XLIII. — Il Solitario

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CAPITOLO XLIII.

IL SOLITARIO.

Era una di quelle aurore che ti fan dimenticare ogni miseria della vita — per rivolgerti tutto intiero alle meraviglie — colle quali il Creatore ha fregiato i mondi. — L’alba primaverile che spuntava dall’orizzonte. — così graziosamente tinta dei bellissimi colori dell’Iride — t’incantava. — Gli astri minori impallidendo erano scomparsi nella brillante atmosfera di luce del grandissimo benefattore della natura, e l’aura mediterranea che appena increspava l’onde, ti dilatava il cuore.

Con tinta cenerognola usciva l’Isoletta dall’onda all’Occidente. — e la Clelia spinta da leggerissima brezza da Levante, lentamente s’avvicinava.

Partito il giorno antecedente da Porto Longone lo Yacht, aveva avuto una traversata felice e breve, con molta soddisfazione dei passeggieri romani in ispecie — ed in quella bellissima mattinata primaverile — esso spuntava [p. 245 modifica] dalla punta settentrionale dell’isola — già a vista degli abitatori.

L’arrivo dello Yacht della bella Giulia, — era sempre una festa per gli abitanti della Solitaria — che già lo avevan veduto altre volte e lo conoscevano perfettamente. — Tutti corsero alla marina festosi ad accogliere la cara ospite — seguiti pure dal vecchio capo della famiglia — che per gli anni e i malanni divenuto lento — seguiva da lontano la giovine e svelta brigata.

Giulia con Aurelia e Manlio scesero sulla spiaggia, ed ebbero oneste e liete accoglienze da ognuno. Giulia presentò ai suoi amici gli ospiti Romani e tutti insieme salirono verso l’abitato.

Giunti in casa — e dopo qualche riposo — il Solitario impaziente chiese a Giulia:

«Ebbene, quali nuove della nostra Roma? Sono gli stranieri fuori? Ed i preti quando lasceranno respirare quelle infelici popolazioni che tormentano da tanti secoli?»

«Le loro miserie non son finite ancora,» rispose la bella Inglese; «e chi sa quando lo saranno! — Gli stranieri si sono ritirati veramente, ma altri stranieri peggiori dei primi si assoldano — ed il Governo del vostro paese spudoratamente si accinge a [p. 246 modifica] sostituire soldati italiani a soldati stranieri nell’infame incarico di mantenere nel servaggio del prete gli infelici Romani.»

E riprendendo, Giulia continuava: «io, Inglese di nascita, ma italiana di cuore, mi vergogno nel dirvelo: Roma non sarà più capitale d’Italia! Il governo vi rinuncia ed il Parlamento sancisce quest’atto nefando per compiacere alle voglie liberticide del Bonaparte. »

«OH! vituperio dell’età moderna;» esclamò il Solitario — «Italia! un dì emporio di tutte le glorie! oggi di tutte le vergogne! — Giardino del mondo un giorno — oggi cloaca! — Oh! Giulia! un popolo disonorato è popolo morto! Io quasi dispero dell’avvenire di tal gente!» Ed una lagrima rigava la guancia arrugata del vecchio avanzo di molte patrie battaglie.