani sostenevano e vincevano i cavalli, come questi; erano sicuri da’ colpi da presso e di lontano, per essere coperti d’armi; potevano meglio urtare e meglio sostenere gli urti, avendo gli scudi; potevano più attamente nelle presse valersi con la spada che questi con la picca; e se ancora hanno la spada, per essere senza lo scudo, ella diventa in tale caso inutile. Potevano sicuramente assaltare le terre, avendo il capo coperto e potendoselo meglio coprire con lo scudo. Talmente che ei non avevano altra incommodità che la gravezza dell’armi e la noia dello averle a condurre; le quali cose essi superavano coll’avvezzare il corpo a’ disagi e con indurirlo a potere durare fatica. E voi sapete come nelle cose consuete gli uomini non patiscono. E avete ad intendere questo: che le fanterie possono avere a combattere con fanti e con cavalli, e sempre fieno inutili quelle che non potranno o sostenere i cavalli, o, potendoli sostenere, abbiano nondimeno ad avere paura di fanterie che sieno meglio armate e meglio ordinate che loro. Ora se voi considererete la fanteria Tedesca e la Romana, voi troverrete nella Tedesca attitudine, come abbiamo detto, a vincere i cavalli, ma disavvantaggio grande quando combatte con una fanteria ordinata come loro e armata come la Romana. Tale che vi sarà questo vantaggio dall’una all’altra: che i [p. 222 modifica]Romani potranno superare i fanti e i cavalli, i Tedeschi solo i cavalli.

Cosimo. Io disidererei che voi venissi a qualche esempio più particolare, acciocchè noi lo intendessimo meglio.

Fabrizio. Dico così: che voi troverrete, in molti luoghi delle istorie nostre, le fanterie Romane avere vinti innumerabili cavalli, e mai troverrete ch’elle sieno state vinte da uomini a piè, per difetto ch’ell’abbiano avuto nell’armare, o per vantaggio che abbia avuto il nimico nell’armi. Perchè, se il modo delloro armare avesse avuto difetto, egli era necessario che seguisse l’una delle due cose: o che, trovando chi armasse meglio di loro, ei non andassono più avanti con gli acquisti, o che pigliassero de’ modi forestieri e lasciassero i loro. E perchè non seguì nè l’una cosa nè l’altra, ne nasce che si può facilmente conietturare che il modo dell’armare loro fusse migliore che quello di alcuno altro. Non è già così intervenuto alle fanterie Tedesche, perchè si è visto fare loro cattiva pruova qualunque volta quelle hanno avuto a combattere con uomini a piè, ordinati e ostinati come loro; il che è nato dal vantaggio che quelle hanno riscontro nelle armi nimiche. Filippo Visconti, duca di Milano, essendo assaltato da diciottomila Svizzeri, mandò loro incontro il conte Carmignuola, il quale allora era suo capitano. Costui con seimila cavalli e pochi fanti, gli andò a trovare, e, venendo con loro alle mani, fu ributtato con suo danno gravissimo. Donde il Carmignuola, come uomo prudente, subito conobbe la potenza dell’armi nimiche, e quanto contro a’ cavalli le prevalevano, e la debolezza de’ cavalli contro a quegli a piè così ordinati; e rimesso insieme le sue genti, andò a ritrovare i Svizzeri e, come fu loro propinquo, fece scendere da cavallo le sue genti d’armi; e in tale maniera combattendo con quegli, tutti, fuora che tremila, gli ammazzò; i quali, veggendosi consumare senza avere rimedio, gittate l’armi in terra, si arrenderono. [p. 223 modifica]

Cosimo. Donde nasce tanto disavvantaggio?

Fabrizio. Io ve l’ho poco fa detto; ma poichè voi non l’avete inteso, io ve lo replicherò. Le fanterie Tedesche, come poco fa vi si disse, quasi disarmate per difendersi, hanno, per offendere, la picca e la spada. Vengono con queste armi e con gli loro ordini a trovare il nimico, il quale, se è bene armato per difendersi, come erano gli uomini d’arme del Carmignuola che gli fece scendere a piè, viene con la spada e ne’ suoi ordini a trovargli; e non ha altra difficultà che accostarsi a’ Svizzeri tantochè gli aggiunga con la spada; perchè, come gli ha aggiunti, li combatte sicuramente, perchè il Tedesco non può dare con la picca al nimico che gli è presso per la lunghezza dell’asta, e gli conviene mettere mano alla spada, la quale è a lui inutile, sendo egli disarmato e avendo all’incontro uno nimico che sia tutto armato. Donde chi considera il vantaggio e il disavvantaggio dell’uno e dell’altro, vedrà come il disarmato non vi arà rimedio veruno; e il vincere la prima punga e passare le prime punte delle picche non è molta difficultà, sendo bene armato chi le combatte; perchè le battaglie vanno, come voi intenderete meglio, quando io vi arò dimostro com’elle si mettono insieme, e, andando, di necessità si accostano in modo l’una all’altra, ch’elle si pigliano per il petto; e se dalle picche ne è alcuno morto o gittato per terra, quegli che rimangono in piè sono tanti che bastano alla vittoria. Di qui nacque che il Carmignuola vinse con tanta strage de’ Svizzeri e con poca perdita de’ suoi.

Cosimo. Considerate che quegli del Carmignuola furono uomini d’arme, i quali, benchè fussero a piè, erano coperti tutti di ferro, e però poterono fare la pruova che fecero; sì che io mi penso che bisognasse armare una fanteria come loro, volendo fare la medesima pruova.

Fabrizio. Se voi vi ricordassi come io dissi che i [p. 224 modifica]Romani armavano, voi non pensereste a cotesto, perchè uno fante che abbia il capo coperto dal ferro, il petto difeso dalla corazza e dallo scudo, le gambe e le braccia armate, è molto più atto a difendersi dalle picche ed entrare tra loro, che non è uno uomo d’arme a piè. Io ne voglio dare un poco di esemplo moderno. Erano scese di Sicilia nel Regno di Napoli fanterie Spagnuole, per andare a trovare Consalvo, che era assediato in Barletta da’ Francesi. Fecesi loro incontro monsignore d’Ubignì con le sue genti d’arme e con circa quattromila fanti Tedeschi. Vennero alle mani i Tedeschi. Con le loro picche basse apersero le fanterie Spagnuole, ma quelle, aiutate da’ loro brocchieri e dall’agilità del corpo loro, si mescolarono con i Tedeschi, tantochè gli poterono aggiugnere con la spada; donde ne nacque la morte, quasi, di tutti quegli e la vittoria degli Spagnuoli. Ciascuno sa quanti fanti Tedeschi morirono nella giornata di Ravenna; il che nacque dalle medesime cagioni: perchè le fanterie Spagnuole si accostarono al tiro della spada alle fanterie Tedesche, e le avrebbero consumate tutte, se da’ cavalli Francesi non fussero i fanti Tedeschi stati soccorsi; nondimeno gli Spagnuoli, stretti insieme, si ridussero in luogo sicuro. Concludo, adunque, che una buona fanteria dee non solamente potere sostenere i cavalli, ma non avere paura de’ fanti; il che, come ho molte volte detto procede dall’armi e dall’ordine.

Cosimo. Dite, pertanto, come voi l’armereste.

Fabrizio. Prenderei delle armi Romane e delle Tedesche, e vorrei che la metà fussero armati come i Romani e l’altra metà come i Tedeschi. Perchè, se in seimila fanti, come io vi dirò poco dipoi, io avessi tremila fanti con gli scudi alla Romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla Tedesca, mi basterebbono; perchè io porrei le picche o nella fronte delle battaglie, o dove io temessi più de’ cavalli; e di quelli dello scudo [p. 225 modifica]e della spada mi servirei per fare spalle alle picche, e per vincere la giornata, come io vi mostrerò. Tantochè io crederei che una fanteria così ordinata superasse oggi ogni altra fanteria.

Cosimo. Questo che è detto ci basta quanto alle fanterie, ma quanto a’ cavalli disideriamo intendere quale vi pare più gagliardo armare, o il nostro o l’antico?

