LIX. — Il duello

../LVIII ../LX IncludiIntestazione 1 giugno 2022 75% Da definire

LVIII LX

[p. 354 modifica]

CAPITOLO LIX.

IL DUELLO.

Il contadino non persegue la pernice nel folto delle boscaglie — ma dopo avere coperto le acque delle fonti circostanti. — l’aspetta a quella fonte — che unica lasciò scoperta — e lì la caccia col vischio, colla rete o col piombo micidiale — in quell’ora che la povera innocente vi cerca rifugio e ristoro alla sete. —

Così nelle ore meridiane il bifolco aspetta imboscato i renitenti buoi all’abbeveratojo per ritornarli al giogo da cui rifuggono. —

Ed il corsaro, che invano si cercherebbe sugli immensi spazi dell’Oceano — si aspetta al varco de’ suoi nascondigli, ove deve condurre le prede, e là si cattura. —

Analoga fu la risoluzione dei nostri quattro romani per rinvenire il principe T. — che inutilmente avevano cercato in ogni via. — Dopo d’aver riconosciuti e mandati a casa, col mezzo di Cencio — i cagnotti del [p. 355 modifica] Sant’Ufficio — si posero loro in agguato nei dintorni dell’Albergo Vittoria — aspettando la comparsa del T. - — il quale verso mezzanotte arrivò, e fu seguito nella sua stanza dagli amici suoi — che gli palesarono la trama dei porporati — ed ogni loro scoperta.

Era troppo nobile d’animo il principe per mettere i suoi amici a parte dell’imminente duello. — Orazio specialmente — il cui animo ardente ei conosceva — e che non avrebbe concesso ad altri la parte di secondo. — Pure d’un secondo egli abbisognava — e profittando d’un momento di calda discussione tra gli amici, con un’occhiata chiamò Attilio al balcone, e lo richiese di fermarsi con lui per quella notte. —

Orazio, Muzio e Gasparo si congedarono, ed Attilio rimase col pretesto d’affari particolari. —

Alla prima alba, un giovine in camicia rossa picchiava alla porta della stanza N. 8, nell’Albergo Vittoria — e presentava al principe T. — un cartello firmato Morosini espresso in questi termini: «Io accettai la vostra sfida e vi sto aspettando alla porta dell’albergo nella mia gondola. — Ho meco delle armi — ma se non vi convenissero, portate le vostre. — I padrini stabiliranno le condizioni del duello.» — [p. 356 modifica]

Alzatosi il principe e fatto chiamare Attilio — lo presentò al secondo di Morosini — ed in pochi minuti le condizioni furono fissate. —

Armi — pistole. — Distanza — venti passi. Facoltà di marciarsi incontro, sparando a volontà. —

Il sito era dietro i murazzi; ove i contendenti potevano recarsi subito; essendo tale il piacimento dello sfidato. —

In verità — se s’ha a morire od ammazzare — è meglio si faccia subito — poichè anche alle anime più risolute — tanto una cosa che l’altra ripugna — e quindi si desidera abbreviare il termine della decisione.

Cosa diavolo dirò del duello? Io fui sempre d’avviso che fosse vergognoso il non potersi intendere senza uccidersi — ma d’altra parte, tocca a noi — iloti ancora dei prepotenti della terra — paria dell’Europa — a predicare la pace individuale e generale? — a noi, il perdono dell’oltraggio! — a noi! — così oltraggiati da tutti! a noi cui è vietato di passeggiare sulla nostra terra!? di fregiarci delle nostre glorie!? A noi calpestati nei nostri diritti, nella nostra coscienza e nel nostro onore — dalla più vile scoria della nazione nostra!? A noi — che per [p. 357 modifica] vivere — per essere considerati. — protetti — ci bisogna prostituirci!? Via! — non duelli quando saremo costituiti, ben governati — e godremo nei nostri diritti all’estero ed all’interno — ma di fronte alla prepotenza, all’arbitrio e al privilegio — no! non si può patrocinare la pace. —

