Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi/Lucia Bertana

Lucia Bertana

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Mea Mattugliani Santa Caterina Vigri da Bologna
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LUCIA BERTANA


... come in acquistar qualch’altro dono,
Che senza industria non può dar natura,
Affaticate notte e di si sono
Con somma diligenzia e lunga cura
Le valorose donne, e.... con buono
Successo n’è uscit’opra non oscura;
Cosi si fossin poste a quegli studi
Che immortal fanno le mortal virtudi,
FUR. can, XXXVII.




Nel secolo in cui l’Italia arricchì i letterari suoi fasti di tanta copia di sublimi ingegni, intenti a scorgere la poesia al più alto grado di perfezione, non poche furono le donne che presero parte a sì nobile gara: pari alla vite, che disdegnando il suolo, cresce e si appoggia all’albero che alto si estolle. Dal sorgere pertanto del l’aureo secolo XVI. vantò Napoli Vittoria Colonna, e qual che lustro dopo Laura Terracini. Si ebbe Padova Gaspara Stampa; Brescia Veronica Gambara, e Modena Tarquinia Molza: nè Bologna vide le sue cittadine o tarde, o in certe, o deboli, rispondere a quel nazionale invito. Suona vano dovunque altamente le lodi della vedova del marchese


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di Pescara ( 1 ); le franche rime dall’allieva del Bembo dirette ad usurpatori stranieri si commendavano assai (2); innalzavansi a cielo i soavissimi carmi di colei ch’ ebbe eguale ingegno, e non dissimile sorte della sventurata Saf fo (3): ogni labbro con fervido core applaudiva e ripeteva la energica preghiera della poetessa di Partenope (4); e nel tempo stesso Italia nostra proclamava pure stupende e degne di onore le poesie delle dotte bolognesi. Fra queste ebbersi grido di valenti rimatrici le patrizie donne, e Isabella Pepoli, e Ottavia Grassi, e Livia Pii, e tante e tante altre. Poetò allora in greco, in latino e in toscano Ippolita Paleotti; e Laura Gherardelli nella lingua del Lazio e nella propria. Dotte furono le prose dettate da Suor Febbronia Pannolini, ed elegantissimi i suoi carmi si in latino che in volgare. Un poema in quattro canti, sulla conversione di S. M. Maddalena, compose Maddalena Salaroli, riportandone generale encomi; e trattando lo stesso tema Suor Maria Ludovisi, intitolava Sacre Delizie molti suoi versi, de’ quali il patrio Instituto conserva il manoscritto. Andò «lodatissima da molti letterati la tragedia Celinda, scritta da Valeria Miani; ma troppo disvierebbe dall’ordine prefisso a quest’opera, il far menzione di tutte le illustre poetesse che nel cinquecento sorsero nella dotta città, le quali spesse fiate vestirono di non ispregevoli rime perfino il nativo vernacolo; ed è tempo di fermarsi intorno a colei che in tal secolo prima delle conciltadine sue comparve, e mantenne mai sempre il più luminoso posto. Ella nomossi Lucia Bertana; la quale, perchè divenuta moglie a Gerone Bertani gentiluomo di Modena, fu creduta e detta da molti scrittori Modenese ancor essa; fino a che il Tiraboschi la rivendicò a Bologna, ov’era nata dalla famiglia Dall’Oro nel 1521 (5), come pure fa di ciò fede [p. 175 modifica] l’epigrafe impressa sul marmo che rinserra le di lei ce neri.

Ma che dire del valore poetico di questa illustre don na, le di cui composizioni anche al di d’oggi si cercano, si leggono, si hanno in pregio? Ecco ciò che scriveva il Maffei sul di lei conto (6) «Veronica Gambara emulò le glorie della Colonna» dall’Ariosto onorata con questi versi:»

Quest’una ha non pur sè fatta immortale
Col dolce stil di che il miglior non odo,
Ma può qualunque di cui parli, o scriva
Trar dal sepolcro e far ch ’ eterno viva.

» Dietro Veronica Gambara (riprende il Maffei) segue a un’altra schiera di donne letterate, il cui nome suona» assai chiaro negli annali delle lettere italiane..... ma» nessuna di queste fu celebre al pari di Lucia Bertana.» E come lo storico dell’italiana letteratura colloca Lucia terza fra le donne di cotanto senno, del pari in tal pregio se la ebbe l’eletta schiera dei cinquecentisti, che richie devanla di verdi fiori poetici per ogni scelta raccolta che in que’ di s’imprimesse (7); non isdegnando vari di quei celebri letterati, e segnatamente Vincenzo Martelli di dirigerle spesso sonetti, odi ed altre simili composizioni, per provocarla a rispondere in rima; perchè quanto più si conosce il vero bello, tanto più si ammira, s’estima e gusta.

