Del criterio ne' discorsi

Giovanni Berchet

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Questo testo fa parte della raccolta Opere (Berchet)/Scritti critici e letterari


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IV

DEL CRITERIO NE’ DISCORSI

Mylord P..., ch’io conobbi questi di addietro in Milano, è veramente uomo di garbo. La sua conversazione mi compensò alquanto della ruvida ed insipida breviloquenza, di che alcuni suoi compatrioti avevano qualche tempo innanzi premiata l’officiositá mia, per modo ch’eglino soli pareva si tenessero per individui della specie umana. Superbia per veritá ridicola.— Ma questa corda non fa al proposito; non tocchiamola adesso.— Eppure mylord P..., con tutta la sua cordialitá, non lasciò di versarmi anch’egli sull’anima una goccia d’amarezza. Non è male che il pubblico ne sappia il come. Erano le undici di sera; e mylord P... stava bevendo meco a quattr’occhi una tazza di tè; e svagandosi d’argomento in argomento cosí alla buona, parlava e diceva cose che mostravano in lui una conoscenza squisita del mondo, una finezza singolare d’intendimento. Di parola in parola si venne finalmente a quella cadenza, in cui una volta almeno ogni dí vanno a sciogliersi i discorsi ed i pensieri degli uomini tutti che non hanno vestito il sacco dell’anacoreta. Cadenza carissima: perché, se tu non sei un brutale, ti sveglia in capo un mondo d’idee tutte leggiadre e gentili; e quando hai rotto il cuore dalla noia, te lo rinfresca di nuova vita.— Or dunque, poiché ci siamo — diss’io,— che ve pare, mylord, delle nostre donne milanesi? Non sono elle care creature? —

Mylord intende perfettamente l’italiano; ma nol parla troppo bene, ed usa d’intarsiarvi talvolta vocaboli inglesi. E però sarebbe una disperazione pe’ grammatici s’io riportassi il dialogo tutto tutto tal quale avvenne. Farò come meglio potrò.— Ebbene, che ve ne pare, mylord? — Egli continuava a bere e taceva. La sua fisonomia d’improvviso s’abbuiò, come se la [p. 62 modifica]memoria di cosa disgustosa gli attraversasse la mente. Tornai ad interrogarlo. Tacque ancora un buon pezzo; poi ruppe il silenzio con un sorriso: — Eh! sí — mi disse, — sí, belle davvero. — Ed eleganti — diss’io — e cortesi e piene di bei modi. —

Mylord P... andava ripetendo le mie parole in segno d’approvazione; ma non ci metteva nulla del suo: la voce non gli correva lesta sul labbro. L’avresti detto uomo voglioso di lasciar morire il discorso. Me ne seppe male, in coscienza mia. Davvero, ho in gran pregio le mie concittadine, ed avrei avuto caro di sentirne dalla bocca di lui un bel panegirico. Proseguii a dire nondimeno come in esse non è penuria d’ingegno, come in generale l’educazione loro va ogni di piú migliorando, come una delle lor doti principali è la giustezza del criterio. — Ingegno, educazione — diceva mylord, — pretty well1. Criterio..., può anche essere; ma non me ne sono accorto. —

Il sangue mi si rimescolò. Gli occhi miei erano fissi bruscamente negli occhi di mylord. — Fatemi un favore — gli dissi; — parlatemi schietto. Voi di certo derivate da qualche accidente individuale un giudizio che credete di dovere estendere all’universale. Su via, lasciate ogni mistero.

— Siamo amici — rispose mylord; — non entriamo dunque in guai. Vi dirò lealmente l’opinione mia; ma voi promettetemi in prima di voler prestarmi orecchio pacato, e di non dare nelle smanie di un don Chisciotte per amore delle vostre Dulcinee. — Glielo promisi, ed ecco com’egli continuò:

