III

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II

 
Per veder cose al mondo ignote e scure,
in alto mar con picciol legno entrato,
passai per acque perigliose e dure;

e subito dal vento trasportato,
5nel sen dell’oceàn più alto entrai,
dove, da nuovi venti in ciel levato,

in luogo sì soave mi trovai,
sì lieto, luminoso, ameno e bello
che per somma dolcezza in me mancai.

10E, come ’n sogno, con antico vello
m’aparve un vecchio reverendo e degno,
che su del ciel venìa leggiero e snello;

e subito col volto mi fé segno
ch’i’ lo seguissi, ed io veloce e ratto
15a lui m’aplìco come ellera al legno.

Ed ei, notando la paura e l’atto
mio, confortòmi e disse: «Figliuol caro,
tu se’ d’ogni pericol quasi tratto.

Nel mar entrasti non siccome avaro
20di falsa merce, ma per trovar l’oro,
ch’è sempre a ogni mal iusto riparo.

Onde, mosso ver te ’l celeste coro,
mandato son quaggiù, come tu vedi,
perché t’apra del vero ogni tesoro.

25Andiamo adunque: i’ so quel che tu chiedi
e di te meglio ’l tuo bisogno intendo,
ma le mie orme osservino e tuo piedi!»

Mossesi allora, ed io, retro seguendo,
e miei co’ passi suoi ben temperava
30ed a ogni sua voglia atto mi rendo.

Esso a un monte e suo pie’ dirizzava,
vicino a noi d’una porta serrato,
che fiamme in ogni parte saettava.

Voltossi allor a me: «Or se’ arrivato
35dove sarà ogni tua macchia tolta,
po’ che sarai per questa porta entrato».

Disse, e, rapito me con forza molta,
dietro alla fiamma pauroso e smorto
quivi mi trasse, ov’ell’era più folta.

40E po’ che molto lì m’ebbe rivolto
come ferro in fucina, oro o argento,
vidi mie membri e me distrutto e morto.

Chi si vivesse in me non so; ma spento
vedev’alcun se stesso, e li ossi bianchi
45di stupor pien mirava e di spavento.

Della mia guida per li antichi fianchi
vidi chinare, e la cenere e l’ossa
ricoglier rotti, diminuiti e manchi;

e quelli e me rapiti in una fossa
50alta sommerse e la terra ripose
calcata ove l’avea prima rimossa.

Io, benché morto, in me di me ta’ cose
e strazi far vedea; incominciai
senz’occhi a pianger forte e senza vose,

55e, di tristizia pien, le ciglia alzai
al crudo vecchio, e di tal tradimento,
come quivi potea, mi dolfi assai.

Mentre ch’i’ era in tal pianto e lamento
più infiammato, con tremor s’aprìo
60la terra e, diserrando ogni convento,

me con terribil man tosto scoprìo
e del fondo levommi, e ’n un bel prato
tra l’erba e’ fior mi pose, al parer mio.

E poi ch’alquanto lì fu’ dimorato,
65vidi ’l mio duce in ver me sorridendo
venire, e disse: «Il tuo nome lodato

sia, o Rettor del mondo, alter, tremendo,
c’hai di tal forma e bellezza vestito
chi mo accusava me, se bene ’ntendo!»

70Da poi ch’i’ ebbi tal parlare udito,
mossi mie lumi, e ’ntorno mi guardai
per veder de’ mie membri il modo e ’l sito.

Leon, vitello ed aquila trovai
me fatto, sì che l’umana figura
75era più bella in me che l’altra assai;

anz’era tanto sopra sua natura
passata e sopra ’l modo de’ mortali,
ch’i’ non vedea del quanto la misura.

In me eran formate penne ed ali,
80e d’ogni pondo liber mi parea
al ciel volare, uno e quattro animali;

de’ quai la ’ntera forma si vedea
in uno, ed uno in quattro, sì composta
che, se nïente l’un l’altro impendea,

85volando l’una, l’altra era disposta
delle facce a volare; e, raguardando
in una, ogn’altra si vedea ascosta.

