Commedia (Buti)/Paradiso/Canto X

Paradiso
Canto decimo

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Paradiso - Canto IX Paradiso - Canto XI
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C A N T O     X.

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1Guardando nel suo Figlio co l’amore,
     Che l’uno e l’altro eternalmente spira,
     Lo primo et ineffabile Valore,
4Quanto per mente o per occhio si gira
     Con tanto ordine fe, che esser non puote
     Senza gustar di lui chi ciò rimira.1
7Leva dunque, Lettor, a l’alte rote
     Meco la vista dietro a quella parte,2
     Dove l’un moto e l’altro sè percuote;3
10E lì comincia a vageggiar ne l’arte
     Di quel Maestro, che dentro a sè l’ama
     Tanto, che mai da le’ l’occhio non parte.
13Vedi come da indi si dirama
     L’obliquo cerchio che i Pianeti porta,
     Per sodisfare al mondo, che li chiama;
16E se la strada lor non fusse torta,
     Molta virtù nel Ciel serebbe in vano,
     E quasi ogni potenzia quaggiù morta.
19E se dal dritto più o men lontano
     Fusse ’l partire, assai serebbe manco
     E su e giù dell’ordine mondano.4

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22Or ti riman, Lettor, sovra ’l tuo banco.
     Dietro pensando a ciò che si preliba,
     S’esser vuoi lieto assai prima, che stanco.
25Messo t’o innanzi; omai per te ti ciba:
     Che a sè torce tutta la mia cura5
     Quella materia, ond’io son fatto scriba.
28Lo ministro maggior de la Natura,
     Che del valor del Cielo il mondo imprenta,
     E col suo lume il tempo ne misura,
31Con quella parte, che su si rammenta,
     Coniunto si girava per le spire,
     In che più tosto ogni ora s’appresenta,
34Et io era con lui; ma del salire
     Non m’accorsi io, se non com’om s’accorge.
     Ansi ’l primo pensier, del suo venire.
37O Beatrice, quella che si scorge
     Di bene in meglio sì subitamente,
     Che l’atto suo per tempo non si porge,6
40Quant’esser con venia da sè lucente!
     Chè quel, ch’era entro al Sol, dov’io entra’mi,7
     Non per color; ma per lume parvente,
43Perch’io l’ingegno e l’arte e l’uso chiami,
     Sì nol direi, che mai s’imaginasse;
     Ma creder possi, e di veder si brami.
46E se le fantasie nostre son basse
     A tanta altezza, non è meraviglia:
     Chè sopra ’l Sol non fu occhio ch’andasse.
49Tal’era quivi la quarta famiglia
     De l’alto Padre che sempre li sazia,8
     Mostrando come spira e come figlia.

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52E Beatrice cominciò: Ringrazia,
     Ringrazia ’l Sol degli Angeli, ch’a questo
     Sensibil t’à levato per sua grazia.
55Cuor di mortal non fu mai sì digesto
     A divozione, et a rendersi a Dio9
     Con tutto suo gradir cotanto presto,
58Come a quelle parole mi fec’io;
     E sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
     Che Beatrice eclissò ne l’obblio.
61Nolli dispiacque; ma sì se ne rise,
     Che lo splendor de li occhi suoi ridenti
     Mia mente unita in più cose divise.
64Io viddi più fulgor vivi e vincenti
     Far di noi centro, e di sè far corona,
     Più dolci in voci, che ’n vista lucenti.
67Così cinger la fillia di Latona
     Vedem tal volta, quando l’aire è pregno
     Sì, che ritenga il fil che fa la zona.
70Nella corte del Ciel, ond’io rivegno,10
     Si trovan molte gioie care e belle
     Tanto, che non si posson trar del regno;11
73E ’l canto di quei lumi era di quelle:
     Chi non s’impenna sì, che lassù voli,
     Dal muto aspetti quindi le novelle.
76Poi sì cantando quelli ardenti Soli
     Si fur girati intorno a noi tre volte,
     Come stelle vicine ai fermi poli,
79Donne mi parven non da ballo sciolte,
     Ma che s’arrestin tacite ascoltando,
     Fin che le nove note anno ricolte;12

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82E dentro all’un senti’ cominciar: Quando
     Lo raggio della grazia, onde s’accende
     Verace amore e che poi cresce amando,13
85Multiplicato in te tanto risplende,14
     Che ti conduce su per quella scala,
     U’ senza risalir nessun descende,15
88Qual ti negasse il vin de la sua fiala
     Per la tua sete, in libertà non fora,
     Così com’acqua, che ’n mar non si cala.16
91Tu vuoi saper di quai piante s’infiora
     Questa ghirlanda, che in torno vagheggia
     La bella donna ch’ al Ciel t’avvalora,
94Io fui degli agni della santa greggia,
     Che Domenico mena per cammino,
     U’ ben s’impingua, se non si vaneggia.17
97Questi, che m’è a destra più vicino,
     Frate e maestro fùmi; et esso Alberto
     Fu di Cologna, et io Tomas d’Aquino.
100Se tu di tutti li altri esser vuoi certo,18
     Di rieto al mio parlar ti vien col viso,19
     Girando su per lo beato serto.
103Quell’altro fiammeggiar esce del riso
     Di Grazian, che l’uno e l’altro Foro
     Aiutò sì, ch’ei piace in Paradiso.
106L’altro, ch’appresso adorna il nostro coro,
     Quel Piero fu, che co la poverella
     Offerse a santa Chiesa suo Tesoro.20

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109La quinta luce, ch’è tra noi più bella,
     Spira di tale amor, che tutto ’l mondo
     Laggiù n’à gola di saper novella.21
112Dentro nell’alta mente un sì profondo22
     Saper fu messo, che se ’l vero è vero,
     A veder tanto non surse ’l secondo.
115Appresso vedi ’l lume di quel cero,
     Che giù in carne più addentro vide23
     L’angelica natura e ’l ministero.
118Nell’altra piccioletta luce ride
     Quello avvocato dei tempi cristiani,
     Del cui latino Augustin si provide.
121Or, se tu ’l occhio della mente trani24
     Di luce in luce dietro a le mie lode,
     Già dell’ottava con sete rimani:
124Per veder ogni ben dentro vi gode
     L’anima santa, che ’l mondo fallace
     Fa manifesto a chi il ben di lei ode.25
127Lo corpo, und’ella fu cacciata, giace
     Giuso in Cieldauro, et essa da martiro
     E da esilio venne a questa pace.26
130Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro27
     D Isidoro, di Beda e di Ricciardo,28
     Che a considerar fu più che viro.
133Questi, unde a me ritorna il tuo riguardo,29
     E il lume d’uno spirto, che ’n pensieri
     Gravi a morire li parve esser tardo.30

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136Essa è la luce eterna di Sigeri,31
     Che, leggendo nel vico de li strami,
     Sillogizzò invidiosi veri.
139Inde, come orologio, che ne chiami
     Nell’ora, che la sposa d’Iddio surge
     A mattinar lo sposo perchè l’ami,
142Che l’una parte l’altra tira et urge,32
     Tin tin sonando con sì dolce nota,
     Che’ l ben disposto spirto d amor turge;
145Così vidd’io la gloriosa rota,
     Muoversi e render voci a voci in tempra33
     Et in dolcezza, che esser non può nota,
148Se non colà, dove ’l gioir s’insempra.34


  1. v. 6. C. A. chi vi rimira.
  2. v. 8. C. A. vista dritta a
  3. v. 9. C. A. si percuote;
  4. v. 21. C. A. E giù e su dell’
  5. v. 26. C. A. a sè ritorce
  6. v. 39. C. A. si sporge,
  7. v. 41. C. A. Quel ch’era dentro al Sol d’ond’io
  8. v. 50. C. A. la sazia,
  9. v. 56. C. A. nè a rendersi
  10. v. 70. C. A. rinvegno,
  11. v. 72. C. A. Tante, che
  12. v. 81. C. A. le nuove
  13. v. 84. C. A. che più cresce
  14. v. 85. C. A. Multiplicando in
  15. v. 87. C. A. U’ senza di salir
  16. v. 90. C. A. Se non come acqua che al
  17. v. 96. C. A. Du’ ben si pingua,
  18. v. 100. C. A. Se sì di tutti
  19. v. 101. C. A. retro al mio parlar ten
  20. v. 108. C. A. il suo Tesoro.
  21. v. 111. C. A. ne gola
  22. v. 112. C. A. Entro v’è l’alta mente, u’ si
  23. v. 116. C. A. Che giuso in
  24. v. 121. Trani; trai frammessovi l’n. E.
  25. v. 126. C. A. a chi di lei ben
  26. v. 129. C. A. E in esilio
  27. v. 130. C. A. l’eterno spiro
  28. v. 131. C. A. Riccardo,
  29. v. 133. C. A. Questo, onde torna a
  30. v. 135. C. A. gli parve venir
  31. v. 136. C. A. Sighieri,
  32. v. 142. C. A. l’una parte e l’altra
  33. v. 146. C. A. voce a voce
  34. v. 148. C. A. dove gioir

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C O M M E N T O


Guardando nel suo Figlio ec. Questo è lo canto x, nel quale l’autore nostro finge ch’elli si trovasse sallito al quarto pianeto, cioè al Sole, e dentro in esso. E dividesi principalmente in due parti: imperò che prima finge come si trovò entrato nel quarto pianeto, cioè nel Sole, e come vi trovò molti beati spiriti; nella seconda parte, che serà la seconda lezione, finge come uno di quelli beati spiriti entrò a parlamento con lui e dimostrogli e nominogli molti altri beati spiriti, et incominciasi quine: Poi sì cantando ec. La prima, che sarà la prima lezione, si divide in sei parti: imperò che prima l’autore induce lo lettore a considerare lo moto uniforme del primo mobile e di tutte le spere e lo moto disforme dei pianeti, laudando la bontà infinita del creatore che cosi ordinò ogni cosa; nella seconda parte induce lo lettore a considerare lo luogo nel quale lo moto diritto dell’ottava spera e ’l moto obliquo dei pianeti si perquoteno et intersecansi, quine: Vedi come da indi ec.; nella terza descrive lo tempo, et incominciasi quine: Lo ministro maggior ec.; nella quarta parte finge come Beatrice diventò nella spera del Sole [p. 318 modifica]più rilucente che ’l Sole, come erano 1 li spiriti che in quella spera erano, et cominciasi quine: O Beatrice, quella che si scorge ec.; nella quinta parte finge che Beatrice lo incitasse a ringraziare Iddio che l’avea levato al quarto pianeto, et incominciasi quine: E Beatrice cominciò: ec.; nella sesta parte finge come molti di quelli beati spiriti facessono cerchio intorno a loro, et incominciasi quine: Io viddi più fulgor ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co l’esposizione litterale, allegorica e morale.