Fabrizio. Io credo che in questi tempi, rispetto alle selle arcionate e alle staffe non usate dagli antichi, si stia più gagliardamente a cavallo che allora. Credo che si armi anche più sicuro, tale che oggi uno squadrone di uomini d’arme, pesando assai, viene ad essere con più difficultà sostenuto che non erano gli antichi cavalli. Con tutto questo, nondimeno, io giudico che non si debba tenere più conto de’ cavalli, che anticamente se ne tenesse; perchè, come di sopra si è detto, molte volte ne’ tempi nostri hanno con i fanti ricevuta vergogna, e la riceveranno, sempre che riscontrino una fanteria armata e ordinata come di sopra. Aveva Tigrane, re d’Armenia, contro allo esercito Romano del quale era capitano Lucullo, cento cinquantamila cavalli, tra li quali erano molti armati come gli uomini d’arme nostri, i quali chiamavano catafratti; e dall’altra parte i Romani non aggiugnevano a seimila, con venticinquemila fanti, tantochè Tigrane, veggendo l’esercito de’ nimici disse: Questi sono cavalli assai per un’ambasceria; nondimeno, venuto alle mani, fu rotto. E chi scrive quella zuffa vilipende quelli catafratti mostrandogli inutili, perchè dice che, per avere coperto il viso, erano poco atti a vedere e offendere il nimico e, per essere aggravati dall’armi, non potevano, cadendo, rizzarsi nè della persona loro in alcuna maniera valersi. Dico, pertanto, che quegli popoli, o regni, che istimeranno più la cavalleria che la fanteria, sempre fieno deboli ed esposti a ogni rovina, come si è veduta l’Italia ne’ tempi nostri; la quale è stata [p. 226 modifica]predata, rovinata e corsa da’ forestieri, non per altro peccato che per avere tenuta poca cura della milizia di piè, ed essersi ridotti i soldati suoi tutti a cavallo. Debbesi bene avere de’ cavalli, ma per secondo e non per primo fondamento dello esercito suo; perchè, a fare scoperte, a correre e guastare il paese nimico, a tenere tribolato e infestato l’esercito di quello e in sull’armi sempre, a impedirgli le vettovaglie, sono necessarj e utilissimi; ma, quanto alle giornate e alle zuffe campali che sono la importanza della guerra e il fine a che si ordinano gli eserciti, sono più utili a seguire il nimico, rotto ch’egli è, che a fare alcuna altra cosa che in quelle si operi, e sono alla virtù del peditato assai inferiori.

Cosimo. E’ mi occororno due dubitazioni; l’una, che io so che i Parti non operavano in guerra altro che i cavalli, e pure si divisono il mondo con i Romani; l’altra, che io vorrei che voi mi dicestecome la cavalleria puote essere sostenuta da’ fanti, e donde nasca la virtù di questi e la debolezza di quella.

Fabrizio. O io vi ho detto, o io vi ho voluto dire, come il ragionamento mio delle cose della guerra non ha a passare i termini d’Europa. Quando così sia, io non vi sono obligato a rendere ragione di quello che si è costumato in Asia. Pure io v’ho a dire questo: che la milizia de’ Parti era al tutto contraria a quella de’ Romani, perchè i Parti militavano tutti a cavallo e, nel combattere, procedevano confusi e rotti ed era uno modo di combattere instabile e pieno di incertitudine. I Romani erano, si può dire, quasi tutti a piè e combattevano stretti insieme e saldi; e vinsono variamente l’uno l’altro secondo il sito largo o stretto; perchè, in questo, i Romani erano superiori, in quello, i Parti; i quali poterono fare gran pruove con quella milizia, rispetto alla regione che loro avevano a difendere; la quale era larghissima, perchè ha le marine lontane mille miglia, i fiumi l’uno dall’altro due o tre giornate, e [p. 227 modifica]le terre medesimamente e gli abitatori radi; dimodochè un esercito Romano, grave e tardo per l’armi e per l’ordine, non poteva cavalcarlo senza suo grave danno, per esser chi lo difendeva a cavallo ed espeditissimo, in modochè egli era oggi in uno luogo, e domani discosto cinquanta miglia. Di quì nacque, che i Parti poterono prevalersi con la cavalleria solo, e la rovina dell’esercito di Crasso, e li pericoli di quello di Marcantonio. Ma io come vi ho detto, non intendo in questo mio ragionamento parlare della milizia fuori d’Europa, però voglio star in su quello che ordinarono già i Romani e i Greci, ed oggi fanno i Tedeschi. Ma vegniamo all’altra domanda vostra, dove voi desiderate intendere quale ordine o quale virtù naturale fa che i fanti superano la cavalleria. E vi dico in prima, come i cavalli non possono andare, come i fanti, in ogni luogo. Sono più tardi ad ubbidire, quando occorre variare l’ordine, che i fanti; perchè s’egli è bisogno, o andando avanti tornare indietro, o tornando indietro andare avanti, o muoversi stando fermi, o andando fermarsi, senza dubbio non lo possono così appunto fare i cavalli come i fanti. Non possono i cavalli, sendo da qualche impeto disordinati, ritornare negli ordini, se non con difficoltà, ancorchè quello impeto manchi; il che rarissimo fanno i fanti. Occorre oltre a questo, molte volte, che uno uomo animoso sarà sopra uno cavallo vile e uno vile sopra uno animoso; donde conviene che queste disparità d’animo faccino disordine. Nè alcuno si maravigli, che un nodo di fanti sostenga ogni impeto di cavalli; perchè il cavallo è animale sensato, e conosce i pericoli, e mal volentieri vi entra. E se considererete quali forze lo faccino andar avanti, e quali lo tengano indietro, vedrete senza dubbio esser maggiori quelle che lo ritengono, che quelle che lo spingono; perchè innanzi lo fa andar lo sprone, e dall’altra banda lo ritiene o la spada o la picca. Tale che si è visto per l’ [p. 228 modifica]antiche e per le moderne esperienze un nodo di fanti essere sicurissimo, anzi insuperabile da’ cavalli. E se voi arguissi a questo che la foga con la quale viene, lo fa più furioso a urtare chi lo volesse sostenere, meno stimare la picca che lo sprone, dico che, se il cavallo discosto comincia a vedere di avere a percuotere nelle punte delle picche, o per se stesso egli raffrenerà il corso, di modo che come egli si sentirà pugnere si fermerà affatto, o, giunto a quelle, si volterà a destra o a sinistra. Di che se volete