Ella non era solamente eccellente in rima, chè in prosa era dotta, elegante, valente; cultrice della musica, studiosa di astrologia, e nel trattare il pennello atta a distinguersi assai. Quanto alto l’ingegno, altrettanto ebbe dessa bellissimo lo aspetto ed ottimo il cuore; e diedene tal prova, che, sebbene riuscisse infruttuosa, le guadagnò [p. 176 modifica] la più alta stima, come di tutti possedeva di già l’amore. Lucia stavasi in Roma col marito ( colà chiamato dal di lui fratello, che poi fu Cardinal Bertani ) ed a lei ferivano tuttodì l’orecchio voci di disapprovazione per l’atra bile con cui Annibal Caro vendicava la troppo severa censura da Lodovico Castelvetro scagliata contro la sua cele bre canzone «Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro.» La saggia matrona sapeva che, per tema, e per qualche minaccia dell’avversario, era costretto il Castelvetro or di fuggire, or di nascondersi qua e là; e comprendeva ella che quanto questi due superbi ingegni avevano procurato lustro alla repubblica letteraria colle opere loro, non meno scandalo recavanle con si acerba contesa; a discapito pur anco della fama di uno e della tranquillità dell’altro. Godevasi la Bertana di ambedue questi la stima, e con essi corrispondeva per lettera; ma pregare il Castelvetro ad essere men pertinace nella critica contro il Caro, pareale dargli sospetto, atteso le alte protezioni di cui il famoso traduttore dell’Eneide andava altero, ch’ella prendesse le parti del più forte; e da prudente dama, temeva offendere quello che, sebbene patrizio modenese e letterato distinto, avevasi appoggi assai meno considerevoli dell’altro. Laonde si decise, per tentare la riconciliazione di quegli animi, di volgersi all’insaputa del Castelvetro, al Caro, ed esporgli quanto fosse a dolersi che due cele berrimi scrittori stessero in siffatta discordia; e fecesi a dimostrargli che sarebbe stata ansiosa, non meno che superba di divenirne ella stessa la riconciliatrice. Quindi entra a ragionare col Caro delle di lui dispiacenze col Castelvetro, e tale si è questo passo della sua lettera che credesi bene il trascriverlo, onde si abbia più perfetta idea della forza e del delicato dire di lei. — «A me pare che [p. 177 modifica] queste sieno imprese che non abbiano rispondenza con la grandezza, bontà e bellezza dell’animo suo, e manco le siano da dare, e da levare riputazione alcuna; perciocchè quando il Castelvetro avesse detto tutto quello che sapesse di V. S. non le leveria per questo, che non fosse quello onorato e caro al mondo ch’egli è. E quando dall’altra parte V. S. avesse detto del Castelvetro tutto quello che sa pesse non ne riporteria più lode che tanto, e metteria tempo in dir cosa contraria alla sua dolcissima natura. Però desidererei che V. S. si contentasse di comandarmi che io vedessi di accomodare questa differenza con soddisfazione delle parti, parendomi che questa non sia per essere cosa impossibile da fare, poichè ad Aristotile ed a molti altri, non meno che v ’ abbiate fatte l’uno all’altro, sono state fatte opposizioni; nè per questo è avvenuto che non siano grandi ed onorati scrittori; e tanto più io potrei forse sperare di ridurre ancora il Castelvetro, con tutte le sue opposizioni a salvare ancora le ragioni di V. $. ed all’incontro indurre lei a fare il medesimo; in che dimostreria la felicità dell’uno e dell’altro ingegno Nè si sdegnerà V. S. del mezzo mio, perch’io sia donna; che anco le donne, come sa, hanno spente le guerre accese, e fatti i nemici amici.» Riuscì questa lettera di sommo gradimento al Caro, e non esitò a dimostrarlo rispondendo a Lucia — «Vorrei ch’ella mi credesse, ch’io mi tengo più contento e più pregiato d’esser fatto degno da lei della sua grazia, che di qualsivoglia altro acquisto che in questo tempo mi potesse avvenire. E dalla lettera ch’ella mi scrive io mi sono tanto sentito commuovere quanto da nessun’altra mai; sì perchè la bontà, la prudenza e l’amorevolezza con cui si vede scritta, possono ordinariamente persuadere ognuno, come perchè mi ha trovato [p. 178 modifica] assai bene disposto ad essere persuaso da lei. Che sebbene io non l’ho mai veduta, sono però stato da un tempo in qua molto devoto del suo nome, ed informato delle belle, Nè però diffido dell’inge e delle rare sue qualità. gno, nè dell’autorità di V. S. e so che le donne hanno.. composte di gran controversie, ed ho lei per tale da poter comporre delle maggiori. Quanto a me, per la riverenza ch’io le porto, e per l’obbligo che le tengo.... le do. pieno arbitrio dal canto mio di far sopra ciò tutti quegli uffici che le parranno opportuni per finirla.»