C. X — v. 1-12. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come levato nel quarto pianeto, cioè nel Sole, egli si meravigliò dell’ordine che Iddio à posto nel moto del cielo uniforme, e del moto erratico dei pianeti, e però induce lo lettore a considerare quel medesimo, commendando prima la divina potenzia, sapienzia e clemenzia che ciò àe fatto, dicendo cosi: O lettore, vuoi tu sapere come Iddio fece questa composizione mondana così ordinata? Io tel dirò: Tu dei sapere che la divina essenzia è indistinta in tre parti et in tre persone, cioè Padre, Figliuolo e Spirito Santo, sicchè sono tre persone per numero distinte e divise; ma una è la essenzia di tutte e tre et una divinità, sicchè tre persone sono una sustanzia et una divinità; e benchè al Padre s’attribuisca la potenzia, al Figliuolo la sapienzia, et allo Spirito Santo la clemenzia, l’opere de la Trinità sono individue: imperò che così è onnipotente lo Figliuolo come lo Padre, e lo Spirito Santo come lo Padre e lo Figliuolo, e così somma 2 sapienzia è lo Padre e lo Spirito Santo come ’l Figliuolo, e così è somma clemenzia lo Padre e lo Figliuolo, come è lo Spirito Santo. Questa Divina Essenzia che è eterna, quando li piacque, creò di niente la prima materia, e quando volse, la creò in quella forma che è, et a questa creazione furno tutte le dette tre persone; cioè Padre, Figliuolo e Spirito Santo: imperò che vi fu l’onnipotenzia del Padre, la 3 sapienzia del Figliuolo, e la 4 clemenzia dello Spirito Santo: però che Iddio mosso dalla sua bontà, volendo participare lo suo bene co la creatura, creò e fece questa 5 composizione con tanto ordine, che è impossibile a dire et immaginare. E così appare che ci concorresseno I’opere della Trinità, cioè la potenzia del Padre in quanto creò del niente; la 3 sapienzia del Figliuolo in quanto redusse in forma così bella; la 4 clemenzia dello Spirito Santo, in quanto si mosse per sua somma bontà, e questo tocca l’autore nel testo, dicendo: Lo primo et ineffabile Valore; cioè Iddio padre, lo quale è principio senza principio: imperò che da lui è ogni cosa, et egli è da nullo, et è ineffabile: [p. 319 modifica]imperò che la sua natura è sì alta, che non si può dire, nè pensare per la bassezza del nostro intelletto, e ben dice Valore: imperò che ogni cosa può Guardando nel suo Figlio; cioè ponendo mente nel suo Figliuolo, cioè la divina potenzia che è attribuita al Padre, quando li piacque, ragguardò nella sua increata sapienzia che è attribuita al Figliuolo, co l’amore; cioè colla sua perfetta carità che è attribuita allo Spirito Santo; e però adiunge: Che l’uno e l’altro eternalmente spira; cioè lo quale amore lo Padre e lo Figliuolo sempre da sè spira, cioè produce: però che lo Spirito Santo sempre procede dal Padre e dal Figliuolo, dice eternalmente: imperò che tale produzione fue ab eterno. E per questo dà ad intendere che a la creazione della creatura fu la potenzia del Padre, la sapienzia del Figliuolo, e l’amore dello Spirito Santo, sicchè tutte e tre le persone divine vi concorseno: imperò che sì grande cosa, come è lo mondo, non si serebbe potuto fare di niente, se non da chi fusse stato onnipotente e non si sarebbe fatto con tanto ordine se non avesse avuto perfetta sapienzia, e non l’arebbe fatto se a ciò non si fusse mosso per sua infinità carità e benivolenzia; e però dice Boezio nel terzo della Filosofica Consolazione: Quem non externœ pepulerunt fingere causœ Materiœ fluitantis opus, verum insita summi Forma boni, livore carens. — E però dice l’autore che la Divina Potenzia, guardando ne la sapienzia del Figliuolo co l’amore dello Spirito Santo, che non è altro a dire se non che Iddio quando volse, mosso da niuna cagione se non da la sua somma et infinita bontà, fece lo mondo così ordinato e così perfetto, che nulla ci manca e nulla ci si potrebbe iungere che non guastasse lo fatto; e però dice: Con tanto; cioè con sì grande, ordine fe; cioè con ordine incomprensibile et inenarrabile, e qui si dimostra la sapienzia sua, Quanto per mente o per occhio si gira; cioè tutto ciò che per mente umana si può pensare del mondo: imperò che anco n’è più a che la mente non adiunge e co l’occhio non può vedere: imperò che anco tutto non si vede co l’occhio corporale cioè che si vede coll’occhio mentale, che esser non puote Senza gustar di lui; cioè senza assaggiare di Dio, chi; cioè colui lo quale, ciò; cioè quello del mondo, che per occhio si può vedere e per mente comprendere, rimira; cioè ripensa co la mente e riguarda co l’occhio: imperò che per le cose create si cognosce lo creatore, poichè così è. Leva dunque, Lettor; ecco che conchiudendo invita lo lettore a la contemplazione del moto dei cieli, dove si vede l’ordine che Iddio à dato a la natura naturata, a l’alte rote; cioè dei cieli, Meco la vista; cioè con me Dante lo tuo vedere mentale, dietro a quella parte; ecco che lo ristringe a quella parte che vuole, cioè a quella parte del Zodiaco che si chiama Aries, Dove; cioè ne la qual parte, l’un moto; cioè [p. 320 modifica]del primo mobile che è diritto, e l’altro; cioè moto erratico de li pianeti che è obliquo, sè percuote: imperò che l’obliquo dei pianeti perquote lo moto ritto dell’ottava spera in due punti oppositi; cioè al punto che è in su l’Equatore in mezzo tra la fine di Pisces e la incominciata d’Aries, et a l’opposito che è ancora nella parte opposita dell’Equatore in mezzo tra Virgo e Libra: di questo cerchio, che si chiama Equatore, è stato detto di sopra. E quando li pianeti sono a quelli due punti, allora girano per lo mezzo insieme col movimento diritto del cielo, usciti fuora di quelli; girano fuora del mezzo o più su o più giù, secondo ch’elli sono. E quando lo Sole è in quelli due punti, allora è pari lo di’ co la notte come è stato dichiarato nelle parti precedenti; ma qui intende di quel punto che è tra Pisces et Aries: però che quinde cominciò lo moto dei pianeti, quando Iddio fece lo mondo. E dice che ragguardi a quella parte, non a quel punto: imperò che lo Sole non era ne l’entrata d’Aries; ma era ito alquanti gradi: imperò che erano passati più giorni che lo Sole era intrato in Ariete, quando finge che cercasse lo paradiso come è detto di sopra. E lì; cioè et in quel luogo dei detti due pianeti, comincia; cioè tu lettore, a vageggiar ne l’arte; cioè nella revoluzione dei cieli, che è l’arte e l’esercizio che fanno ordinariamente li cieli, secondo che Iddio gli à costretti: col suo ordine e col suo girare mandano giù le sue influenzie, Di quel Maestro; cioè d’Iddio che è sommo maestro, che; cioè lo quale maestro, dentro a sè l’ama; cioè nella mente sua: imperò che nella mente divina è l’idea, cioè la forma di tutte le Cose create e che sono a creare, e l’esemplare onde si formano tutte le cose, siccome dice Boezio nel preallegato luogo: Tu cuncta superno Ducis ab exemplo, pulchrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens, similique in imagine formans ec. — Tanto; cioè ama Iddio l’arte che fa la natura naturata nella sua mente divina, cioè esemplare, unde si pigliano le forme di tutte le cose create e che sono a creare, lo quale è nella detta Mente Divina, che mai da le’; cioè da la detta arte esemplare, l’occhio; cioè la sua intelligenzia comprendente ogni cosa: l’occhio d’Iddio è la intelligenzia d’iddio, non parte; cioè non muove nè sepera: Iddio nella sua mente ragguarda sempre: imperò che sempre sè medesimo intende et in sè vede ogni cosa: Iddio non apprende suo sapere da sensato come fanno gli uomini; ma da la sua mente nella quale sono le forme di tutte le cose che sono state, sono e saranno; et in essa ragguardando co la sua intelligenzia infinita, ogni cosa vede et ogni cosa fa o immediatamente o mediatamente, come è stato detto di sopra 6, che la creazione de l’anime umane, la loro beatificazione [p. 321 modifica]Iddio fa senza mezzo, l’altre cose per mezzo degli angeli e dei corpi celesti e della natura tutta obediente a lui; ne le quali cose egli àne posto virtù informativa a ciascuno, secondo lo suo essere, e di questo è stato detto di sopra. Et a dichiaragione di quello che è stato detto de l’Astrologia debbiamo sapere, come è stato detto altra volta, gli Astrologi diceno l’ottava spera divisa tutta in due metà per uno cerchio che lo chiamano Equatore, sicchè l’una meta è in verso lo polo artico, e l’altra in verso l’antartico; e di lungi da quello per gradi 24 diceno essere uno cerchio in verso l’artico lo quale chiamano Tropico estivale; e così in verso l’antartico da la parte opposita di lungi dal detto Equatore per gradi 24 diceno essere uno cerchio lo quale chiamano Tropico iemale e diceno che è uno cerchio largo gradi 42, lo quale chiamano Zodiaco che cinge lo cielo da l’uno Tropico all’altro per traverso, sì che l’una parte tocca lo Tropico estivale, e l’altra lo Tropico iemale, e questo interseca l’Equatore in due punti oppositi, l’uno in verso l’oriente e l’altro in verso l’occidente. Et in questo Zodiaco sono li 12 segni; Aries, Taurus, Gemini ec.; e sotto questo Zodiaco è la via dei pianeti, sicchè mai non esceno di quello, sicchè lo Sole sempre va per lo mezzo de la sua latitudine per la linea elittica, sì che sei gradi sono di verso l’una estremità e sei in verso l’altra, e la Luna cerca col suo moto tutti questi dodici gradi che sono nella latitudine del Zodiaco da l’uno canto a l’altro; e così gli altri pianeti vanno sempre sotto lo detto Zodiaco tra l’uno canto e l’altro, benchè alquanti Astrologi diceno che Venus n’esce fuora uno grado, adunqua la via de’ pianeti è dall’uno Tropico all’altro. Et incominciano gli Astrologi lo moto dei pianeti dall’Equatore da quel punto che è in mezzo tra Pisces et Aries: imperò che quinde incominciò lo moto de’ pianeti quando Iddio fece lo mondo e vanno in verso lo Tropico estivale di segno in segno, sicchè quando lo Sole entra in Aries, che è presso al mezzo di marzo, allora dice incominciare l’anno; e d’Aries passa in Tauro in 30 di’, come ogni segno è 30 gradi; e poi di Tauro in Gemini, et all’ultimo grado di Gemini è iunto al Tropico estivale, et allora è lo maggiore di’ e la minore notte di tutto l’anno; poi entra in Cancro, et incomincia a scendere; e di Cancro in Leone, e di Leone in Vergine, e così é a l’ultimo grado di Vergine tornato a l’Equatore, et è pari lo di’ co la notte; poi entra in Libra et incomincia a mancare lo di’ e crescere le notti; poi di Libra in Scorpione; e di Scorpione in Sagittario, et a l’ultimo di Sagittario è iunto al Tropico iemale, et è la maggiore notte dell’anno e lo minore di’; poi entra in Capricorno, et incominciano a mancare le notti et a crescere li di’; e di Capricorno in Aquario; e d’Aquario in Pisces, et a l’ultimo grado di Pisces è [p. 322 modifica]tornato a l’Equatore, et è pari lo di’ co la notte; e poi incomincia da capo quando entra in Aries a crescere lo di’ e mancare la notte, et incominciasi la prima parte dell’anno, cioè la primavera, e così vanno gli altri pianeti. E per questo appare che lo moto dei pianeti è attraverso al moto del primo mobile che si gira in 24 ore, e così fa girare l’ottava spera et ogni suo contento, et anco attraversa lo moto dell’ottava spera che gira incontro al primo mobile in 100 anni uno grado. E questo è quello che l’autore àe dimostrato nella parte detta di sopra, e che dirà appresso per descrivere lo tempo, cioè che lo Sole, quando si trovò sallito in esso, era in Ariete alquanti gradi; e così appare che fusse di marzo quando 7 incominciò ad avere questo pensieri. E sopra l’esquisizioni dello inferno finge che stesse due notti et uno di’, e sopra l’esquisizioni del purgatorio tre notti e tre di’, e sopra l’esquisizioni dei cieli e del paradiso non assegna tempo determinato: però che l’ombra della terra non adiunge se non infine al cielo di Venere co la sua punta, et insin quine salitte uno di’: da inde in su non può essere 8 notte.