— Non pretendo, no, di dare un giudizio assoluto sul criterio di tutto il bel sesso milanese. Non sarebbe qui neppur cosa possibile. A Parigi, se voi conoscete cinque o sei donne, parlo delle eleganti, potete dire di conoscerle tutte; da che ivi, per riguardo alla conversazione, sono modellate tutte presso a poco ad un modo. Un certo spirito universale, che chiamano «bon ton», regola ivi il giudizio, le maniere, i discorsi, le frasi di tutte nel conversare; sicché sentite sempre la stessa armonia, e non v’è donna che stuoni. Qui parmi che la faccenda sia tutt’altra. [p. 63 modifica]Qui le donne vivono rade volte in comune tra di esse. Quindi ogni mente femminina rimane tal qual è; e non perde scabrositá né acquista liscezza per l’attrito con altre menti sue consimili. Eppure siffatto attrito è la scuola migliore per gl’intelletti; e le lezioni migliori derivano da’ confronti, dalla necessitá di emulare altrui, da quelle minute mortificazioni onde cento individui raccolti insieme sono percossi dal trionfo di un individuo. Ben è vero che ogni donna qui è circondata da molti uomini. Ma gli uomini sono vaghi di un sorriso delle signore, e queste pagano di un sorriso le adulazioni. E tra una mente adulata ed una mente adulante non vi può essere attrito. Qui dunque ogni donna ha maniere proprie, idee e discorsi propri. Le combinazioni intellettuali dell’una non sono mai quelle dell’altra; e la espressione di tali combinazioni non ha mai per norma un tipo universale. In ogni palchetto del teatro trovi modificazioni diverse d’idee, e con esse un frasario particolare. Sicché io sarei un bel pazzo se, per aver qui vedute con frequenza otto o dieci signore tutt’al piú, mi dessi a credere di potere far sentenza su tutte. Anzi vi dichiaro apertamente che di tutte io, non potendo giudicar per me stesso, ne riporterò buon concetto in Inghilterra, fidandomi al giudizio vostro. Non fatemi dunque brutto viso se vi ripeto quel mio «non me ne sono accorto»; che è quanto dire che, tra le otto o dieci donne da me udite parlare, il caso non me n’ha fatta capitare una che desse indizio di such a great deal2di criterio.

— Sta a vedere — diss’io tra me stesso — che mylord si butta nelle sofisticherie! — E lo pregai che mi citasse dove, come ed in che avesse scorto mancanza di criterio.

— Potrei — rispose — addurne assai prove; ma ve ne basti una sola. Non manifesta forse difetto di criterio chi usa vocaboli de’ quali non intende il significato? Non è egli questo un tradir se stessi, un esporsi alla derisione del savio? Ed ha criterio fino chi sbadatamente si rende ridicolo? [p. 64 modifica]

— Ma, e quali sono — diss’io — questi vocaboli scialacquati a sproposito? — Qui mylord me ne canticchiò una dozzina, indicandomi a un per uno l’occasione in cui avevali uditi adoperare. In totale mylord non era poi tanto su’ cavilli. Ma io l’interruppi gridando: — Minuzie minuzie!