fare esperienza, provate a correre un cavallo contro a un muro; radi ne troverrete che, con quale vi vogliate foga, vi dieno dentro. Cesare, avendo in Francia a combattere con i Svizzeri, scese e fece scendere ciascuno a piè e rimuovere dalla schiera i cavalli, come cosa più atta a fuggire che a combattere. Ma, nonostante questi naturali impedimenti che hanno i cavalli, quello capitano che conduce i fanti, debbe eleggere vie che abbiano per i cavalli più impedimenti si può; e rado occorrerà che l’uomo non possa assicurarsi per la qualità del paese. Perchè, se si cammina per le colline, il sito ti libera da quelle foghe di che voi dubitate; se si va per il piano, radi piani sono che, per le colture o per li boschi, non ti assicurino; perchè ogni macchia, ogni argine, ancora debole, toglie quella foga, e ogni coltura, dove sia vigne e altri arbori, impedisce i cavalli. E se tu vieni a giornata, quello medesimo ti interviene che camminando, perchè ogni poco di impedimento che il cavallo abbia, perde la foga sua. Una cosa nondimeno non voglio scordare di dirvi: come i Romani istimavano tanto i loro ordini e confidavono tanto nelle loro armi, che se gli avessono avuto ad eleggere o un luogo sì aspro per guardarsi dai cavalli, dove ei non avessono potuti spiegare gli ordini loro, o uno dove avessono avuto a temere più de’ cavalli, ma vi si fussono potuti distendere, sempre prendevano questo e lasciavano quello. Ma perch’egli è tempo passare allo esercizio, avendo armate queste fanterie secondo l’ [p. 229 modifica]antico e moderno uso, vedreno quali esercizj facevano loro fare i Romani, avanti che le fanterie si conduchino a fare giornata. Ancora ch’elle sieno bene elette e meglio armate, si deggiono con grandissimo studio esercitare, perchè senza questo esercizio mai soldato alcuno non fu buono. Deggiono essere questi esercizj tripartiti: l’uno, per indurare il corpo e farlo atto a’ disagi e più veloce e più destro; l’altro, per imparare ad operare l’armi; il terzo, per imparare ad osservare gli ordini negli eserciti, così nel camminare, come nel combattere e nello alloggiare. Le quali sono le tre principali azioni che faccia uno esercito; perchè, se uno esercito cammina, alloggia e combatte ordinatamente e praticamente, il capitano ne riporta l’onore suo, ancora che la giornata avesse non buono fine. Hanno pertanto a questi esercizj tutte le republiche antiche provvisto in modo, per costume e per legge, che non se ne lasciava indietro alcuna parte. Esercitavano adunque la loro gioventù per fargli veloci nel correre, per fargli destri nel saltare, per fargli forti a trarre il palo o a fare alle braccia. E queste tre qualità sono quasi che necessarie in uno soldato, perchè la velocità lo fa atto a preoccupare i luoghi al nimico, a giugnerlo insperato e inaspettato, a seguitarlo quando egli è rotto. La destrezza lo fa atto a schifare il colpo, a saltare una fossa, a superare uno argine. La fortezza lo fa meglio portare l’armi, urtare il nimico, sostenere uno impeto. E sopratutto, per fare il corpo più atto a’ disagi, si avvezzavano a portare gran pesi. La quale consuetudine è necessaria, perchè nelle espedizioni difficili conviene molte volte che il soldato oltre all’armi, porti da vivere per più giorni; e se non fusse assuefatto a questa fatica non potrebbe farlo; e per questo o e’ non si potrebbe fuggire uno pericolo o acquistare con fama una vittoria. Quanto ad imparare ad operare l’armi, gli esercitavano in questo modo. Volevano che i giovani si vestissero armi che pesassero più il doppio che le vere, e per spada davano loro [p. 230 modifica]un bastone piombato, il quale a comparazione di quella era gravissimo. Facevano a ciascuno di loro ficcare un palo in terra, che rimanesse alto tre braccia, e in modo gagliardo, che i colpi non lo fiaccassero o atterrassono; contro al qual palo il giovane con lo scudo e col bastone, come contro ad un nimico si esercitava, ed ora gli tirava come se gli volesse ferire la testa o la faccia, ora come se lo volesse percuotere per fianco, ora per le gambe, ora si tirava indietro, ora si faceva innanzi. E avevano in questo esercizio questa avvertenza, di farsi atti a coprire se e ferire il nemico; ed avendo l’armi finte gravissime, parevano dipoi loro le vere più leggieri. Volevano i Romani che i loro soldati ferissono di punta e non di taglio, sì per essere il colpo più mortale, ed avere manco difesa, sì per scoprirsi meno chi ferisse, ed esser più atto a raddoppiarsi che il taglio. Non vi maravigliate che quelli antichi pensassero a queste cose minime, perchè dove si ragiona, che gli uomini abbiano a venire alle mani, ogni picciolo vantaggio è di gran momento; ed io vi ricordo quello, che di questo gli scrittori ne dicono, piuttosto ch’io ve l’insegni. Nè istimavano gli antichi cosa più felice in una Repubblica, che essere in quella assai uomini esercitati nell’armi; perchè non lo splendor delle gemme e dell’oro fa che i nemici ti si sottomettono, ma solo il timore dell’armi. Dipoi gli errori che si fanno nelle altre cose, si possono qualche volta correggere; ma quegli che si fanno nella guerra, sopravvenendo subito la pena, non si possono emendare. Oltre a quello il saper combatter fa gli uomini più audaci, perchè niuno teme di fare quelle cose, che gli pare aver imparato a fare. Volevano pertanto gli antichi, che i loro cittadini si esercitassino in ogni bellica azione, e facevano trarre loro contro a quel palo dardi più gravi che i veri; il qual esercizio, oltre al fare gli uomini esperti nel trarre, fa ancora le braccia più snodate e più forti. Insegnavano ancora [p. 231 modifica]lor trarre con l’arco e con la fromba, e a tutte queste cose avevano preposti maestri, in modo che poi, quando egli erano eletti per andare alla guerra, egli erano già con l’animo e con la disposizione soldati. Nè restava loro ad imparare altro che andare negli ordini e mantenersi in quegli, o camminando o combattendo, il che facilmente imparavano, mescolandosi con quegli che, per avere più tempo militato, sapevano stare negli ordini.