C. X — v. 13-27. In questi cinque ternari lo nostro autore finge, come è detto, come tornato a scrivere quello che avea veduto montando al cielo del quarto pianeto e nel corpo di quel pianeto, cioè del Sole, in prima volendo descrivere lo tempo ponesse una esortazione al lettore che levasse la mente a considerare la potenzia, sapienzia e la clemenzia d’Iddio nelle sue creature e massimamente nei cieli li quali elli fece sì belli e con tanto ordine e con tanto effetto nelle cose di giù, continuando la detta esortazione adiungesse alcune belle sentenzie d’Astrologia e ritornò a la materia, dicendo così: Vedi; cioè tu lettore, guardando in cielo al cerchio che si chiama Equatore, come da indi; cioè da esso cerchio, si dirama; cioè esce da esso come fa lo ramo dell’albore, e torce in verso lo Tropico estivale l’uno ramo del Zodiaco e’ l’altro ramo in verso lo Tropico iemale, e così di quinde torce l’altra quarta del Zodiaco e ritorna a l’Equatore, e dall’Equatore torce e va al Tropico iemale l’altra quarta sì, che tutto è diviso in quattro quarte, de le quali le due si coniungono nel nostro emisperio al Tropico estivale, cioè Aries, Taurus, Gemini, che è l’una quarta; e Cancer, Leo, Virgo, che è l’altra, et incomincia dall’Equatore, la prima di verso oriente, e la seconda di verso occidente termina all’Equatore; e l’altre due quarte, cioè la terza che incomincia dall’Equatore diverso occidente che termina al Tropico iemale, nell’altro emisperio, cioè Libra, [p. 323 modifica]Scorpio, Sagittarius; e la quarta incomincia di quine e torna a l’Equatore di verso oriente e continuasi co la prima che è Capricornus, Aquarius, Pisces, e così è finito lo Zodiaco in quattro modi; e però ben dice: L’obliquo cerchio; cioè lo Zodiaco che va per traverso nell’ottava spera, che i Pianeti porta; cioè lo quale Zodiaco porta li pianeti: imperò che li pianeti fanno lo suo moto circulare sotto lui incominciando d’Ariete e tornando a lui, e così ciascuno compie suo corso in diversi tempi, come è stato detto di sopra, Per sodisfare al mondo; cioè a la materia piacente che è li elementi e le cose elementate, le quali cose significano 9 e corrompeno secondo la influenzia che viene da la virtù informativa dei detti pianeti, che; cioè lo qual mondo, li chiama; cioè li detti pianeti. E se la strada lor non fusse torta; cioè s’ella non andasse per traverso, com’ella va, Molta virtù; cioè informativa che è nel cielo ottavo, nel Ciel; cioè ne l’ottava spera che à ad influere nei pianeti e li pianeti giù, come dichiarato è stato nel primo canto di questa cantica, serebbe in vano: imperò che non sarebbe chi la disponesse ad operare come fanno li pianeti che disporrebbono pur quella, sotto la quale fusseno e quelle sopra le quali fusseno a riceverla, e non sarebbe tanta quanta è questa: imperò che si stendeno da l’uno Tropico a l’altro, E quasi ogni potenzia; cioè tutti quasi li elementi e le cose elementate che ricevono impressione di generarsi e corrompersi, serebbeno invano, se non quine dove fussono li pianeti, che serebbe piccolo luogo, e però dice quasi ogni potenzia quaggiù; cioè nel mondo, morta; cioè senza 10 mutamento: nel mutamento che la natura naturata fa, appare che sia viva; che se non avesse mutamento parrebbe morta, come l’animale quando si muove par vivo, quando non si muove pare morto; e così se gli elementi e le cose elementate non avessono mutamento per generazione e corruzione, parrebbono morti: potenzia è negli elementi, e nelle cose elementate d’essere alberate, la quale sarebbe in vano se la virtù alterante non fusse, e ben dice quasi: imperò che sarebbe questo mutamento pure in quello luogo dove fusseno e non altro. E dimostra l’autore che Iddio ogni cosa facesse con peso e con misura e con ordine, com’elli fe dicendo: E se dal dritto; cioè cerchio che è l’Equatore, più o men lontano Fusse ’l partire; cioè se lo dipartimento dei detti pianeti fusse o più dilungi o meno dall’Equatore, che è diritto et è a punto nel mezzo del cielo dal quale sono dilungi l’uno Tropico e l’altro 24 gradi, assai serebbe manco; [p. 324 modifica]cioè sarebbe assai defetto, E su e giù; cioè in cielo et in terra, dell’ordine mondano; cioè dell’ordine che Iddio à posto al mondo. E sotto questo spazio del cielo diceno li Poeti e li Astrologi che è la zona torrida inabitabile se non alle sue estremità per lo troppo caldo, come sono amenduni l’Etiopie, l’orientale e l’occidentale, et allato a questa torrida di verso lo polo artico n’è una abitabile temperata, perchè è in mezzo di questa torrida e della fredda settentrionale, e così dall’altro Tropico iemale è un altra temperata, perchè in mezzo tra la torrida e la fredda antartica che sarebbe abitabile se non che coperta ene dall’acqua, secondo che si crede. E se altri opponesse che nella torrida s’abita, sì come appare di quelli che sono a l’equinoziale, puoi rispondere che s’abita con malagevilezza; li autori inteseno di quelle che siano commode senza malagevilezza. Or ti riman, Lettor, sovra ’l tuo banco; ecco che l’autore si parte da la materia toccata e torna a la materia sua incominciata, confortando lo lettore che sopra le cose dette ripensi, s’elli vuole essere lieto: imperò che di niuna cosa si rallegra tanto l’animo, quanto delle cose d’Iddio; e però dice: Lettor, Or; cioè ora, ti riman sovra ’l tuo banco; nello quale tu stai a studiare questo mio libro, Dietro pensando; co la mente tua, a ciò che si preliba; cioè a la materia che io òne messo inanti, che è materia da essere pensata con diletto; e però dice: S’esser vuoi lieto; cioè se tu vuoi essere lieto, assai: imperò che questa è materia che fa assai lieto chi la pensa, prima che stanco; imperò che inanzi che l’uomo si stancasse sopra tale materia serebbe molto lieto, considerando l’opere d’Iddio. Messo t’ò innanzi; cioè la materia da essere pensata, omai; cioè oggimai, per te; cioè per te medesimo, ti ciba; cioè pasce te lettore sopra la detta materia, Chè a sè; cioè imperò che a sè, torce tutta la mia cura; cioè tutta la mia sollicitudine, Quella materia; cioè la materia di questa ultima cantica che è della gloria de’beati, ond’io; cioè della quale io Dante, son fatto scriba; cioè sono fatto scrittore. Seguita.