S’i’ ammirai, lettor, non ir cercando,
ché né tu creder né io dir potrei
90con umane parole o stil parlando.

Paruto uomo e non uomo allor sarei
e quelli ancora e non quelli animali,
che me in me miravan li occhi miei.

Mentre ch’io ’n su movea volando l’ali,
95vidi Minerva e nel suo seno Amore
nel sol seder fra d’oro e lievi strali;

vidi la vita in lor, vidi l’ardore
delle saette sì forte e acuto
ch’are’ vinto e soluto ogni rigore.

100Io, per grande stupor, fatt’era muto
e volea domandar, e non ardìa,
pel caso ch’era inanzi intervenuto.

Allora ’l vecchio, della mente mia
intendendo l’ardor, disse: «O figliolo,
105ecco che già dei ciel prendi la via!

Già senti salutare essere ’l duolo
dell’ampla fiamma e quella sepultura
che te nel grembo suo ricevé solo,

poi ampliò mutando tua figura
110in modo che già puoi qua su salire,
dov’uom non salse mai per sua natura.

Or vorresti da me più oltre udire
ch’ancor veder non puoi, ed io t’aviso
che, se colei non aiuta ’l mio dire

115la quale or vedi ed or raguardi fiso,
i’ non saprei però che tu se’ giunto
nel luogo da noi detto paradiso.

Qui è quel senza cerchio ubique punto,
quell’è la Sapïenza e quello Amore,
120nel sacro sen sempr’unito e coniunto».

«O padre mio — diss’io — duce e signore,
del qual, non conoscendo, assai mi dolsi
sotterra pria e poi nel gran calore,

ma l’alma, el petto e ’l cor tutto rivolsi
125tosto chi’ vidi ’l mio fallo e ’l tuo volto
tal verso me, qual io richiesi e volsi!

Or che la fiamma e ’l mio error più molto
mi duole, e priego te, caro mio duce,
che sia in me da te ogn’odio sciolto;

130e dimmi perché là in quella luce,
dov’arde Amor nella sua donna acceso,
l’Amicizia lor cara non vi luce.

I’ ho più volte cercando conteso
di veder di costei la mente e ’l petto,
135e del cercar non mai soffersi ’l peso».

Ed egli allora a me: «Com’io t’ho detto,
non senza l’alma donna puoi sapere
quel ch’ora accende e strigne ’l tuo affetto».

E, volto a lei: «Tu puo’ chiaro vedere,
140o rettrice del mondo, il nostro core
e l’ardor che ci tien di te udire!

Costui, mutato già dal tuo decore,
per dubiosi cammini è qui salito
per udir te parlar del sacro amore,

145over de l’amicizia, e l’infinito
lume spiegar che l’uno e l’altro accende,
sì che ’l mondo non vede ogni lor rito»

Disse; e la donna allor, come chi ’ntende,
me che non seppe dir chi domandava,
150volt’ a noi, tali e ta’ parole rende:

- Veggendo voi qui star, meco pensava
di prevenire al vostro domandare,
mentre che questi ardea e dubitava.

Qui si convien di carità parlare,
155la qual è d’amicizia in la fornace
fabbricata d’amore, en quell’altare

nel quale Aron suo olocausto face.
Niun’amicizia è vera se non quella
che nella carità si siede e giace,

160anz’è di lei figliuola over sorella
o, come sopra dissi, è caritate,
vita d’ogni virtù, àncora e stella.

L’obietto suo è essa bonitate,
e, per quell’ottener, volt’a’ mortali,
165ciascun prossimo chiama amico e frate;

saetta ancora e suo più caldi strali
agl’inimici, e, con libero petto,
fa li suo moti a tutte cose equali,

sé ordinando, e tutto ’l suo diletto
170è nell’amar, benché non truovi amore
ciascun come ’l suo puro e più perfetto.