Cosimo. Quali esercizj fareste voi fare loro al presente?

Fabrizio. Assai di quegli che si sono detti, come: correre e fare alle braccia, fargli saltare, fargli affaticare sotto armi più gravi che l’ordinarie, fargli trarre con la balestra e con l’arco; a che aggiugnerei lo scoppietto, instrumento nuovo, come voi sapete, e necessario. E a questi esercizj assuefarei tutta la gioventù del mio stato, ma, con maggiore industria e più sollecitudine, quella parte che io avessi descritta per militare; e sempre ne’ giorni oziosi si eserciterebbero. Vorrei ancora ch’egl’imparassino a notare; il che è cosa molto utile, perchè non sempre sono i ponti a’ fiumi, non sempre sono parati i navigj; tale che, non sapendo il tuo esercito notare, resti privo di molte commodità, e ti si tolgono molte occasioni al bene operare. I Romani non per altro avevano ordinato che i giovani si esercitassero in Campo Marzio, se non perchè, avendo propinquo il Tevere, potessero, affaticati nello esercizio di terra, ristorarsi nella acqua e parte, nel notare, esercitarsi. Farei ancora, come gli antichi, esercitare quegli che militassono a cavallo; il che è necessarissimo, perchè, oltre al sapere cavalcare sappiano a cavallo valersi di loro medesimi. E per questo avevano ordinati cavalli di legno, sopr’alli quali si addestravano, saltandovi sopra armati e disarmati, senza alcuno aiuto e da ogni mano, il che faceva che ad un tratto e ad un cenno d’uno capitano la cavalleria era a piè, e così ad un cenno rimontava a cavallo. E tali esercizi, e di piè e di cavallo, come allora [p. 232 modifica]erano facili, così ora non sarebbero difficili a quella Repubblica o a quel principe che volesse farli mettere in pratica alla sua gioventù; come per esperienza si vede in alcune città di Ponente, dove si tengono vivi simili modi con questo ordine. Dividono quelle tutti i loro abitanti in varie parti, e ogni parte nominano da una generazione di quell’armi che egli usano in guerra. E perchè egli usano picche, alabarde, archi e scoppietti, chiamano quelle: picchieri, alabardieri, scoppiettieri e arcieri. Conviene, adunque, a tutti gli abitanti dichiararsi in quale ordine voglia essere descritto. E perchè tutti, o per vecchiezza o per altri impedimenti, non sono atti alla guerra, fanno di ciascuno ordine una scelta, e gli chiamano i Giurati; i quali ne’ giorni oziosi sono obligati a esercitarsi in quell’armi dalle quali sono nominati. E ha ciascuno illuogo suo deputato dal publico, dove tale esercizio si debba fare; e quelli che sono di quello ordine, ma non de’ Giurati, concorrono con i danari a quelle spese che in tale esercizio sono necessarie. Quello pertanto che fanno loro, potremmo fare noi; ma la nostra poca prudenza non lascia pigliare alcuno buono partito. Da questi esercizj nasceva che gli antichi avevano buone fanterie e che ora quegli di Ponente sono migliori fanti che i nostri; perchè gli antichi gli esercitavano, o a casa, come facevano quelle republiche, o negli eserciti, come facevano quegli imperadori, per le cagioni che di sopra si dissono. Ma noi a casa esercitare non li vogliamo; in campo non possiamo, per non essere nostri suggetti e non gli potere obligare ad altri esercizj che per loro medesimi si vogliono. La quale cagione ha fatto che si sono straccurati prima gli esercizj e poi gli ordini, e che i Regni e le Repubbliche, massime italiane, vivono in tanta debolezza. Ma torniamo all’ordine nostro; e, seguitando questa materia degli esercizi, dico come non basta a far buoni eserciti avere indurati gli uomini, fattigli gagliardi, veloci e destri; che bisogna [p. 233 modifica]ancora ch’essi imparino a stare negli ordini, ad ubbidire a’ segni a’ suoni ed alle voci del capitano; sapere, stando, ritirandosi, andando innanzi, combattendo e camminando, mantenere quelli; perchè senza questa disciplina, con ogni accurata diligenza osservata e praticata, mai esercito non fu buono. E senza dubbio gli uomini feroci e disordinati sono molto più deboli che i timidi e ordinati; perchè l’ordine caccia dagli uomini il timore, il disordine scema la ferocia. E perchè voi intendiate meglio quello che di sotto si dirà, voi avete a intendere come ogni nazione, nell’ordinare gli uomini suoi alla guerra, ha fatto nell’esercito suo, ovvero nella sua milizia uno membro principale; il quale, se l’hanno variato con il nome, l’hanno poco variato con il numero degli uomini, perchè tutti l’hanno composto di sei in ottomila uomini. Questo membro da’ Romani fu chiamato Legione, da’ Greci Falange, dai Francesi Caterva. Questo medesimo ne’ nostri tempi da’ Svizzeri, i quali soli dell’antica milizia ritengono alcuna ombra, è chiamato in loro lingua quello che in nostra significa battaglione. Vero è che ciascuno l’ha poi diviso in varie battaglie, ed a suo proposito ordinato. Parmi, adunque, che noi fondiamo il nostro parlare in su questo nome come più noto, e dipoi, secondo gli antichi e moderni ordini, il meglio che è possibile, ordinarlo. E perchè i Romani dividevano la loro legione, che era composta di cinque in seimila uomini, in dieci coorti, io voglio che noi dividiamo il nostro battaglione in dieci battaglie e lo componiamo di seimila uomini di piè; e dareno a ogni battaglia quattrocentocinquanta uomini, de’ quali ne sieno quattrocento armati d’armi gravi e cinquanta d’armi leggieri. l’armi gravi sieno trecento scudi con le spade, e chiaminsi scudati; e cento con le picche, e chiaminsi picche ordinarie; l’armi leggieri sieno cinquanta fanti armati di scoppietti, balestra e partigiane e rotelle; e questi da un [p. 234 modifica]nome antico si chiamino Veliti ordinarii. Tutte le dieci battaglie pertanto vengono ad avere tremila scudati, mille picche ordinarie e cinquecento Veliti ordinarj; i quali tutti fanno il numero di quattromila e cinquecento fanti. E noi diciamo, che vogliamo fare il battaglione di seimila, però bisogna aggiugnere altri mille cinquecento fanti, de’ quali ne farei mille con le picche, le quali chiamerei picche estraordinarie, e cinquecento armati alla leggiera, i quali chiamerei Veliti estraordinarii. E così verrebbero le mie fanterie, secondo che poco fa dissi, a essere composte mezze di scudi e mezze fra picche e altre armi. Preporrei a ogni battaglia uno connestabole, quattro Centurioni e quaranta Capidieci; e di più un capo a’ Veliti ordinarj, con cinque Capidieci. Darei alle mille picche estraordinarie tre connestaboli, dieci Centurioni e cento Capidieci; a’ Veliti estraordinarj due connestaboli, cinque Centurioni e cinquanta Capidieci. Ordinerei dipoi un capo generale di tutto il battaglione. Vorrei che ciascuno connestabole avesse la bandiera e il suono. Sarebbe pertanto composto uno battaglione di dieci battaglie, di tremila scudati, di mille picche ordinarie, di mille estraordinarie, di cinquecento Veliti ordinarj, di cinquecento estraordinarj; e così verrebbero ad essere seimila fanti, tra quali sarebbero mille cinquecento Capidieci e, di più, quindici connestaboli con quindici suoni e quindici bandiere, cinquantacinque Centurioni, dieci capi de’ Veliti ordinarj, e uno capitano di tutto il battaglione con la sua bandiera e con il suo suono. E vi ho volentieri replicato questo ordine più volte, acciocchè poi, quando io vi mostrerò i modi dell’ordinare le battaglie e gli eserciti, voi non vi confondiate. Dico, pertanto, come quel re o quella Repubblica dovrebbe quegli suoi sudditi ch’ella volesse ordinare all’armi, ordinargli con queste armi e con queste parti, e fare nel suo paese tanti battaglioni di quanti fusse capace. E quando gli avesse ordinati, [p. 235 modifica]secondo la sopradetta distribuzione, volendogli esercitare negli ordini, basterebbe esercitargli battaglia per battaglia. E benchè il numero degli uomini di ciascuna di esse non possa per se fare forma d’un giusto esercito, nondimeno può ciascuno uomo imparare a fare quello, che s’appartiene a lui particolarmente; perchè negli eserciti si osserva due ordini: l’uno, quello che deggiono fare gli uomini in ciascuna battaglia, e l’altro, quello che dipoi debbe fare la battaglia quando è coll’altre in uno esercito. E quelli uomini che fanno bene il primo, facilmente osservano il secondo; ma, senza sapere quello, non si può mai alla disciplina del secondo pervenire. Possono, adunque, come ho detto, ciascuna di queste battaglie da per se imparare a tenere l’ordine delle file in ogni qualità di moto e di luogo e, dipoi, a sapere mettersi insieme, intendere il suono mediante il quale nelle zuffe si comanda; sapere cognoscere da quello, come i galeotti dal fischio, quanto abbiano a fare, o a stare saldi, o gire avanti, o tornare indietro, o dove rivolgere l’armi e il volto. In modo che, sappiendo tenere bene le file, talmente che nè luogo nè moto le disordinino, intendendo bene i comandamenti del capo mediante il suono e sappiendo di subito ritornare nel suo luogo, possono poi facilmente, come io dissi, queste battaglie, sendone ridotte assai insieme, imparare a fare quello che tutto il corpo loro è obligato, insieme con l’altre battaglie, in un esercito giusto operare. E perchè tale pratica universale ancora non è da istimare poco, si potrebbe una volta o due l’anno, quando fusse pace, ridurre tutto il battaglione insieme e dargli forma d’uno esercito intero, esercitandogli alcuni giorni come se si avesse a fare giornata, ponendo la fronte, i fianchi e i sussidi ne’ luoghi loro. E perchè uno capitano ordina il suo esercito alla giornata, o per conto del nimico che vede o per quello del quale senza vederlo dubita, si debbe esercitare il suo esercito nell’uno [p. 236 modifica]modo e nell’altro, e istruirlo in modo che possa camminare e, se il bisogno lo ricercasse, combattere, mostrando a’ tuoi soldati quando fussero assaltati da questa o da quella banda, come si avessero a governare. E quando lo istruisse da combattere contro al nimico che vedessono, mostrar loro come la zuffa s’appicca, dove si abbiano a ritirare sendo ributtati, chi abbi a succedere in luogo loro, a che segni, a che suoni, a che voci debbano ubbidire e praticarvegli in modo, con le battaglie e con gli assalti finti, ch’egli abbiano a disiderare i veri. Perchè lo esercito animoso non lo fa per essere in quello uomini animosi, ma lo esservi ordini bene ordinati; perchè se io sono de’ primi combattitori, e io sappia, sendo superato, dove io m’abbia a ritirare e chi abbia a succedere nelluogo mio, sempre combatterò con animo, veggendomi il soccorso propinquo. Se io sarò de’ secondi combattitori, lo essere spinti e ributtati i primi non mi sbigottirà, perchè io mi arò presupposto che possa essere e l’arò disiderato, per essere quello che dia la vittoria al mio padrone, e non sieno quegli. Questi esercizj sono necessarissimi dove si faccia uno esercito di nuovo; e dove sia lo esercito vecchio sono necessarj, perchè si vede come ancora che i Romani sapessero da fanciugli l’ordine degli eserciti loro, nondimeno quegli capitani, avanti che venissero al nimico, continuamente gli esercitavano in quegli. E Iòsafo nella sua Istoria dice che i continui esercizj degli eserciti Romani facevano che tutta quella turba che segue il campo per guadagni, era, nelle giornate, utile; perchè tutti sapevano stare negli ordini e combattere servando quelli. Ma negli eserciti d’uomini nuovi, o che tu abbi messi insieme per combattere allora, o che tu ne faccia ordinanza per combattere con il tempo, senza questi esercizi, così delle battaglie di per se, come di tutto l’esercito, è fatto nulla; perchè, sendo necessarj gli ordini, conviene con doppia industria e fatica mostrargli a chi non gli sa, che mantenergli a chi gli sa, come si vede che per mantenergli [p. 237 modifica]e per insegnargli molti capitani eccellenti si sono senza alcuno rispetto affaticati.

Cosimo. E’ mi pare che questo ragionamento vi abbia alquanto trasportato, perchè, non avendo voi ancora dichiarati i modi con i quali s’esercitano le battaglie, voi avete ragionato dell’esercito intero e delle giornate.