C. X — v. 28-36. In questi tre ternari lo nostro autore, ritornato alla materia sua, finge come elli si trovò sallito nel corpo del Sole senza avvedersi del sallire, dicendo: Lo ministro maggior; cioè lo Sole, che è maggiore di tutti li pianeti e de la terra, e di tutti li corpi celesti, salvo che dei cieli: imperò che, come dice Alfragano capitolo xxi, lo Sole è maggiore che la terra cento sessanta sei volte, essente equale a la terra, e la terra è 132 mila di miglia, e 600 millia, et è lo miglio 4 millia gommiti, dunqua ben è lo Sole maggiore che ogni altro corpo celeste; e dicesi ancora ministro maggiore: imperò che, come Albumasar nel suo Introduttorio differenzia terza dice, lo Sole è temperamento de li elementi e della natura e della composizione delli individui elementati per la [p. 325 modifica]participazione degli altri pianeti; e dice Lo ministro: imperò ch’egli à a ministrare e servire, de la Natura; cioè naturante, et allora s’intenderebbe d’Iddio al quale lo sole obedisce; e puòsi intendere della natura naturata: imperò che a la natura naturata cagiona li suoi effetti, et à più a cagionare che gli altri pianeti, e però si può chiamare maggiore ministro della Natura, Che; cioè lo quale ministro 11, il mondo imprenta; cioè le cose del mondo suggella, cioè in esse la trasfunde, et esse dispone a riceverla, E col suo lume; cioè lo Sole con lume suo fa lo di’ e la notte, e li di’ e le notte sono misura del tempo; lo Sole è cagione di tutti gli animali e di tutti li frutti della terra, et è cagione de la luce che illumina lo mondo, Con quella parte; cioè del Zodiaco che è lo segno d’Ariete, che; cioè la quale parte d’Ariete, su; cioè nel principio del canto, si rammenta; cioè si ricorda quando disse: Leva dunque, Lettor ec., Coniunto; cioè lo Sole: imperò che allora era in Ariete lo Sole, per le spire; cioè per quelle revoluzioni che fa in 24 ore, rotato dal primo mobile, e perchè ogni di’ va uno grado del segno, ogni di’ muta spira; e però 128 spire fa lo Sole montando dal Tropico iemale a l’estivale, e quelle medesime fa descendendo da l’estivale a l’iemale: imperò che gira per quelli medesimi luoghi: spira tanto vale quanto revoluzione, come fa lo serpente quando si ripiega in giro, che benchè ritorni colla voluntà sua non torna lo fine al principio; ma torna lungo esso e dà l’altro giro, e così fa lo Sole: imperò che ogni di’ acquista uno grado del Zodiaco, in che; cioè ne le quali revoluzioni, più tosto; che non suole negli altri segni, ogni ora s’appresenta; cioè ogni 12 ora parimente si rappresenta più tosto nelle spire d’Ariete e di Vergine che degli altri segni: imperò che in questi due segni, cioè in Ariete incomincia ad avanzare lo di’ la notte, et in Vergine incomincia a tornare lo di’ pari a la notte. E ben che in Ariete incominci ad avanzare lo di’ la notte, et in Vergine incominci a tornare pari lo di’ co la notte, è sì poco l’accrescimento e lo mancamento che a pena l’omo se n’avvede, e però l’ore tutte parimente si rappresentano tosto in quelle revoluzioni di questi due sopradetti segni più, che ne le spire di quattro segni che sono in mezzo; cioè Taurus, Gemini, Cancer e Leo: imperò che in essi l’ore de la notte si rappresentano più tosto che quelle del di’; e così nei segni vicini, cioè Pisces e Libra, ogni ora parimente si rappresenta più tosto che nelle spire di 4 segni che sono in mezzo, cioè Scorpius, Sagittarius, Capricornus et Aquarius: imperò che in essi l’ore del di’ si rappresentano più tosto che quelle della notte. E [p. 326 modifica]questo è secondo gli Astrologi che diceno d’ogni tempo che dodici ore è lo di’ e dodici la notte: imperò che sei segni si levano di di’ e sei la notte; e però quando li di’ sono maggiori che le notti, convegnano l’ore del dì penare più a rappresentarsi che quelle de le notti, e così e contrario; e quando li di’ sono pari a le notti, allora ogni ora si rappresenta parimente tosto. E questo è quello che l’autore àne voluto dimostrare. Et io; cioè Dante, era con lui; cioè col Sole, che era in Ariete: imperò che io era sallito in esso, ma del salire; cioè nel detto pianeto fatto da me, Non m’accorsi io; cioè io Dante, benchè la distanzia fusse grande: imperò che la più bassa lunghezza della spera del Sole che è la più alta di Venere, come è detto di sopra, è tre milia migliaia e secento quaranta migliaia di miglia, e la più alta lungezza del Sole che è la più bassa di Marte, è tre milia volte mille e novecento sessanta cinque migliaia di miglia, e la misura del corpo del Sole è cento e sessantasei volte equale a la misura del corpo della Luna, sicchè 185 volte l’avanza. E questo finge secondo la lettera, per mostrare che li cieli sono coniunti, e non ene vacuo tra loro; e moralmente vuole dimostrare quanto sia veloce lo nostro pensieri, che subitamente passa d’una materia ad una altra quantunqua distante, senza avvedersi l’uomo, e però adiunge la similitudine: se non com’om; cioè se non come l’uomo, s’accorge; cioè s’avvede, Ansi’l primo pensier; cioè innanti che venga lo primo pensieri omo non s’avvede che debbia venire: imperò che subitamente viene o inspirato da Dio o impresso dai corpi celesti o persuaso dal dimonio; ma degli altri descendenti da quello omo se ne può avvedere: imperò che lo primo li genera, e però dice: del suo venire; cioè del primo pensieri, cioè come vegna et unde vegna.

C. X — v. 37-48. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che nel quarto pianeto; cioè nel Sole, vedesse Beatrice più lucente che ’l Sole; e scusasi che non potrebbe dire quanto era la luce dei beati che erano in esso, e però dice: O Beatrice; questo O è ora interiezione che significa ammirazione e rendesi a quello verbo che seguita poi; cioè: Quant’esser convenia da sè lucente; cioè Beatrice; quasi dica: Eccessivamente tanto, che è da meravigliarsene: tanto convenia essere da sè lucente, acciò che si vedesse lo suo splendore e la sua chiarezza che era dentro dal Sole: convenia fusse maggiore che ’l Sole, e dichiara qual Beatrice, cioè: quella che si scorge; cioè si dimostra, Di bene in meglio: imperò che quanto più si ragguarda la Santa Scrittura, tanto più si vede la sua altezza e la sua bontà, sì subitamente; questo dice: imperò che lo intendimento de la bontà e della altezza della Santa Scrittura è dono dello Spirito Santo, e però è inspirato subitamente: imperò che [p. 327 modifica]Iddio lo ’nfunde ne la mente umana, che in ciò pensa et umilmente ciò dimanda, senza mezzo e senza distanzia di tempo; e però dice: Che l’atto suo; cioè dell’altezza e bontà della Santa Scrittura che appare di bene in meglio, non si porge per tempo: imperò che la Santa Scrittura non acquista di tempo in tempo maggiore altezza ch’ella s’abbia: imperò che Iddio, così fatta com’ella è, la inspirò nelle menti umane, et in sè medesimo 13 ella è perfettissima, dunqua lo nostro comprenderla più l’una volta che l’altra è ispirazione divina che viene senza distanzia di tempo subitamente. E poi che à dimostrato che lo suo splendore conveniva avanzare lo Sole, scusasi che quanto fusse lo suo splendore di quello che era nel Sole, cioè dei beati, che quine si rappresentavano, non potrebbe dirsi per lui, e però dice: Chè; cioè imperò che ben conveniva Beatrice essere lucente: imperò che, quel, ch’era; cioè li beati spiriti, entro al Sol; cioè come erano fatti li beati spiriti li quali erano dentro nel corpo del Sole, che convenia avanzare lo Sole acciò che si comprendesseno: imperò che se fussono stati meno splendidi che ’l Sole o altrettanto, non si sarebbono potuti vedere perchè lo splendore del Sole gli arebbe celati. E questo è secondo la lettera; ma secondo l’allegoria si debbe intendere che li beati spiriti, che si rappresentano nel Sole che sono del quarto grado, sono stati uomini scientifici e studiosi nel mondo più lucenti che ’l Sole: imperò che a distinguere e cognoscere le cose d’Iddio, che sono sopra natura e le cose de la natura, conviene la mente essere d’eccessivo lume di scienzia e conviene eccessivamente essere lucente; e però dice a dire quel ch’erano li beati spiriti dentro al Sole, dov’io; cioè nel quale io Dante, entra’mi; cioè entrai non sapendo come, se non che mi ritrovai dentro col pensieri, secondo l’allegoria; e col corpo, secondo la lettera, per la grazia d’Iddio, Non per color; ecco che dimostra in che modo erano quelli spiriti beati nel corpo solare, cioè non colorati; ma solamente coperti e fasciati di lume, e però dice: ma per lume parvente; cioè ma per lume che appariva e che si vedeva avanzante lo lume del Sole: ecco che si scusa che non lo può dire, dicendo: Perch’io; cioè bench’io Dante, l’ingegno; cioè mio, e l’arte; cioè la Retorica e la Poesi, e l’uso; cioè l’esercizio che fa l’uomo pronto a dire, e l’arte insegna, e lo ingegno assottiglia a trovare nuovi modi: chiami; cioè in mio aiuto, Sì nol direi; cioè per sì fatto modo nol potrei dire, che mai s’imaginasse; cioè per li lettori; e la cagione è questa: imperò che la imaginazione apprende dai sentimenti, e lo splendore è obietto del vedere, e lo vedere non [p. 328 modifica]à mai appreso maggiore splendore che ’l Sole, e così non lo può imaginare. Ma creder possi; cioè come erano splendidi più che ’l Sole, benchè non si possa imaginare come erano fatti, e di veder si brami; cioè si desideri dai lettori come sono fatti quelli beati spiriti più lucenti che ’l Sole. Et ora rende la cagione, per che non si può imaginare, dicendo: E se le fantasie; cioè le nostre apprensioni nostre; cioè di noi uomini, son basse; cioè che non possono adiungere, A tanta altezza, cioè a sì eccessivo splendore, non è meraviglia; ecco ch’è la cagione: Chè; cioè imperò che, sopra ’l Sol; cioè oltra la luce del Sole, non fu; cioè mai in questa vita, occhio; cioè umano, ch’andasse; cioè che potesse vedere: imperò che Iddio nulla luce sensibile àe fatto maggiore che ’l Sole: imperò che, benchè Iddio sia senza comparazione più lucente che ’l Sole, non è luce sensibile; ma è intelligibile et incomprensibile pienamente del nostro intelletto, benchè quando è beato n’abbia quanto in lui ne cape. Seguita.

