Chi l'ha detto?/Parte prima/57

Parte prima - § 57. Povertà, ricchezza

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§ 57.



Povertà, ricchezza





1274.   Vivent les gueux!1

è il ritornello di una canzone di P. J. De Béranger intitolata appunto Les gueux e composta nel 1812; ma se Béranger gli ha dato quella popolarità di cui godono tutte le sue rime, è pur vero ch’egli non n’è l’autore. Il Fournier racconta di averlo trovato in diversi canzonieri del secolo xviii, e principalmente alla fine di al[p. 431 modifica]cune strofe di Piron pubblicate dalla Société des Bibliophiles nel vol. V dei suoi Mélanges.

Non v’ha dubbio che colui che sa contentarsi, può trovare qualche conforto anche nella povertà, se non altro quello di ridersela dei ladri! È cosa ormai vecchia che:

1275.   Cantabit vacuus coram latrone viator.2

(Giovenale, Satira X, v. 22).

Perciò la povertà era levata a cielo e professata dai filosofi, a cominciare da colui che soleva dire:

1276.   Omnia mea mecum porto.3

dettato che Cicerone (Paradoxa, I, 1) attribuisce a Biante di Priene, uno dei sette savi della Grecia: ma Fedro (Fab., IV, 21) lo assegna a Simonide di Ceo, e Seneca (epist. 9) e Valerio Massimo (VII, 2) all’epicureo Stilpone.

Le privazioni e la povertà sono sopportate coraggiosamente, direi quasi lietamente, quando si hanno le forze e la fede che dà la gioventù:

1277.   Dans un grenier qu’on est bien à vingt ans!4

ritornello della canzone di P. J. de Béranger intitolata appunto Le Grenier. Tutto sta nel contentarsi: ed è certamente più invidiabile la condizione della zingara Azucena che canta nel Trovatore (parole di Salv. Cammarano, musica di Verdi, a. III. sc. 4):

1278.   Ivi povera vivea,
Sol contenta del mio stato.

E della condizione di chi, pur essendo ricco, non trova le sue ricchezze sufficienti a soddisfare i suoi desideri: ovvero di chi non sa fare buon uso del danaro, ed essendo ormai stanco di tutte le voluttà materiali che il danaro può procurargli, non trova nell’abbondanza che la sazietà e la infelicità. Egli può ben dire con Ovidio:
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1279.   Inopem me copia fecit.5

(Metamorfosi, lib. III, v. 466).
o con Seneca:

1280.   Magna servitus est magna fortuna.6

(Ad Polybium consolatio, XXVI).
cui servono di commento le parole che immediatamente precedono: Multa tibi non licent, quæ humillimis et in angulo jacentibus licent; alle quali sentenze piacemi avvicinare la seguente che veramente parla soltanto dei mali della smisurata ricchezza territoriale, dovuti a complesse ragioni sociali:

1281.   Latifundia perdidere Italiam.7

(Plinio il vecchio, Hist. natur., lib. XVIII, 7).

Senza dunque spregiare le ricchezze che pure possono dare molte soddisfazioni, se non altro quella di giovare altrui, nessuno può disconoscere che più felice di molti Cresi è il modesto lavoratore che sa contentarsi del poco sufficiente ai suoi reali bisogni, e trae dall’opera sua una onesta e ben guadagnata mercede, purché, dico, sia ben guadagnata e non provenga da turpe fonte. Che il danaro di mala provenienza poco profitta; e a chi te l’offre, rispondi pure con le parole della Bibbia:

1282.   Pecunia tua tecum sit.8

(Atti degli Apostoli, c. VIII, v. 20).
che sono le famose parole rivolte da Pietro a Simon Mago, che gli offriva danaro per ricevere lo Spirito Santo. Il testo veramente dice: Pecunia tua tecum sit in perditionem, cioè Va in malora tu e il tuo danaro, e quindi il senso è un poco diverso da quello nel quale si usano correntemente.
Chi più felice del contadino, il giorno che anche per lui si realizzasse il desiderio di quel monarca francese, avido di popolarità, di cui narrasi dicesse: [p. 433 modifica]