Lieta l’egregia donna per si felice auspicio, già lusingavasi di condurre quei due ingegni italiani a dar bello esempio d’umani sensi e di morali virtù; e persuadere il mondo che se talvolta il desiderio di mostrare nel giusto loro punto le opere dell’altrui ingegno ( da inesperti giudici a troppo onore elevate, non senza danno degli studiosi ) muove alcun dotto ad austera critica; sempre però prevale il nobile stimolo di commendare lo ingegno in cui risplende dottrina. A riuscire pertanto in tal savio divisamento non risparmiò poscia Lucia anche col Castelvetro parole di persuasione. Ad esso rivolta, pregavalo ritirare le critiche fatte alle opere del Caro, e onde ogni scintilla di discordia fosse per sempre spenta, lo esortava a distrug gere tutti quegli scritti che si crudel guerra avevano fra di essi accesa: quindi gli suggeriva di diriggere all’avversario amichevole lettera, foriera di una pace bramata dal l’intero regno dell’italiana letteratura. Altrettanto chiedeva ella pure al Caro, con non meno calore; ma purtroppo le offese dell’amor proprio più che quelle dell’interesse sono spesse volte incurabili! Quegli animi inaspriti a vi cenda dai loro trasporti di sdegno rimasero infine irremovibili agli sforzi fatti dalla Bertana per pacificarli: e sotto [p. 179 modifica] pretesto essere impossibile di revocare gli scritti già da essi ovunque sparsi, i quali quanto lo sfrenato orgoglio attestavano anche l’ingegno sublime che li aveva dettati, respinsero i di lei consigli, e resero inefficace ogni suo tentativo. Non fu dunque Lucia in questa impresa più for tunata, di quello lo fosse il Duca di Ferrara Alfonso II, e lo fossero molti porporati, e tanti insigni personaggi che a pacificare quegli spiriti irritati, s’interposero; però si ebbe ancor’essa il vanto di averlo tentato, e tentato con tanta alacrità.

Ella morì nel 1567 in Roma, ove ognuno ne apprez zava il merito ‫و‬, il peregrino ingegno, e dove molti dotti la decantavano.... della bella scuola - Di quel Signor dell’altissimo canto - Che sovra gli altri com’aquila vola. Le sue spoglie furono deposte nella chiesa di S. Sabina in magnifico mausoleo di marmo, su cui il consorte suo a tramandare ai posteri degna memoria di cotal donna, fece scolpire bellissima effige, e narrare le di lei doti singolari. in breve ma eloquente e patetica iscrizione. Oltre l’amore dei congiunti, anche l’ammirazione dei dotti le consecrò monumenti da eternare la sua fama; varie medaglie vide l’Italia coniate in onore di lei; ed i musei Trombelli, Mazzucchelli e l’Istituto di Bologna ne conservano una di bel conio, portando a dritta la sua effige in mezzo busto, e la leggenda Lucia Bertana, a rovescio, le grazie che spargono fiori e dei puttini che li raccolgono, col motto Nullo Largius.

Italiane gentili! chi di voi si ebbe dal cielo scintilla poetica, siegua questa eccelsa rimatrice (8); chi nelle umane lettere fu diretta si formi alle sue prose; ma sopra tutto ad ognuna di voi stia a cuore d’imitare la prudenza, il candore, l’ottima indole, le nobili azioni di Lucia Bertana. [p. 180 modifica]

NOTE


(1) Vittoria Colonna, la più distinta rimatrice petrarchesca, nacque a Marino nel 1490 da Fabbrizio gran Contestabile del Regno di Napoli, e da Anna Montefeltro. Nel 1507 fu mari tata al Marchese di Pescara, ch ’ ella amò svisceratamente, e rimastane vedova, lo pian se, e allamente, prima in Napoli poi in allre città, lo celebrò co’ suoi versi; invitando in oltre a cantare di lui molti famosi ingegni di quel secolo. Mori in Roma nel 1547.

