Degli edifizii/Libro primo/Capo IX

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CAPO IX.

Tolti di mezzo i lenoni, una certa reggia vien trasmutata in monastero, destinato alle meretrici penitenti, e detta la Penitenza. Tempio di S. Panteleemone sul promontorio. Spedale nell’Argironio. Tempio dell’Arcangelo nel Mocadio. Tempii di S. Trifone, de’ SS. Mena e Meaco, e di S. Ja.


Era in quel lido un’antica reggia, bella a vedersi. Giustiniano Augusto la consecrò tutta a Dio, al presente piacere preferendo il frutto di pietà, che in tal modo ne trasse. Aveavi in Costantinopoli una greggia di donnicciuole, costrette a servire nel lupanare a venere; perciocchè poco dando ad esse da mangiare il lenone da cui dipendevano, sicchè non uscivano mai [p. 349 modifica]da estrema penuria, trovavansi in necessità di prestarsi cotidianamente a chi le volesse, avventizio ed ignoto. E v’era insieme in abbondante numero una compagnia di lenoni, i quali trattavano questa sorta di negozii non solamente ne’ fornici, ma eziandio nel foro pubblico, mercatando l’altrui femminile bellezza, e costringendone la pudicizia con turpe tracotanza. Ora Giustiniano imperadore e Teodora Augusta, comune avendo tra loro checchè a pietà si riferisse, fecero la seguente deliberazione. Cacciarono i lenoni, purgarono di tale abbominazione la Repubblica, e le più povere di quelle donne liberarono dalla servile lussuria, facendo che potessero vivere non ischiave di alcuno, e colla libertà praticare la continenza. Ciò deliberato, in quel lido dello stretto, che rimane alla destra di chi naviga verso l’Eussino, quell’antica reggia mutarono in uno splendido monastero, affinchè ivi raccolte quelle donne facessero penitenza della loro vita passata, volto l’animo al divin culto, ed espiando i peccati commessi. Per questo molto acconciamente fu quel soggiorno di donne chiamato la Penitenza. A quel monastero poi gli Augusti diedero ampie rendite, e molte camere edificarono atte a dare a quelle donne conforto, perchè ben fornite di ogni comodità, sicchè dalla necessità non fossero tratte a violare il proposito di castità. Così fu la cosa.

Di là tirando innanzi verso il Ponto-Eussino presentasi un promontorio scosceso, che viene in fuori dal lido dello stretto, su cui era situata una chiesa di S. Panteleemone, con poca diligenza in addietro edificata, e già cedente alla sua vetustà. Demolita adunque una [p. 350 modifica]tale chiesa, e quella fabbricata magnificentissima, che oggi vi si vede, Giustiniano Augusto al Martire prestò l’onor conveniente, ed aggiunse decoro allo Stretto coll’ornarne ambe le sponde, siccome dissi, di sacri edifizii. Di là da questo tempio, nel luogo che chiamasi l’Argiranio, era una vecchia casa pei poveri colti da malattie insanabili. Questa, che il tempo avea già diroccata, con molto impegno rifece da meglio servire alla prima istituzione. Sul lido detto Mocadio, vicino al luogo che anche oggi è detto Iero, fondò all’Arcangelo un tempio augustissimo, per dignità non inferiore in nissun modo ad alcuno de’ già rammemorati. Parimente una chiesa, con molto lavoro e tempo, ornata sopra quanto possa mai dirsi, inalzò al martire Trifone in quella piazzetta della città, che ha nome dalla Ciconia; ed un’altra nell’Ebdomo ai martiri Mena e Meneo. A sinistra poi della Porta Aurea vedendo essere rovinata la cappella di S. Ja, munificamente la rifabbricò.

Fin qui ho parlato de’ sacri edifizii da Giustiniano imperadore fatti eseguire in Costantinopoli. Dire partitamcnte di quelli, ch’egli costrusse per tutto l’Impero romano, sarebbe cosa grave; nè basterebbe il discorso. Bensì avendo a far menzione nominatamente di alcuna città, o provincia, opportunamente parleremo de’ suoi tempii.