C. X — v. 49-63. In questi cinque ternari lo nostro autore finge, come è detto, come erano fatti li beati spiriti che quine si rappresentavano, Beatrice lo confortò che dovesse ringraziare Iddio della sua elevazione, e com’egli lo ringraziò ardentissimamente datosi a Dio con tutto lo cuore, dicendo così: Tal’era; cioè sì splendiente, come detto è, che dire non si può sì che si possa imaginare; ma bene credere, la quarta famiglia; cioè lo quarto ordine dei beati di vita eterna, e però dice, De l’alto Padre; cioè d’Iddio che è vero padre per creazione di tutte le cose e per conservazione e governazione: li beati sono la famiglia d’Iddio, et elli è loro padre, che; cioè lo qual padre, cioè Iddio, sempre li sazia; cioè di sè: come al padre s’appartiene di notricare la sua famiglia de la sua sustanzia; così Iddio vero padre sazia tutti li beati di sè, Mostrando; cioè loro quello che gli omini del mondo non possono pienamente intendere, cioè: come spira; cioè lo Padre e lo Figliuolo l’eterno amore dai quali procede lo Spirito Santo, che è l’amore eterno che spira l’uno e l’altro, come fu detto nel principio del canto, e come figlia; cioè come lo Padre ab eterno genera lo suo Figliuolo. E per questo dà ad intendere che Iddio manifesta ai beati la sua Trinità delle persone e l’unità della sustanzia, cioè come lo Padre genera lo Figliuolo e come dall’uno e dall’altro procede lo Spirito Santo; le quali tre persone sono una sustanzia et uno Iddio; la qual cosa li beati vedeno chiaramente, ragguardando in Dio. E Beatrice; ecco che pone lo conforto di Beatrice, cominciò; cioè a dire a me Dante: Ringrazia, Ringrazia ’l Sol degli Angeli; cioè tu, Dante, ringrazia, ringrazia Iddio, che è lo Sole che illumina li angeli e li beati; et usa conduplicazione che è colore retorico per meglio confortare, ch’a [p. 329 modifica]questo Sensibil t’à levato; cioè lo quale Iddio, che è Sole intellettuale, t’à levato, cioè te Dante a questo Sole sensibile, cioè che si comprende col sentimento del vedere. La grazia d’Iddio aveva inalzato lo intelletto di Daute a considerare lo quarto pianeto, cioè lo Sole, e la fizione che secondo la sua poesi intendea fare d’esso; e di questo finge che Beatrice lo confortasse che ringraziasse Iddio che l’aveva levato colla sua grazia illuminante, e però dice: per sua grazia; cioè d’Iddio. Cuor di mortal; cioè d’uomo: imperò che l’uomo è mortale mentre che è nel mondo, poi non è più mortale; e però intende solamente di quelli del mondo, non fu mai si digesto 14; cioè sì disposto: imperò che lo cibo digesto si dice disposto al notrimento del corpo, e così digesto si dice lo cuore umano quando è disposto, A divozione; cioè a donazione a Dio: devozione è donazione e promissione che l’uomo fa di sè a Dio; e però adiunge: et a rendersi a Dio; et è questo espositivo di quel dinanzi, et è qui colore retorico quando quello che seguita interpreta quello che va innanti, e però si chiama interpretazione, Con tutto suo gradir; cioè con tutto suo compiacergli, cotanto presto; quanto fu lo mio quore per lo conforto di Beatrice; e però adiunge: Come a quelle parole; cioè di Beatrice, mi fec’io; cioè Dante, E si; cioè per sì fatto modo, tutto ’l mio amore; cioè tutta la mia carità e ’l mio fervore, in lui; cioè in Dio, si mise; cioè entrai sì fortemente col fervore di ringraziare Iddio, ad amare Iddio, Che Beatrice eclissò; cioè 15 oscurò: sì come oscura la minor luce per la maggiore, come veggiamo che, venendo lo Sole, la mattina le stelle spariscono; così vuole dire che, venendo nella mente sua la grazia d’Iddio, elli discende in lei e riempiela della sua grazia et allora ogni altro lume a la mente è nulla per rispetto di quello; e però dice che Beatrice oscurò nella mente sua, essendovi venuto maggior lume, ne l’obblio; cioè nella dimenticagione che io ebbi di Beatrice, per l’oscurazione del suo lume nella mia mente per lo lume divino che v’era venuto. Nolli dispiacque; cioè a Beatrice, ma sì se ne rise; ai Teologi non dispiace quando l’uomo s’innamora sì d’Iddio, che ogni altra cosa dimentica qualunqua gli è più cara; ma ridene e fanne festa; e però dice: Ma per sì fatto modo ne rise Beatrice, Che lo splendor de li occhi suoi ridenti; che s’intenda per li occhi di Beatrice è stato detto di sopra; e però dice che lo splendore de li occhi ridenti di Beatrice fu sì fatto, che divise la sua mente unita in più cose, e però dice: Mia mente; cioè di me Dante, unita; come detto è di sopra a ringraziare Iddio et amare lui, in [p. 330 modifica]più cose; cioè altre da quella, divise; cioè distrasse la mente sua a più altre cose. E per questo dà ad intendere l’autore, secondo l’allegoria, come elli, indutto per la Santa Scrittura a levare la mente a Dio, levòla et unittela a Dio per sì fatto modo che dimenticò e lasciò allora lo studio della santa Teologia; ma guardando poi lo suo gaudio ch’ella dimostra che sia a tutti i santi et a tutti i beati della conversione del peccatore a Dio, mostratoli lo lume dell’uno e dell’altro intelletto litterale e morale per l’una parte, et allegorico et anagogico per l’altra parte, divise la mente sua, che era unita a Dio a considerare diversi uomini virtuosi stati nel mondo et illuminati di scienzia, de’ quali doveva dimostrare in questo canto, come apparrà di sotto.

C. X — v. 64-75. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come vidde spiriti beati et uditte cantare nel corpo del Sole, li quali venneno ad udire lui e Beatrice e feceno cerchio intorno a loro, e però dice: Io; cioè Dante, vidi più fulgor; cioè splendori: imperò che l’animo beate non sono in altra spezie che di lumi e splendori, vivi e vincenti: imperò che finge che fussono spiriti beati, dice vivi; e perchè finge che fussono beati, però dice, e vincenti; cioè col suo splendore lo splendore del Sole, Far di noi; cioè di Beatrice e di me, centro; cioè mezzo: lo centro è lo punto del mezzo del tondo, e di sè far corona: imperò che si recorno in cerchio in torno a noi, Più dolci in voci; cioè più dilettevili nel canto, che ’n vista lucenti; cioè che risplendenti a la vista delli occhi. E per questo ad intendere dà che lo loro splendore dilettava la vista; ma anco lo loro canto più dilettava l’audito; e questo dice, per dare ad intendere questa moralità che, benchè l’opere virtuose dilettino coloro che le vedono anco dilettano più le parole sante e virtuose che passano dentro e muoveno lo cuore. E perchè questi, dei quali parla qui, finge che siano quelli che sono stati scientifichi nel mondo e dottori et ammaestratori ch’ànno composti libri, li quali suonano dolcemente ne li orecchi del corpo e del cuore dei lettori, però finge che questi cantino più dolcemente che li altri. Così; ecco che arreca la similitudine, cinger la fillia di Latona; cioè la Luna la quale, secondo la fizione poetica, fu figliuola di Latona e nacque d’uno parto insieme con Febo, come è stato detto di sopra xii canto del Purgatorio, la quale alcuna volta àe uno cerchio in torno sè; e questo addiviene quando è tonda e vapori si levino la notte, nei quali radi, sicchènon cuoprono la Luna, ella gitta lo suo splendore, e ne’ più spessi che sono prèsso a lei non si vede; ma nei più radi, che sono distanti da lei forse uno braccio, fa lo suo splendore uno filo a modo come uno cerchio, come veggiamo che fa la lampana quando è accesa: imperò che di sotto a sè che v’è l’olio e l’acqua [p. 331 modifica]non gitta splendore; ma intorno a sè gitta a modo d’uno cerchio sì come lo lume ripercuote nel vetro che è di sopra all’olio, e così gitta lo suo splendore in terra, e perchè è tonda lo gitta tondo, e così fa la Luna, e pero dice: Così cinger la fillia di Latona Vedem; cioè veggiamo, tal volta; noi uomini in questo mondo, quando l’aire è pregno; cioè di vapori rari: imperò che, se fussono spessi, la coperrebbono 16 e convegnano essere rari per ritto la Luna e di lungi da lei intorno per distanzia, forse d’uno braccio o poco meno, e poscia spessi, altremente non si vedrebbe lo cerchio: imperò che se tutti parimente fusseno rari non farebbe cerchio, o se tutti parimente spessi non si vedrebbe la Luna nel cerchio, Si, che; cioè per sì fatto modo pregno, ritenga; cioè l’aire pregno, il fil; cioè lo filo dello splendore, che fa la zona; cioè lo quale splendore fa lo cerchio e lo cinto intorno: zona è vocabulo in Grammatica che viene a dire cintura. Nella corte del Ciel; cioè nella corte di paradiso, ond’io; cioè da la quale io Dante, rivegno; cioè torno, Si trovan molte gioie care e belle: imperò che in paradiso ogni cosa è cara e bella, Tanto; cioè son care e belle, che non si posson trar; cioè cavare, del regno; cioè non si possono cavare di paradiso; imperò che altre che quine non si possono trovare con quella perfezione. E ’l canto di quei lumi; cioè di quelli beati spiriti lucenti più che ’l Sole, era di quelle; cioè care gioie e belle di paradiso; e però seguita questo, Chi; cioè colui lo quale, non s’impenna; cioè non si veste di penne di virtù, sì; cioè per sì fatto modo, che lassù; cioè in paradiso, voli; cioè si levi con quelle virtù, Dal muto; cioè da colui che non può parlare, aspetti quindi le novelle; cioè aspetti di saperle da chi non gliele potrà dire, cioè non aspetti di saperle.