1283.   Je veux que le dimanche chaque paysan ait sa poule au pot.9

La tradizione attribuisce questo voto a Enrico IV, e benchè manchino le prove dirette della sua autenticità, tuttavia il consenso universale e l’indole del principe ce la fanno credere probabile. La fonte più antica del motto della poule au pot sarebbe nell’Histoire du roi Henri le Grand, di Hardouin de Péréfixe, vescovo di Rodez, stampata per la prima volta nel 1661. Il Péréfixe che non fu veramente un contemporaneo del gran re (aveva cinque anni quando egli morì), ma visse nell’ambiente della Corte e fu familiare di Richelieu, narra che il re avesse detto al duca di Savoia: «Si Dieu me donne encore de la vie, je ferai qu’il n’y aura point de laboureur en mon royaume, qui n’ait moyen d’avoir une poule dans son pot.» Il voto di Enrico IV fu anche nei secoli posteriori augurio comune per i re non meno che per i primi ministri: e sotto Luigi XIV, Colbert scriveva all’intendente di Tours nel 1670 parafrasando il desiderio reale, che sembra ch’egli avesse preso a cuore e domandando: «si les paysans commencent à estre bien vestus et bien logés, et s’ils pourront enfin se réjouir un peu, aux jours de feste et de noces.». Non si sa se la risposta dell’intendente fosse tale da soddisfare completamente l’illustre ministro.

Quasi cent’anni più tardi l’avvenimento al trono di Luigi XVI aveva ispirato a tutti le migliori speranze, per cui una mattina si lesse sul piedestallo della statua di Enrico IV sul Ponte-Nuovo la iscrizione Resurrexit. L’indomani non mancava la risposta, contenuta nel seguente distico:

               Resurrexit? j’approuve fort ce mot,
               Mais, pour y croire, il faut la poule au pot.

Cui un terzo anonimo ribatteva con un nuovo epigramma:

          Enfin, la poule au pot sera donc bientôt mise!
               On doit du moins le présumer,
          Car, depuis deux cent ans qu’on nous l’avait promise,
               On n’a cessé de la plumer.

Invece chi ha il mestolo in mano seguita allegramente a pelar la gallina.... pur senza farla gridare; e il popolo la tira avanti [p. 434 modifica]

1284.   In virtù de la santa boletta.

come è detto in una poesia vernacola di Tommaso Grossi appunto intitolata La boletta, Aria in Meneghin per Ghitara (così nell’autografo che è presso la Biblioteca di Brera a Milano. Vedi Grossi, Opere poetiche, Milano, Carrara, 1877, a pag. 290). In dialetto milanese boletta vuol dire miseria.

È del Metastasio un’osservazione non nuova, ma sempre vera, che mostra come anche la ricchezza sia soprattutto relativa, in modo che molti beni, levati a cielo e invidiati dagli uni, son tenuti in piccol conto dagli altri, poichè:

1285.                            ....Han picciol vanto
Le gemme là, dove n’abbonda il mare:
Son tesori fra noi, perchè son rare.

(Temistocle, a. I, sc 4 ).

Ed è di G. Gioachino Belli un mirabile sonetto che suggerisce delle considerazioni piuttosto melanconiche a proposito della stima che il mondo ha sempre avuto per chi ha, in confronto di chi non ha:

(3 aprile 1836).

Merito dite? eh poveri merlotti!
     Li quadrini, ecco er merito, fratelli.
Li ricchi soli so’ boni, so’ belli,
     So’ graziosi, so’ gioveni e so’ dotti.
A l’incontro, noantri poverelli
     Tutti schifenze, tutti galeotti,
     Tutti degni de sputi e de cazzotti,
     Tutti cucuzze in cammio de cervelli.
Fa comparì un pezzente in mezzo ar monno:
     Fussi magara una perla orientale,
     «Presto cacciate via sto vagabonno».
Tristo chi se presenta a li cristiani
     Scarzo e cencioso. Inzino pe’ le scale
     Lo vanno a mozzica’ puro li cani.

(I Sonetti Romaneschi, pubbl. dal nipote Giacomo a cura di L. Morandi, Città di Catello, 1887, vol. V, pag. 13)

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L’ultima terzina è meritamente popolarissima, ma essa riproduce sana sana una colorita immagine dantesca:

1286.   Con quel furor e con quella tempesta
Ch’escono i cani in dosso al poverello
Che di subito chiede, ove s’arresta.

(Dante, Inferno, c. XXI, v. 67-69).

Queste due citazioni dettero lo spunto a un argutissimo opuscolo, elegantemente illustrato, di propaganda per il VI Prestito Nazionale (1920), intitolato: Dante, Belli, i cani e i poverelli, opuscolo anonimo ma che mi dicono scritto da uno dei pezzi grossi della Banca d' Italia.

Agli stessi concetti s’ispira una celebre quartina di Giuseppe Giusti:

1287.   Un gran proverbio
Caro al Potere,
Dice che l’essere
Sta nell’avere.

(Gingillino, P. I, str. 32).
Se nulla si può concludere di buono, se mancano i danari che sono

1288.   La base de tuto.

che è il titolo di una commediola in due atti di Giacinto Gallina, rappresentata per la prima volta al Teatro Goldoni di Venezia nel febbraio 1894, e che forma il seguito di Serenissima. Ma se la base de tuto, secondo l'opinione dei più, sono i soldi, per il Nobilomo Vidal, uno dei principali personaggi delle due commedie, invece, xe volerse ben (a. I, sc. 10).