Fabrizio. Voi dite la verità; e veramente ne è stata cagione l’affezione che io porto a questi ordini, e il dolore che io sento veggendo che non si mettono in atto, nondimanco non dubitate che io tornerò a segno. Come io v’ho detto la prima importanza che è nell’esercizio, delle battaglie, è sapere tenere bene le file. Per fare questo è necessario esercitargli in quegli ordini che chiamano chiocciole. E perchè io vi dissi che una di queste battaglie debbe essere di quattrocento fanti armati d’armi gravi, io mi fermerò sopra questo numero. Deonsi adunque ridurre in ottanta file a cinque per fila. Di poi, andando o forte o piano, annodargli insieme e sciorli; il che come si faccia, si può dimostrare più con i fatti che con le parole. Di poi è meno necessario, perchè ciascuno che è pratico negli eserciti sa come questo ordine proceda; il quale non è buono ad altro che all’avvezzare i soldati a tenere le file. Ma vegnamo a mettere insieme una di queste battaglie. Dico che si dà loro tre forme principali. La prima, la più utile, è farla tutta massiccia e darle la forma di due quadri; la seconda è fare il quadro con la fronte cornuta; la terza è farla con uno vacuo in mezzo che chiamano piazza. Il modo del mettere insieme la prima forma può essere di due sorti. L’una è fare raddoppiare le file: cioè, che la seconda fila entri nella prima, la quarta nella terza, la sesta nella quinta, e così successive; tanto che, dove ell’erono ottanta file a cinque per fila, diventino quaranta file a dieci per fila. Di poi farle raddoppiare un’altra volta nel medesimo modo, commettendosi [p. 238 modifica]l’una fila nell’altra, e così restono venti file a venti uomini per fila. Questo fa due quadri in circa, perchè, ancora che sieno tanti uomini per un verso quanti per l’altro, nondimeno di verso le teste si congiungono insieme, che l’uno fianco tocca l’altro; ma per l’altro verso sono distanti almeno due braccia l’uno dall’altro, di qualità che il quadro è più lungo dalle spalle alla fronte, che dall’uno fianco all’altro. E perchè noi abbiamo oggi a parlare più volte delle parti davanti, di dietro e da lato di queste battaglie e di tutto l’esercito insieme, sappiate che, quando io dirò o testa o fronte, vorrò dire le parti dinanzi; quando dirò spalle, la parte di dietro; quando dirò fianchi, le parti da lato. I cinquanta Veliti ordinarj della battaglia non si mescolano con l’altre file, ma, formata che è la battaglia, si distendono per i fianchi di quella. l’altro modo di mettere insieme la battaglia è questo; e perchè egli è migliore che il primo, io vi voglio mettere davanti agli occhi appunto com’ella si debbe ordinare. Io credo che voi vi ricordiate di che numero d’uomini, di che capi ella è composta e di che armi armata. La forma adunque che debbe avere questa battaglia, è, come io dissi, di venti file a venti uomini per fila: cinque file di picche in fronte e quindici file di scudi a spalle; due Centurioni stieno nella fronte e due dietro alle spalle, i quali facciano l’ufficio di quegli che gli antichi chiamavano tergiduttori; il connestabole con la bandiera e con il suono stia in quello spazio che è tra le cinque file delle picche e le quindici degli scudi; de’ Capidieci, ne stia, sopr’ogni fianco di fila, uno, in modo che ciascuno abbia a canto i suoi uomini; quegli che saranno a mano manca, in sulla man destra; quelli che sieno a mano destra, in sulla man manca. Li cinquanta Veliti stieno a’ fianchi e a spalle della battaglia. A volere ora che, andando per l’ordinario i fanti, questa battaglia si metta insieme in questa forma, conviene ordinarsi così: fare di avere ridotti i fanti in ottanta [p. 239 modifica]file, a cinque per fila, come poco fa dicemmo, lasciando i Veliti o dalla testa o dalla coda, pure ch’egli stieno fuora di quest’ordine; e debbesi ordinare che ogni Centurione abbia dietro alle spalle venti file, e sia dietro a ogni Centurione immediate cinque file di picche, e il resto scudi. Il connestabole stia con il suono e con la bandiera in quello spazio che è tra le picche e gli scudi del secondo Centurione, e occupino i luoghi di tre scudati; degli Capidieci, venti ne stieno ne’ fianchi delle file del primo Centurione in sulla man sinistra, e venti ne stieno ne’ fianchi delle file dell’ultimo Centurione in sulla man destra. E avete ad intendere che il Capodieci che ha a guidare le picche, debbe avere la picca, e quegli che guidano gli scudi, deggiono avere l’armi simili. Ridotte adunque in questo ordine le file e volendo nel camminare ridurle in battaglia per fare testa, tu hai a fare che si fermi il primo Centurione con le prime venti file, ed il secondo seguiti di camminare e, girandosi in sulla man ritta, ne vada lungo i fianchi delle venti file ferme, tantochè si attesti con l’altro Centurione, dove si fermi ancora egli; e il terzo Centurione seguiti di camminare, pure girando in sulla man destra, e, lungo i fianchi delle file ferme, cammini tanto, che si attesti con gli altri due Centurioni: e, fermandosi ancora egli, l’altro Centurione seguiti con le sue file, pure piegando in sulla destra lungo i fianchi delle file ferme, tanto ch’egli arrivi alla testa degli altri, e allora si fermi; e subito due de’ Centurioni soli si partino dalla fronte e vadino a spalle della battaglia, la quale viene fatta in quel modo e con quello ordine appunto che poco fa ve la dimostrammo. I Veliti si distendino per i fianchi di essa, secondo che nel primo modo si dispose, il quale modo si chiama raddoppiargli per retta linea; questo si dice raddoppiargli per fianco. Quel primo modo è più facile, questo più ordinato e vien più [p. 240 modifica]appunto e meglio lo puoi a tuo modo correggere; perchè in quello conviene ubbidire al numero, perchè cinque ti fa dieci, dieci venti, venti quaranta; talchè, con il raddoppiare per diritto, tu non puoi fare una testa di quindici nè di venticinque, nè di trenta, nè di trentacinque, ma ti bisogna andare dove quel numero ti mena. Eppure occorre ogni dì, nelle fazioni particolari, che conviene fare testa con secento o ottocento fanti, in modo che il raddoppiare per linea retta ti disordinerebbe. Però mi piace più questo; e quella difficultà che vi è più, conviene con la pratica e con l’esercizio facilitarla. [p. 241 modifica]

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Dicovi, adunque, com’egli importa più che cosa alcuna avere i soldati che si sappiano mettere negli ordini tosto; ed è necessario tenergli in queste battaglie, esercitarvegli dentro e fargli andare forte o innanzi o indietro, passare per luoghi difficili senza turbare l’ordine; perchè i soldati che sanno fare questo bene, sono soldati pratichi, e, ancora che non avessero mai veduti nimici in viso, si possono chiamare soldati vecchi. E al contrario, quegli che non sanno tenere questi ordini, se si fussero trovati in mille guerre, si deggiono sempre istimare soldati nuovi. Questo è quanto al mettergli insieme, quando sono nelle file piccole, camminando. Ma messi che sono, e poi, essendo rotti per qualche accidente che nasca o dal sito o dal nimico, a fare che in uno subito si riordinino, questa è la importanza e la difficultà e dove bisogna assai esercizio ed assai pratica, e dove gli antichi mettevano assai studio. È necessario pertanto fare due cose: prima, avere questa battaglia piena di contrassegni; l’altra, tenere sempre questo ordine: che quegli medesimi fanti stieno sempre in quelle medesime file. Verbigrazia, se uno ha cominciato a stare nella seconda, ch’egli stia dipoi sempre in quella; e non solamente in quella medesima fila, ma in quello medesimo luogo; a che osservare, come ho detto, sono necessarj gli assai contrassegni. In prima, è necessario che la bandiera sia in modo contrassegnata che, convenendo con l’altre battaglie, ella si conosca da loro. Secondo, che il connestabole e i Centurioni abbiano pennacchi in testa, differenti e conoscibili; e, quello che importa più, ordinare che si conoscano i Capidieci. A che gli antichi avevano tanta cura, che, non ch’altro, avevano scritto nella celata il numero, chiamandoli primo, secondo, terzo, quarto, ecc. E non erano ancora contenti a questo; che de’ soldati ciascuno aveva scritto nello scudo il numero della fila e il numero delluogo che in quella fila gli toccava. Sendo dunque gli uomini contrassegnati così e assuefatti [p. 243 modifica]a stare tra questi termini, è facil cosa, disordinati che fussono, tutti riordinarli subito; perchè, ferma che è la bandiera, i Centurioni e i Capidieci possono giudicare a occhio illuogo loro, e, ridottisi i sinistri da sinistra, i destri da destra con le distanze loro consuete, i fanti, guidati dalla regola loro e dalle differenze de’ contrassegni, possono essere subito ne’ luoghi propri; non altrimenti che, se tu scommetti le doghe d’una botte che tu abbi contrassegnata prima, con facilità grandissima la riordini; che non l’avendo contrassegnata, è impossibile a riordinarla. Queste cose con la diligenza e con l’esercizio s’insegnano tosto e tosto s’imparano, e, imparate, con difficultà si scordano, perchè gli uomini nuovi sono guidati da’ vecchi, e con il tempo una provincia con questi esercizj diventerebbe tutta pratica nella guerra. È necessario ancora insegnare loro voltarsi in un tempo e fare quando egli accaggia, de’ fianchi e delle spalle fronte, e della fronte fianchi e spalle. Il che è facilissimo, perchè basta che ogni uomo volti la sua persona verso quella parte che gli è comandato; e dove voltano il volto, quivi viene ad essere la fronte. Vero è che quando si voltano per fianco, gli ordini tornano fuora della proporzione loro, perchè dal petto alle spalle v’è poca distanza, e dall’un fianco all’altro v’è assai distanza; il che è tutto contro all’ordine ordinario delle battaglie. Però conviene che la pratica e la discrezione gli rassetti. Ma questo è poco disordine, perchè facilmente per loro medesimi vi rimediano. Ma quello che importa più, e dove bisogna più pratica, è quando una battaglia si vuole voltare tutta come s’ella fusse un corpo solido. Qui conviene avere gran pratica e gran discrezione, perchè, volendola girare, verbigrazia, in sulla man manca, bisogna che si fermi il corno manco e, quegli che sono più propinqui a chi sta fermo, camminino tanto adagio, che quegli che sono dritto non abbiano a correre; altrimenti ogni cosa si confonderebbe. [p. 244 modifica]