(2) Veronica Gambara, nacque in Brescia li 30 Novembre 1485. La sua educazione fu di retta dal Bembo. Ebbe a marito Giberto VIII Signore di Correggio che presto ella per dette. De ’ suoi lavori poetici vuolsi particolarmente ricordare il Sonetto che diresse a Carlo V e a Francesco I, perchè lasciassero in pace l’Italia ( V. Storia del Sonetto ita liano p. 107). Veronica seguì suo fratello Uberto destinato al Governo di Bologna; e quando Carlo V si ſu incoronato da Clemente VII nel 1530 la sua casa era nella dotta città, a guisa di accademia, la riunione de ’ più valen ti uomini di Europa al grand’atto. intervenuti.

(3) Gaspara Stampa nacque a Padova nel 1523: abbondonata dall’amante, ne sentì tanto dolore che ne morì l’anno 1554. Le sue rime bellissime e soavi spirano il più sentito affetto. ( 4) Laura Terracini nacque in Napoli e vi morì nel 1595. Lascid molte poesie; a dare un saggio delle quali non possiamo astenerci di ripetere questo Sonetto, da lei intitolato

PREGHIERA PER LA LIBERAZIONE d ’ ITALIA

Padre del Ciel, se mai ti mosse a sdegno
L’altrui superbia, o la tua propria offesa;
E s’Italia veder serva ti pesa
Di gente fiera, e sotto giogo indegno;
Mostrane d’ira e di giustizia segno
Ch ’ esser deve pur nostra querela intesa.
E pietoso di noi prendi difesa
Contro i nostri nemici e del tuo regno.
Vedi i figli del Reno e dell ’ Ibero
Preda portar dei nostri ameni campi,
Che già servi, or di noi s’han preso impero.
Dunque l’usato tuo furore avvampi
E muovi in pro di noi giusto e severo
Che solo in te speriam che tu ne scampi.

(5) Il Tiraboschi asserisce che la famiglia Dall’Oro sia Bolognese; e il trovarsi in questa città tuttora così denominato un viottolo confinante con varie case volgarmente pur dette Dall ’ Oro, induce a certezza che si l’uno che le altre avessero nome dai loro pro prietari; e fossero questi gli antenati di Lucia Bertana.

(6) V. Maffei. Storia della Lelleratura Italiana. T. 2. p. 173.

(7) Fantuzzi T. 2. pag. 151.

(8 ( Ecco un saggio del poetare di Lucia Bertana: [p. 181 modifica]

SONETTI

Or musa mia lieta e sicura andrai
Per folli boschi e per ameni colli,
Cogli occhi asciutti che già furon molli
Al chiaro fonte ove mercè trovai,
Quivi con le sorelle canterai
I miei pensieri per letizia folli,
Poichè i desiri miei fatti ha satolli
Questo Aristarco, e me lralta di guai.
Ed al gran Castelvetro in alto simile,
Dirai, se il ciel mi dà tanto valore
Degno di voi, ed al gran merto eguale,
Che posla avrai mai sempre e lingua e stile
In celebrar questo chiaro splendore
Onde mi ſarai forse anche immortale.


Se chi vive nell’alto empireo chiostro
Di quaggiù rimirar talor si appaga,
Deh mirate, Signor, l’alta mia piaga
Che m’ange il cor del ratto partir rostro.
E mentre or spargo iuvan lagrime e inchiostro
Con mente accesa c di seguirvi vaga,
L’alma vostra del ben sempre presaga,
Già di terren vestita, or divin ostro,
S’ella è pietusa più, com’era tanto,
Quando accesa vivea di mortal face,
Fatela lagrimar del mio gran pianto;
Ch’è ben ragion, dappoi ch’ella ne face
Non pur a me, ma al mondo tutto quanto
Cercando gir onor, bontade, pace.

Damon che all’ombra di pregiato alloro
Assiso or stai fra vaghi fiori e frondi,
Fra limpide acque e suon di augei facondi
Porgendo a ’ membri tuoi dolce ristoro,
Sendo tu dei pastor pompa e decoro
Chè di que ’ verdi rami il crin circondi,
Che al maggior Tosco si chiari e giocondi
Furo, e pregio maggior che gemme ed oro:
La vaga e dotta tua leggiadra musa
Non più per Filli ( a te Ninfa non degna )
Canti sfidando in Mincio ed Aretusa;
Ch’ella soffrire e non amar l’insegna:
Ben sallo Alcippo tuo che da se esclusa
Al tutto l’ave, e l’odia oggi, e disdegna

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