— Minuzie? — diss’egli. — Minuzie per chi ci beve grosso. Il non sapere una cosa può anche non far vergogna a nessuno; ma l’esserne proprio al buio, e volerne ciarlar co’ veggenti trinciando sentenze, è un vituperio. Pigliamo a modo d’esempio i due vocaboli or piú comuni in Milano, i due aggettivi «classico» e «romantico». Nessuna delle donne da me frequentate sa che cosa voglia dire «classico», che cosa voglia dire «romantico», nella nuova significazione data dai letterati a quegli epiteti. Derivano essi, come sapete, da teorie filosofiche, che per essere conosciute vogliono essere studiate; e quelle signore non le hanno studiate mai. Né fin qui c’è di che biasimarle. Le donne hanno a leggere a posta loro poesie e romanzi quanti vogliono; ed i poeti hanno obbligo di far di tutto onde piacere colle opere loro alle donne, e di tener conto del giudizio ch’esse ne dánno, poiché procede netto netto dalle sensazioni, senza miscuglio di pedanterie scolastiche. Ma i ragionamenti sull’arte, le speculazioni letterario-psicologiche, le teorie astratte elle hanno a lasciarle a chi è del mestiere. Come pretendono esse di intenderle bene, se sovente neppure chi ha fatti gli studi analoghi a quelle teorie mostra di averle intese? So che in Italia, com’anche in Inghilterra e da per tutto, questo vizio di volerla far da dottori, senz’altra suppellettile intellettuale che il dictum de dicto, è nell’ossa e ne’ midolli non solo de’ zerbini ciancerelli ma talvolta ben anche degli uomini d’aspetto grave; e che da essi le donne, delle quali io parlo, n’hanno forse pigliato il contagio. But this damnned Plague3 è il testimonio del poco giudizio degli uni e del poco criterio delle altre. Chi non sa il valore dei vocaboli «classico» e «romantico» non se ne vergogni. Ma se ne sa il valore, non usi contro di essi né applausi né [p. 65 modifica]derisioni4. L’ignoranza del giudice è la prima ragione dell’incompetenza di lui; e i decreti dello stolto tirano addosso le beffe al decretante. Che se quelle signore da me conosciute hanno such a great deal di criterio, perché non vanno caute ne’ loro discorsi? perché non evitano d’avventurarsi in regioni ignote? perché non si guardano dal ripetere tutto il santo dí parole delle quali non hanno in capo l’idee corrispondenti? — È la moda che vuol cosí — mi diranno. Ma non chiamerò io giustamente questa lor moda a very nonsensical petulancy?5. Ho udito una di esse dolersi che la forma del suo ventaglio fosse piuttosto classica che romantica. All nonsense! Un’altra chiedeva ad un suo amico se, come romantico ch’egli era, le permettesse di adoperare nella sua toeletta essenze odorose. All nonsense! Un’altra stava mirando un bel paesetto del vostro Gozzi, e le pareva che fosse troppo classico. All nonsense! La poveretta credeva forse che «classico» servisse precisamente d’antitesi al nostro vecchio aggettivo inglese «romantic», che ha significato tutto diverso da quello attribuito al nuovo epiteto letterario d’oggidí, [p. 66 modifica]e che proprio è tutt’altra cosa, come sa chiunque appena si briga di siffatte notizie.

Mi raccontava madama Y... certa avventura galante d’un gentiluomo suo conoscente, e tratto tratto esclamava ch’era davvero un’avventura romantica. All nonsense! Ho potuto accorgermi che madama Y... voleva dire «romanzesca». Vedi guazzabuglio!

— Io sono romantica per la vita — gridava madama X...; — ed è per questo che non amo molto le pitture dell’Appiani. Quelle sue figure mitologiche mi sanno troppo del classico. — All nonsense! Madama X... confonde insieme pittura e poesia. Le avrei dato volentieri a leggere il Laocoonte del Lessing; ma nella societá di lei non ho scorto alcun uomo capace d’aiutarla a comprenderne le dottrine. — Sono diventata romantica anch’io, — mi disse madama K... In prova di che mi confidò che non leggeva ormai altro che i canti d’Ossian. Le poesie dunque di Ossian, al dir di madama, sono romantiche. Misericordia! What a positive token of nonsense! I costumi dei caledoni sono forse quelli della civiltá nostra?

— Che importa mai — diceva un’altra — che il poeta sia romantico piuttosto che classicista! Faccia pur com’egli vuole de’ bei versi, sappia guadagnarsi sempre la mia attenzione, metta interesse in tutto, mi colpisca sul vivo; e basta. Che importano mai tante teorie? Il bello è sempre bello. — All nonsense! Madama imita la solita canzone dei fratelli pacieri; e stando cosí sulle generali, crede di dir grandi cose, e non sa che lo star sulle generali e il dir niente è tutt’uno. Il bello è sempre bello. Vedi bellissima novitá di sentenza! Anche i cavoli sono sempre cavoli. Ma e per questo sará goffo chi m’insegna in qual terra, sotto qual clima crescono piú rigogliosi, e come seminarli, come coltivarli, come renderli piú saporiti? Dite a madama che non le Poetiche, le quali trattano delle sole forme esteriori, ma le meditazioni metafisico-letterarie, che analizzano l’essenza intima della poesia e che indicano la linea di contatto tra essa e le vicissitudini della vita umana, tendono giusto giusto a far che nascano componimenti quali ella li [p. 67 modifica]vorrebbe. Ma ditele insieme ch’ella stia zitta, perché quelle meditazioni non sono né cappellini né merletti né sciarpe.