Ma perchè egli occorre sempre, quando uno esercito cammina da luogo a luogo, che le battaglie che non sono poste in fronte, hanno a combattere non per testa, ma o per fianco o a spalle, in modo che una battaglia ha in uno subito a fare del fianco o delle spalle testa, e volendo che simili battaglie in tale caso abbiano la proporzione loro, secondo che di sopra si è dimostro, è necessario che ell’abbiano le picche da quel fianco che abbia ad essere testa e i Capidieci, Centurioni e connestabole, a quello ragguaglio, ne’ luoghi loro, però, a volere fare questo, nel metterle insieme vi bisogna ordinare le ottanta file di cinque per fila, così: mettere tutte le picche nelle prime venti file, e, de’ Capidieci d’esse, metterne cinque nel primo luogo e cinque nell’ultimo; l’altre sessanta file, che vengono dietro, sono tutte di scudi; che vengono ad essere tre centurie. Vuolsi adunque che la prima e ultima fila d’ogni centuria sieno Capidieci; il connestabole con la bandiera e con il suono stia nel mezzo della prima centuria degli scudi i Centurioni in testa d’ogni centuria ordinati. Ordinati così, quando volessi che le picche venissono in sul fianco manco, voi gli avete a raddoppiare centuria per centuria dal fianco ritto, se volessi ch’elle venissero dal fianco ritto, voi le avete a raddoppiare dal manco. E così questa battaglia torna con le picche sopr’un fianco, con i Capidieci da testa e da spalle, con i Centurioni per testa e il connestabole nel mezzo. La quale forma tiene andando; ma, venendo il nimico e il tempo ch’ella voglia fare del fianco testa, non si ha se non a fare voltare il viso a tutti i soldati verso quel fianco dove sono le picche; e torna allora la battaglia con le file e con i capi in quel modo si è ordinata di sopra; perchè da’ Centurioni in fuora tutti sono ne’ luoghi loro, e i Centurioni subito e senza difficultà vi entrano. [p. 245 modifica]
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Ma quando ell’abbia, camminando per testa, a combattere a spalle, conviene ordinare le file in modo che, mettendole in battaglia, le picche vengano di dietro; e a fare questo non s’ha a tenere altro ordine se non che, dove, nello ordinare la battaglia, per l’ordinario ogni centuria ha cinque file di picche davanti, le abbia di dietro, e in tutte l’altre parti osservare l’ordine che io dissi prima.

Cosimo. Voi avete detto, se bene mi ricorda, che questo modo dello esercizio è per potere poi ridurre queste battaglie insieme in uno esercito, e che questa pratica serve a potere ordinarsi in quello. Ma s’egli occorresse che questi quattrocento cinquanta fanti avessono a fare una fazione separata, come gli ordineresti?

Fabrizio. Dee, chi gli guida, allora giudicare dove egli vuole collocare le picche, e quivi porle. Il che non repugna in parte alcuna all’ordine soprascritto; perchè, ancora che quello sia il modo che si osserva per fare la giornata insieme con l’altre battaglie, nondimeno non è regola che serve a tutti quegli modi nelli quali ti occorresse averti a maneggiare. Ma nel mostrarvi gli altri due modi, da me preposti, di ordinare le battaglie, sodisfarò ancora più alla domanda vostra; perchè o e’ non si usano mai, o e’ si usano quando una battaglia è sola e non in compagnia dell’altre. E per venire al modo di ordinarla con due corna, dico che tu dèi ordinare le ottanta file a cinque per fila in questo modo: porre là in mezzo uno Centurione, e, dopo lui, venticinque file che sieno di due picche in sulla sinistra e di tre scudi in sulla destra; e dopo le prime cinque, sieno posti nelle venti sequenti venti Capidieci; tutti tra le picche e gli scudi, eccetto che quelli che portano le picche, i quali possono stare con le picche. Dopo queste venticinque file così ordinate si ponga un altro Centurione: il quale abbia dietro a se quindici file di [p. 247 modifica]scudi. Dopo questi il connestabole in mezzo del suono e della bandiera; il quale ancora abbia dietro a se altre quindici file di scudi. Dopo queste si ponga il terzo Centurione; e abbia dietro a se venticinque file, in ognuna delle quali sieno tre scudi in sulla sinistra e due picche in sulla destra; e dopo le cinque prime file sieno venti Capidieci posti tra le picche e gli scudi. Dopo queste file sia il quarto Centurione. Volendo pertanto di queste file così ordinate fare una battaglia con due corna, si ha a fermare il primo Centurione con le venticinque file che gli sono dietro. Di poi si ha a muovere il secondo Centurione con le quindici file scudate che gli sono a spalle, e volgersi a mano ritta e, su per il fianco ritto delle venticinque file, andare tanto ch’egli arrivi alla quintadecima fila, e qui fermarsi. Di poi si ha a muovere il connestabole con le quindici file degli scudati che gli sono dietro, e, girando pure in sulla destra, su per il fianco destro delle quindici file mosse prima, cammini tanto ch’egli arrivi alla testa loro, e quivi si fermi. Di poi muova il terzo Centurione con le venticinque file e con il quarto Centurione che era dietro, e, girando pure in sulla ritta, cammini su per il fianco destro delle quindici file ultime degli scudati, e non si fermi quando è alla testa di quelle, ma seguiti di camminare, tanto che l’ultime file delle venticinque sieno al pari delle file di dietro. E, fatto questo, il Centurione che era capo delle prime quindici file degli scudati, si lievi donde era e ne vadia a spalle nello angulo sinistro. E così tornerà una battaglia di venticinque file ferme, a venti fanti per fila, con due corna, sopr’ogni canto della fronte uno, e ciascuno arà dieci file a cinque per fila, e resterà uno spazio tra le due corna, quanto tengono dieci uomini che volgano i fianchi l’uno all’altro. Sarà tra le due corna il capitano; in ogni punta di corno uno Centurione. Sarà ancora di dietro in ogni canto uno Centurione. Fieno due file di picche e venti [p. 248 modifica]Capidieci da ogni fianco. Servono queste due corna a tenere tra quelle l’artiglierie, quando questa battaglia ne avesse con seco, e i carriaggi. I Veliti hanno a stare lungo i fianchi sotto le picche. Ma a volere ridurre questa battaglia cornuta con la piazza, non si dee fare altro che, delle quindici file di venti per fila, prenderne otto e porle in sulla punta delle due corna: le quali allora di corna diventano spalle della piazza. In questa piazza si tengono i carriaggi; stavvi il capitano e la bandiera; ma non già l’artiglierie, le quali si mettono o nella fronte o lungo i fianchi. Questi sono i modi che si possono tenere da una battaglia, quando, sola, dee passare per i luoghi sospetti. Nondimeno la battaglia soda, senza corna e senza piazza è meglio. Pure, volendo assicurare i disarmati, quella cornuta è necessaria. [p. 249 modifica]
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Fanno li Svizzeri ancora molte forme di battaglie; tra le quali ne fanno una a modo di croce, perchè, negli spazi che sono tra i rami di quella, tengono sicuri dall’urto de’ nimici i loro scoppiettieri. Ma perchè simili battaglie sono buone a combattere da per loro, e la intenzione mia è mostrare come più battaglie unite insieme combattono, non voglio affaticarmi altrimenti in dimostrarle.