Di chi ingrato è per sé nessun dolore
sente, ma sol di color si contrista
che dell’amar non sentono ’l dolzore.

175Questa nïente ha suo, nïente acquista
se non comun; questa, per aver tutto,
se stessa presta alle sue cose mista;

questa inferma allo ’nfermo e piange al lutto
e maggior pena che ’l penato sente,
180questa nel perder suo truova gran frutto,

quest’ha l’amico suo sempre presente;
magnifica, benigna, larga e pronta
consola, aiuta e soccorre la gente.

Questa suo beneficî mai non conta,
185questa ciascun dell’amor debitrice
sé crede, e, amando, suo debiti sconta;

questa non ha timor, quest’è felice
nella calamità, e l’alma pone
per non perder amor, com’alcun dice;

190questa ogni suo fatto, ogni sermone
accende nella fiamma di Colui
che di virtù celeste armò Sansone;

questa nel grembo mio sempre costui
abraccia, en modo che ’ntender non puoi
195se esso è giunto a lei o essa a lui.

E questo inanzi ’ngannò li occhi tuoi,
perché duo credev’esser quel ch’è uno,
come nel petto mio già veder puoi.

I’ son colei che la meno a ciascuno
200ov’è l’obietto amabil, che l’Amore
muove ed accende dov’è lo prim’Uno.

I’ son colei che la forma e ’l decore
per sé bellezza mostrò donde nasce
e ’l vero amor nel generoso core.

205Chi al mio petto si nutrica e pasce
vede dell’amicizia il santo nodo
avanzar ciò che ’n terra vale o nasce;

vede sua nobiltà, vede ’n che modo
questa in sé poss’un di molti fare
210e con vincol legar tenace e sodo;

vede ogni felicità è nell’amare,
e per amor, quand’ha se stesso dato
con tutto ’l suo, già niente gli pare.

Non cerca tale amor fruir l’amato,
215ma per amor gli è dolce ogni tormento,
se di divin furore è ’nebrïato.

Alterno amor non cerca ’l suo contento,
ma per amor dell’amato si priva,
purché di quel poss’empiere ’l talento.

220Nella morte vedrai l’anima viva
del verace amatore, e nella vita
quella vedrai di vita e luce priva.

Vedrai, vegghiando, lei maner sopita,
el riso vedrai misto al duro pianto
225e nella retta via come smarrita;

vedrai ’l corso star, piangere ’l canto,
ardere ’l ghiaccio e congelare ’l fuoco,
e nïente quant’è già esser tanto;

quel che grand’era vedra’ fatto poco,
230la sapienza stolta, e depravata
l’alma virtù e privato di loco

alcun locale e la luce oscurata
e per astri contrarî ammirerai
e ’nsieme forse misera e beata

235l’alma gentile e nobile dirai
e col superno Amor tutto abracciare
e tal far qual altrui non fece mai,

e quella sopra ’l mondo e te volare
en ciel salendo, nell’inferno scesa,
240ed alta e bassa in un momento stare.

Con ozio all’operar veloce è ’ntesa,
mobile più che fiamma e che ’l pianeta
che ’n un dì gira ’l ciel senza contesa.

Questa già mai star non può quieta
245perch’amor la combatte, e quinci avviene
che a nullo già mai se stessa vieta.

Chiama ciascuno amico, e ciascun tiene
un altro sé, e, come per sé face,
fa per ciascuno; e, se noterai bene,

250vedrai l’amico ver non aver pace
nell’altrui guerra, colpa over tristizia,
quand’a se stesso, overo al ciel, dispiace.

Quinci ’l vedrai orar per la milizia
e, per la colpa altrui, con pianto e lutto
255e grave duolo e paura e mestizia

consigliare, amonire infin che ’l frutto
colga del suo amore e al divino
precetto ubidir possa in parte o tutto.

Per quel vede ogni amore esser meschino
260che non vòle in altrui quei che ’n sé volle,
quando si fé amando a Dio vicino.