— A dirvela schietta, tutto ciò che sente del romantico m’infastidisce. — E pronunciata una tale protesta, madama Z ... domandò a un servo se la carrozza fosse pronta. Venne meco al teatro. Vi recitavano il dramma l’Agnese. Madama s’ inteneri, pianse, si consolò, tornò ad intenerirsi e non distolse gli occhi mai dalla scena. — Cielo, cielo! - esclamò madama Z ... — quanto mi son cari questi drammi sentimentali! — Le feci osservare che l’Agnese è. dramma romantico e, quel che è peggio, d’indole orrida. Madama si degnò di compatirmi come uomo di gusto poco squisito. Se fosse romantico non mi piacerebbe. — disse madama Z ... Al! nonsense!

— Sarei romantica anch’io- disse un’altra, — se l’onore italiano lo comportasse. La terra nostra è terra classica, e noi dobbiamo rimaner classici. — Confesso che le parole di costei riuscirono indovinelli per me. Le nuove dottrine non muovono guerra al buono, di che abbondano i libri de’ poeti italiani; e l’onore dell’Italia noi veggo compromesso in altro che nel modo frivolo con cui trattasi da taluni la questione letteraria d’oggidi.

Mylord P ... non avrebbe cessato mai d’infilzare esempi di tal fatta, s’io, stucco e ristucco, non gli avessi detto di finirla e ch’egli andava cercando il pelo nell’uovo.

-Ah sì! — rispose — voi siete noiato; e questa noia vostra è appunto il miglior trionfo per me. Confessate dunque che quel mio « non me ne sono accorto » non era fuor di luogo. Io non diceva parola, né fiatava pure.

Amereste voi -gridò mylord, amereste voi che la prediletta del vostro cuore fosse una delle nonsensical c·reatures di cui v’ho parlato?

No, mylord; no davvero; no, no, no. Ma non sono poi tutte cosi. Ve ne mostrerei a centinaia, che fanno proprio la consolazione del savio. Domani vi condurrò io a casa ...

Domattina sarò in viaggio per Londra - disse mylord; intanto buona notte.

Grisostomo.

Note

  1. Così così.
  2. Tanta abbondanza.
  3. Ma questo maledetto contagio.
  4. L’estensore di questo articolo, mentre che si professa rispettoso verso il sapere di chicchessia, reputa opportuno di giovarsi dell’occasione presente per far nota la sua insistenza nel parere manifestato da lui gia da qualche tempo, in altro scritto, relativamente alla divisione della poesia in «romantica» e «classica». Quella divisione gli parve e gli par tuttavia utilissima sí alla teoria che alla pratica. Alla teoria, perché serve a caratterizzare con due denominazioni generiche le invenzioni poetiche ispirate dal cristianesimo e dalla civilizzazione europea dopo l’invasione de’ barbari, distinguendole da quelle derivate dal paganesimo e dal complesso de’ costumi in Grecia ed in Roma; alla pratica, perché il parallelo tra le due civilizzazioni tende a far risaltare sempre più evidentemente la pedantesca servilitá del classicismo nelle opere moderne. E però l’estensore, non per tenerezza ch’egli porti a’ vocaboli, ma perché convinto della convenienza delle idee che con que’ segni s’è voluto indicare, rinnova qui il voto che qualcuno s’incarichi della briga di trattarne ex professo in un’opera italiana, raccogliendo ciò che di meglio ne hanno gia ragionato i tedeschi ed i romantisti francesi, ed aggiungendovi quelle ulteriori riflessioni, quegli schiarimenti, quelle deduzioni e conseguenze che possono giovare all’intelligenza ed al perfezionamento di un sistema di dottrine giá propagato in Europa, sul quale si parla tuttavia e si continuerá certo a parlare dai dotti. I lettori discreti vorranno perdonare all’estensore d’averli sviati in questa nota, forse di nessuna importanza per essi, ma importantissima per lui, nella tanta discordia pubblica delle opinioni.
  5. Lasciamo che altri interpreti queste parole di significato alquanto amaro.