Cosimo. E’ mi pare avere assai bene compreso il modo che si dee tenere a esercitare gli uomini in queste battaglie; ma, se mi ricorda bene, voi avete detto come, oltre alle dieci battaglie, voi aggiugnevi al battaglione mille picche estraordinarie e cinquecento Veliti estraordinarii. Questi non gli vorreste voi descrivere ed esercitare?

Fabrizio. Vorrei, e con diligenza grandissima. E le picche eserciterei almeno bandiera per bandiera, negli ordini delle battaglie, come gli altri; perchè di questi io mi servirei più che delle battaglie ordinarie in tutte le fazioni particolari, come è fare scorte, predare, e simili cose. Ma i Veliti gli eserciterei alle case senza ridurli insieme; perchè, sendo l’ufficio loro combattere rotti, non è necessario che convenghino con li altri negli esercizj comuni, perchè assai sarebbe esercitargli bene negli esercizj particolari. Deonsi adunque, come in prima vi dissi nè ora mi pare fatica replicarlo, fare esercitare i suoi uomini in queste battaglie, in modo che sappiano tenere le file, conoscere i luoghi loro, tornarvi subito quando o nimico o sito gli perturbi, perchè, quando si sa fare questo, facilmente s’impara poi illuogo che ha a tenere una battaglia e quale sia l’ufficio suo negli eserciti. E quando uno principe o una Repubblica durerà fatica e metterà diligenza in questi ordini e in queste esercitazioni, sempre avverrà che nel paese suo saranno buoni soldati; ed essi fieno superiori a’ loro vicini e saranno quegli che daranno e non riceveranno le leggi dagli altri uomini. Ma [p. 252 modifica] come io vi ho detto, il disordine nel quale si vive fa che si straccurano e non si istimano queste cose; e però gli eserciti nostri non son buoni; e se pure ci fusse o capi o membra naturalmente virtuosi, non la possono dimostrare.

Cosimo. Che carriaggi vorreste voi che avesse ciascuna di queste battaglie?

Fabrizio. La prima cosa, io non vorrei che nè Centurione nè Capodieci avesse da ire a cavallo; e se il connestabole volesse cavalcare vorrei ch’egli avesse mulo e non cavalio. Permettere’gli bene due carriaggi e uno a qualunque Centurione e due ad ogni tre Capidieci, perchè tanti ne alloggiamo per alloggiamento, come nel suo luogo direno; talmente che ogni battaglia verrebbe avere trentasei carriaggi; i quali vorrei portassono di necessità le tende, i vasi da cuocere, scure e pali di ferro in sufficienza per fare gli alloggiamenti e, dipoi, se altro potessono, a commodità loro.

Cosimo. Io credo che i capi da voi ordinati in ciascuna di queste battaglie sieno necessarj; nondimeno io dubiterei che tanti comandatori non si confondessero.

Fabrizio. Cotesto sarebbe quando non si referissono a uno, ma, referendosi, fanno ordine; anzi senza essi è impossibile reggersi; perchè uno muro il quale da ogni parte inclini, vuole piuttosto assai puntegli e spessi, ancora che non così forti, che pochi, ancora che gagliardi, perchè la virtù d’uno solo non rimedia alla rovina discosto. E però conviene che negli eserciti, e tra ogni dieci uomini, sia uno di più vita, di più cuore o almeno di più autorità, il quale coll’animo, con le parole, con lo esemplo tenga gli altri fermi e disposti al combattere. E che queste cose da me dette sieno necessarie in uno esercito, come i capi, le bandiere, i suoni, si vede che noi l’abbiamo tutte ne’ nostri eserciti; ma niuna fa l’ufficio suo. Prima, i Capidieci, a volere che facciano quello per che sono ordinati, è necessario abbia [p. 253 modifica]come ho detto, ciascuno distinti i suoi uomini, alloggi con quegli, faccia le fazioni, stia negli ordini con quegli; perchè collocati ne’ luoghi loro sono come uno rigo e temperamento a mantenere le file diritte e ferme, ed è impossibile ch’elle disordinino o, disordinando, non si riduchino tosto ne’ luoghi loro. Ma noi oggi non ce ne serviamo ad altro che a dare loro più soldo che agli altri e a fare che facciano qualche fazione particolare. Il medesimo ne interviene delle bandiere, perchè si tengono piuttosto per fare bella una mostra, che per altro militare uso. Ma gli antichi se ne servivano per guida e per riordinarsi; perchè ciascuno, ferma che era la bandiera, sapeva illuogo che teneva presso alla sua bandiera e vi ritornava sempre. Sapeva ancora come, movendosi e stando quella, avevano a fermarsi o a muoversi. Però è necessario in uno esercito che vi sia assai corpi, e ogni corpo abbia la sua bandiera e la sua guida; perchè, avendo questo, conviene ch’egli abbia assai anime e, per consequente, assai vita. Deggiono adunque i fanti camminare secondo la bandiera e la bandiera muoversi secondo il suono; il quale suono, bene ordinato, comanda allo esercito; il quale, andando con i passi che rispondano a’ tempi di quello, viene a servare facilmente gli ordini. Onde che gli antichi avieno sufoli, pifferi e suoni modulati perfettamente; perchè, come chi balla procede con il tempo della musica e, andando con quella, non erra, così uno esercito, ubbidendo nel muoversi a quel suono, non si disordina. E però variavano il suono, secondo che volevano variare il moto e secondo che volevano accendere o quietare o fermare gli animi degli uomini. E come i suoni erano varj, così variamente gli nominavano. Il suono dorico generava costanzia, il frigio furia, donde che dicono che, essendo Alessandro a mensa e sonando uno il suono frigio, gli accese tanto l’animo, che misse mano all’armi. Tutti questi modi sarebbe necessario ritrovare; e quando questo fosse difficile, non si vorrebbe almeno [p. 254 modifica]lasciare indietro quegli che insegnassono ubbidire al soldato; i quali ciascuno può variare e ordinare a suo modo, pure che con la pratica assuefaccia gli orecchi de’ suoi soldati a conoscerli. Ma oggi di questo suono non se ne cava altro frutto in maggiore parte, che fare quel rumore.

Cosimo. Io disidererei intendere da voi, se mai con voi medesimo l’avete discorso, donde nasca tanta viltà e tanto disordine e tanta negligenza, in questi tempi, di questo esercizio.