Sullo stesso soggetto ecco anche un bel testo latino:

1289.   Beati possidentes.10

Ordinariamente la si crede citazione d’Orazio, e la opinione comune è stata confortata dall’autorità del Fournier, che nel libro [p. 436 modifica]più volte ricordato L’esprit des autres cita la frase indicando anche il luogo di Orazio donde sarebbe tolta, cioè dall’ode IX del lib. IV verso 25; e sulla fede di Fournier molti altri repertori ripetono pecorinamente lo stesso errore. Ed altro non è, che se si cerca il passo indicato, nulla vi si trova di simile, ma soltanto ai v. 45-46 si legge

Non possidentem multa vocaveris
Recte beatum.

che significa precisamente il contrario. Piuttosto l’origine dei Beati possidentes va cercata in un aforisma o ditterio giuridico, di cui ignorasi l’autore: Beati qui in iure censentur possidentes e che ha un significato più ristretto: cioè, vuol dire che di fronte alla leggi la condizione del possesso reale è già una presunzione favorevole.

1290.   À l’origine de toutes les grandes fortunes il y a des choses qui font trembler.11

è sentenza che si attribuisce a Luigi Bourdaloue il quale infatti nel Sermon sur les richesses, ossia nel Sermon pour le jeudi de la seconde semaine de carême, che nell' ediz. principe del 1707, si trova nel to. II, p. 5, dice: «....Si vous remontez jusqu’à la source d’où cette opulence est venue, à peine en trouverez-vous ou l’on ne découvre, dans l’origine et dans le principe, des choses qui font trembler». Ma Bourdaloue, com'egli stesso dichiara in quella predica, non avrebbe fatto che commentare un testo di S. Gerolamo: Omnis dives atti iniquus est aut heres iniqui. Ma dov’è questo testo di S. Girolamo? Io non ho trovato che questo che suppergiù dice lo stesso: Omnes divitiae dum alios spoliant, iniquitate pariuntur (Comment in Michaeam, lib. II. cap. VI). Del resto già nel Vangelo leggiamo che

1291.   Facilius est camelum per foramen acus transire, quam divitem intrare in regnum coelorum.12

(Evang. di S. Matteo, c. XIX, v. 24).
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Sono parole di Gesù: ma con tutta la reverenza per la Bibbia mi si lasci dire che la imagine di un cammello che cerca di passare per la cruna di un ago, anche per gli orientali, così vaghi di iperboli, sembra alquanto esagerata. E poi perchè proprio un cammello? Alcuni commentatori, tra i quali Teofilatto, suppongono che si tratti di un errore di traduzione della Volgata, poiché χάμηλος vorrebbe dire non soltanto cammello, ma anche quel grosso canapo a cui i naviganti legano le àncore, che secondo Suida e altri lessicografi si scriverebbe piuttosto χάμιλος;. cioè con la ι in luogo della η. Quindi si dovrebbe intendere che è più facile di far passare una grossa fune dalla cruna di un ago che far entrare un ricco nel regno dei cieli, e allora la frase soddisfa di più.

Come conclusione di tutta questa filosofia, teniamoci prudentemente in una via di mezzo, e senza agognare immoderatamente le ricchezze, cerchiamo di tenere almeno lontana da casa nostra la:

1292.   Malesuada Fames ac turpis Egestas.13

(Virgilio, Eneide, lib. VI, v. 276).
due mostri che stanno all' ingresso dell’Averno. Cfr. Euripide, Electr., v. 376-7: ἀλλ᾽ ἔχει νόσον πενία· διδάσκει δ᾽ ἄνδρα τῇ χρείᾳ κακόν.
  1. 1274.   Viva i pezzenti!
  2. 1275.   Il viandante con le saccoccie vuote può cantare in faccia al ladro.
  3. 1276.   Porto con me ogni mia ricchezza.
  4. 1277.   Come si sta bene anche in un granaio a venti anni!
  5. 1279.   L’abbondanza mi fe’ povero.
  6. 1280.   Una grande fortuna è una grande servitù.
  7. 1281.   I latifondi condussero l’Italia a perdizione.
  8. 1282.   Tienti il tuo danaro.
  9. 1283.   Io voglio che alla domenica ogni contadino abbia il suo pollo in pentola.
  10. 1289.   Beati coloro che posseggono.
  11. 1290.   All’origine di tutte le grandi ricchezze ci sono cose che fanno fremere.
  12. 1291.   È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli.
  13. 1292.   La Fame cattiva consigliera e la Povertà vergognosa.