Non si trova che niuno abbia mai potuto dire delle cose di vita eterna, tornato in questa vita se non generalmente, nè santo Paolo, nè santo Lazero, e così degli altri. E qui finisce la lezione prima del canto x, et incominciasi la seconda.

Poi sì cantando ec. Questa è la seconda lezione del canto x, nella quale l’autore finge come venne a parlamento con uno di quelli beati spiriti che erano venuti loro intorno, e come quello li dimostrò e nominò molti altri beati spiriti di quelli. E dividesi questa lezione in cinque parti: imperò che prima finge come uno delli spiriti, che s’erano girati intorno a lui, incominciò a parlamentare con lui; ne la seconda finge come lo detto spirito incominciato a parlare li manifesta lo desiderio suo, e secondo quello l’incomincia a nominare di quelli beati spiriti e nomina sè e lo suo maestro, e promette di nominare degli altri, et incominciasi quine: Tu vuoi [p. 332 modifica]saper ec.; nella terzia parte finge che girando intorno li nominasse degli altri che erano stati scientifichi infine in sette, et incominciasi quine: Quell’altro fiammeggiar ec.; nella quarta parte finge come seguendo lo parlare suo, li manifesta l’ottavo con tre poi insieme adiunti, et incominciasi quine: Or, se tu ec.; ne la quinta parte finge come li manifestò lo duodecimo spirito e fu compiuto lo giro 17. E divisa la lezione, ora è da vedere lo testo colla esposizione litterale, allegorica e morale.

C. X — v. 76-90. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come uno di quelli spiriti che erano venuti intorno a loro, cioè santo Tomaso d’Aquino, come appare nella parte seguente, incominciò a parlare con lui dicendo così: Poi; cioè poi che, sì cantando; cioè per sì fatto modo, come fu detto di sopra, quelli ardenti Soli; cioè quelli spiriti risplendenti più che ’l Sole, Si fur girati intorno a noi; cioè a me Dante e Beatrice, tre volte; questo numero finge l’autore, per dimostrare che li beati spiriti si girano intorno a la mente umana in tre modi; primo, secondo la sua memoria; secondo, secondo lo suo intelletto; terzio, secondo la sua voluntà; e questo s’intende così da la parte delli spiriti beati considerati da la mente umana, come da la mente considerante: imperò che la memoria della mente apprendente s’arricorda della memoria delli spiriti appresi quanto fu ferma al sommo bene, unde era discesa et aveva avuto origine; e lo intelletto intende quanto fu eccellente, alto e sottile lo ’ntelletto loro in intendere le cose d’Iddio; e la voluntà vuole e desidera che la loro voluntà sia stata diritta e ferma in el suo fine, cioè nel sommo Bene. E così fu nell’autore nostro questo pensieri, quando pensò sopra questi beati spiriti che erano stati di tanta scienzia nel mondo, e però n’à fatto questa fizione che tre volte girassono intorno a lui e Beatrice; et iunge a sè Beatrice: imperò che quando pensava queste cose non era senza la dottrina della Santa Scrittura; ma con essa, e però dice che girorno intorno a lui et a Beatrice tre volte, Come stelle vicine; ecco che arreca la similitudine, dicendo che così si giravano parimente distanti, come si girano le stelle vicine, cioè prossimane, ai fermi poli; cioè ai fermi perni loro, cioè come lo carro e lo corno al polo artico, e così al polo antartico quelle che vi sono, Donne mi parven; cioè a me Dante quelli spiriti beati che erano in cerchio intorno a noi come donne; e dice Donne: imperò che massimamente è loro lo ballare, non da ballo sciolte; cioè seperate e partite, Ma che s’arrestin; cioè ma che si fermino, tacite ascoltando; cioè con tacere udendo, Fin che le nove note; cioè di [p. 333 modifica]colui che canta, ànno ricolte; per seguitare lo canto; perchè l’autore finga che girino in tondo e cantino reuduta è stata la ragione di sopra. E dentro all’un; cioè dentro all’uno di quelli splendori: imperò che detto è che li beati spiriti sono fasciati di lume, senti’; cioè io Dante, cominciar; cioè a parlare in questa forma: Quando; cioè poi che, Lo raggio della grazia; cioè divina, onde; cioè dalla quale, s’accende Verace amore; cioè vero fervore d’amore in verso Iddio e lo prossimo, e che; cioè lo quale fervore, poi cresce amando: imperò che, durando tale amore, sempre cresce, Multiplicato; cioè lo detto fervore, in te; cioè Dante, tanto risplende; cioè rende splendore, Che ti conduce su; cioè in vita eterna, per quella scala; cioè per quello montamento, cioè de la virtù, U’; cioè al qual luogo, senza risalir, cioè senza 18 ritornare poi a l’ultimo quando l’anima è seperata dal corpo, nessun descende; cioè nessuno torna 19 a contemplazione della vita beata, a la quale è montamento co la scala di virtù 20 mentre che è stato in questa vita, che non vi torni dopo questa vita: imperò che senza grande grazia da Dio conceduta non si fa sì fatto montamento, e però non può essere che chi à gustato sì fatti diletti, che non ritenga sempre lo desiderio d’essi, lo quale tenendo si conviene che la sua vita sia santa e buona, Qual; cioè di noi 21, poi che tu se’ in tanta carità in verso Iddio e lo prossimo, ti negasse; cioè negasse a te Dante, il vin de la sua fiala; cioè lo fervore de la sua carità, cioè che ferventemente non amasse te, Per la tua sete; cioè per sodisfare al tuo desiderio, in libertà non fora; cioè non sarebbe libero, cioè sarebbe impedito da qualche vizio: tanto è l’uomo libero, quanto è senza vizio e peccato; et arreca la similitudine dicendo: Così com’acqua, che ’n mar non si cala; ogni acqua, se non à ritenimento o impaccio, tanto corre che viene in mare, e come è in mare si riposa: chi nega al prossimo di dichiaragli quello che onestamente desidera di sapere, mostra che non abbia carità; e se egli l’à, ch’ella sia impacciata; la quale cosa non può essere nei beati. Seguita.

C. X— v. 91-102. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che lo spirito che àe incominciato a parlare, continuando lo suo parlare, li manifesta lo suo desiderio et a quello sodisfa dicendo e narrando chi sono quelli beati spiriti che sono in giro intorno a lui, e prima manifesta sè e lo compagno che gli era allato, dicendo così: Tu; cioè Dante, vuoi saper; cioè questo è lo desiderio tuo, cioè di sapere, di quai piante s’infiora; cioè di fiori di quali piante è composta, Questa ghirlanda, e per consequente di quali [p. 334 modifica]piante perchè non sono li fiori durabili senza le piante: imperò che quine erano le piante e li fiori: però che secondo la fizione dell’autore quine 22, eretti in cerchio intorno a Dante et a Beatrice a modo d’una ghirlanda erano alquanti beati spiriti scientifichi nel mondo, li quali si rappresentano quine colle loro virtù; e però ben finge l’autore che dicessono a Dante: Tu vuoi sapere di quai piante s’infiora, cioè di quali uomini virtuosi, Questa ghirlanda; cioè questo cerchio che sta tondo, come ghirlanda, che; cioè la quale, in torno; cioè a la tonda, vagheggia; con desiderio ragguarda: vagheggiare è con desiderio d’avere la cosa amata ragguardare, La bella donna; cioè Beatrice la quale è vaga e desiderosa di sì fatte ghirlande, la quale ben si può dire bella, perch’ella è sopra tutte l’altre scienzie, ch’al del t’avvalora; cioè la quale ti dà valore e conforto di montare al cielo. Ecco che incomincia a nominare le piante, e prima sè dicendo: Io; cioè che parlo, fui degli agni della santa greggia; cioè io fui delli agnelli della santa mandra, Che; cioè la quale, Domenico; cioè santo Domenico, mena per cammino; cioè mena per la via diritta della religione e della regula di santo Domenico, U’; cioè nel qual cammino, ben s’impingua; cioè ben s’ingrassa, cioè ne le virtù, se non si vaneggia; cioè se l’uomo non si dà alle cose vane del mondo. Ecco che àne detto che fu frate predicatore; ma non à anco detto chi fu, dirallo poi; et ora dice del compagno che gli era allato. Questi; ecco che dimostra lo spirito che gli era a lato, che m’è a destra; cioè che m’è a mano diritta, più vicino; cioè più prossimano che niuno degli altri: imperò che li era allato senza mezzo, Frate e maestro fumi; cioè fu a me fratello: imperò che tutti si chiamano in segno di carità frati; e maestro: imperò che l’insegnò, et esso; cioè et egli, fu Alberto di Cotogna; ecco lo nome suo, cioè del compagno, et io; che ti parlo, fui, s’intende, Tomas d’Aquino; questi fu santo Tomaso d’Aquino dottore novello, del quale fu detto nella seconda cantica nel canto xx: Aquino è in Italia unde fu ancora Iuvenale; e maestro Alberto fu de la Magna: Cologna è una città de la Magna, et amenduni furno dell’ordine di santo Domenico dei frati predicatori. Se tu; cioè Dante, di tutti li altri esser vuoi certo; cioè se vuoi essere certificato di tutti questi altri, che sono qui intorno, di sapere chi sono, Di rieto al mio parlar; dice santo Tomaso, ti vien col viso; cioè tu, Dante, col tuo vedere, Girando su per lo beato serto; cioè girando intorno su per questa ghirlanda, cioè di questi beati che stanno in tondo intorno a noi, come una ghirlanda.