Fabrizio. Io vi dirò volentieri quello che io ne pensi. Voi sapete come degli uomini eccellenti in guerra ne sono stati nominati assai in Europa, pochi in Affrica e meno in Asia. Questo nasce perchè queste due ultime parti del mondo hanno avuto uno principato o due, e poche republiche; ma l’Europa solamente ha avuto qualche Regno e infinite republiche. Gli uomini diventono eccellenti e mostrano la loro virtù, secondo che sono adoperati e tirati innanzi dal principe loro, o Repubblica o re che si sia. Conviene pertanto che, dove è assai potestadi, vi surga assai valenti uomini; dove ne è poche, pochi. In Asia si truova Nino, Ciro, Artaserse, Mitridate, e pochissimi altri che a questi facciano compagnia. In Affrica si nominano, lasciando stare quella antichità Egizia, Massinissa, Jugurta, e quegli capitani che dalla Repubblica cartaginese furono nutriti; i quali ancora, rispetto a quegli d’Europa, sono pochissimi; perchè in Europa sono gli uomini eccellenti senza numero, e tanti più sarebbero, se insieme con quegli si nominassono gli altri che sono stati dalla malignità del tempo spenti; perchè il mondo è stato più virtuoso dove sono stati più Stati che abbiano favorita la virtù o per necessità o per altra umana passione. Sursero adunque in Asia pochi uomini, perchè quella provincia era tutta sotto uno regno, nel quale, per la grandezza sua, stando esso la maggior parte del tempo ozioso, non poteva nascere uomini nelle faccende [p. 255 modifica]eccellenti. All’Affrica intervenne il medesimo; pure vi se ne nutrì più, rispetto alla Repubblica cartaginese. Perchè delle republiche esce più uomini eccellenti che de’ regni, perchè in quelle il più delle volte si onora la virtù, ne’ Regni si teme; onde ne nasce che nell’una gli uomini virtuosi si nutriscono, nell’altra si spengono. Chi considererà adunque la parte d’Europa, la troverrà essere stata piena di republiche e di principati, i quali, per timore che l’uno aveva dell’altro, erano constretti a tenere vivi gli ordini militari e onorare coloro che in quegli più si prevalevano. Perchè in Grecia, oltre al Regno de’ Macedoni, erano assai republiche, e in ciascuna di quelle nacquero uomini eccellentissimi. In Italia erano i Romani, i Sanniti, i Toscani, i Galli Cisalpini. La Francia e la Magna era piena di republiche e di principi; la Ispagna quel medesimo. E benchè a comparazione de’ Romani se ne nominino pochi altri, nasce dalla malignità degli scrittori, i quali seguitano la fortuna, e a loro il più delle volte basta onorare i vincitori. Ma egli non è ragionevole che tra i Sanniti e i Toscani, i quali combatterono cento cinquanta anni col popolo Romano prima che fussero vinti, non nascessero moltissimi uomini eccellenti. E così medesimamente in Francia e in Ispagna. Ma quella virtù che gli scrittori non celebrano negli uomini particolari, celebrano generalmente ne’ popoli, dove esaltano infino alle stelle l’ostinazione che era in quegli per difendere la libertà loro. Sendo adunque vero che, dove sia più imperj, surga più uomini valenti, seguita di necessità che, spegnendosi quelli, si spenga di mano in mano la virtù, venendo meno la cagione che fa gli uomini virtuosi. Essendo pertanto dipoi cresciuto l’imperio Romano, e avendo spente tutte le republiche e i principati d’Europa e d’Affrica e in maggior parte quelli dell’asia, non lasciò alcuna via alla virtù, se non Roma. Donde ne nacque che cominciarono gli uomini virtuosi ad [p. 256 modifica]essere pochi in Europa come in Asia; la quale virtù venne poi in ultima declinazione, perchè, sendo tutta la virtù ridotta in Roma, come quella fu corrotta, venne a essere corrotto quasi tutto il mondo; e poterono i popoli Sciti venire a predare quello Imperio il quale aveva la virtù d’altri spenta e non saputo mantenere la sua. E benchè poi quello Imperio, per la inundazione di quegli barbari, si dividesse in più parti, questa virtù non vi è rinata; l’una, perchè si pena un pezzo a ripigliare gli ordini quando sono guasti; l’altra, perchè il modo del vivere d’oggi, rispetto alla cristiana religione, non impone quella necessità al difendersi, che anticamente era; perchè, allora, gli uomini vinti in guerra o s’ammazzavano o rimanevano in perpetuo schiavi, dove menavano la loro vita miseramente; le terre vinte o si desolavano o ne erano cacciati gli abitatori, tolti loro i beni, mandati dispersi per il mondo; tantochè i superati in guerra pativano ogni ultima miseria. Da questo timore spaventati, gli uomini tenevano gli esercizj militari vivi e onoravano chi era eccellente in quegli. Ma oggi questa paura in maggior parte è perduta; de’ vinti, pochi se ne ammazza; niuno se ne tiene lungamente prigione, perchè con facilità si liberano. Le città, ancora ch’elle si sieno mille volte ribellate, non si disfanno; lasciansi gli uomini ne’ beni loro, in modo che il maggior male che si tema è una taglia; talmente che gli uomini non vogliono sottomettersi agli ordini militari e stentare tuttavia sotto quegli, per fuggire quegli pericoli de’ quali temono poco. Di poi queste provincie d’Europa sono sotto pochissimi capi, rispetto allora; perchè tutta la Francia obedisce a uno re, tutta l’Ispagna a un altro, l’Italia è in poche parti; in modo che le città deboli si difendono coll’accostarsi a chi vince, e gli stati gagliardi, per le cagioni dette, non temono una ultima rovina. [p. 257 modifica]

Cosimo. E’ si sono pur vedute molte terre andare a sacco, da venticinque anni in qua, e perdere de’ regni, il quale esemplo doverrebbe insegnare agli altri vivere e ripigliare alcuno degli ordini antichi.

Fabrizio. Egli è quello che voi dite; ma se voi noterete quali terre sono ite a sacco, voi non troverrete ch’elle sieno de’ capi degli stati, ma delle membra: come si vede che fu saccheggiata Tortona e non Milano, Capova e non Napoli, Brescia e non Vinegia, Ravenna e non Roma. I quali esempli non fanno mutare di proposito chi governa, anzi gli fa stare più nella loro opinione di potersi ricomperare con le taglie; e per questo non vogliono sottoporsi agli affanni degli esercizj della guerra, parendo loro, parte non necessario, parte uno viluppo che non intendono. Quegli altri che sono servi, a chi tali esempli doverrebbero fare paura, non hanno potestà di rimediarvi; e quegli principi, per avere perduto lo stato, non sono più a tempo, e quegli che lo tengono, non sanno e non vogliono; perchè vogliono senza alcuno disagio stare con la fortuna e non con la virtù loro, perchè veggono che, per esserci poca virtù, la fortuna governa ogni cosa, e vogliono che quella gli signoreggi, non essi signoreggiare quella. E che questo che io ho discorso sia vero, considerate la Magna; nella quale, per essere assai principati e republiche, vi è assai virtù, e tutto quello che nella presente milizia è di buono, depende dallo esemplo di quegli popoli; i quali, sendo tutti gelosi de’ loro stati, temendo la servitù, il che altrove non si teme, tutti si mantengono signori e onorati. Questo voglio che basti avere detto a mostrare le cagioni della presente viltà, secondo l’opinione mia. Non so se a voi pare il medesimo, o se vi fusse nata, per questo ragionare, alcuna dubitazione.

Cosimo. Niuna; anzi rimango di tutto capacissimo. Solo disidero, tornando alla materia principale nostra, intendere da [p. 258 modifica]voi come voi ordineresti i cavalli con queste battaglie, e quanti e come capitanati e come armati.

Fabrizio. E’ vi pare forse che io gli abbia lasciati indietro; di che non vi maravigliate, perchè io sono per due cagioni per parlarne poco: l’una, perchè il nervo e la importanza dello esercito è la fanteria; l’altra, perchè questa parte di milizia è meno corrotta che quella de’ fanti; perchè, s’ella non è più forte dell’antica, ell’è al pari. Pure si è detto, poco innanzi, del modo dello esercitargli. E quanto allo armargli, io gli armerei come al presente si fa, così i cavalli leggieri come gli uomini d’arme. Ma i cavalli leggieri vorrei che fussero tutti balestrieri con qualche scoppiettiere tra loro; i quali, benchè negli altri maneggi di guerra sieno poco utili, sono a questo utilissimi: di sbigottire i paesani e levargli di sopra uno passo che fusse guardato da loro, perchè più paura farà loro un scoppiettiere che venti altri armati. Ma, venendo al numero, dico che, avendo tolto a imitare la milizia Romana, io non ordinerei se non trecento cavalli utili per ogni battaglione; de’ quali vorrei ne fusse centocinquanta uomini d’arme e centocinquanta cavalli leggieri; e darei a ciascuna di queste parti uno capo, faccendo poi tra loro quindici Capidieci per banda, dando a ciascuna uno suono e una bandiera. Vorrei che ogni dieci uomini d’arme avessero cinque carriaggi e, ogni dieci cavalli leggieri, due; i quali, come quegli de’ fanti, portassero le tende, i vasi, e le scure e i pali e, sopravanzando, gli altri arnesi loro. Nè crediate che questo sia disordine, vedendo ora come gli uomini d’arme hanno alloro servizio quattro cavalli, perchè tale cosa è una corruttela; perchè si vede nella Magna quegli uomini d’arme essere soli con illoro cavallo; solo avere, ogni venti, uno carro che porta loro dietro le cose loro necessarie. I cavalli de’ Romani erano medesimamente soli; vero è che i Triarj alloggiavano propinqui alla cavalleria, i quali erano obligati a [p. 259 modifica]somministrare aiuto a quella nel governo de’ cavalli; il che si può facilmente imitare da noi, come nel distribuire degli alloggiamenti vi si mostrerà. Quello, adunque, che facevano i Romani, e quello che fanno oggi i Tedeschi, possiamo fare ancora noi, anzi, non lo faccendo, si erra. Questi cavalli ordinati e descritti insieme col battaglione, si potrebbero qualche volta mettere insieme, quando si ragunassono le battaglie, e fare che tra loro facessero qualche vista d’assalto, il quale fussi più per riconoscersi insieme, che per altra necessità. Ma sia per ora detto di questa parte abbastanza; e discendiamo a dare forma a uno esercito per potere presentare la giornata al nimico e sperare di vincerla; la quale cosa è il fine per il quale si ordina la milizia e tanto studio si mette in quella.