Intanto vogano verso ì murazzi le gondole che portano i contendenti. — Uscite da Malamocco — costeggiano per un pezzo l’argine immenso costrutto dalla Repubblica, contro le furie dell’Adriatico — e sbarcano finalmente alla spiaggia esterna e deserta — che fuori dei murazzi, è a secco quando gl’impetuosi bora o scirocco stanno in riposo. — Saltarono sulle sabbie, scelsero un sito a proposito, e dopo aver misurato i venti passi — i secondi, porsero le pistole agli avversari che si collocarono sui due segni marcati nell’arena. — Attilio doveva batter tre volte palma a palma — ed alla terza i combattenti potevano avanzare e far fuoco a volontà.

Già i due colpi eran battuti — e le mani erano alzate per il terzo segno — quando una voce dal lido, ove si trovavano le gondole — gridò: «Fermi!» ed i quattro volgendo lo sguardo videro uno dei gondolieri — canuto [p. 358 modifica] e di aspetto venerando, che si affrettava correndo verso di loro. — «Fermi!» ripeteva ancora il vecchio venendo avanti — e non si fermò se non giunto che fu tra i due armati. — Allora cominciò con voce alquanto tremante ma maschia e sonora, tanto che pareva incompatibile col mucchio d’anni indicato dalla sua. canizie: «Fermi! figli d’una stessa madre, l’atto che voi siete per compiere, macchierà l’uno dei due col sangue d’un concittadino! Non potrebbe essere versato invece a pro di questa terra infelice — cui tanto ancora resta a fare, per raggiungere la indipendenza a cui agogna da secoli. — Tra voi, il vinto morirà senza una parola d’affetto, una benedizione de’ suoi cari: — il vincitore rimarrà coll’aspide del rimorso nel cuore tutta la vita! — Oh voi! che ai lineamenti gentili io conosco nati su questa terra di pianto — non ha l’Italia molti nemici ancora, e non abbisogna essa di tutte le braccia de’ suoi figli per scuoter le secolari catene? — Cessate dalla lotta fratricida, ve lo chiedo — ve lo impongo in nome della madre comune! Cessate! — non rinnovate le gare antiche — retaggio fatale degli incauti — scellerati padri vostri — che precipitarono questa bella patria in tanta abbiezione! [p. 359 modifica]

«Tornate amici — tornate fratelli! — Domani voi proverete allo straniero — che tenterà ancora di strapparvi le vostre sostanze e le vostre donne, chi dei due sia più valoroso.»

Le onde dell’Adriatico infrangevansi contro gli scogli granitici che arginano i murazzi — con più effetto delle parole patriottiche ed umanitarie del vecchio — sull’ostinata risoluzione di quei due assetati di sangue — ed il principe, con certo piglio di dispetto, che chiariva l’aristocratica origine — intimò al vegliardo: — «ritiratevi.» —

Si ripresero da capo i segnali, le battute di mano si seguirono, ed alla terza gli avversarii marciarono ad incontrarsi colla pistola armata nella destra — e coll’occhio fìsso l’uno sull’altro senza battere palpebra — col meditato intento dell’omicidio.

A dodici passi sparò il principe — e la sua palla sfiorò passando la parte destra del collo di Morosini: — lo ferì — ne sgorgò il sangue — ma fu ferita leggera. — Il soldato di Calatafimi più freddo dell’avversario, s’avvicinò di più — a forse otto passi — sparò — ed il fratello della nostra Irene — si aggomitolò cadendo sul terreno come uno straccio. — La palla gli avea traversato il cuore. [p. 360 modifica]

Il Sant’Ufficio dal Vaticano sorrise — di quel sorriso infernale con cui si rallegrò — ogni volta che un olocausto di sangue — sparso dal pugnale della discordia — bagnava questa terra infelice. — E chi lo versò quel sangue italiano? Una mano italiana, consacrata alla redenzione del suo paese.