C. X — v. 103-120. In questi sei ternari lo nostro autore finge che quello spirito beato, cioè santo Tomaso, che di sopra àe parlato, li [p. 335 modifica]dimostra e nomina li altri che sono in quel giro ad uno ad uno, e nominane qui, cioè in questa parte cinque; cioè Graziano, Salomone, Piero, Dionisio et Orosio, dicendo: Quell’altro fiammegiar; cioè quello altro splendore che fiammeggia, esce del riso; cioè delle allegrezze e del piacere, Di Grazian; questi fu Graziano che fece lo Decreto, fu di Chiusi città antica di Toscana; ma ora è quasi tutta disfatta, e fu monaco di santo Felice da Bologna; e perchè nel Decreto dimostra come si convegna e concordi la legge civile colla ecclesiastica et e contrario, però adiunge: che l’uno e l’altro Foro; cioè la corte civile e la corte ecclesiastica, Aiutò sì; dimostrando come l’ una s’accorda coll’altra nel suo Decreto, ch’ei piace; cioè lo detto Graziano; et anco si può intendere dell’aiuto, cioè che piacque e piace quello aiuto, in Paradiso, dove non può piacere se non la virtù e la iustizia; e perch’elli fu virtuoso et iusto, come mostrò nella sua opera, però piace in Paradiso. L’altro, ch’appresso adorna il nostro coro; cioè l’altro fulgore che è allato a lui, che adorna la nostra congregazione colla sua virtù, Quel Piero fu; cioè Piero lombardo vescovo di Parigi, che nel 1172 fioritte, lo quale fece lo libro delle sentenzie in Teologia, e fu valentissimo e sufficentissimo uomo come dimostra la sua opera, che; cioè lo quale, Offerse co la poverella; cioè fece la sua offerta della sua facultà, come la poverella della quale dice l’Evangelio di santo Ioanni 23 che offerse poco, perchè poco aveva; ma con buono cuore, e però Iddio accettò più la sua offerta che quella del ricco, che benchè offerisse molto non offerse con sì buono animo; e però dice: a santa Chiesa suo Tesoro: imperò che offerse lo libro delle sentenzie, nel quale si vidde l’altezza del suo ingegno, a la chiesa militante; e fa menzione della vedova dell’Evangelio, perchè esso Piero nel libro predetto, cioè nel proemio fa menzione di questa vedova, dove elli dice: Cupientes aliquid de penuria ac tenuitate nostra cum paupercula in gazophylacium domini mittere ec. — La quinta luce; cioè lo quinto beato spirito che lucea più che ’l Sole, che era allato al maestro delle sentenzie et avanza tutti gli altri, e però dice: ch’è tra noi; cioè li beati spiriti che io t’òne contati, più bella: imperò che avanzava gli altri in sapere et in virtù, e però finge che sia più bella che l’altre che erano quine, Spira; cioè 24 ulimisce e rende odore, di tale amor; cioè di sì fatto fervore d’amore in verso Iddio: imperò che mostrò tanto d’amare Iddio, e per conseguente d’essere amato da Dio: tanta eccellenzia li diede, che tutto ’l mondo; cioè che ogni persona del mondo, che cognosce la sua condizione de la quale [p. 336 modifica]fu in questa vita, laggiù; cioè nel mondo; e questo dice avendo rispetto che, quando finge che quello spirito li parlasse, fusse lassù in el corpo del Sole, n’à gola; cioè n’à desiderio, di saper novella; cioè di sapere in che condizione sia, cioè s’elli è beato, o dannato; ma lo nostro autore finge pur che sia beato, come appare nel testo. Questi fu lo re Salamone 25 figliuolo del re David; ma nacque di Bersabe di quella che fu donna d’Uria, lo quale Iddio dotò di tanta sapienzia naturale et accidentale, che non si trovò pari a lui, lo quale l’autore finge che fusse cogli altri beati spiriti dotati di sapienzia, li quali àe finto che si rappresentino nella spera del Sole, benchè la Chiesa niente ne determini, e però lo mondo ne dubita. E per dimostrare la sua eccellenzia in sapere, dice: Dentro nell’alta mente; cioè sua, che Dio creò sì alta et eccellente, un sì profondo; cioè uno sì alto sapere: quel che è di lungi dal fondo è alto, profondo viene a dire di lungi dal fondo, e così viene a dire alto, Saper fu messo; cioè da Dio fu ispirato in lui tanto sapere naturale et accidentale, che se ’l vero è vero; cioè che se la verità è cognosciuta per verità, cioè questo è vero ch’elli fu più savio che altro uomo, e se questa verità serà tenuta vera sequitrà appresso questa conclusione tutti, A veder tanto; quanto vidde elli, cioè Salomone predetto, non surse ’l secondo; cioè non si levò lo secondo, cioè suo pari, cioè non se ne trovò un altro sì savio. Ora adiunge che li mostrasse un altro, cioè quel che seguitava dopo Salomone, e però dice: Appresso; cioè dopo il predetto, vedi ’l lume di quel cero; cioè di quello splendore, che arde come uno cero, Che; cioè lo quale, giù in carne; cioè quando l’anima fu unita col corpo, più addentro; cioè che gli altri uomini, essendo in carne, vide L’angelica natura e ’l ministero; questi fu Dionisio lo quale fece libro delle tre gerarchie degli angeli e dei nove ordini, dichiarando l’officio di ciascuno ordine, dichiarando bene ogni cosa, come appare nel libro suo che di ciò fece. Et ora dimostra l’altro che seguita, dicendo santo Tomaso: Nell’altra piccioletta luce; l’autore finge che tra beati sia grado com’è stato detto di sopra, e però finge che chi è stato di maggior virtù più risplenda; e chi di meno, meno; e però finge che lo spirito del quale dirà ora sia minor luce, perchè non fu di tanto sapere, c però dice: ride; cioè gode e rallegrasi, essendo beato e felice, Quello avvocato dei tempi cristiani; cioè Paolo Orosio che fu Spagnolo, che fece libro nel quale raccolse tutti li mali che erano stati nel mondo dal diluvio infine ai suoi tempi, dimostrando che minori sono stati li mali nel mondo, nel tempo dei cristiani e [p. 337 modifica]tra i cristiani, che nel tempo dei pagani e tra i pagani; e questo libro scrisse a santo Agostino che ne l’aveva pregato, perchè li fusse ad aiuto al libro che santo Augustino voleva fare De Civitate Dei; e però dice che Orosio fu avvocato dei tempi cristiani, cioè difenditore: come l’avvocato che difende la parte sua e del clientulo suo; così difese Paulo Orosio li tempi della cristianità che passorno con meno mali che quelli dei pagani, Del cui latino; cioè del parlar del quale e delle sue ragioni, ch’elli puose nel suo libro, Augustin; cioè santo Augustino quando fece lo libro De Civitate Dei — . si provide; faccendolo fare innanti, per avere poi meno fatica a ritrovare le storie. Seguita.

C. X — v. 121-132. In questi quattro ternari finge l’autore che santo Tomaso, seguitando lo suo parlare, li dimostrò Boezio romano, Isidoro, Beda e Ricciardo, dicendo: Or; cioè ora, se tu; cioè Dante, l’occhio della mente; cioè lo ’ntelletto tuo, ecco che ben dimostra ch’elli intenda allegoricamente ch’elli vedesse queste anime mentalmente, e non corporalmente, trani; cioè tiri, Di luce in luce; cioè di spirito beato in spirito beato che sono contenuti in queste luci, secondo la fizione dello autore, che stavano in giro intorno a loro, dietro a le mie lode; cioè di rietro a me, che vo lodando ciascheduno di costoro, dice santo Tomaso, Già dell’ottava; cioè luce, con sete; cioè con desiderio, rimani; cioè tu, Dante, che ài voglia di sapere chi sono: io t’ò detto insine a la settima, ora resta che tu sappi de l’ottava chi ella è. Ecco che dichiara chi è questa luce ottava, dicendo: Per veder ogni ben dentro vi gode L’anima santa; cioè dentro in quella luce ottava gode l’anima santa, cioè di Boezio romano che fu della famiglia di Mallio Torquato, che fu valentissimo uomo in tutte e sette le scienzie 26, come dimostrano l’opere sue e lo libro della Filosofica Consolazione, nella quale dimostra li beni del mondo essere fallaci et ingannevili e non durativi 27 per la loro mutazione, e dimostra qual sia vero e sommo bene, cioè Iddio. E perchè vi gode? Per veder ogni ben: imperò che nel mondo vidde ogni bene, lo mondano come è ingannevile, et Iddio com’è sommo bene e vero; e lui seguitò e lo mondano dispregiò, come appare nel detto libro, che ’l mondo fallace; cioè la quale anima di Boezio che è nell’ottava luce, Fa manifesto; lo mondo ingannevile, a chi; cioè a colui lo quale, ode il ben di lei; cioè ode quello ch’ella scrisse nel libro della Filosofica Consolazione essere lo suo bene, cioè Iddio, lo quale è sommo e perfetto bene, e lo bene mondano è bene falso et [p. 338 modifica]ingannevile, e così dimostra in el detto libro. Lo corpo; cioè del detto Boezio, und’ella; cioè del qual corpo, cioè la detta anima, fu cacciata; questo dice, perch’elli fu morto in Pavia in Lombardia, dove elli era relegato e posto in esilio dal re Teodorico che era a quello tempo re dei Romani, perchè resistea a la sua tirannia, e però andando una mattina a la chiesa a la volta d’uno cantone li fu dato uno colpo tra ’l capo e’l collo dai suoi emuli che ne mandò il capo; lo quale capo elli ricevè nelle sue mani e ripuoseselo in sul collo et andò a la chiesa, e tanto visse ch’elli si confessò, e rimissesi ne le mani del sacerdote, e fu sotterrato nella chiesa di santa Maria in Cieldauro, che 28 ene dei frati; e però dice: giace Giuso; cioè nel mondo, in Cieldauro; cioè nella chiesa di santa Maria Cieldauro in Pavia 29, et essa; cioè anima di Boezio, da martiro: imperò che, per dire la verità e per risistere a la tirannia del re, fu morto, E da esilio; cioè da sbandeggiamento: imperò che quine l’avea lo detto re relegato, venne a questa pace; cioè a la beatitudine che tu vedi, dice santo Tomaso a Dante. Et oltra li dimostra tre altri spiriti che seguitavano, dicendo: Vedi oltre; cioè a la beatitudine più là tu, Dante, fiammeggiar; risplendere e rendere fulgore, l’ardente spiro; cioè l’ardente spiramento, cioè lo spirito, D’Isidoro; questi fu santo Isidoro che fece molti libri, tra gli altri quello de l’Etimologie, di Beda; questi fu prete e fu grande teologo, e di Ricciardo; questi fu anco grande teologo, Che; cioè lo quale Ricciardo, fu più che viro 30 a considerar; cioè fu più che uomo a considerare le sentenzie della Santa Scrittura, et in questo avanzò la possibilità umana, cioè in comprendere collo intelletto e pensare li motivi e le ragioni delle cose comprese nella Santa Scrittura. Seguita.

