LXV. — Seguito del racconto di Marzio

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LXV. — Seguito del racconto di Marzio
LXIV LXVI

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CAPITOLO LXV.

SEGUITO DEL RACCONTO DI MARZIO.

E Nanna e Maria (tale era il nome della compagna di Nanna) s’erano anch’esse avvicinate allo sventurato giovane — e si affannavano — ma in vano — a sottrarlo dall’orribile supplizio. — Per fortuna di tutti — la mia Nanna — mi scosse coll’esclamare — Oh! «una chiave!» e veramente con molta perspicacia — volgendo lo sguardo sul muro un po’ scalcinato accanto al giovane — vi avea scoperto la chiave in un buco.

«Provata la chiave nei chiavistelli della catena — andava bene — e mentre le arrugginite serrature cedevano alla mia mano d’acciajo — ad ogni crocchiare del ferro — il mio cuore si dilatava — e mi parea sentirmi alleggerito di un peso. —

«Ero all’ultimo catenaccio — anche questo avea ceduto — e liberavo le membra intirizzite del giovane — quando Nanna mi [p. 406 modifica]afferrò per il braccio — e timorosa indicommi nella direzione della ruota una luce. —

«Abbandonai il liberato compagno — e fui tosto presso alla ruota. — Appena giunto — mi compariva innanzi un angiolo custode cioè uno dei birri — il quale s’innoltrava girando la ruota — colla sua brava lanterna sorda nella mano sinistra ed una pistola nella destra. —

«Fatto piccin piccino — e rannicchiato — io lo contemplai in tutta la maestosa sua corpulenza — e nella sua apparizione fantastica — e quando gli occhi suoi si fissarono spaventati sulla mia fisonomia — ben poco piacevole in quel momento — avevo già attanagliata la sua destra colla mia sinistra — la mia daga avea trovato la sede della vita nelle sue viscere — ed il corpaccio del birro rotolava cadavere sul terreno. —

«Voi sapete, Capitano — che io sono nemico del sangue — e che solo per difesa personale l’ho versato. — Ma là non c’era da burlare — sapevo i nemici non meno di cinque — e io ero solo.... ma che dico? al capitombolo dello sgherro — mi avvidi di non esserlo più — Il mio liberato — rifatto agile dall’urgenza, era già [p. 407 modifica] sul caduto — lo spogliava delle armi — e se ne armava lui stesso. — Le mie valenti compagne da una vecchia graticola di tortura — avevano staccato due spranghe — e s’erano schierate in serrafila per ajutarmi. —

«La situazione era cambiata — il morto, per adagio che lo avessi spacciato, non avea mancato di dar fuori un grugnito straziante — e ciò avea insospettito i compagni — e veramente io udii battere in ritirata il nemico — perchè i passi che noi distinguevamo perfettamente — rimanendo in silenzio assoluto — si sentivano allontanarsi. — Lo ripeto, non c’era da burlare; nè da far consigli di guerra — per pigliare una decisione. —

«Dalla parte ove eravamo entrati, cercar di uscire — sarebbe stata pazzia. — E che altra via ci restava? — Sapevamo tutti che le nostre romane catacombe, hanno sempre vari usci — la via di scampo non poteva trovarsi che lì — ed anche sta volta non m’ingannai. —

«Un’occhiata significativa al mio nuovo compagno — mi confermò nelle mie congetture — e senza aprir bocca — toccando colla sinistra il cuore — egli mi fe’ capire [p. 408 modifica]

— ch’io potevo far assegnamento su lui in un viaggio per quel regno delle tenebre e della morte. —

«Non v’era tempo da perdere: l’alba dovea essere vicina — e molte misure dovevano concertarsi nel convento per assicurare la nostra cattura. — Gente armata dovunque — allo sbocco di ogni uscita del sotterraneo — era il meno che si poteva aspettare di trovare tardando.

«L’acquisto di Tito fu per noi tutti prezioso — egli non solo era pratico del sotterraneo — ma a certa distanza — alquanto a sinistra — egli raccolse parecchie torcie a vento — e le distribuì alla comitiva. — La precauzione del mio compagno fu ben utile — poichè il mio piccolo cero era sul finire e la lanterna del birro — non aveva olio sufficiente per continuare un lungo viaggio sotterra.

«A destra del punto ov’egli aveva trovato le torcie — Tito mi mostrò mi chiarore — e mi disse: «quell’apertura mette nel giardino del convento — e passata che sia. siamo fuori di pericolo.»

«Camminammo — camminammo — certo ben due ore — per un sotterraneo tagliato a scalpello nel tufo — di cui — come [p. 409 modifica] sapete Capitano — il sottosuolo romano è composto — e ne abbiamo visitate insieme di quelle catacombe ben molte nella nostra misteriosa ed illustre terra. —

«Catacombe terribili per chi non le conosce — poichè ramificandosi per molti versi — esse diventano un vero labirinto per chi non ne ha il filo. —

«Giovani e svelte — le due donne eran sempre sulle nostre calcagna. — Io chiedevo loro sovente: siete stanche — volete il braccio? — ma loro: Oh! no! — Andate pure che vi seguiremo sino alla morte — «Ecco la luce» — esclamò finalmente Tito: e veramente davanti a noi comparve come un bagliore che si perdeva nella lontananza.

«Da quell’uscio noi giungeremo nel bosco di Castel Guido — da dove mi trassero per condurmi a Roma in un seminario — semenzajo d’immoralità e di turpitudini. —»

Seminario! ove si seminan preti — e donde escono i giovani negromanti — per l’edificazione di questa nostra povera Italia! — Ed il Parlamento li ha conservati questi vivai di malizia e di corruzione! — Parlamento nazionale! Eappresentanti del popolo!... Maledizione ai falsarii!