Chi ’l core e l’alma e la mente non tolle
tutt’al suo Dio ed a lui non la dona
dall’amicizia ’l suo principio tolle.

265L’obietto è l’atto e l’abito corona
della sua nobiltà, onde l’amore
locato ’n Dio essalta ogni persona,

tanto quanto dell’atto fa ’l vigore.
Sì che niun più felice è di colui
270ch’a Dio dona sé con tutto ’l core;

e chi crede l’amico un altro lui,
sì che com’a se stesso a lui vuol bene,
non altro o men che sé amando in lui;

chi questa legge osserva, abraccia e tiene
275e cerca ’n altrui eccitar quell’amore
che fa beato ognun ch’ad esso viene.

Chi di tal fondament’è posto fore
su’ amicizia fa simil a quella
che ’n sé del suo amor volge ’l tenore.

280Se d’amicizia dunque alcun favella
senza questo principio, non intende
quel ch’è benevolenza, o vera o fella;

il perché quella e questi e me offende
chi sé dispone amando in altro modo;
285è chi non ben questa legge comprende,

s’i’ l’uno amore e l’amicizia lodo,
cose a’ quali ogn’altro è sottoposto,
che ’n sé non ha mendacio, inganno o frodo.

Il perché de’ ciascuno esser disposto
290per sé amare Dio e per Dio tutto,
dov’è d’amore ’l vero obietto posto.

Quindi del retto amor si coglie ’l frutto,
quindi la forma, regola e misura,
e l’ordin dell’amor s’impara tutto,

295perch’è indegna la nostra natura
per sé essere amata: al suo Fattore
volger si de’ l’amor di sua fattura.

E perché tanto è più nobil l’amore
locato in creatura quant’è quello
300che ’l tempera a più luce e più vigore,

prima si debbe el pè in fiamma d’ello
e quindi all’amicizia por la mano,
se confonder non vuoi l’ordine bello.

Ciò dico perch’a nullo paia strano
305se amicizia e carità coniungo
e al divino amor sempre l’umano.

I’ dire’ d’esto più, ma sare’ lungo
veder come procede e quanto e dove,
e com’ dall’altro l’un talor disiungo.

310Bastiti dunque se alcune nove
lode desta virtù saranno assunte,
dond’a noi ogni vero e luce piove.

La fiamma d’esto amore ha le sue punte
nel foco del mio petto asottigliate,
315sì ch’al debil veder paion consunte;

ma son sì e ’n tal modo temperate
che di ferro e di pietra ogni rigore
risolvon, quando son ben saettate.

Quinci del fido amico il vero amore
320conoscer puossi, però che ’nfiammato
quindi sempre ferisce e fende ’l core.

E questo avvien però ch’è stimolato
da tanto amor che tutto si trasforma,
tutto s’infonde e muta nell’amato.

325Quinci vedrai, vestiti della norma
del caldo affetto, gesti, atti e parlari
come saette imprimer la lor orma;

quinci vedrai mutar molti suo cari
per la potenza dell’amor, che finge
330e forma atti e parole e gesti vari;

quinci Pier pescator parlando stringe
degli uditor sì ’l petto che ’n brev’ora
molte migliaia al suo Cristo compinge;

quinci l’ardor di Paolo inamora
335chi l’urna non avea spezzat’al fonte,
quinci ’l mondo si muta, arde e divora;

quinci accese le genti ardite e pronte
con letizia a’ tormenti, all’aspra morte
corron con gaudio e festa e lieta fronte.

340Fedel fu l’amicizia e vera e forte,
che, per giovare al mondo che peria,
correr face li santi in ogni corte».

Questi e altri parlar la donna pia
faccendo, non so come i’ mi trovai
345quel che già fu quando persi tal via;

e, ’n terra posto, già tardo notai
quell’alma visïon ch’ogn’alto stile,
ogni ’ngegno, ogni lingua avanza assai

e che scrivendo quella abietta e ’nvile.