C. X — v. 133-148. In questi cinque ternari et uno versetto lo nostro autore finge che santo Tomaso predetto compia lo suo ragionamento e lo circulo di quelli spiriti che erano in cerchio, e come ritornorno poi a girare al modo usato, dicendo: Questi; cioè questo ultimo spirito de’dodici, unde; cioè dal quale partendosi, a me; cioè Tomaso d’Aquino, ritorna il tuo riguardo; cioè lo tuo ragguardamento, cioè di te Dante, perch’elli è l’ultimo et io sono lo primo, È il lume d’uno spirto; lo quale è dentro in esso, che ’n pensieri Gravi; venuto, si debbe intendere, a morire li parve esser tardo; cioè gli parve troppo indugiare a morire: imperò che arebbe voluto morire più tosto. Essa è la luce eterna di Sigeri; ecco che manifesta chi fu, cioè maestro Sigeri 31 che lesse Dialettica in Parigi, [p. 339 modifica]Che leggendo nel vico de li strami; è una contrada in Parigi che si chiama la contrada 32 de li strami, perchè quine si vende lo strame per li cavalli, e quine lesse Loica lo detto maestro Sigeri, Sillogizzò; cioè, leggendo li Elenci d’Aristotile, fece certi silogismi a provare alquante verità sì bene et artificialmente, che gliene fu portato invidia. Inde; cioè da poi che santo Tomaso ebbe detto; e fa la similitudine, come orologio; cioè come l’oriuolo che è istrumento che segna l’ore, rotando le sue rote e percotendo le campanelle che vi sono appiccate co’martellini, che ne chiami; cioè li religiosi e li sacerdoti, Nell ora; cioè del mattino, che la sposa d’Iddio; cioè nella quale ora la sposa di Dio, cioè la santa Chiesa che è sposa d’Iddio, surge; cioè del letto e da dormire si leva, A mattinar; cioè a dire lo mattino, e 33 dicendolo a lodare, lo sposo; cioè Iddio padre, perchè l’ami; cioè a ciò che lo detto sposo ami la detta sua sposa 34, Che l’una parte; cioè delle roti che sono nell’orologio, l’altra tira; cioè parte delle ruoti di rieto a sè, et urge; cioè spinge quella che va inanzi, Tin tin sonando; le campanelle delli uorioli quando suonano tin, tin? Quando sono percosse dai loro martellini, con si dolce nota; cioè suonano le campanelle dell’oriuolo, Che ’l ben disposto spirto; cioè dei religiosi e dei cherici, d’amor turge; cioè gonfia e cresce dell’amore e della carità di Dio, Così; ecco che adatta la similitudine, vidd’io; cioè Dante, la gloriosa rota; di quelli dodici beati spiriti, Muoversi; cioè in giro, e render voci a voci in tempra; cioè in temperanza, rispondendo l’una voce a l’altra, Et in dolcezza; cioè sì fatta, che esser non può nota; cioè non si può manifestare: imperò che l’anima, mentre che è in carne, non è capace della dolcezza del canto di vita eterna; e però adiunge: Se non colà; cioè in quel luogo, dove ’l gioir; cioè nel quale lo godere e lo dilettarsi, s’insempra; cioè s’imperpetua: imperò che la beatitudine dei beati mai non debbe venire meno. Et in questa parte potrebbe lo lettore dubitare, perchè lo nostro autore àe finto che questi così fatti beati spiriti si rappresentino nel corpo solare. A che si può rispondere, come è stato detto di sopra della rappresentazione finta da lui essere fatta dai beati spiriti nelli altri pianeti, cioè imperò che questi così fatti beati spiriti ebbono influenzia dal detto pianeto, et in quella seguitorno; e perchè la loda di tale influenzia si rende a quello pianeto, finge che in esso si rappresentino. Et acciò che veggiamo le influenzie che cagiona lo Sole, [p. 340 modifica]attenderemo quello che dice Albumasar nel trattato settimo del suo Introduttorio differenzia nona, dicendo delle nature dei pianeti, lo quale dice che lo Sole significa anima vitale, lume e splendore ragione et intelletto, scienzia e la meta della vita: significa re, principi e duci, nobili e magnati e congregazioni d’omini, fortezza e vittoria, voluttà, bellezza e grandezza, sottigliezza d’animo, superbia e loda, buona appetizione di regno e di sudditi e grandezza d’amore in oro, e moltitudine di parlamenti e dilezione di nettezza e di bellezza: significa fede e culto d’Iddio, iudici e savi, padri e fratelli e mezzani, iungesi alli uomini e mettesi tra loro, dà quello che si dimanda, et è forte a vendetta, cioè che punisce li ribelli, e li mali fattori 35. E perchè àne a dare influenzia di ragione e d’intelletto di 36 scienzia e di fede e di culto d’Iddio, però àne finto l’autore che li predetti beati spiriti e gli altri, dei quali dirà di sotto, si rappresentasseno quine. E qui finisce lo canto x, et incominciasi lo xi.

Note

  1. C. M. erano fatti quelli spiriti
  2. C. M. somma clemenzia è lo Padre, lo Filliuolo e lo Spirito Santo. Questa
  3. 3,0 3,1 C. M. l’onnisapienzia
  4. 4,0 4,1 C. M. l’onniclemenzia
  5. C. M. questo mondo con tanto
  6. C. M. di sopra: senza mezzo Dio fa la creazione de l’anime ragionevoli e la beatificazione loro, e l’altre cose fa per mezzo delli angeli
  7. C. M. quando ebbe imaginazione; ma sopra l’esquisizione de l’inferno
  8. C. M. notte; sì che non si può comprendere quanto tempo determinato stesse. E questo fece l’autore, per seguitare con la sua fizione la verità: imperò che in paradiso, dove è vita eterna non può esser tempo. Seguita.
  9. C. M. s’ingenerano e corrompeno
  10. C. M. senza operamento, come è la cosa morta, e senza effetto nel mutamento che la natura
  11. C. M. ministro, del valor del Cielo; cioè della virtù informativa che lo cielo infunde giuso, il mondo
  12. C. M. ogni cosa parimente
  13. Medesimo; invariato come presso i Latini che adoperavano talora idem ed ipsum senza declinarli. E.
  14. Digesto; dal partic. passato latino digestus. E.
  15. C. M. cioè parve a me oscura per rispetto di quella luce che mi venne: eclissò è verbo, cioè oscurò,
  16. Coperrebbono; coprirebbono, dal latino cooperio? E.
  17. C. M. giro e come li ditti spiriti ritornonno al suo canto, et incominciasi quine: Questi, unde a me.
  18. C. M. senza rimontare un’altra volta, eioè all’ultimo
  19. C. M. torna dalla
  20. C. M. della virtù
  21. C. M. di voi,
  22. C. M. quine erano intorno a lui e Beatrice ritti in cerchio alquanti
  23. C. M. S. Marco nel cap. xii che
  24. C. M. cioè rende odore o parla: imperò che quando l’omo parla spira, cioè fiata, di tale
  25. Salamone; come talora odesi dal volgo, il quale agevolmente scambia le vocali, dicendo astrologo, filosafo ec. E. — C. M. Salomone
  26. Tali sette scienze nel medio evo costituivano i due corsi di studi inferiore e superiore, cioè il trivio e il quadrivio. Il primo comprendeva la Grammatica, la Retorica e la Dialettica; il secondo, l’Aritmetica, Geometria, Musica ed Astronomia. E.
  27. C. M. durabili
  28. C. M. che è de’frati eremitani de l’ordine di santo Augustino, e però
  29. Di codesta chiesa non rimane ora alcun vestigio, ed una iscrizione che parla della morte di Boezio leggesi nell’atrio della Chiesa di sant’Iuvencio. E.
  30. Viro; uomo dal vir de’Latini. E.
  31. Dante conobbe a Parigi questo maestro Sigeri di Brabante. E.
  32. C. M. lo chiasso de li
  33. C. M. e lodare Dio che è lo sposo suo, perchè
  34. Pietro Giordani in un suo Discorso -Dante e la Musica-, riflette come l’Allighieri il quale tutto riveste e muove d’affetto, con quanta grazia s’imagina la musica sacra, come un’armoniosa serenata della chiesa al suo sposo Cristo. E.
  35. C. M. li mal fattori.
  36. C. M. e di scienzia
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